Durata riposo quotidiano del personale del ruolo sanitario nel diritto comunitario - Deroga ad opera di una norma nazionale

Profili di illegittimità (anche sul piano del diritto interno)
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Durata riposo quotidiano del personale del ruolo sanitario nel diritto comunitario - Deroga ad opera di una norma nazionale – Profili di illegittimità (anche sul piano del diritto interno)

 

L’art. 3 comma 85 della Legge 244/2007, la quale sostanzialmente “impone” al CCNL del personale sanitario – in deroga sia a quanto previsto da una norma comunitaria (art. 3 della Direttiva 2003/88/CE) sia a quanto stabilito da una norma nazionale (art. 17 del D.lgs. 66 del 08.04.2023) – di prevedere il diritto ad un riposo giornaliero consecutivo inferiore a quello di 11 ore ogni 24 ore, contrasta sia con il diritto comunitario (art. 6 comma 1 lett. A ed art. 17 della stessa Direttiva sopra citata) sia con il diritto nazionale (art. 2 comma 2 del D.lgs. 165/2001).

Article 3, paragraph 85 of Law 244/2007, which essentially "obliges" the National Collective Bargaining Agreement for healthcare personnel – in derogation from both the provisions of a Community law (Article 3 of Directive 2003/88/EC) and the provisions of a national law (Article 17 of Legislative Decree 66 of 08.04.2023) – to provide the right to a consecutive daily rest period of less than 11 hours in every 24 hours, conflicts with both Community law (Article 6, paragraph 1, letter A and Article 17 of the aforementioned Directive) and with national law (Article 2, paragraph 2 of Legislative Decree 165/2001).

La Cassazione Sezione Lavoro, con ordinanza interlocutoria n. 30777 del 23.11.2025, ha rimesso al Primo Presidente, ai fini dell’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la seguente questione di massima, ritenuta di particolare importanza: sussistenza di una difformità della disciplina interna (in particolare, l’art. 3, comma 85, della l. n. 244 del 2007, la quale esclude il personale del ruolo sanitario dal campo di applicazione degli artt. 4 e 7 del d.lgs. n. 66 del 2003) rispetto agli artt. 3 della dir. 2003/88/CE; 6, punto 2, della dir. 93/104/CE e 6, lett. b, della dir. 2003/88/CE, con conseguente configurabilità della responsabilità dello Stato italiano per mancata attuazione delle suddette direttive.

La Direttiva 2003/88/CE del 04.11.2003, concernente “taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro”, all’art. 3 stabilisce che “gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive”.

Il D.lgs. 66 del 08.04.2003 – “Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro” – all’art. 17 disciplina le “deroghe alla disciplina in materia di riposo giornaliero, pause, lavoro notturno, durata massima”.  Tra le disposizioni che possono essere oggetto di deroga, da parte dei CCNL, vi è quella contenuta nell’art. 7 dello stesso D.lgs., art. 7 che, conformemente alla Direttiva 2003/88/CE, prevede il diritto al riposo consecutivo di 11 ore ogni 24 ore.  Di conseguenza, in base alla legge nazionale (ossia l’art. 17 del D.lgs.), il CCNL può prevedere, in deroga ad una norma (art. 7) che nella medesima legge è contenuta, che, per una determinata categoria di lavoratori, il diritto al riposo consecutivo possa essere anche inferiore alle 11 ore consecutive.

L’art. 3 comma 85 della Legge n. 244/2007 ha integrato la norma contenuta nell’art. 17 del D.lgs., prevedendo che “le disposizioni di cui all'articolo 7 non si applicano al personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, per il quale si fa riferimento alle vigenti disposizioni contrattuali in materia di orario di lavoro, nel rispetto dei princìpi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori”.

