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Art. 50

Ammissione alla semilibertà (1)

1. Possono essere espiate in regime di semilibertà la pena dell’arresto e la pena della reclusione non superiore a sei mesi, se il condannato non è affidato in prova al servizio sociale.

2. Fuori dei casi previsti dal comma 1, il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà soltanto dopo l’espiazione di almeno metà della pena ovvero, se si tratta di condannato per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell’art. 4-bis, di almeno due terzi di essa. L’internato può esservi ammesso in ogni

tempo. Tuttavia, nei casi previsti dall’art. 47, se mancano i presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale, il condannato per un reato diverso da quelli indicati nel comma 1 dell’art. 4-bis può essere ammesso al regime di semilibertà anche prima dell’espiazione di metà della pena.

3. Per il computo della durata delle pene non si tiene conto della pena pecuniaria inflitta congiuntamente a quella detentiva.

4. L’ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società.

5. Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al regime di semilibertà dopo avere espiato almeno venti anni di pena.

6. Nei casi previsti dal comma 1, se il condannato ha dimostrato la propria volontà di reinserimento nella vita sociale, la semilibertà può essere altresì disposta successivamente all’inizio dell’esecuzione (2)

della pena. Si applica l’articolo 47, comma 4, in quanto compatibile.

7. Se l’ammissione alla semilibertà riguarda una detenuta madre di un figlio di età inferiore a tre anni, essa ha diritto di usufruire della casa per la semilibertà di cui all’ultimo comma dell’art. 92 del decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 1976, n. 431.

(1) La Corte Costituzionale, con sentenza 78/2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo, ove interpretato nel senso che allo straniero extracomunitario, entrato illegalmente nel territorio dello Stato o privo del permesso di soggiorno, sia in ogni caso precluso l’accesso alle misure alternative da esso previste.

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 74/2020, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non consente al magistrato di sorveglianza di applicare in via provvisoria la semilibertà, ai sensi dell’art. 47, comma 4, in quanto compatibile, anche nell’ipotesi prevista dal terzo periodo del comma 2 dello stesso art. 50.

Rassegna di giurisprudenza

Questioni di legittimità costituzionale

Il magistrato di sorveglianza può applicare, in via provvisoria, la misura della semilibertà al condannato a una pena detentiva non superiore a quattro anni, senza dover aspettare la decisione definitiva del Tribunale di sorveglianza. Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 74 (redattore Francesco Viganò), con la quale è stata ritenuta fondata una questione di legittimità costituzionale sollevata da un magistrato di sorveglianza di Avellino. La Corte ha osservato che la vigente legge sull’Ordinamento penitenziario già consente al magistrato di sorveglianza di concedere in via provvisoria la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale al condannato che debba espiare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni. È allora irragionevole non consentirgli anche di anticipare la concessione della meno favorevole misura alternativa della semilibertà, quando il percorso rieducativo compiuto dal condannato non giustifichi ancora la sua completa uscita dal carcere, ma già consenta di ammetterlo a trascorrere parte della giornata fuori dall’istituto penitenziario. La necessità di attendere la decisione del Tribunale potrebbe infatti arrecare un grave pregiudizio al percorso rieducativo del condannato, soprattutto quando la sua istanza sia motivata da un’offerta di lavoro all’esterno del carcere, che normalmente ha una durata limitata nel tempo (Corte costituzionale, sentenza 74/2020, comunicato stampa della Corte).

Competenza per le istanze presentate da collaboratori di giustizia

Dispone l’art. 16-noníes, comma 8, DL 8/1991: «Quando i provvedimenti di liberazione condizionale, di assegnazione al lavoro all’esterno, di concessione dei permessi premio e di ammissione a taluna delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, sono adottati nei confronti di persona sottoposta a speciali misure di protezione, la competenza appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza del luogo in cui la persona medesima ha eletto il domicilio a norma dell’articolo 12, comma 3-bis, del presente decreto». In questa cornice, deve rilevarsi che l’indicato art. 16-nonies, nel richiamare espressamente l’applicazione delle «misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni [...]», ai fini dell’individuazione della competenza della magistratura di sorveglianza, non consente alcuna distinzione fondata sulla natura trattamentale del beneficio penitenziario invocato, introducendo una deroga alle regole generali stabilite dall’art. 677, comma 1, c.p.p. dalla quale deriva la competenza funzionale della magistratura di sorveglianza di Roma. 3 Sulla base di queste considerazioni, la competenza generale della magistratura di sorveglianza di Roma per i collaboratori di giustizia deve considerarsi come la conseguenza di un’attribuzione di natura funzionale, che costituisce un’eccezione alle regole generali stabilite dall’art. 677, comma 1, c.p.p. e non è derogabile (Sez. 1, 4930/2020).

