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Corsi e ricorsi

Roberto Savarese
Roberto Savarese

Dicono che l’avvocheria attraversi oggi un tristo periodo. Forse è vero. Qualche giornalista a buon prezzo si è anco dilettato a dir cosa ingiuriosa ad una classe che pure ha una tradizione che nessuna altra ha”, scriveva l’avvocato Domenico Galdi nel gennaio del 1930.

Anche allora c’era un Travaglio o il Davigo di turno, evidentemente.

Ma Galdi richiama la tradizione della classe forense, ed è di questa che vogliamo parlare, rievocando gli scritti di Roberto Savarese, avvocato napoletano dell’800, che lasciò scritto: “L’ufficio di avvocato si esercita e si è sempre esercitato nobilissimamente. Chi esercita quel nobile ministero deve parteggiare per la libertà e per l’ordine, ma promuovere sopra ogni altra cosa la osservanza del diritto. L’avvocato nelle disputazioni forensi lascia l’arena politica, non ha colore, accoglie tutti, guelfi e ghibellini, difende il diritto dove si trova”.

E queste norme il Savarese seguì fino all’ultimo istante della sua vita, infermo si fece trasportare in lettiga fino all’uscio dell’Aula di Castelcapuano, a stento si trasse al banco dell’avvocato.

Il Presidente lo pregò di arringare seduto, ma l’illustre infermo si ricusò: “Mi parrebbe”, egli disse, arringando seduto, “come entrare in chiesa col cappello in capo”.