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Corte di Giustizia UE: dell’etichetta risponde anche il rivenditore

Direttiva 2000/13/CE − Etichettatura dei prodotti alimentari destinati ad essere consegnati come tali al consumatore finale – Portata degli obblighi derivanti dagli artt. 2, 3 e 12 – Indicazione obbligatoria, per talune bevande alcoliche, del titolo alcolometrico volumico – Bevanda alcolica prodotta in uno Stato membro diverso da quello in cui ha sede il distributore − “Amaro alle erbe” – Titolo alcolometrico volumico effettivo inferiore a quello indicato sull’etichetta – Superamento del margine di tolleranza – Sanzione amministrativa pecuniaria − Responsabilità del distributore
CORTE DI GIUSTIZIA - SECONDA SEZIONE

Nel procedimento C-315/05,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Giudice di pace di Monselice, con ordinanza 12 luglio 2005, pervenuta in cancelleria il 12 agosto 2005, nella causa

Lidl Italia Srl

contro

Comune di Arcole (VR),

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. C.W.A. Timmermans (relatore), presidente di sezione, dai sigg. R. Schintgen, P. Kūris, J. Makarczyk e G. Arestis, giudici,

avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 29 giugno 2006,

considerate le osservazioni presentate:

– per la Lidl Italia Srl, dagli avv.ti F. Capelli e M. Valcada;

– per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Aiello, avvocato dello Stato;

– per il governo spagnolo, dalla sig.ra N. Díaz Abad, in qualità di agente;

– per il governo francese, dalla sig.ra R. Loosli-Surrans e dal sig. G. de Bergues, in qualità di agenti;

– per il governo dei Paesi Bassi, dalle sig.re H.G. Sevenster e M. de Mol, in qualità di agenti;

– per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. A. Aresu e J. P. Keppenne, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 settembre 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 2, 3 e 12 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU L 109, pag. 29).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un ricorso intentato dalla Lidl Italia Srl (in prosieguo: la «Lidl Italia») contro un provvedimento del direttore generale del Comune di Arcole che infliggeva a tale società una sanzione amministrativa pecuniaria a seguito della commercializzazione di una bevanda alcolica, denominata «amaro alle erbe», in violazione della normativa nazionale che impone l’indicazione del titolo alcolometrico volumico di talune bevande alcoliche nella loro etichetta.

Contesto normativo

Normativa comunitaria

3 Il sesto ’considerando’ della direttiva 2000/13 prevede:

«Qualsiasi regolamentazione relativa all’etichettatura dei prodotti alimentari deve essere fondata anzitutto sulla necessità d’informare e tutelare i consumatori».

4 Ai sensi dell’ottavo ’considerando’ della detta direttiva:

«Un’etichettatura adeguata concernente la natura esatta e le caratteristiche del prodotto, che consente al consumatore di operare la sua scelta con cognizione di causa, è il mezzo più adeguato in quanto crea meno ostacoli alla libera circolazione delle merci».

5 L’art. 1, n. 1, della direttiva 2000/13 dispone:

«La presente direttiva riguarda l’etichettatura dei prodotti alimentari destinati ad essere consegnati come tali al consumatore finale, nonché determinati aspetti concernenti la loro presentazione e la relativa pubblicità».

6 L’art. 1, n. 3, di tale direttiva contiene la seguente definizione:

«(…)

«b) prodotto alimentare in imballaggio preconfezionato: l’unità di vendita destinata ad essere presentata come tale al consumatore finale ed alle collettività, costituita da un prodotto alimentare e dall’imballaggio in cui è stato confezionato prima di essere messo in vendita, avvolta interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque in modo che il contenuto non possa essere modificato senza che l’imballaggio sia aperto o alterato».

7 L’art. 2, n. 1, della direttiva 2000/13 dispone:

«L’etichettatura e le relative modalità di realizzazione non devono:

a) essere tali da indurre in errore l’acquirente, specialmente:

i) per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in particolare la natura, l’identità, le qualità, la composizione, la quantità, la conservazione, l’origine o la provenienza, il modo di fabbricazione o di ottenimento,

(…)».

8 L’art. 3, n. 1, della stessa direttiva contiene un elenco tassativo di indicazioni che debbono obbligatoriamente figurare nell’etichetta dei prodotti alimentari.

9 Il punto 7 di tale disposizione prescrive l’apposizione dell’indicazione del «nome o [della] ragione sociale e [dell]’indirizzo del fabbricante o del condizionatore o di un venditore stabilito nella Comunità».

10 Il punto 10 di questa stessa disposizione impone, «per le bevande con contenuto alcolico superiore all’1,2% in volume, l’indicazione del titolo alcolometrico volumico effettivo».

11 L’art. 12 della direttiva 2000/13 prevede:

«Le modalità per l’indicazione del titolo alcolometrico volumico sono definite, per i prodotti delle voci 22.04 e 22.05 della tariffa doganale comune, dalle disposizioni comunitarie specifiche ad essi applicabili.

Per le altre bevande con contenuto alcolico superiore all’1,2% in volume, esse sono stabilite secondo la procedura di cui all’articolo 20, paragrafo 2».

12 Le modalità considerate al secondo comma del detto art. 12 sono disciplinate dalla direttiva della Commissione 15 aprile 1987, 87/250/CEE, relativa all’indicazione del titolo alcolometrico volumico nell’etichettatura di bevande alcoliche destinate al consumatore finale (GU L 113, pag. 57).

13 L’art. 3, n. 1, della direttiva 87/250 dispone:

«Le tolleranze in più o in meno concesse per l’indicazione del titolo alcolometrico e espresse in valori assoluti, sono le seguenti:

a) bevande diverse da quelle elencate qui di seguito:

0,3% vol.;

(…)»

14 L’art. 16, nn. 1 e 2, della direttiva 2000/13 dispone:

«1. Gli Stati membri vietano nel proprio territorio il commercio dei prodotti alimentari per i quali le indicazioni previste dall’articolo 3 e dall’articolo 4, paragrafo 2, non figurano in una lingua facilmente compresa dal consumatore, a meno che l’informazione di quest’ultimo sia effettivamente assicurata da altre misure stabilite secondo la procedura di cui all’articolo 20, paragrafo 2, per una o più indicazioni dell’etichettatura.

2. Lo Stato membro in cui il prodotto è commercializzato può, nel rispetto delle regole del trattato, imporre nel proprio territorio che tali indicazioni dell’etichettatura siano scritte almeno in una o più lingue da esso stabilite tra le lingue ufficiali della Comunità».