Quindi la Legge 244/2007 dice: per i lavoratori del settore sanitario non si applica il diritto al riposo giornaliero di 11 ore consecutive, perché si deve fare riferimento alla disciplina del CCNL. Ora, tale previsione, se venisse interpretata nel senso che il CCNL “è comunque libero” di fissare tale disciplina, non avrebbe senso: in tal caso, infatti, il CCNL, in base all’art. 17 del D.lgs. 66/2003, sarebbe appunto “libero” di stabilire la medesima durata del riposo giornaliero prevista dalla (precedente) norma nazionale, e cioè dall’art. 7 del D.lgs. 66/2003, e quindi sarebbe “libero” di non esercitare il potere di deroga. Di conseguenza, l’art. 3 comma 85 della Legge 244/2007, per avere un senso, deve necessariamente essere interpretata come norma la quale “impone”, al CCNL del personale sanitario, di stabilire una minore durata del riposo.

Pertanto è accaduto quanto segue: una precedente norma nazionale (il D.lgs. 66/2003) conferiva al CCNL (e quindi non alla “legge ordinaria”), il potere di prevedere che i lavoratori del settore sanitario avessero diritto ad un numero di ore consecutive di riposo (giornaliero) inferiore a quello stabilito dalla medesima norma. Ebbene, per quanto riguarda i suddetti lavoratori, questa deroga alla norma nazionale, anziché essere stabilita dal CCNL, è stata stabilita da una successiva norma nazionale (ossia la Legge 244/2007).

Il problema è questo: il CCNL, malgrado il D.lgs. 66/2003 gli abbia conferito il potere di prevedere una disciplina più restrittiva della durata del riposo giornaliero, potrebbe anche non aver stabilito nessuna deroga (infatti l’art. 17 del D.lgs. prevede che la disposizione di cui all’art. 7 “può” essere derogata dal CCNL, e non che “deve” essere derogata). Tuttavia, c’è una norma nazionale (Legge 244/2007) che dice: ai lavoratori del settore sanitario non si applica il diritto al riposo giornaliero di 11 ore consecutive, perché si deve fare riferimento alla disciplina, più restrittiva, del CCNL, dando quasi “per scontato” che quest’ultimo “debba” introdurre tale disciplina.

Prima ancora di addentrarci nella questione relativa alla (presunta) violazione del diritto comunitario, ci dobbiamo porre questa domanda, che rileva sul piano del diritto interno: quando una norma nazionale precedente (il D.lgs. 66/2003) ha attribuito al CCNL non l’obbligo bensì “la facoltà” di stabilire, nei riguardi dei lavoratori del settore (in tal caso, il personale sanitario), una disciplina più restrittiva rispetto a quella stabilita dalla medesima norma, è legittimo che una norma nazionale successiva (Legge 244/2007) invece “imponga”, al CCNL di quel settore, “l’obbligo” di stabilire la disciplina più restrittiva?

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo esaminare come, nel diritto interno, viene disciplinato il rapporto tra la legge ed il CCNL. Siccome la fattispecie in esame interessa i lavoratori del Servizio Sanitario Nazionale, e cioè “dipendenti pubblici”, dobbiamo analizzare la disciplina del CCNL qual è quella contenuta nel D.lgs. 165/2001 (di seguito “D.lgs.”). L’art. 2 comma 2 di quest’ultimo stabilisce cheeventuali disposizioni di legge … che abbiano introdotto discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate nelle materie affidate alla contrattazione collettiva ai sensi dell’articolo 40, comma 1, e nel rispetto dei principi stabiliti dal presente decreto, da successivi contratti o accordi collettivi nazionali e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili”.

Nel nostro caso, la “disposizione di legge” che ha introdotto una disciplina limitata solo ad una categoria di dipendenti delle PPAA (ossia il personale sanitario), è rappresentata dalla Legge 244/2007.