Osservazione della personalità

Come dimostra la lettura dell’art. 47, l’osservazione e la valutazione della personalità e del comportamento del detenuto è il punto di riferimento principale per la decisione sull’applicazione dell’affidamento in prova al servizio sociale; analoga valutazione è richiesta per la semilibertà dall’art. 50, comma 4, che fa riferimento ai progressi compiuti nel corso del trattamento; implicitamente, anche la norma dell’art. 47-ter sulla detenzione domiciliare richiede tale valutazione. L’importanza di tale osservazione e valutazione è ovvia: se la pena detentiva è finalizzata alla rieducazione del condannato, il giudizio di pericolosità attuale del soggetto e di utilità di una misura alternativa non può essere espresso soltanto sulla base delle informazioni relative al periodo anteriore alla detenzione (salvi i limiti disposti dal legislatore nella concessione delle misure alternative con riferimento a determinati reati), ma deve tenere conto degli esiti del trattamento penitenziario

fino al momento della richiesta (Sez. 1, 831/2020).

Per quel che concerne la semilibertà - che attua la decarcerazione solo parziale del condannato, ammesso a svolgere fuori dall’istituto, per parte del giorno, attività lavorativa (o altra attività risocializzante) - l’ammissione al relativo regime, pure ancorato a requisiti legali di pena, presuppone una prognosi favorevole, in relazione ai progressi trattamentali compiuti (o, comunque, allo svolto percorso di emancipazione dalla devianza), in ordine alla mera possibilità di un suo graduale reinserimento nella società (Sez. 1, 13378/2019).

La concessione dei benefici penitenziari deve essere improntata al principio della gradualità del trattamento penitenziario e dell’osservazione. Si tratta di un criterio che, pur non costituendo una regola assoluta e codificata, risponde a un razionale apprezzamento delle esigenze rieducative e di prevenzione (Sez. 7, 38864/2016).

Ai fini della ammissione ai benefici penitenziari, i riferimenti alla gravità del reato commesso o ai precedenti penali e giudiziari del condannato o al comportamento da lui tenuto prima o dopo l’inizio dell’espiazione ben possono essere utilizzati come elementi che concorrono alla formazione del convincimento circa la praticabilità della misura alternativa. Ne consegue che il mantenimento di una condotta positiva, anche in ambiente libero, non è di per sè determinante, soprattutto ove la condanna in espiazione sia stata inflitta per reati di obiettiva gravità e sia inadeguato il periodo di carcerazione sofferto, ma deve essere valutato nell’ambito di un giudizio globale di tutti gli elementi emersi dalle indagini esperite e dalle informazioni assunte, che tenga anche conto della progressività e gradualità dei risultati del trattamento. Tale criterio, pur non costituendo una regola assoluta e codificata, esprime il ragionato apprezzamento delle esigenze rieducative e di prevenzione cui è ispirato il principio stesso del trattamento penitenziario ed esso risulta tanto più opportuno quando il reato commesso sia sintomatico di una rilevante capacità a delinquere ed il comportamento successivo riveli allarmanti ricadute nel crimine, nonostante l’attività rieducativa già svolta (Sez. 7, 6555/2016).

La semilibertà presuppone l’accertamento di un andamento progressivamente positivo del trattamento rieducativo in misura tale da autorizzare una prognosi che il lavoro esterno possa portare al reinserimento effettivo nel tessuto sociale (Sez. 7, 26494/2018).