15 Ai sensi del dodicesimo ’considerando’ del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2002, n. 178, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU L 31, pag. 1):

«Per garantire la sicurezza degli alimenti occorre considerare tutti gli aspetti della catena di produzione alimentare come un unico processo, a partire dalla produzione primaria inclusa, passando per la produzione di mangimi fino alla vendita o erogazione di alimenti al consumatore inclusa, in quanto ciascun elemento di essa presenta un potenziale impatto sulla sicurezza alimentare».

16 Il trentesimo ’considerando’ del detto regolamento recita:

«Gli operatori del settore alimentare sono in grado, meglio di chiunque altro, di elaborare sistemi sicuri per l’approvvigionamento alimentare e per garantire la sicurezza dei prodotti forniti; essi dovrebbero pertanto essere legalmente responsabili, in via principale, della sicurezza degli alimenti. Sebbene tale principio sia affermato in alcuni Stati membri e in alcuni settori della legislazione alimentare, in altri settori esso non è esplicito o la responsabilità viene assunta dalle autorità competenti dello Stato membro attraverso lo svolgimento di attività di controllo. Tali disparità possono creare ostacoli al commercio e distorsioni della concorrenza tra operatori del settore alimentare di Stati membri diversi».

17 All’art. 3, punto 3, del regolamento n. 178/2002 figura la seguente definizione:

«“operatore del settore alimentare”, la persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni della legislazione alimentare nell’impresa alimentare posta sotto il suo controllo».

18 L’art. 17 del detto regolamento, intitolato «Obblighi», dispone:

«1. Spetta agli operatori del settore alimentare e dei mangimi garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti o i mangimi soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte.

2. Gli Stati membri applicano la legislazione alimentare e controllano e verificano il rispetto delle pertinenti disposizioni della medesima da parte degli operatori del settore alimentare e dei mangimi, in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione.

A tal fine essi organizzano un sistema ufficiale di controllo e altre attività adatte alle circostanze, tra cui la comunicazione ai cittadini in materia di sicurezza e di rischio degli alimenti e dei mangimi, la sorveglianza della sicurezza degli alimenti e dei mangimi e altre attività di controllo che abbraccino tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione.

Gli Stati membri determinano inoltre le misure e le sanzioni da applicare in caso di violazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi. Le misure e le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive».

19 L’art. 1 della direttiva del Consiglio 25 luglio 1985, 85/374/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi (GU L 210, pag. 29; in prosieguo: la «direttiva»), dispone:

«Il produttore è responsabile del danno causato da un difetto del suo prodotto».

20 Ai sensi dell’art. 3 di questa stessa direttiva:

«1. Il termine “produttore” designa il fabbricante di un prodotto finito, il produttore di una materia prima o il fabbricante di una parte componente, nonché ogni persona che, apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello stesso.

2. Senza pregiudizio della responsabilità del produttore, chiunque importi un prodotto nella Comunità europea ai fini della vendita, della locazione, del “leasing” o di qualsiasi altra forma di distribuzione nell’ambito della sua attività commerciale, è considerato produttore del medesimo ai sensi della presente direttiva ed è responsabile allo stesso titolo del produttore.

3. Quando non può essere individuato il produttore del prodotto si considera tale ogni fornitore a meno che quest’ultimo comunichi al danneggiato, entro un termine ragionevole, l’identità del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto. Le stesse disposizioni si applicano ad un prodotto importato, qualora questo non rechi il nome dell’importatore di cui al paragrafo 2, anche se è indicato il nome del produttore».

Normativa nazionale

21 Il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, recante attuazione delle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari (Supplemento ordinario alla GURI n. 39 del 17 febbraio 1992), è stato modificato dal decreto legislativo 23 giugno 2003, n. 181, recante attuazione della direttiva 2000/13/CE relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GURI n. 167 del 21 luglio 2003; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 109/92»).

22 L’art. 12, n. 3, del decreto legislativo n. 109/92 dispone:

«Al titolo alcolometrico si applicano le seguenti tolleranze in più o in meno, espresse in valori assoluti:

(…)

d) 0,3% vol. per le bevande diverse da quelle indicate alle lettere a), b) e c)».

23 L’art. 18, n. 3, di detto decreto legislativo prevede:

«La violazione delle disposizioni [dell’art. 12] è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro seicento a euro tremilacinquecento».

Controversia nella causa principale e questioni pregiudiziali

24 La Jürgen Weber GmbH produce in Germania una bevanda alcolica, denominata «amaro alle erbe», sulla cui etichetta viene indicato un titolo alcolometrico volumico di 35%.

25 Il 13 marzo 2003, le competenti autorità sanitarie regionali prelevavano cinque campioni di tale bevanda in un punto di vendita, appartenente alla rete della Lidl Italia, situato a Monselice.

26 Dalle analisi di tali campioni, effettuate in laboratorio il 17 marzo 2003, risultava un titolo alcolometrico volumico effettivo del 33,91%, inferiore a quello menzionato nell’etichetta del prodotto interessato.

27 Successivamente, la Lidl Italia chiedeva una controperizia. A tal fine, altri campioni del prodotto controverso venivano prelevati e le analisi di questi ultimi, effettuate da un laboratorio il 20 novembre 2003, rivelavano un titolo alcolometrico volumico effettivo che, per quanto più elevato, e cioè del 34,54%, era sempre inferiore a quello figurante sull’etichetta del detto prodotto.

28 Con verbale del 3 luglio 2003, le competenti autorità sanitarie regionali contestavano alla Lidl Italia la violazione dell’art. 12, n. 3, lett. d), del decreto legislativo n. 109/92, in quanto il titolo alcolometrico volumico effettivo della bevanda in questione era inferiore a quello figurante sulla sua etichetta, tenendo conto del margine di tolleranza dello 0,3%.

29 Al termine di un procedimento amministrativo, il Comune di Arcole, con provvedimento del suo direttore generale del 23 dicembre 2004, constatava l’esistenza di un’infrazione e, ai sensi dell’art. 18, n. 3, del decreto legislativo n. 109/92, ingiungeva alla Lidl Italia di pagare una sanzione amministrativa pecuniaria di EUR 3 115.

30 La Lidl Italia proponeva ricorso contro tale provvedimento amministrativo dinanzi al Giudice di pace di Monselice.

31 Il giudice del rinvio rileva che la Lidl Italia ha sostenuto dinanzi ad esso che le prescrizioni comunitarie in materia di etichettatura dei prodotti e degli alimenti destinati ad essere consegnati come tali non si rivolgono all’operatore economico che si limita a commercializzare l’alimento, ma riguardano esclusivamente il fabbricante di tale alimento.