Ebbene, in base all’art. 2 comma 2 del D.lgs., questa “disposizione di legge” può comunque essere derogata dal CCNL, e tale deroga è ammessa o qualora essa incida su materie che, dall’art. 40 del medesimo D.lgs., sono riservate alla contrattazione collettiva, oppure quando, pur non incidendo su tali materie, essa “rispetti i principi stabiliti” dallo stesso D.lgs. . L’art. 40 così dispone: “sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all'organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell'articolo 9, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali, nonché quelle di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421”. La durata del riposo giornaliero non rientra nel novero delle “materie escluse” dalla contrattazione collettiva, e quindi ciò vuol dire che, in tale materia, il CCNL può, del tutto legittimamente, derogare alla “disposizione di legge”, e cioè a quella contenuta nell’art. 3 comma 85 della Legge n. 244/2007, il quale ha stabilito che, per una determinata categoria di dipendenti pubblici, il relativo CCNL “debba” applicare, per quanto attiene alla durata giornaliera del suddetto riposo, una disciplina più restrittiva di quella stabilita da altra norma nazionale (art. 7 del D.lgs. 66/2003).

 

Di conseguenza, l’art. 3 comma 85 della Legge 244/2007, nella parte in cui “impone” al CCNL del comparto sanitario di stabilire, in materia di durata del riposo consecutivo giornaliero, una disciplina diversa, e quindi potenzialmente più restrittiva per i lavoratori, di quella stabilita dall’art. 7 del D.lgs. 66/2003, deve considerarsi illegittimo, sotto il profilo del diritto interno, per contrasto con l’art. 2 comma 2 del D.lgs. 165/2001, in quanto da questo si ricava che, nella suddetta materia, il CCNL può comunque derogare alla legge.

Passiamo adesso ad esaminare la questione della legittimità dell’art. 3 comma 85 della Legge 244/2007 sotto il profilo del diritto comunitario, e cioè l’art. 3 della Direttiva 2003/88/CE.

Se analizziamo la questione dal punto di vista temporale, la norma nazionale (D.lgs. 66/2003), la quale stabiliva, in modo generalizzato e quindi anche per il personale sanitario, il diritto al riposo giornaliero, è stata emanata in data 08.04.2003, ossia prima ancora della Direttiva 2003/88/CE, che è stata emanata il 04.11.2003. Tale Direttiva, pur essendo entrata in vigore dopo, stabilisce tuttavia lo stesso identico principio. In questo caso, quindi, la norma nazionale ha “anticipato” la norma comunitaria, e quindi, se volessimo usare una “frase provocatoria”, potremmo dire che, semmai, è stata la Direttiva ad adeguarsi alla norma nazionale, e non il contrario.

Il discorso quindi è questo: la Legge 244/2007, che ha escluso il personale sanitario dall’applicazione della disciplina dettata dalla norma nazionale (il D.lgs. 66/2003), ha derogato sia a quest’ultima (il D.lgs. 66/2003) sia alla norma comunitaria (la Direttiva 2003/88/CE). Ora, è vero che tale norma comunitaria è stata adottata dopo la norma nazionale, ma è anche vero che essa è stata adottata prima della suddetta Legge di modifica, e l’aspetto su cui riflettere è che, a prescindere dal diverso momento di entrata in vigore, sia la norma nazionale sia quella comunitaria prevedono lo stesso principio: quello del diritto del lavoratore, di qualsiasi settore e quindi anche di quello sanitario, al riposo giornaliero per una certa durata. Pertanto il quadro è il seguente: una norma nazionale (la Legge 244/2007) ha modificato, in senso limitativo, un’altra legge nazionale (il D.lgs. 66/2003), e tale modifica ha riguardato, sia pur indirettamente, anche una norma comunitaria ((la Direttiva 2003/88/CE) la quale, pur essendo stata adottata dopo la norma oggetto di modifica, stabilisce comunque il medesimo principio della legge modificata.