Il presupposto per l’ammissione del condannato al regime di semilibertà è rappresentato dalla evoluzione positiva del trattamento penitenziario. Detto presupposto, quindi, deve essere assolutamente certo ed il relativo giudizio deve essere tanto più prudente e cauto quanto più sia da considerare elevata l’originaria pericolosità del soggetto, desunta dal numero, dalla gravità e dalle modalità di esecuzione dei reati commessi, tenendosi conto, inoltre, del lasso di tempo che il soggetto ha trascorso in carcere e di quello che deve ancora trascorrere fino al termine della pena (Sez. 7, 16499/2018).

In tema di adozione delle misure alternative alla detenzione, il giudice di sorveglianza deve fondare la statuizione, espressione di un giudizio prognostico, sui risultati del trattamento individualizzato condotto sulla base dell’esame scientifico della personalità del soggetto ristretto in istituto di pena; la relativa motivazione deve dimostrare, con preciso riferimento alla fattispecie concreta, l’avvenuta considerazione degli elementi previsti dalla legge, che hanno giustificato l’accoglimento o il rigetto dell’istanza (Sez. 1, 775/2014). Per quel che concerne la semilibertà - che attua la decarcerazione solo parziale del condannato, ammesso a svolgere fuori dall’istituto, per parte del giorno, attività lavorativa (o altra attività risocializzante) - l’ammissione al relativo regime presuppone, in uno con l’avvenuta espiazione di un periodo pari ad almeno metà della pena, una prognosi favorevole, proprio in relazione ai progressi compiuti in ambito trattamentale, in ordine alla possibilità di un suo graduale reinserimento nella società (art. 50, comma 4). Date queste condizioni, la misura in esame diviene essa stessa strumento del trattamento individualizzato, rispondendo alla finalità di emenda mediante la più avanzata prospettiva di risocializzazione che è in grado di offrire, extra moenia, il lavoro (che è l’attività che di regola la sostanzia), elemento cardine del moderno sistema rieducativo penitenziario (Corte costituzionale, 158/2001). Al fine di saggiare in chiave prognostica i progressi trattamentali, adeguato rilievo deve certamente essere assegnato alle relazioni provenienti dagli organi deputati all’osservazione del detenuto. Alle relative valutazioni il giudice non è vincolato, purché sia da parte sua assolto l’onere di considerare le informazioni riferite sulla personalità del detenuto medesimo e sull’avanzamento del percorso di risocializzazione, e di parametrarne la rilevanza rispetto alle istanze rieducative sottostanti la misura alternativa invocata, ed ai profili di pericolosità residua dell’interessato, secondo la gradualità che governa l’ammissione ai benefici penitenziari (Sez. 1, 56731/2017).

Il  TDS, nella valutazione dell’istanza di ammissione alla semilibertà, deve (ai sensi dell’art. 50, comma 4) considerare lo stato del trattamento rieducativo intramurario in cui si trova l’interessato e ponderare i progressi compiuti nonché verificare se sussistano le condizioni, anche fattuali, per il graduale reinserimento sociale: e, nello svolgimento di tale prognosi, certo la verifica dell’ineffettività, o della rilevante caduta di livello, del percorso trattamentale svolge indubbio rilievo, in una situazione in cui fra gli indicatori influenti non si escludono i precedenti penali e, in genere, il comportamento antecedente del detenuto, dal momento che il complesso di dati chiamati a giustificare l’ammissione alla misura alternativa deve comunque convergere verso l’accertamento del requisito della funzionalità di essa al, pur progressivo, reinserimento sociale del condannato, reinserimento che non può non ritenersi contrastato dalla revisione in negativo del percorso trattamentale e dall’emersione del persistente pericolo di recidiva (Sez. 7, 1073/2019).

Ai fini dell’applicazione della misura alternativa della semilibertà sono richieste due distinte indagini, una concernente i risultati del trattamento individualizzato e l’altra relativa all’esistenza delle condizioni che garantiscono un graduale reinserimento del detenuto nella società, implicanti la presa di coscienza, attraverso l’analisi, delle negative esperienze del passato e la riflessione critica proiettata verso il ravvedimento (Sez. 1, 20005/2014).

