Confronto tra due sezioni del Testo Unico Ambientale: la Parte Sesta in tema di tutela risarcitoria e la Parte Quarta in tema di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati
Confronto tra due sezioni del Testo Unico Ambientale: la Parte Sesta in tema di tutela risarcitoria e la Parte Quarta in tema di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati
a cura di Gabriele Ferrucci
Il confronto tra le normative contenute nella Parte Sesta e nella Parte Quarta del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 (cd. T.U.A.), mette in luce profonde differenze, in primo luogo, di natura linguistica, quasi che i due testi, ancorché riferiti allo spesso “oggetto” (ambiente), siano stati predisposti in contesti diversi.
Differisce, addirittura, la stessa definizione delle “misure di prevenzione”, qualificate dall’art. 240, alla lettera i) del T.U.A., come “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”.
Al contrario, la definizione contenuta all’art. 302, comma 8 del T.U.A. chiarisce che “per ‘misure di prevenzione’ si intendono le misure prese per reagire ad un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente di danno ambientale, al fine di impedire o minimizzare tale danno”.
“Iniziative” in luogo di “misure”, “contrastare” in luogo di “reagire”, “minaccia imminente per la salute e per l’ambiente” in luogo di “minaccia imminente di danno ambientale” sono locuzioni diverse che esprimono due modi di affrontare lo stesso “evento, atto od omissione”?
Se la risposta è - come sembrerebbe essere - affermativa, pare doversi allora convenire che entrambe le normative hanno ad oggetto interventi identici, ossia quelle attività di bonifica e di ripristino ambientale che, nella pratica, si sostanziano nelle stesse tipologie di opere, o comunque strettamente interconnesse tra di loro (qualora si preferisca distinguere il momento di decontaminazione in senso tecnico da quello più propriamente di riparazione del sito secondo l’originaria destinazione d’uso).
Tale conclusione rafforza la sensazione che il legislatore delegato del 2006 abbia, di fatto, descritto due procedimenti, da attivarsi ad iniziativa del “privato”, aventi finalità che si possono definire “simili”, ossia quella di “impedire o minimizzare” l’evento lesivo sotto il profilo sanitario ed ambientale che, tuttavia, prevedono autorità competenti, tempistiche, metodologie di valutazione, obblighi di comunicazione e di intervento talvolta differenti tra loro.
La ratio di simile scelta non sembra rispondere ad esigenze né procedimentali, né di carattere sostanziale: al contrario, obiettivi di semplificazione del procedimento amministrativo avrebbero ben potuto suggerire l’opportunità di racchiudere, in un un’unica normativa coordinata, i due distinti approcci (la bonifica ed il ripristino) allo stesso bene tutelato.
La sola previsione che raccorda la Parte Quarta con la Sesta è contenuta all’art. 242, comma 1, laddove è stabilito che “il responsabile dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all’art. 304, comma 2. La medesima procedura si applica all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione”.
Dal canto suo, l’art. 304, comma 2, stabilisce che “l’operatore deve far precedere gli interventi di cui al comma 1 da apposita comunicazione al Comune, alla Provincia, alla Regione, o alla Provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo, nonché al Prefetto della Provincia che nelle ventiquattro ore successive informa il Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio. Tale comunicazione deve avere ad oggetto tutti gli aspetti pertinenti della situazione, ed in particolare le generalità dell’operatore, le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali presumibilmente coinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire”.
Pare, dunque, potersi osservare che l’incipit del procedimento, affidato al “privato”, abbia radici comuni, dopo di ché, però, non risulta chiarito se debba essere proseguito il primo (quello relativo alla bonifica del sito), che vede la Regione (il Comune per la Regione Piemonte) protagonista principale, ovvero il secondo (quello relativo agli interventi risarcitori contro il danno ambientale), che riserva al Ministero dell’Ambiente importanti poteri di iniziativa o, ancora, se rimangano in vita entrambi, in capo ad autorità differenti, almeno fino a quando non siano concluse le necessarie misure di prevenzione.
Il dubbio è tanto più giustificato in considerazione del fatto che l’obbligo di comunicazione di cui all’art. 242, comma 1, che incombe sul “responsabile dell’inquinamento” non trova analoga previsione nella parte sesta, ove l’”operatore” che attiva il procedimento ai sensi dell’art. 304, comma 2, non risulta obbligato ad avviare contestualmente il procedimento di bonifica.
