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Corte di Giustizia UE: è legittimo il divieto austriaco al titolo nobiliare nel cognome

Cittadinanza europea – Libertà di circolare e di soggiornare negli Stati membri – Legge di rango costituzionale di uno Stato membro che dispone l’abolizione della nobiltà in quest’ultimo – Cognome di una persona maggiorenne, cittadina di tale Stato, ottenuto tramite adozione in un altro Stato membro, nel quale essa risiede – Titolo di nobiltà e particella nobiliare facenti parte del cognome – Iscrizione nel registro dello stato civile da parte delle autorità del primo Stato membro – Rettifica d’ufficio di tale iscrizione – Soppressione del titolo e della particella nobiliari
SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

Nel procedimento C‑208/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Verwaltungsgerichtshof (Austria) con decisione 18 maggio 2009, pervenuta in cancelleria il 10 giugno 2009, nella causa

Ilonka Sayn‑Wittgenstein

contro

Landeshauptmann von Wien,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, presidente di sezione, dai sigg. A. Rosas (relatore), U. Lõhmus, A. Ó Caoimh e dalla sig.ra P. Lindh, giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig. K. Malacek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 giugno 2010,

considerate le osservazioni presentate:

– per la sig.ra Sayn‑Wittgenstein, dall’avv. J. Rieck, Rechtsanwalt;

– per il governo austriaco, dalle sig.re C. Pesendorfer ed E. Handl‑Petz, in qualità di agenti;

– per il governo ceco, dal sig. D. Hadroušek, in qualità di agente;

– per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e J. Möller nonché dalla sig.ra J. Kemper, in qualità di agenti;

– per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dalla sig.ra M. Russo, avvocato dello Stato;

– per il governo lituano, dalle sig.re R. Mackevičienė e V. Kazlauskaitė‑Švenčionienė, in qualità di agenti;

– per il governo slovacco, dalla sig.ra B. Ricziová, in qualità di agente;

– per la Commissione europea, dalle sig.re D. Maidani e S. Grünheid, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 14 ottobre 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 21 TFUE.

2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia insorta tra la sig.ra Sayn‑Wittgenstein, cittadina austriaca residente in Germania, ed il Landeshauptmann von Wien (governatore del Land di Vienna), vertente sulla decisione di quest’ultimo volta a rettificare l’iscrizione nel registro dello stato civile del cognome Fürstin von Sayn‑Wittgenstein, acquisito dalla suddetta interessata in Germania per effetto di adozione da parte di un cittadino tedesco, al fine di sostituirlo con il cognome Sayn‑Wittgenstein.

Contesto normativo

Il diritto austriaco

La legge sull’abolizione della nobiltà e le disposizioni attuative

3 La legge relativa all’abolizione della nobiltà, degli ordini secolari di cavalieri e dame e di determinati titoli e dignità (Gesetz über die Aufhebung des Adels, der weltlichen Ritter- und Damenorden und gewisser Titel und Würden) del 3 aprile 1919 (StGBl. 211/1919), nella versione applicabile ai fatti della causa principale (StGBl. 1/1920; in prosieguo: la «legge sull’abolizione della nobiltà»), ha valore di legge costituzionale in forza dell’art. 149, n. 1, della Costituzione federale (Bundes‑Verfassungsgesetz).

4 L’art. 1 della legge sull’abolizione della nobiltà così dispone:

«La nobiltà, i suoi privilegi onorifici esteriori, come pure i titoli e le dignità conferiti a semplici fini distintivi e non correlati ad una funzione ufficiale, alla professione o a competenze scientifiche o artistiche, nonché i privilegi onorifici connessi a tali titoli e dignità, dei quali si fregino cittadini austriaci, sono aboliti».

5 L’art. 4 di tale legge stabilisce quanto segue:

«La decisione riguardante i titoli e le dignità da considerarsi aboliti a norma dell’art. 1 è di competenza del Segretario di Stato per gli Affari interni e l’Istruzione».

6 Le disposizioni attuative adottate dal Segretariato di Stato per gli Affari interni e l’Istruzione nonché dal Segretariato di Stato per la Giustizia, in accordo con gli altri Segretariati di Stato interessati, in merito all’abolizione della nobiltà e di alcuni titoli e dignità (Vollzugsanweisung des Staatsamtes für Inneres und Unterricht und des Staatsamtes für Justiz, im Einvernehmen mit den beteiligten Staatsämtern, über die Aufhebung des Adels und gewisser Titel und Würden), recanti la data del 18 aprile 1919 (StGBl. n. 237/1919), prevedono, all’art. 1, quanto segue:

«L’abolizione della nobiltà, dei suoi privilegi onorifici esteriori, come pure dei titoli e delle dignità conferiti a semplici fini distintivi e non correlati ad una funzione ufficiale, alla professione o a competenze scientifiche o artistiche, nonché quella dei privilegi onorifici connessi a tali titoli e dignità, riguarda tutti i cittadini austriaci, indipendentemente dal fatto che i privilegi suddetti siano stati acquisiti nello Stato o all’estero».

7 L’art. 2 di tali disposizioni attuative così recita:

«In forza dell’art. 1 della legge [sull’abolizione della nobiltà], sono aboliti:

1. il diritto all’uso del segno nobiliare “von” [“di/da”];

(...)

4. il diritto all’uso dei titoli nobiliari, come, ad esempio, cavaliere [“Ritter”], barone [“Freiherr”], conte [“Graf”] e principe [“Fürst”], e anche del titolo onorifico di duca [“Herzog”], nonché di altri corrispondenti titoli nazionali e stranieri; (...)