32 Il distributore, infatti, non potrebbe essere a conoscenza del carattere esatto o erroneo delle informazioni figuranti sull’etichetta apposta sul prodotto dal produttore e non potrebbe in nessun caso intervenire nella fabbricazione del prodotto né nella redazione dell’etichetta con la quale quest’ultimo è venduto al consumatore finale.

33 Il giudice del rinvio aggiunge che la Lidl Italia ha fatto valere inoltre che, nel diritto comunitario, il principio della responsabilità del produttore risulta anche dalla direttiva 85/374.

34 Alla luce di quanto sopra, il Giudice di pace di Monselice, ritenendo che l’interpretazione della normativa comunitaria fosse necessaria per la soluzione della controversia a lui sottoposta, ha deciso di sospendere il giudizio e di proporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se la direttiva 2000/13/CE (…), per quanto riguarda i prodotti preconfezionati di cui all’articolo 1 della [detta] direttiva (…), debba essere interpretata nel senso che gli obblighi normativi in essa previsti, ed in particolare quelli di cui agli articoli 2, 3 e 12, debbano essere considerati imposti esclusivamente al produttore dell’alimento preconfezionato.

2) In caso di risposta affermativa al primo quesito, se gli articoli 2, 3 e 12 della direttiva 2000/13/CE debbano essere interpretati nel senso che escludono che il semplice distributore, situato all’interno di uno Stato membro, di un prodotto preconfezionato (come definito dall’articolo 1 della direttiva 2000/13/CE) da un operatore situato in uno Stato membro diverso dal primo – possa essere considerato responsabile di una violazione contestata da un’Autorità pubblica, consistente nella differenza tra il valore (nella fattispecie titolo alcolometrico) indicato dal produttore sull’etichetta del prodotto alimentare preconfezionato e venga di conseguenza sanzionato anche se lo stesso (il semplice distributore) si limita a commercializzare il prodotto alimentare così come consegnato dal produttore dell’alimento stesso».

Sulle questioni pregiudiziali

35 Con le sue due questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se gli artt. 2, 3 e 12 della direttiva 2000/13 debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa di uno Stato membro, come quella controversa nella causa principale, che prevede la possibilità per un operatore, stabilito in tale Stato membro, che distribuisce una bevanda alcolica destinata ad essere consegnata come tale, ai sensi dell’art. 1 della detta direttiva, e prodotta da un operatore stabilito in un altro Stato membro, di essere considerato responsabile di una violazione di detta normativa, constatata da una pubblica autorità, derivante dall’inesattezza del titolo alcolometrico volumico indicato dal produttore sull’etichetta di detto prodotto, e di subire conseguentemente una sanzione amministrativa pecuniaria, mentre si limita, nella sua qualità di semplice distributore, a commercializzare tale prodotto così come a lui consegnato dal produttore.

36 L’art. 2, n. 1, della direttiva 2000/13 vieta in particolare che l’etichettatura e le modalità con le quali essa è effettuata inducano l’acquirente in errore su una delle caratteristiche dei prodotti alimentari.

37 Questo divieto generale è concretizzato all’art. 3, n. 1, di detta direttiva che contiene un elenco tassativo di indicazioni che devono obbligatoriamente figurare nell’etichetta dei prodotti alimentari destinati ad essere consegnati come tali al consumatore finale.

38 Per quanto riguarda le bevande con contenuto alcolico superiore all’1,2% in volume, come la bevanda denominata «amaro alle erbe» di cui trattasi nella causa principale, il punto 10 di detta disposizione impone l’indicazione del titolo alcolometrico volumico effettivo nell’etichetta delle bevande stesse.

39 Le modalità per l’indicazione del titolo alcolometrico volumico, di cui all’art. 12, secondo comma, della direttiva 2000/13, sono disciplinate dalla direttiva 87/250, il cui art. 3, n. 1, prevede un margine di tolleranza in più o in meno dello 0,3%.

40 Se discende così dal combinato disposto degli artt. 2, 3 e 12 della direttiva 2000/13 che l’etichettatura di talune bevande alcoliche, come quella di cui trattasi nella causa principale, deve indicare, salvo un certo margine di tolleranza, il titolo alcolometrico volumico effettivo di queste ultime, non è meno vero che tale direttiva, contrariamente ad altri atti comunitari che impongono obblighi in materia di etichettatura (v., in particolare, la direttiva controversa nella causa C 40/04, in cui è stata pronunciata la sentenza 8 settembre 2005, Yonemoto, Racc. pag. I 7755), non designa l’operatore che deve adempiere tale obbligo in materia di etichettatura e non contiene neppure alcuna norma ai fini della designazione dell’operatore che può essere considerato responsabile in caso di violazione di detto obbligo.

41 Pertanto, non risulta dalla formulazione degli artt. 2, 3 e 12 né del resto da quella di altre disposizioni della direttiva 2000/13 che, in forza di detta direttiva, il controverso obbligo in materia di etichettatura sia, come sostiene la Lidl Italia, imposto esclusivamente al produttore di tali bevande alcoliche o che tale direttiva escluda che il distributore sia considerato responsabile in caso di violazione di questo stesso obbligo.

42 D’altro canto, secondo una giurisprudenza costante, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto comunitario si deve tener conto non soltanto del suo tenore letterale, ma anche del sistema e del contesto della norma e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v., in questo senso, in particolare, sentenze 17 settembre 1997, causa C 83/96, Dega, Racc. pag. I 5001, punto 15, e 13 novembre 2003, causa C 294/01, Granarolo, Racc. pag. I 13429, punto 34).

43 Orbene, da un esame sistematico degli artt. 2, 3 e 12 della direttiva 2000/13, del contesto in cui essi si collocano nonché degli obiettivi perseguiti da tale direttiva risulta una serie sufficiente di indizi concordanti che consentono di giungere alla conclusione che la direttiva stessa non osta ad una normativa nazionale, come quella controversa nella causa principale, ai sensi della quale un distributore può essere considerato responsabile di una violazione dell’obbligo in materia di etichettatura imposto da dette disposizioni.

44 Infatti, per quanto riguarda, in primo luogo, il sistema delle citate disposizioni della direttiva 2000/13 e il contesto nel quale esse si collocano, è importante rilevare che altre disposizioni di tale direttiva si riferiscono ai distributori nell’ambito dell’adempimento di taluni obblighi in materia di etichettatura.

45 Ciò si verifica in particolare nel caso dell’art. 3, n. 1, punto 7, di detta direttiva, che include tra le indicazioni obbligatorie in materia di etichettatura «il nome o la ragione sociale e l’indirizzo del fabbricante o del condizionatore o di un venditore stabilito nella Comunità».