L’incertezza di individuare in modo univoco il percorso da seguire si accompagna ulteriormente alla doppia qualificazione del soggetto tenuto alle comunicazioni ed alla realizzazione degli interventi: “responsabile dell’inquinamento” (parte quarta) e “operatore” (parta sesta), che non è detto siano necessariamente coincidenti.
Mentre il primo, infatti, non trova definizione alcuna nel Codice dell’Ambiente e pertanto per la sua identificazione fa fede l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale maturata negli anni, quella del secondo, mutuata dal lessico utilizzato nella Direttiva 2004/35/CE, è declinata al punto 4 dell’art. 302 come segue: “Per ‘operatore’ s’intende persona, fisica o giuridica, pubblica o privata, che esercita un’attività professionale avente rilevanza ambientale oppure chi comunque eserciti potere decisionale sugli aspetti tecnici e finanziari di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività”.
Pare dunque potersi escludere che le due figure siano coincidenti, non essendo infrequente il ricorrere di una condotta commissiva od omissiva in capo ad un soggetto diverso dall’”operatore” come sopra descritto.
Tuttavia, il combinato disposto degli articoli 242, comma 1, e 304, comma 2, accomuna i due soggetti, almeno per quanto concerne le misure di prevenzione, con ciò determinando uno scostamento non marginale rispetto alla direttiva comunitaria, di cui la parte sesta si presenta attuativa.
Infatti, mentre la normativa comunitaria si riferisce esclusivamente alla responsabilità per i danni ambientali alle acque, al terreno ed alla biodiversità, causati da operatori economici professionali, i quali rispondono a titolo di responsabilità oggettiva solo in conseguenza della potenziale lesività alla salute e all’ambiente della loro attività, regolata in modo specifico da altre direttive comunitarie, il modello di disciplina adottato dal legislatore italiano del 2006 nella Parte sesta viene esteso a tutte le ipotesi di danno all’ambiente, prodotto da operatori economici professionali che rispondono sempre a titolo di responsabilità oggettiva.
Confronto tra due sezioni del Testo Unico Ambientale: la Parte Sesta in tema di tutela risarcitoria e la Parte Quarta in tema di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati
a cura di Gabriele Ferrucci
Il confronto tra le normative contenute nella Parte Sesta e nella Parte Quarta del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 (cd. T.U.A.), mette in luce profonde differenze, in primo luogo, di natura linguistica, quasi che i due testi, ancorché riferiti allo spesso “oggetto” (ambiente), siano stati predisposti in contesti diversi.
Differisce, addirittura, la stessa definizione delle “misure di prevenzione”, qualificate dall’art. 240, alla lettera i) del T.U.A., come “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”.
Al contrario, la definizione contenuta all’art. 302, comma 8 del T.U.A. chiarisce che “per ‘misure di prevenzione’ si intendono le misure prese per reagire ad un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente di danno ambientale, al fine di impedire o minimizzare tale danno”.
“Iniziative” in luogo di “misure”, “contrastare” in luogo di “reagire”, “minaccia imminente per la salute e per l’ambiente” in luogo di “minaccia imminente di danno ambientale” sono locuzioni diverse che esprimono due modi di affrontare lo stesso “evento, atto od omissione”?
Se la risposta è - come sembrerebbe essere - affermativa, pare doversi allora convenire che entrambe le normative hanno ad oggetto interventi identici, ossia quelle attività di bonifica e di ripristino ambientale che, nella pratica, si sostanziano nelle stesse tipologie di opere, o comunque strettamente interconnesse tra di loro (qualora si preferisca distinguere il momento di decontaminazione in senso tecnico da quello più propriamente di riparazione del sito secondo l’originaria destinazione d’uso).
Tale conclusione rafforza la sensazione che il legislatore delegato del 2006 abbia, di fatto, descritto due procedimenti, da attivarsi ad iniziativa del “privato”, aventi finalità che si possono definire “simili”, ossia quella di “impedire o minimizzare” l’evento lesivo sotto il profilo sanitario ed ambientale che, tuttavia, prevedono autorità competenti, tempistiche, metodologie di valutazione, obblighi di comunicazione e di intervento talvolta differenti tra loro.