Presupposto della semilibertà è una prognosi favorevole che muova dai progressi compiuti in ambito trattamentale e risulti meramente funzionale, anche in rapporto all’attività lavorativa o altrimenti risocializzante a disposizione del condannato, alla possibilità di un suo graduale reinserimento nella società (artt. 48, comma 1, e 50, comma 4) (Sez. 1, 74/2020).

Ai sensi dell’art. 50, l’ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando sussistono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società. L’art. 51 prevede che il provvedimento di semilibertà possa essere revocato in ogni tempo quando il soggetto non si appalesi idoneo al trattamento. Una specifica previsione riguarda le licenze concesse al condannato in regime di semilibertà, che possono essere revocate in caso di trasgressione agli obblighi imposti (art. 52). L’art. 51-ter permette al magistrato di sorveglianza di sospendere in via cautelativa la misura con provvedimento immediatamente esecutivo che decade se la decisione del TDS non interviene entro trenta giorni. Ai fini del giudizio di revoca del beneficio della semilibertà, assumono rilievo le condotte che, per natura, modalità di commissione ed oggetto, siano tali da arrecare grave vulnus al rapporto fiduciario che deve esistere tra il condannato semilibero e gli organi del trattamento, dovendosi valutare se il complessivo comportamento del condannato riveli l’inidoneità al trattamento e quindi l’esito negativo dell’esperimento. Senza dubbio, la revoca del beneficio è giustificata quando il soggetto non si appalesi idoneo al trattamento, ma tale valutazione tendenzialmente è collegata alla violazione di qualche obbligo (non a caso, i commi successivi dell’art. 51 fanno riferimento esclusivamente a condotte assunte in violazione degli obblighi); il giudice ha l’obbligo di accertare se la violazione commessa sia tale da far ritenere che il soggetto sia inidoneo al trattamento e che, quindi, l’esperimento abbia avuto esito negativo, fornendo, in tema, motivazione (Sez. 1, 12832/2017).

Una volta che sia accertata la sussistenza dei presupposti oggettivi rispettivamente indicati dall’art. 50, commi 1 e 5, per l’ammissione al regime della semilibertà di persona condannata a pena detentiva, il provvedimento giudiziale che tale regime dispone deve tenere conto dei progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società (art. 50, comma 4) e, successivamente all’inizio dell’esecuzione della pena, della dimostrazione concreta della volontà di reinserimento nella vita sociale dimostrata dal condannato (art. 50, comma 6). Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, ai fini dell’ammissione del condannato al regime di semilibertà, il presupposto è dunque rappresentato dalla evoluzione positiva del trattamento penitenziario, la quale abbia consentito di ottenere progressi nella rieducazione, cioè nella modificazione di atteggiamenti ostativi ad una costruttiva partecipazione sociale: trattandosi di presupposto indefettibile, la relativa sussistenza deve essere assolutamente certa (in questo senso, Sez. 1, 16641/2012). Disposta dal tribunale di sorveglianza l’ammissione al regime di semilibertà, l’esistenza nel tempo di tale necessario presupposto deve essere, inoltre, periodicamente verificata, tanto che il provvedimento ammissivo può essere «in ogni tempo» revocato dallo stesso giudice (eventualmente mediante il procedimento previsto dall’art. 51-ter) «quando il soggetto non si appalesi idoneo al trattamento» (art. 51, comma, 1); assumendo rilievo, in funzione della revoca, le condotte che, per natura, modalità di commissione ed oggetto, siano tali da arrecare grave vulnus al rapporto fiduciario che deve esistere tra il condannato semilibero e gli organi del trattamento; dovendosi valutare se il complessivo comportamento del condannato riveli l’inidoneità al trattamento medesimo e, quindi, l’esito negativo dell’esperimento (in questo senso, Sez. 1, 31739/2010). L’ordinanza di ammissione alla semilibertà è dunque intrinsecamente instabile, proprio in ragione della continua necessità di verificare in concreto l’esito dell’esperimento funzionale al graduale reinserimento del condannato nella vita sociale e nel procedimento di sorveglianza trova, d’altra parte, applicazione il principio generale della revocabilità dei provvedimenti giurisdizionali quando risulti, successivamente alla loro adozione, una diversa situazione di fatto rispetto a quella assunta a presupposto di precedente provvedimento (in questo senso, Sez. 1, 15861/2014, che, in applicazione di tale principio, ed alla luce del contenuto della sentenza 181/1996 della Corte costituzionale, ha annullato con rinvio l’ordinanza del TDS che aveva dichiarato inammissibile l’istanza con cui il condannato aveva chiesto la revoca del provvedimento che, a sua volta, aveva revocato la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale in conseguenza della contestazione di un delitto di rapina, per il quale l’imputato era stato successivamente assolto (Sez. 1, 54859/2018).