Allora la domanda è la seguente: una disposizione comunitaria (art. 3 della Direttiva 88 del 04.11.2003) può dirsi “violata” da una norma nazionale (art. 3 comma 85 della Legge n. 244/2007) anche quando quest’ultima ha modificato una legge nazionale (art. 17 del D.lgs. 66 del 08.04.2003) che, pur stabilendo lo stesso principio previsto dalla suddetta disposizione, era entrata in vigore prima ancora di quest’ultima?

Al riguardo, si osserva quanto segue.

L’art. 10 della Costituzione stabilisce che “l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”.

Questo principio, noto come “adattamento automatico”, implica che la centralità del diritto comunitario debba essere tutelata non solo quando quest’ultimo, nel fissare un determinato principio, abbia “preceduto” la legge nazionale, ma anche quando esso abbia “ribadito”, a posteriori, l’assoluta importanza di quanto, in precedenza, era stato stabilito dalla stessa legge.

Se una legge comunitaria ha “confermato” un principio che era già stato stabilito da una legge nazionale, qualsivoglia altra norma nazionale la quale violi quest’ultima, deve essere considerata a sua volta come posta in essere in violazione anche della norma comunitaria.

Pertanto, affinchè possa configurarsi una violazione della disposizione comunitaria, dovrebbe ritenersi sufficiente che la norma nazionale posta in essere in violazione contrasti con una legge nazionale la quale contempli lo stesso principio previsto dalla medesima disposizione, a nulla rilevando che la legge nazionale sia entrata in vigore prima di quest’ultima, in quanto ciò che conta è la “identità del principio violato”, e non anche “la data di entrata in vigore”. Non importa che tale principio sia stato stabilito da una legge nazionale (il D.lgs. 66/2003) la quale sia sorta prima della disposizione comunitaria (la Direttiva 2003/88): quest’ultima, anche se è sorta dopo, ha “ribadito” il suddetto principio, e quindi ha sostanzialmente “confermato” la rilevanza, la primarietà e la pregnanza del medesimo, aderendo pienamente alla scelta fatta dal legislatore nazionale. Ciò che conta, al di là della anteriorità dell’entrata in vigore di quest’ultima, è che il diritto comunitario abbia statuito il medesimo principio, ragion per cui qualsivoglia norma nazionale (in tal caso, la Legge 244/2007) che deroghi a tale principio, deve essere considerata, automaticamente, come “contrastante con il diritto comunitario”.

 

Ciò posto, torniamo a quello che è il merito della questione, e cioè: è legittimo che nei confronti del personale sanitario, e quindi di una determinata categoria di lavoratori, il diritto al riposo giornaliero stabilito dalla norma comunitaria sia disciplinato non da quest’ultima (riposo consecutivo di 11 ore ogni 24 ore) bensì dal CCNL di tale categoria (CCNL il quale potrebbe prevedere anche una minore durata del riposo)?

L’art. 4 della Direttiva 2003/88 – “Pausa” – stabilisce che “gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, qualora l'orario di lavoro giornaliero superi le 6 ore, di una pausa le cui modalità e, in particolare, la cui durata e condizioni di concessione sono fissate da contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali o, in loro assenza, dalla legislazione nazionale”. La norma comunitaria, quindi, demanda ai CCNL la disciplina della durata del riposto: essa fissa soltanto il limite (6 ore lavorative giornaliere) oltre il quale il riposo va concesso, ma lascia alla regolamentazione contrattuale la previsione di “quanto debba durare” tale riposo. Invece l’art. 3 della medesima, come abbiamo visto, stabilisce il principio per cui “gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive”. Il quadro quindi è questo: quando la prestazione di lavoro giornaliero viene svolta consecutivamente oltre le 6 ore, il CCNL può disciplinare la durata del riposo; ma quando il lavoratore presta servizio per 13 ore nell’arco della giornata, egli ha diritto al riposto di 11 ore consecutive (24 ore - 13 ore). Pertanto: 6 ore rappresentano il limite minimo, oltre il quale la durata del riposo è disciplinata dal CCNL; invece 13 ore rappresentano il limite massimo, oltre il quale la durata del riposo è disciplinata, in via esclusiva, dalla norma comunitaria. Ma, al di là della differenza tra le due fattispecie sopra descritte, l’art. 3 prevede che il diritto al riposo consecutivo di 11 ore spetti ad “ogni” lavoratore, e quindi anche ai lavoratori del settore sanitario, tanto più che sono proprio questi ultimi, spesso e volentieri, a dover eseguire, causa carenze di personale in organico, la prestazione lavorativa per più volte nell’arco della giornata e quindi, verosimilmente, per un numero di ore che, se non supera la soglia delle 13, si “avvicina” molto a tale limite.