La ratio di simile scelta non sembra rispondere ad esigenze né procedimentali, né di carattere sostanziale: al contrario, obiettivi di semplificazione del procedimento amministrativo avrebbero ben potuto suggerire l’opportunità di racchiudere, in un un’unica normativa coordinata, i due distinti approcci (la bonifica ed il ripristino) allo stesso bene tutelato.
La sola previsione che raccorda la Parte Quarta con la Sesta è contenuta all’art. 242, comma 1, laddove è stabilito che “il responsabile dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all’art. 304, comma 2. La medesima procedura si applica all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione”.
Dal canto suo, l’art. 304, comma 2, stabilisce che “l’operatore deve far precedere gli interventi di cui al comma 1 da apposita comunicazione al Comune, alla Provincia, alla Regione, o alla Provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo, nonché al Prefetto della Provincia che nelle ventiquattro ore successive informa il Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio. Tale comunicazione deve avere ad oggetto tutti gli aspetti pertinenti della situazione, ed in particolare le generalità dell’operatore, le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali presumibilmente coinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire”.
Pare, dunque, potersi osservare che l’incipit del procedimento, affidato al “privato”, abbia radici comuni, dopo di ché, però, non risulta chiarito se debba essere proseguito il primo (quello relativo alla bonifica del sito), che vede la Regione (il Comune per la Regione Piemonte) protagonista principale, ovvero il secondo (quello relativo agli interventi risarcitori contro il danno ambientale), che riserva al Ministero dell’Ambiente importanti poteri di iniziativa o, ancora, se rimangano in vita entrambi, in capo ad autorità differenti, almeno fino a quando non siano concluse le necessarie misure di prevenzione.
Il dubbio è tanto più giustificato in considerazione del fatto che l’obbligo di comunicazione di cui all’art. 242, comma 1, che incombe sul “responsabile dell’inquinamento” non trova analoga previsione nella parte sesta, ove l’”operatore” che attiva il procedimento ai sensi dell’art. 304, comma 2, non risulta obbligato ad avviare contestualmente il procedimento di bonifica.
L’incertezza di individuare in modo univoco il percorso da seguire si accompagna ulteriormente alla doppia qualificazione del soggetto tenuto alle comunicazioni ed alla realizzazione degli interventi: “responsabile dell’inquinamento” (parte quarta) e “operatore” (parta sesta), che non è detto siano necessariamente coincidenti.
Mentre il primo, infatti, non trova definizione alcuna nel Codice dell’Ambiente e pertanto per la sua identificazione fa fede l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale maturata negli anni, quella del secondo, mutuata dal lessico utilizzato nella Direttiva 2004/35/CE, è declinata al punto 4 dell’art. 302 come segue: “Per ‘operatore’ s’intende persona, fisica o giuridica, pubblica o privata, che esercita un’attività professionale avente rilevanza ambientale oppure chi comunque eserciti potere decisionale sugli aspetti tecnici e finanziari di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività”.
Pare dunque potersi escludere che le due figure siano coincidenti, non essendo infrequente il ricorrere di una condotta commissiva od omissiva in capo ad un soggetto diverso dall’”operatore” come sopra descritto.
Tuttavia, il combinato disposto degli articoli 242, comma 1, e 304, comma 2, accomuna i due soggetti, almeno per quanto concerne le misure di prevenzione, con ciò determinando uno scostamento non marginale rispetto alla direttiva comunitaria, di cui la parte sesta si presenta attuativa.
Infatti, mentre la normativa comunitaria si riferisce esclusivamente alla responsabilità per i danni ambientali alle acque, al terreno ed alla biodiversità, causati da operatori economici professionali, i quali rispondono a titolo di responsabilità oggettiva solo in conseguenza della potenziale lesività alla salute e all’ambiente della loro attività, regolata in modo specifico da altre direttive comunitarie, il modello di disciplina adottato dal legislatore italiano del 2006 nella Parte sesta viene esteso a tutte le ipotesi di danno all’ambiente, prodotto da operatori economici professionali che rispondono sempre a titolo di responsabilità oggettiva.