Sanzioni disciplinari

Nel valutare la sussistenza dei presupposti per la concessione di una misura alternativa alla detenzione si devono utilizzare tutti gli elementi da cui desumere l’assenza di partecipazione all’opera di rieducazione del condannato, nel cui contesto i comportamenti intramurari oggetto di sanzioni disciplinari assumono un rilievo altamente sintomatico del percorso rieducativo intrapreso dal detenuto durante l’esecuzione della pena. Non v’è dubbio, infatti, che le trasgressioni comportamentali del detenuto - soprattutto se ripetute nel tempo, assumono una valenza negativa, risultando espressive della scarsa partecipazione all’opera di rieducazione del carcerato, in quanto sintomatiche dell’assenza di effetti positivi sul percorso intrapreso (Sez. 1, 4387/2019).

Computo della pena espiata in presenza di reati ostativi

Costituisce ius receptum che, nel computo del periodo minimo di pena espiata, previsto come condizione per la concessione di misure alternative alla detenzione, il dies a quo decorra, nel caso di cumulo materiale comprensivo anche di pene inflitte per reati ostativi, dal momento in cui si è esaurita l’espiazione delle pene relative a tali reati, e non da quello di inizio della detenzione (Sez. 1, 48714/2019).

Necessità della collaborazione

Per i reati di cui all’art. 4-bis, comma 1, prima fascia, tra cui quello ex art. 416-bis c.p., la misura alternativa della semilibertà è possibile solo dopo che siano stati scontati i due terzi della pena, ma sempre a condizione che il detenuto abbia collaborato con la giustizia a norma dell’art. 58-ter (Sez. 1, 18229/2014). L’art. 4-bis, infatti, prevede una condizione generale per la concessione delle misure alternative (”...solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell’art. 58 ter..."), che non può essere posta nel nulla dalla disciplina specifica della misura alternativa in questione (come avverrebbe qualora si desse una lettura autonoma dell’art. 50). Tale disposizione, invero, propone un ulteriore limite (i due terzi della pena, superiore a quello normale di metà della stessa), per coloro i quali, essendo ricompresi nell’ambito dell’art. 4-bis, comma 1, prima fascia, ne possano fruire alle condizioni previste da tale ultima norma (Sez. 1, 46157/2018).