46 Per quanto riguarda la disposizione, identica a quella di tale punto 7, di cui all’art. 3, n. 1, punto 6, della direttiva del Consiglio 18 dicembre 1978, 79/112/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblicità (GU 1979, L 33, pag. 1), direttiva abrogata e sostituita dalla direttiva 2000/13, la Corte ha già dichiarato che tale disposizione ha come obiettivo principale quello di consentire che i responsabili del prodotto, tra i quali, oltre ai produttori e ai condizionatori, si trovano anche i venditori, siano facilmente identificabili dal consumatore finale affinché quest’ultimo possa, se del caso, comunicare loro le sue critiche positive o negative relative al prodotto acquistato (v., in questo senso, citata sentenza Dega, punti 17 e 18).

47 Per quanto riguarda, in secondo luogo, la finalità della direttiva 2000/13, sia dal sesto ’considerando’ di tale direttiva sia dal suo art. 2 discende che essa è stata concepita con l’intento di informare e tutelare il consumatore finale dei prodotti alimentari, segnatamente per quanto concerne la natura, l’identità, le qualità, la composizione, la quantità, la conservazione, l’origine o la provenienza e il modo di fabbricazione o di ottenimento di questi prodotti (v., per quanto riguarda la direttiva 79/112, citata sentenza Dega, punto 16).

48 La Corte ha dichiarato che, se una materia non è disciplinata da una direttiva a causa dell’armonizzazione incompleta che essa comporta, gli Stati membri restano in linea di principio competenti a prescrivere norme in materia, purché tuttavia tali norme non siano tali da compromettere seriamente il risultato prescritto dalla direttiva di cui trattasi (citata sentenza Granarolo, punto 45).

49 Orbene, una normativa nazionale, come quella controversa nella causa principale, che prevede, in caso di violazione di un obbligo in materia di etichettatura imposto dalla direttiva 2000/13, la responsabilità non solo dei produttori ma anche dei distributori non è assolutamente tale da compromettere il risultato prescritto da tale direttiva.

50 Al contrario, una siffatta normativa, in quanto dà una definizione ampia della cerchia degli operatori che possono essere considerati responsabili di violazioni degli obblighi in materia di etichettatura contenuti nella direttiva 2000/13, è manifestamente idonea a contribuire al conseguimento dell’obiettivo di informazione e di protezione del consumatore finale dei prodotti alimentari perseguito da tale direttiva.

51 Questa conclusione non può essere rimessa in discussione dall’argomento, sollevato dalla Lidl Italia sia dinanzi al giudice del rinvio sia dinanzi alla Corte, secondo il quale il diritto comunitario imporrebbe il principio della responsabilità esclusiva del produttore per quanto riguarda l’esattezza delle indicazioni figuranti nell’etichetta dei prodotti destinati ad essere consegnati come tali al consumatore finale, principio che risulterebbe anche dalla direttiva 85/374.

52 Al riguardo, si deve innanzi tutto constatare che il diritto comunitario non sancisce un siffatto principio generale.

53 Al contrario, anche se il regolamento n. 178/2002 non è applicabile ratione temporis ai fatti della causa principale, dall’art. 17, n. 1, di detto regolamento, intitolato «Obblighi», risulta che spetta agli operatori del settore alimentare garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte.

54 Per quanto riguarda poi la direttiva 85/374, è giocoforza constatare che tale direttiva non è pertinente nel contesto di una situazione come quella di cui trattasi nella causa principale.

55 Infatti, la responsabilità del distributore per infrazioni alla normativa in materia di etichettatura dei prodotti alimentari, che espone detto distributore in particolare al pagamento di sanzioni amministrative pecuniarie, è estranea al campo di applicazione specifico del regime di responsabilità oggettiva istituito dalla direttiva 85/374.

56 Pertanto, gli eventuali principi in materia di responsabilità che la direttiva 85/374 comporterebbe non sono trasponibili nel contesto degli obblighi in materia di etichettatura prescritti dalla direttiva 2000/13.

57 In ogni caso, la direttiva 85/374 prevede effettivamente, al suo art. 3, n. 3, una responsabilità, per quanto limitata, del fornitore nella sola ipotesi in cui il produttore non possa essere individuato (sentenza 10 gennaio 2006, causa C 402/03, Skov e Bilka, Racc. pag. I 199, punto 34).

58 Infine, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte relativa all’art. 10 CE, pur conservando la scelta delle sanzioni, gli Stati membri devono segnatamente vegliare a che le violazioni del diritto comunitario siano punite, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in forme analoghe a quelle previste per le violazioni del diritto interno simili per natura e importanza e che, in ogni caso, conferiscano alla sanzione stessa un carattere effettivo, proporzionale e dissuasivo (v., in particolare, sentenza 3 maggio 2005, cause riunite C 387/02, C 391/02 e C 403/02, Berlusconi e a., Racc. pag. I 3565, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).

59 Nei limiti così posti dal diritto comunitario, spetta in linea di principio al diritto nazionale fissare le modalità secondo le quali un distributore può essere considerato responsabile di una violazione dell’obbligo in materia di etichettatura imposto dagli artt. 2, 3 e 12 della direttiva 2000/13 e, in particolare, disciplinare la ripartizione delle responsabilità rispettive dei vari operatori che intervengono nell’immissione in commercio del prodotto alimentare considerato.

60 Alla luce di tutto quanto precede, occorre risolvere le questioni sollevate dichiarando che gli artt. 2, 3 e 12 di direttiva 2000/13 devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa di uno Stato membro, come quella controversa nella causa principale, che prevede la possibilità per un operatore, stabilito in tale Stato membro, che distribuisce una bevanda alcolica destinata ad essere consegnata come tale, ai sensi dell’art. 1 di detta direttiva, e prodotta da un operatore stabilito in un altro Stato membro, di essere considerato responsabile di una violazione di detta normativa, constatata da una pubblica autorità, derivante dall’inesattezza del titolo alcolometrico volumico indicato dal produttore sull’etichetta di detto prodotto, e di subire conseguentemente una sanzione amministrativa pecuniaria, mentre esso si limita, nella sua qualità di semplice distributore, a commercializzare tale prodotto così come a lui consegnato da detto produttore.

Sulle spese

61 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

Gli artt. 2, 3 e 12 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità, devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa di uno Stato membro, come quella controversa nella causa principale, che prevede la possibilità per un operatore, stabilito in tale Stato membro, che distribuisce una bevanda alcolica destinata ad essere consegnata come tale, ai sensi dell’art. 1 di detta direttiva, e prodotta da un operatore stabilito in un altro Stato membro, di essere considerato responsabile di una violazione di detta normativa, constatata da una pubblica autorità, derivante dall’inesattezza del titolo alcolometrico volumico indicato dal produttore sull’etichetta di detto prodotto, e di subire conseguentemente una sanzione amministrativa pecuniaria, mentre esso si limita, nella sua qualità di semplice distributore, a commercializzare tale prodotto così come a lui consegnato da detto produttore.