Inoltre, ai sensi dell’art. 6 comma 1 lett. A) della stessa Direttiva, “gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori: la durata settimanale del lavoro sia limitata mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative oppure contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali”.

Se, in base alla norma comunitaria, il CCNL è chiamato, in riferimento alla settimana lavorativa, a limitare “la durata del lavoro”, lo stesso CCNL non potrà considerarsi legittimato a limitare anche “la durata del riposo quotidiano”, come invece ha previsto la Legge 244/2007, la quale, in relazione ai lavoratori del settore sanitario, ha appunto stabilito che la durata del riposo venga disciplinata, eventualmente anche in senso limitativo, dallo stesso CCNL (anziché dalla norma comunitaria). Le due legittimazioni, essendo sostanzialmente opposte, non sono compatibili l’una con l’altra.

 

Inoltre, l’art. 17 della Direttiva prevede che la norma contenuta nell’art. 3 (“periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive ogni 24 ore”) può essere derogata con disposizione di legge. Cosa si potrebbe ricavare da ciò? Che l’art. 3 comma 85 della Legge n. 244/2007, il quale prevede che il diritto al suddetto riposo non si applichi al personale del settore sanitario, potrebbe, in teoria, anche essere considerato legittimo.

Ma lo stesso art. 17 poi precisa che queste “deroghe” sono legittime solo “a condizione che vengano concessi ai lavoratori interessati equivalenti periodi di riposo compensativo oppure, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per ragioni oggettive, a condizione che venga loro concessa una protezione appropriata”. E la stessa norma, nell’elencare le attività lavorative per le quali le suddette deroghe possono essere concesse, cita anche (comma 3 lett. C), “le attività caratterizzate dalla necessità di assicurare la continuità del servizio o della produzione, in particolare, quando si tratta … di servizi relativi all'accettazione, al trattamento e/o alle cure prestati da ospedali o stabilimenti analoghi”. Allora, il quadro è il seguente: la norma comunitaria prevede che il diritto al riposo di 11 ore consecutive ogni 24 ore possa essere derogato da una norma nazionale, la quale, nel caso di specie, è appunto quella contenuta nell’art. 3 comma 85 della Legge n. 244/2007, in base a cui il diritto sopra citato non si applica al personale sanitario; però, la stessa norma comunitaria, nel disciplinare i limiti di tali eventuali deroghe, stabilisce che queste possano essere concesse sol a condizione che vengano comunque previsti “equivalenti periodi di riposo compensativo” (quindi il riposo giornaliero può anche essere inferiore ad 11 ore consecutive ogni 24 ore ma vanno comunque garantiti, nei giorni successivi, riposi compensativi della medesima durata) ed inoltre, tali “equivalenti periodi” vengono previsti proprio per il personale sanitario.

Di conseguenza, resta comunque il fatto che la norma nazionale (art. 3 comma 85 della Legge n. 244/2007), nel prevedere che il riposo di 11 ore consecutive ogni 24 ore possa anche non essere concesso, da parte del CCNL, al personale del ruolo sanitario, senza tuttavia stabilire – come invece la Direttiva 2003/88 imporrebbe di fare – il diritto ad “equivalente periodo di riposo compensativo”, viola il diritto comunitario.