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Art. 61 - Provvedimenti emessi nell’udienza preliminare

1. Il giudice dell’udienza preliminare pronuncia sentenza di non luogo a procedere nei casi di estinzione o di improcedibilità della sanzione amministrativa, ovvero quando l’illecito stesso non sussiste o gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere in giudizio la responsabilità dell’ente. Si applicano le disposizioni dell’articolo 426 del codice di procedura penale.

2. Il decreto che, a seguito dell’udienza preliminare, dispone il giudizio nei confronti dell’ente, contiene, a pena di nullità, la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente dal reato, con l’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto che può comportare l’applicazione delle sanzioni e l’indicazione del reato da cui l’illecito dipende e dei relativi articoli di legge e delle fonti di prova nonché gli elementi identificativi dell’ente.

Rassegna di giurisprudenza

Art. 426 CPP

La sentenza pronunziata nei confronti delle società è soggetta alla previsione dell’art. 426 in tema di requisiti (Sez. 5, 27963/2018).

L’obbligo di motivazione della sentenza non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, cosicché la motivazione può ben essere sintetica ed a struttura enunciativa né l’imputato può avere interesse a lamentare tale motivazione, censurandola come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia dell’imputato (Sez. 6, 33916/2017).

In tanto può trovare ingresso il vizio motivazionale in quanto sia diretto ad individuare un preciso difetto del percorso logico argomentativo offerto dal giudice di merito, che deve non solo essere identificabile come illogicità manifesta della motivazione o come omissione argomentativa, intesa sia quale mancata presa in carico degli argomenti difensivi, sia quale carente analisi delle prove a sostegno delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato, ma essere altresì decisivo, ovverosia idoneo ad incidere sul compendio indiziario così da incrinarne la capacità dimostrativa (Sez. 3, 38203/2017).

Mentre nessuna rilevanza assume, considerato che l’obbligo generale della motivazione, imposto dall’art. 426 lett. e), è limitato alla esposizione sommaria dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, la mancata indicazione nel corpo della sentenza della norma in forza della quale è stata applicata la pena, la quale si evince puntualmente dal capo di imputazione, costituente parte integrante del provvedimento, deve del pari rilevarsi che l’indicazione degli articoli di legge da menzionarsi nel dispositivo riguardano la tipologia di pronuncia e non certo le norme di legge violate (Sez. 3, 38203/2017).

La mancata indicazione nel dispositivo della sentenza di non luogo a procedere della causa di proscioglimento non è un mero errore materiale ma determina la nullità della sentenza medesima (Sez. 6, 20207/2012).

L’erronea indicazione del nome dell’imputato nella epigrafe della sentenza impugnata non determina alcun vizio della sentenza impugnata, né alcuna nullità della stessa, se l’identificazione dell’interessato è comunque ottenibile attraverso altri dati e potendosi comunque ricorrere alla procedura di correzione degli errori materiali (Sez. 3, 35839/2016).

 

Art. 429 CPP

L’udienza preliminare ha una funzione peculiare rispetto al dibattimento, peculiarità che si giustifica in relazione alla sua “fluidità”, finalizzata, da un lato, ad assicurare l’adeguamento dell’addebito a quanto emerge dagli atti, anche attraverso i meccanismi correttivi fisiologici, e, dall’altro, a condurre ad un’imputazione definitiva, “stabilizzata”, un addebito che si cristallizza solo con il decreto che dispone il giudizio, che fissa il thema decidendum in termini idonei a reggere l’urto della verifica preliminare di validità nella fase introduttiva del dibattimento (Sez. F, 38526/2018).

Non vi è incertezza sui fatti descritti nell’imputazione quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consentire all’imputato di difendersi (Sez. 5, 6335/2014).

La notificazione del decreto che dispone il giudizio eseguita mediante fax non richiede, per il suo perfezionamento, la conferma da parte del destinatario dell’avvenuta ricezione, essendo sufficiente l’attestazione dell’avvenuto invio dell’atto, seguita dal rapporto di positiva trasmissione (Sez. F, 53570/2014).

Il rifiuto della persona indicata quale domiciliataria di ricevere la notifica del decreto che dispone il giudizio l’atto rende l’elezione inidonea a perseguire lo scopo cui essa era finalizzata e legittima, pertanto, il ricorso alla procedura di notifica mediante consegna dell’atto al difensore, sia esso di fiducia o d’ufficio, a norma dell’art. 161, comma 4 (Sez. 1, 22973/2013).