Firme

CORTE DI GIUSTIZIA - SECONDA SEZIONE

Nel procedimento C-315/05,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Giudice di pace di Monselice, con ordinanza 12 luglio 2005, pervenuta in cancelleria il 12 agosto 2005, nella causa

Lidl Italia Srl

contro

Comune di Arcole (VR),

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. C.W.A. Timmermans (relatore), presidente di sezione, dai sigg. R. Schintgen, P. Kūris, J. Makarczyk e G. Arestis, giudici,

avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 29 giugno 2006,

considerate le osservazioni presentate:

– per la Lidl Italia Srl, dagli avv.ti F. Capelli e M. Valcada;

– per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Aiello, avvocato dello Stato;

– per il governo spagnolo, dalla sig.ra N. Díaz Abad, in qualità di agente;

– per il governo francese, dalla sig.ra R. Loosli-Surrans e dal sig. G. de Bergues, in qualità di agenti;

– per il governo dei Paesi Bassi, dalle sig.re H.G. Sevenster e M. de Mol, in qualità di agenti;

– per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. A. Aresu e J. P. Keppenne, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 settembre 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 2, 3 e 12 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU L 109, pag. 29).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un ricorso intentato dalla Lidl Italia Srl (in prosieguo: la «Lidl Italia») contro un provvedimento del direttore generale del Comune di Arcole che infliggeva a tale società una sanzione amministrativa pecuniaria a seguito della commercializzazione di una bevanda alcolica, denominata «amaro alle erbe», in violazione della normativa nazionale che impone l’indicazione del titolo alcolometrico volumico di talune bevande alcoliche nella loro etichetta.

Contesto normativo

Normativa comunitaria

3 Il sesto ’considerando’ della direttiva 2000/13 prevede:

«Qualsiasi regolamentazione relativa all’etichettatura dei prodotti alimentari deve essere fondata anzitutto sulla necessità d’informare e tutelare i consumatori».

4 Ai sensi dell’ottavo ’considerando’ della detta direttiva:

«Un’etichettatura adeguata concernente la natura esatta e le caratteristiche del prodotto, che consente al consumatore di operare la sua scelta con cognizione di causa, è il mezzo più adeguato in quanto crea meno ostacoli alla libera circolazione delle merci».

5 L’art. 1, n. 1, della direttiva 2000/13 dispone:

«La presente direttiva riguarda l’etichettatura dei prodotti alimentari destinati ad essere consegnati come tali al consumatore finale, nonché determinati aspetti concernenti la loro presentazione e la relativa pubblicità».

6 L’art. 1, n. 3, di tale direttiva contiene la seguente definizione:

«(…)

«b) prodotto alimentare in imballaggio preconfezionato: l’unità di vendita destinata ad essere presentata come tale al consumatore finale ed alle collettività, costituita da un prodotto alimentare e dall’imballaggio in cui è stato confezionato prima di essere messo in vendita, avvolta interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque in modo che il contenuto non possa essere modificato senza che l’imballaggio sia aperto o alterato».

7 L’art. 2, n. 1, della direttiva 2000/13 dispone:

«L’etichettatura e le relative modalità di realizzazione non devono:

a) essere tali da indurre in errore l’acquirente, specialmente:

i) per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in particolare la natura, l’identità, le qualità, la composizione, la quantità, la conservazione, l’origine o la provenienza, il modo di fabbricazione o di ottenimento,

(…)».

8 L’art. 3, n. 1, della stessa direttiva contiene un elenco tassativo di indicazioni che debbono obbligatoriamente figurare nell’etichetta dei prodotti alimentari.

9 Il punto 7 di tale disposizione prescrive l’apposizione dell’indicazione del «nome o [della] ragione sociale e [dell]’indirizzo del fabbricante o del condizionatore o di un venditore stabilito nella Comunità».

10 Il punto 10 di questa stessa disposizione impone, «per le bevande con contenuto alcolico superiore all’1,2% in volume, l’indicazione del titolo alcolometrico volumico effettivo».

11 L’art. 12 della direttiva 2000/13 prevede:

«Le modalità per l’indicazione del titolo alcolometrico volumico sono definite, per i prodotti delle voci 22.04 e 22.05 della tariffa doganale comune, dalle disposizioni comunitarie specifiche ad essi applicabili.

Per le altre bevande con contenuto alcolico superiore all’1,2% in volume, esse sono stabilite secondo la procedura di cui all’articolo 20, paragrafo 2».

12 Le modalità considerate al secondo comma del detto art. 12 sono disciplinate dalla direttiva della Commissione 15 aprile 1987, 87/250/CEE, relativa all’indicazione del titolo alcolometrico volumico nell’etichettatura di bevande alcoliche destinate al consumatore finale (GU L 113, pag. 57).

13 L’art. 3, n. 1, della direttiva 87/250 dispone:

«Le tolleranze in più o in meno concesse per l’indicazione del titolo alcolometrico e espresse in valori assoluti, sono le seguenti:

a) bevande diverse da quelle elencate qui di seguito:

0,3% vol.;

(…)»

14 L’art. 16, nn. 1 e 2, della direttiva 2000/13 dispone:

«1. Gli Stati membri vietano nel proprio territorio il commercio dei prodotti alimentari per i quali le indicazioni previste dall’articolo 3 e dall’articolo 4, paragrafo 2, non figurano in una lingua facilmente compresa dal consumatore, a meno che l’informazione di quest’ultimo sia effettivamente assicurata da altre misure stabilite secondo la procedura di cui all’articolo 20, paragrafo 2, per una o più indicazioni dell’etichettatura.

2. Lo Stato membro in cui il prodotto è commercializzato può, nel rispetto delle regole del trattato, imporre nel proprio territorio che tali indicazioni dell’etichettatura siano scritte almeno in una o più lingue da esso stabilite tra le lingue ufficiali della Comunità».

15 Ai sensi del dodicesimo ’considerando’ del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2002, n. 178, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU L 31, pag. 1):

«Per garantire la sicurezza degli alimenti occorre considerare tutti gli aspetti della catena di produzione alimentare come un unico processo, a partire dalla produzione primaria inclusa, passando per la produzione di mangimi fino alla vendita o erogazione di alimenti al consumatore inclusa, in quanto ciascun elemento di essa presenta un potenziale impatto sulla sicurezza alimentare».