Differenze con altre misure alternative alla detenzione

L’affidamento in prova al servizio sociale, disciplinato dall’art. 47 e la detenzione domiciliare, nella sua forma ordinaria regolata dall’art. 47-ter, comma 1-bis sono misure alternative alla detenzione carceraria che, a diverso titolo, attuano la finalità costituzionale rieducativa della pena. La prima misura può essere adottata, entro la generale cornice di ammissibilità prevista dalla legge, allorché, sulla base dell’osservazione della personalità del condannato condotta in istituto, o del comportamento da lui serbato in libertà, si ritenga che la medesima, anche attraverso l’adozione di opportune prescrizioni, possa contribuire alla menzionata rieducazione, prevenendo il pericolo di ricaduta nel reato. Ciò che assume rilievo, rispetto all’affidamento, è l’evoluzione della personalità registratasi successivamente al fatto-reato, nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale (Sez. 1, 33287/2013). Il processo di emenda deve essere significativamente avviato, ancorché non sia richiesto il già conseguito ravvedimento, che caratterizza il diverso istituto della liberazione condizionale, previsto dal codice penale (Sez. 1, 43687/2010). Se il presupposto dell’emenda non è riscontrato, o non lo è nella misura reputata adeguata, il condannato, se lo consentono il limite di pena e il titolo di reato, può essere comunque ammesso alla detenzione domiciliare «generica», alla sola condizione che sia scongiurato il pericolo di commissione di nuovi reati (Sez. 1, 14962/2009). Il fine rieducativo si attua, in tal caso, mediante una misura dal carattere più marcatamente contenitivo, saldandosi alla tendenziale sfiducia ordinamentale sull’efficacia del trattamento penitenziario instaurato rispetto a pene di assai contenuta durata. Per quel che concerne la semilibertà - che attua la decarcerazione solo parziale del condannato, ammesso a svolgere fuori dall’istituto, per parte del giorno, attività lavorativa, o altra attività risocializzante - l’ammissione al relativo regime presuppone, ove si tratti di pena infraquadriennale ma manchino i presupposti per disporre l’affidamento in prova, una prognosi favorevole, in relazione ai progressi purtuttavia compiuti, in ordine alla possibilità di un suo reinserimento, seppure graduale e parziale, nella società (cfr. art. 50, comma 4). Date queste condizioni, la semilibertà diviene essa stessa strumento del trattamento individualizzato, rispondendo alla finalità di emenda mediante la più avanzata prospettiva rieducativa che sono in grado di offrire, extra moenia, le attività di risocializzazione, anche appartenenti all’ambito del volontariato, che la sostanziano. Rientra nella discrezionalità del giudice di merito l’apprezzamento sull’idoneità o meno, ai fini della risocializzazione e della prevenzione della recidiva, delle diverse misure alternative in astratto concedibili (e l’eventuale scelta di quella ritenuta maggiormente congrua nel caso concreto). Le relative valutazioni non sono censurabili in sede di legittimità, se sorrette da motivazione adeguata e rispondente a canoni logici (Sez. 1, 652/1992) la quale non può prescindere da un’esaustiva, ancorché se del caso sintetica, ricognizione degli incidenti elementi di giudizio (Sez. 1, 48462/2019).

L’art. 47, comma 2, consente l’applicazione della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale quando si può ritenere che il provvedimento stesso, anche attraverso le prescrizioni di cui al comma 5, contribuisca alla rieducazione del reo ed assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati. ’Ai fini dell’accoglimento o del rigetto dell’Istanza di affidamento in prova al servizio sociale, non possono, di per sé, assumere decisivo rilievo nel giudizio prognostico sulla realizzazione nel caso concreto delle finalità cui è preposto l’istituto, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza; per converso, non può nemmeno richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica dei proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato (Sez. 1, 773/2014). Il presupposto per l’ammissione del condannato al regime di semilibertà, invece, è rappresentato dalla evoluzione positiva del trattamento penitenziario, che abbia consentito di ottenere progressi nella rieducazione, cioè ’nella modificazione di atteggiamenti ostativi ad una costruttiva partecipazione sociale; detto presupposto deve essere accertato con un giudizio rigoroso che deve necessariamente prendere in considerazione sia il livello di originaria pericolosità del soggetto, desunta dal numero, dalla gravità e dalle modalità di esecuzione dei reati commessi, nonché del lasso di tempo già trascorso in carcere e di quello che deve ancora trascorrere fino al termine della pena (Sez. 1, 3089/1992). Ciò significa che «i progressi nel corso del trattamento», cui fa riferimento l’art. 50, comma 4, non coincidono con la mera conformità del comportamento del detenuto alle regole carcerarie e quindi con la buona condotta, ma devono consistere in una evoluzione della personalità del condannato che faccia ritenere positivamente avviato il processo di revisione critica del passato e di abbandono dei disvalori che sono atti all’origine dei crimini commessi. Quanto ai rapporti tra affidamento in prova e semilibertà va tenuto presente che quest’ultima misura, a mente della disposizione prevista dal terzo periodo dall’art. 50, comma 2, può assolvere ad una «funzione surrogatoria» della prima, potendo essere applicata in presenza delle condizioni oggettive indicate nell’art. 47. prima della espiazione di almeno metà della pena allorquando i risultati della osservazione della personalità, pur non legittimando la misura più favorevole, siano suscettibili di essere valutati positivamente in base al diverso criterio previsori dall’art. 50, comma 4 (Sez. 1, 32761/2019).