La notifica del decreto ex art. 429 ai sensi dell’art. 157 comma 8-bis presso il difensore di fiducia non presuppone il previo, infruttuoso esperimento della stessa con le modalità di cui ai commi precedenti dell’art. 157, men che mai il ricorso alle ricerche di cui all’art. 159, bensì soltanto che si tratti di una notificazione “successiva” ad altra già eseguita, con le modalità ordinarie, non già nel grado, ma nel corso dell’intero processo, notifiche che, fino a quel momento, erano state eseguite legittimamente mediante notifica al difensore, ex art. 161, comma 4 (Sez. 6, 31627/2017).

La notifica del decreto che dispone il giudizio non è ritualmente eseguita allorché l’avviso di ricevimento risulta privo di ogni necessaria indicazione. Tale avviso deve, infatti, essere restituito al mittente con annotazione in calce, sottoscritta dall’agente postale, della data dell’avvenuto deposito e dei motivi che l’avevano determinato, dell’indicazione “atto non ritirato entro il termine di dieci giorni” e della data di restituzione.

Si tratta di adempimenti che non possono essere presunti, rappresentando essi condizioni o momenti essenziali del procedimento di notificazione che, per la mancata previsione di una relata di notificazione redatta dall’agente postale, non potrebbero essere documentalmente dimostrati per altra via, sicché la loro omissione determina la mancanza della prova che il procedimento di notifica sia passato attraverso i momenti essenziali voluti dalla legge, con conseguente invalidità della notifica stessa (Sez. 4, 15142/2017).

Nell’ipotesi di nullità della notificazione del decreto di citazione, il giudice del dibattimento deve provvedere egli stesso a rinnovare la notifica, senza poter disporre la restituzione degli atti al PM con un provvedimento che, determinando una indebita regressione del processo, si configurerebbe come abnorme (Sez. 1, 31474/2017).

Poiché le norme che stabiliscono i termini a comparire (art. 429, comma 3, per il decreto che dispone il giudizio) non sanzionano mai espressamente la loro violazione con la nullità, è inevitabile dedurla con il tramite dell’art. 178, considerandola nullità di ordine generale concernente l’intervento dell’imputato (art. 178, comma 1, lett. c), ostando il riconoscimento su base diversa il principio di tassatività stabilito dall’art. 177. Il regime, quindi, è quello stabilito dagli artt. 180 e 182 (Sez. 1, 13370/2018).

Il decreto che dispone il giudizio, emesso all’esito dell’udienza preliminare, ai sensi dell’art. 429, non è impugnabile avendo natura di mero atto di impulso processuale (Sez. 6, 51216/2014).

Il decreto che dispone il giudizio è un atto inoppugnabile. Eventuali censure possono essere fatte valere nella successiva fase dibattimentale (Sez. 4, 48970/2017).

In caso di genericità o indeterminatezza del fatto descritto nel capo di imputazione, il giudice del dibattimento deve dichiarare la nullità del decreto che dispone il giudizio, ai sensi dell’art. 429, comma 2, senza alcuna previa sollecitazione, rivolta al PM, ad integrare o precisare la contestazione, non essendo estensibile, alla fase dibattimentale, il meccanismo correttivo che consente al GUP di sollecitare il PM alle opportune precisazioni e integrazioni, indicandogli, con ordinanza interlocutoria, gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche alla base del rilevato difetto dell’imputazione (Sez. 5, 1382/2016).

Non è abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dichiari la nullità del decreto di citazione a giudizio per l’indeterminatezza del contenuto descrittivo dell’imputazione contestualmente disponendo la restituzione degli atti al PM, poiché, quand’anche illegittimo nel merito, detto provvedimento è comunque esplicazione di un potere riconosciuto dall’ordinamento (Sez. 2, 34825/2016).

In senso almeno parzialmente divergente: La nullità del decreto che dispone il giudizio per insufficiente enunciazione del fatto ha natura di nullità relativa, sicché non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall’art. 491 (Sez. 6, 50098/2013).

Il rigetto della richiesta di patteggiamento non determina l’incompatibilità del GUP a pronunciare il decreto che dispone il giudizio (Sez. 3, 20744/2016).

Non è proponibile in sede di riesame del provvedimento che dispone il sequestro preventivo la questione relativa alla sussistenza del “fumus commissi delicti”, qualora sia intervenuto il decreto che dispone il rinvio a giudizio del soggetto interessato, che spiega efficacia preclusiva alla delibazione del “fumus” del reato (Sez. 5, 30596/2009).