16 Il trentesimo ’considerando’ del detto regolamento recita:

«Gli operatori del settore alimentare sono in grado, meglio di chiunque altro, di elaborare sistemi sicuri per l’approvvigionamento alimentare e per garantire la sicurezza dei prodotti forniti; essi dovrebbero pertanto essere legalmente responsabili, in via principale, della sicurezza degli alimenti. Sebbene tale principio sia affermato in alcuni Stati membri e in alcuni settori della legislazione alimentare, in altri settori esso non è esplicito o la responsabilità viene assunta dalle autorità competenti dello Stato membro attraverso lo svolgimento di attività di controllo. Tali disparità possono creare ostacoli al commercio e distorsioni della concorrenza tra operatori del settore alimentare di Stati membri diversi».

17 All’art. 3, punto 3, del regolamento n. 178/2002 figura la seguente definizione:

«“operatore del settore alimentare”, la persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni della legislazione alimentare nell’impresa alimentare posta sotto il suo controllo».

18 L’art. 17 del detto regolamento, intitolato «Obblighi», dispone:

«1. Spetta agli operatori del settore alimentare e dei mangimi garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti o i mangimi soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte.

2. Gli Stati membri applicano la legislazione alimentare e controllano e verificano il rispetto delle pertinenti disposizioni della medesima da parte degli operatori del settore alimentare e dei mangimi, in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione.

A tal fine essi organizzano un sistema ufficiale di controllo e altre attività adatte alle circostanze, tra cui la comunicazione ai cittadini in materia di sicurezza e di rischio degli alimenti e dei mangimi, la sorveglianza della sicurezza degli alimenti e dei mangimi e altre attività di controllo che abbraccino tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione.

Gli Stati membri determinano inoltre le misure e le sanzioni da applicare in caso di violazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi. Le misure e le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive».

19 L’art. 1 della direttiva del Consiglio 25 luglio 1985, 85/374/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi (GU L 210, pag. 29; in prosieguo: la «direttiva»), dispone:

«Il produttore è responsabile del danno causato da un difetto del suo prodotto».

20 Ai sensi dell’art. 3 di questa stessa direttiva:

«1. Il termine “produttore” designa il fabbricante di un prodotto finito, il produttore di una materia prima o il fabbricante di una parte componente, nonché ogni persona che, apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello stesso.

2. Senza pregiudizio della responsabilità del produttore, chiunque importi un prodotto nella Comunità europea ai fini della vendita, della locazione, del “leasing” o di qualsiasi altra forma di distribuzione nell’ambito della sua attività commerciale, è considerato produttore del medesimo ai sensi della presente direttiva ed è responsabile allo stesso titolo del produttore.

3. Quando non può essere individuato il produttore del prodotto si considera tale ogni fornitore a meno che quest’ultimo comunichi al danneggiato, entro un termine ragionevole, l’identità del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto. Le stesse disposizioni si applicano ad un prodotto importato, qualora questo non rechi il nome dell’importatore di cui al paragrafo 2, anche se è indicato il nome del produttore».

Normativa nazionale

21 Il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, recante attuazione delle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari (Supplemento ordinario alla GURI n. 39 del 17 febbraio 1992), è stato modificato dal decreto legislativo 23 giugno 2003, n. 181, recante attuazione della direttiva 2000/13/CE relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GURI n. 167 del 21 luglio 2003; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 109/92»).

22 L’art. 12, n. 3, del decreto legislativo n. 109/92 dispone:

«Al titolo alcolometrico si applicano le seguenti tolleranze in più o in meno, espresse in valori assoluti:

(…)

d) 0,3% vol. per le bevande diverse da quelle indicate alle lettere a), b) e c)».

23 L’art. 18, n. 3, di detto decreto legislativo prevede:

«La violazione delle disposizioni [dell’art. 12] è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro seicento a euro tremilacinquecento».

Controversia nella causa principale e questioni pregiudiziali

24 La Jürgen Weber GmbH produce in Germania una bevanda alcolica, denominata «amaro alle erbe», sulla cui etichetta viene indicato un titolo alcolometrico volumico di 35%.

25 Il 13 marzo 2003, le competenti autorità sanitarie regionali prelevavano cinque campioni di tale bevanda in un punto di vendita, appartenente alla rete della Lidl Italia, situato a Monselice.

26 Dalle analisi di tali campioni, effettuate in laboratorio il 17 marzo 2003, risultava un titolo alcolometrico volumico effettivo del 33,91%, inferiore a quello menzionato nell’etichetta del prodotto interessato.

27 Successivamente, la Lidl Italia chiedeva una controperizia. A tal fine, altri campioni del prodotto controverso venivano prelevati e le analisi di questi ultimi, effettuate da un laboratorio il 20 novembre 2003, rivelavano un titolo alcolometrico volumico effettivo che, per quanto più elevato, e cioè del 34,54%, era sempre inferiore a quello figurante sull’etichetta del detto prodotto.

28 Con verbale del 3 luglio 2003, le competenti autorità sanitarie regionali contestavano alla Lidl Italia la violazione dell’art. 12, n. 3, lett. d), del decreto legislativo n. 109/92, in quanto il titolo alcolometrico volumico effettivo della bevanda in questione era inferiore a quello figurante sulla sua etichetta, tenendo conto del margine di tolleranza dello 0,3%.

29 Al termine di un procedimento amministrativo, il Comune di Arcole, con provvedimento del suo direttore generale del 23 dicembre 2004, constatava l’esistenza di un’infrazione e, ai sensi dell’art. 18, n. 3, del decreto legislativo n. 109/92, ingiungeva alla Lidl Italia di pagare una sanzione amministrativa pecuniaria di EUR 3 115.

30 La Lidl Italia proponeva ricorso contro tale provvedimento amministrativo dinanzi al Giudice di pace di Monselice.

31 Il giudice del rinvio rileva che la Lidl Italia ha sostenuto dinanzi ad esso che le prescrizioni comunitarie in materia di etichettatura dei prodotti e degli alimenti destinati ad essere consegnati come tali non si rivolgono all’operatore economico che si limita a commercializzare l’alimento, ma riguardano esclusivamente il fabbricante di tale alimento.

32 Il distributore, infatti, non potrebbe essere a conoscenza del carattere esatto o erroneo delle informazioni figuranti sull’etichetta apposta sul prodotto dal produttore e non potrebbe in nessun caso intervenire nella fabbricazione del prodotto né nella redazione dell’etichetta con la quale quest’ultimo è venduto al consumatore finale.

33 Il giudice del rinvio aggiunge che la Lidl Italia ha fatto valere inoltre che, nel diritto comunitario, il principio della responsabilità del produttore risulta anche dalla direttiva 85/374.

34 Alla luce di quanto sopra, il Giudice di pace di Monselice, ritenendo che l’interpretazione della normativa comunitaria fosse necessaria per la soluzione della controversia a lui sottoposta, ha deciso di sospendere il giudizio e di proporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se la direttiva 2000/13/CE (…), per quanto riguarda i prodotti preconfezionati di cui all’articolo 1 della [detta] direttiva (…), debba essere interpretata nel senso che gli obblighi normativi in essa previsti, ed in particolare quelli di cui agli articoli 2, 3 e 12, debbano essere considerati imposti esclusivamente al produttore dell’alimento preconfezionato.

2) In caso di risposta affermativa al primo quesito, se gli articoli 2, 3 e 12 della direttiva 2000/13/CE debbano essere interpretati nel senso che escludono che il semplice distributore, situato all’interno di uno Stato membro, di un prodotto preconfezionato (come definito dall’articolo 1 della direttiva 2000/13/CE) da un operatore situato in uno Stato membro diverso dal primo – possa essere considerato responsabile di una violazione contestata da un’Autorità pubblica, consistente nella differenza tra il valore (nella fattispecie titolo alcolometrico) indicato dal produttore sull’etichetta del prodotto alimentare preconfezionato e venga di conseguenza sanzionato anche se lo stesso (il semplice distributore) si limita a commercializzare il prodotto alimentare così come consegnato dal produttore dell’alimento stesso».

Sulle questioni pregiudiziali

35 Con le sue due questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se gli artt. 2, 3 e 12 della direttiva 2000/13 debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa di uno Stato membro, come quella controversa nella causa principale, che prevede la possibilità per un operatore, stabilito in tale Stato membro, che distribuisce una bevanda alcolica destinata ad essere consegnata come tale, ai sensi dell’art. 1 della detta direttiva, e prodotta da un operatore stabilito in un altro Stato membro, di essere considerato responsabile di una violazione di detta normativa, constatata da una pubblica autorità, derivante dall’inesattezza del titolo alcolometrico volumico indicato dal produttore sull’etichetta di detto prodotto, e di subire conseguentemente una sanzione amministrativa pecuniaria, mentre si limita, nella sua qualità di semplice distributore, a commercializzare tale prodotto così come a lui consegnato dal produttore.

36 L’art. 2, n. 1, della direttiva 2000/13 vieta in particolare che l’etichettatura e le modalità con le quali essa è effettuata inducano l’acquirente in errore su una delle caratteristiche dei prodotti alimentari.

37 Questo divieto generale è concretizzato all’art. 3, n. 1, di detta direttiva che contiene un elenco tassativo di indicazioni che devono obbligatoriamente figurare nell’etichetta dei prodotti alimentari destinati ad essere consegnati come tali al consumatore finale.

38 Per quanto riguarda le bevande con contenuto alcolico superiore all’1,2% in volume, come la bevanda denominata «amaro alle erbe» di cui trattasi nella causa principale, il punto 10 di detta disposizione impone l’indicazione del titolo alcolometrico volumico effettivo nell’etichetta delle bevande stesse.

39 Le modalità per l’indicazione del titolo alcolometrico volumico, di cui all’art. 12, secondo comma, della direttiva 2000/13, sono disciplinate dalla direttiva 87/250, il cui art. 3, n. 1, prevede un margine di tolleranza in più o in meno dello 0,3%.

40 Se discende così dal combinato disposto degli artt. 2, 3 e 12 della direttiva 2000/13 che l’etichettatura di talune bevande alcoliche, come quella di cui trattasi nella causa principale, deve indicare, salvo un certo margine di tolleranza, il titolo alcolometrico volumico effettivo di queste ultime, non è meno vero che tale direttiva, contrariamente ad altri atti comunitari che impongono obblighi in materia di etichettatura (v., in particolare, la direttiva controversa nella causa C 40/04, in cui è stata pronunciata la sentenza 8 settembre 2005, Yonemoto, Racc. pag. I 7755), non designa l’operatore che deve adempiere tale obbligo in materia di etichettatura e non contiene neppure alcuna norma ai fini della designazione dell’operatore che può essere considerato responsabile in caso di violazione di detto obbligo.

41 Pertanto, non risulta dalla formulazione degli artt. 2, 3 e 12 né del resto da quella di altre disposizioni della direttiva 2000/13 che, in forza di detta direttiva, il controverso obbligo in materia di etichettatura sia, come sostiene la Lidl Italia, imposto esclusivamente al produttore di tali bevande alcoliche o che tale direttiva escluda che il distributore sia considerato responsabile in caso di violazione di questo stesso obbligo.

42 D’altro canto, secondo una giurisprudenza costante, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto comunitario si deve tener conto non soltanto del suo tenore letterale, ma anche del sistema e del contesto della norma e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v., in questo senso, in particolare, sentenze 17 settembre 1997, causa C 83/96, Dega, Racc. pag. I 5001, punto 15, e 13 novembre 2003, causa C 294/01, Granarolo, Racc. pag. I 13429, punto 34).

43 Orbene, da un esame sistematico degli artt. 2, 3 e 12 della direttiva 2000/13, del contesto in cui essi si collocano nonché degli obiettivi perseguiti da tale direttiva risulta una serie sufficiente di indizi concordanti che consentono di giungere alla conclusione che la direttiva stessa non osta ad una normativa nazionale, come quella controversa nella causa principale, ai sensi della quale un distributore può essere considerato responsabile di una violazione dell’obbligo in materia di etichettatura imposto da dette disposizioni.

44 Infatti, per quanto riguarda, in primo luogo, il sistema delle citate disposizioni della direttiva 2000/13 e il contesto nel quale esse si collocano, è importante rilevare che altre disposizioni di tale direttiva si riferiscono ai distributori nell’ambito dell’adempimento di taluni obblighi in materia di etichettatura.

45 Ciò si verifica in particolare nel caso dell’art. 3, n. 1, punto 7, di detta direttiva, che include tra le indicazioni obbligatorie in materia di etichettatura «il nome o la ragione sociale e l’indirizzo del fabbricante o del condizionatore o di un venditore stabilito nella Comunità».

46 Per quanto riguarda la disposizione, identica a quella di tale punto 7, di cui all’art. 3, n. 1, punto 6, della direttiva del Consiglio 18 dicembre 1978, 79/112/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblicità (GU 1979, L 33, pag. 1), direttiva abrogata e sostituita dalla direttiva 2000/13, la Corte ha già dichiarato che tale disposizione ha come obiettivo principale quello di consentire che i responsabili del prodotto, tra i quali, oltre ai produttori e ai condizionatori, si trovano anche i venditori, siano facilmente identificabili dal consumatore finale affinché quest’ultimo possa, se del caso, comunicare loro le sue critiche positive o negative relative al prodotto acquistato (v., in questo senso, citata sentenza Dega, punti 17 e 18).

47 Per quanto riguarda, in secondo luogo, la finalità della direttiva 2000/13, sia dal sesto ’considerando’ di tale direttiva sia dal suo art. 2 discende che essa è stata concepita con l’intento di informare e tutelare il consumatore finale dei prodotti alimentari, segnatamente per quanto concerne la natura, l’identità, le qualità, la composizione, la quantità, la conservazione, l’origine o la provenienza e il modo di fabbricazione o di ottenimento di questi prodotti (v., per quanto riguarda la direttiva 79/112, citata sentenza Dega, punto 16).

48 La Corte ha dichiarato che, se una materia non è disciplinata da una direttiva a causa dell’armonizzazione incompleta che essa comporta, gli Stati membri restano in linea di principio competenti a prescrivere norme in materia, purché tuttavia tali norme non siano tali da compromettere seriamente il risultato prescritto dalla direttiva di cui trattasi (citata sentenza Granarolo, punto 45).

49 Orbene, una normativa nazionale, come quella controversa nella causa principale, che prevede, in caso di violazione di un obbligo in materia di etichettatura imposto dalla direttiva 2000/13, la responsabilità non solo dei produttori ma anche dei distributori non è assolutamente tale da compromettere il risultato prescritto da tale direttiva.

50 Al contrario, una siffatta normativa, in quanto dà una definizione ampia della cerchia degli operatori che possono essere considerati responsabili di violazioni degli obblighi in materia di etichettatura contenuti nella direttiva 2000/13, è manifestamente idonea a contribuire al conseguimento dell’obiettivo di informazione e di protezione del consumatore finale dei prodotti alimentari perseguito da tale direttiva.

51 Questa conclusione non può essere rimessa in discussione dall’argomento, sollevato dalla Lidl Italia sia dinanzi al giudice del rinvio sia dinanzi alla Corte, secondo il quale il diritto comunitario imporrebbe il principio della responsabilità esclusiva del produttore per quanto riguarda l’esattezza delle indicazioni figuranti nell’etichetta dei prodotti destinati ad essere consegnati come tali al consumatore finale, principio che risulterebbe anche dalla direttiva 85/374.

52 Al riguardo, si deve innanzi tutto constatare che il diritto comunitario non sancisce un siffatto principio generale.

53 Al contrario, anche se il regolamento n. 178/2002 non è applicabile ratione temporis ai fatti della causa principale, dall’art. 17, n. 1, di detto regolamento, intitolato «Obblighi», risulta che spetta agli operatori del settore alimentare garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte.

54 Per quanto riguarda poi la direttiva 85/374, è giocoforza constatare che tale direttiva non è pertinente nel contesto di una situazione come quella di cui trattasi nella causa principale.

55 Infatti, la responsabilità del distributore per infrazioni alla normativa in materia di etichettatura dei prodotti alimentari, che espone detto distributore in particolare al pagamento di sanzioni amministrative pecuniarie, è estranea al campo di applicazione specifico del regime di responsabilità oggettiva istituito dalla direttiva 85/374.

56 Pertanto, gli eventuali principi in materia di responsabilità che la direttiva 85/374 comporterebbe non sono trasponibili nel contesto degli obblighi in materia di etichettatura prescritti dalla direttiva 2000/13.

57 In ogni caso, la direttiva 85/374 prevede effettivamente, al suo art. 3, n. 3, una responsabilità, per quanto limitata, del fornitore nella sola ipotesi in cui il produttore non possa essere individuato (sentenza 10 gennaio 2006, causa C 402/03, Skov e Bilka, Racc. pag. I 199, punto 34).

58 Infine, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte relativa all’art. 10 CE, pur conservando la scelta delle sanzioni, gli Stati membri devono segnatamente vegliare a che le violazioni del diritto comunitario siano punite, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in forme analoghe a quelle previste per le violazioni del diritto interno simili per natura e importanza e che, in ogni caso, conferiscano alla sanzione stessa un carattere effettivo, proporzionale e dissuasivo (v., in particolare, sentenza 3 maggio 2005, cause riunite C 387/02, C 391/02 e C 403/02, Berlusconi e a., Racc. pag. I 3565, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).

59 Nei limiti così posti dal diritto comunitario, spetta in linea di principio al diritto nazionale fissare le modalità secondo le quali un distributore può essere considerato responsabile di una violazione dell’obbligo in materia di etichettatura imposto dagli artt. 2, 3 e 12 della direttiva 2000/13 e, in particolare, disciplinare la ripartizione delle responsabilità rispettive dei vari operatori che intervengono nell’immissione in commercio del prodotto alimentare considerato.

60 Alla luce di tutto quanto precede, occorre risolvere le questioni sollevate dichiarando che gli artt. 2, 3 e 12 di direttiva 2000/13 devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa di uno Stato membro, come quella controversa nella causa principale, che prevede la possibilità per un operatore, stabilito in tale Stato membro, che distribuisce una bevanda alcolica destinata ad essere consegnata come tale, ai sensi dell’art. 1 di detta direttiva, e prodotta da un operatore stabilito in un altro Stato membro, di essere considerato responsabile di una violazione di detta normativa, constatata da una pubblica autorità, derivante dall’inesattezza del titolo alcolometrico volumico indicato dal produttore sull’etichetta di detto prodotto, e di subire conseguentemente una sanzione amministrativa pecuniaria, mentre esso si limita, nella sua qualità di semplice distributore, a commercializzare tale prodotto così come a lui consegnato da detto produttore.

Sulle spese

61 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

Gli artt. 2, 3 e 12 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità, devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa di uno Stato membro, come quella controversa nella causa principale, che prevede la possibilità per un operatore, stabilito in tale Stato membro, che distribuisce una bevanda alcolica destinata ad essere consegnata come tale, ai sensi dell’art. 1 di detta direttiva, e prodotta da un operatore stabilito in un altro Stato membro, di essere considerato responsabile di una violazione di detta normativa, constatata da una pubblica autorità, derivante dall’inesattezza del titolo alcolometrico volumico indicato dal produttore sull’etichetta di detto prodotto, e di subire conseguentemente una sanzione amministrativa pecuniaria, mentre esso si limita, nella sua qualità di semplice distributore, a commercializzare tale prodotto così come a lui consegnato da detto produttore.

Firme