(...)».

8 L’art. 5 delle citate disposizioni attuative prevede varie sanzioni in caso di mancato rispetto di tale divieto.

Le norme di diritto internazionale privato

9 L’art. 9, n. 1, prima frase, della legge federale sul diritto internazionale privato (Bundesgesetz über das internationale Privatrecht) del 15 giugno 1978 (BGBl. 304/1978), nella versione applicabile ai fatti della causa principale (BGBl. I, 58/2004), stabilisce che lo stato e la capacità di una persona fisica sono disciplinati dalla legge dello Stato di cui tale persona ha la cittadinanza.

10 Ai sensi dell’art. 13, n. 1, della legge suddetta, l’uso del nome da parte di una persona soggiace alle norme che disciplinano lo stato e la capacità di quest’ultima, quale che sia il modo in cui tale nome è stato acquisito.

11 L’art. 26 della medesima legge stabilisce che i presupposti per l’adozione sono regolati dalla legge nazionale di ciascun adottante e da quella dell’adottato, mentre gli effetti dell’adozione sono regolati, in caso di adozione da parte di una sola persona, dalla legge nazionale dell’adottante. Secondo le osservazioni presentate dalla Repubblica austriaca e gli autori da questa citati, gli effetti disciplinati da tale norma sono unicamente quelli attinenti al rapporto familiare instaurato con l’adozione e non includono la determinazione del nome dell’adottato, il quale resta disciplinato dall’art. 13, n. 1, della citata legge federale sul diritto internazionale privato.

Le norme di diritto civile

12 L’art. 183, n. 1, del codice civile austriaco (Allgemeines bürgerliches Gesetzbuch), nel testo applicabile ai fatti della causa principale (BGBl. 25/1995), così dispone:

«Qualora il figlio adottivo venga adottato da una sola persona e venga meno il vincolo familiare con l’altro genitore ai sensi dell’art. 182, n. 2, seconda frase, il figlio adottivo acquisisce il cognome dell’adottante (...)».

La legge sullo stato delle persone

13 L’art. 15, n. 1, della legge sullo stato civile (Personenstandgesetz, BGBl. 60/1983) prevede che un atto iscritto nei registri venga rettificato qualora fosse inesatto al momento dell’iscrizione.

Il diritto tedesco

Le norme sull’abolizione della nobiltà

14 L’art. 109 della Costituzione dell’Impero Tedesco (Verfassung des Deutschen Reichs), adottata l’11 agosto 1919 a Weimar, ha in particolare abolito tutti i privilegi connessi alla nascita o allo status sociale, dichiarando che i titoli nobiliari dovevano ormai considerarsi soltanto come una componente del cognome e che non potevano più conferirsene di nuovi.

15 A norma dell’art. 123, n. 1, della Legge fondamentale (Grundgesetz), tale disposizione è tuttora in vigore, con valore di legge federale ordinaria (sentenze del Bundesverwaltungsgericht in data 11 marzo 1966 e 11 dicembre 1996).

Le norme di diritto internazionale privato

16 L’art. 10, n. 1, della legge recante disposizioni preliminari al codice civile (Einführungsgesetz zum Bürgerlichen Gesetzbuch; in prosieguo: l’«EGBGB») dispone quanto segue:

«Il nome di una persona è disciplinato dalla legge dello Stato di cui essa ha la cittadinanza».

17 L’art. 22, nn. 1 e 2, dell’EGBGB stabilisce che l’adozione e gli effetti della medesima sui rapporti di parentela intercorrenti tra l’adottato e l’adottante nonché le persone unite da un vincolo familiare con l’adottato sono disciplinati dalla legge dello Stato del quale l’adottante ha la cittadinanza.

18 Risulta però dalla decisione di rinvio, nonché dalla conferma in tal senso fornita dal governo tedesco, che gli effetti dell’adozione per quanto riguarda la determinazione del nome sono disciplinati dalla legge dello Stato del quale il figlio adottivo ha la cittadinanza, a norma dell’art. 10, n. 1, dell’EGBGB. Il diritto internazionale privato tedesco stabilisce che la cittadinanza della persona costituisce il criterio di collegamento per individuare la legge applicabile ai fini della determinazione del cognome.

Causa principale e questione pregiudiziale

19 La ricorrente nella causa principale è nata a Vienna (Austria) nel 1944 ed è cittadina austriaca.

20 Con ordinanza emessa il 14 ottobre 1991, a norma degli artt. 1752 e 1767 del codice civile tedesco (Bürgerliches Gesetzbuch), il Kreisgericht Worbis (Germania) ha dichiarato l’adozione, da parte di un cittadino tedesco, il sig. Lothar Fürst von Sayn‑Wittgenstein, della detta ricorrente. È pacifico che l’adozione non ha avuto alcun effetto sulla cittadinanza di quest’ultima.

21 La ricorrente nella causa principale viveva in Germania al momento della sua adozione e là risiede ancor oggi. Il giudice del rinvio non precisa a quale titolo la ricorrente nella causa principale soggiorni in Germania. Tuttavia, all’udienza, il rappresentante della ricorrente ha dichiarato che quest’ultima esercita un’attività professionale principalmente in Germania, ma anche al di fuori di tale Stato membro, nel settore degli immobili di lusso. In particolare, essa interviene, con il nome di Ilonka Fürstin von Sayn‑Wittgenstein, in occasione di compravendite di castelli e manieri.

22 Con ordinanza integrativa in data 24 gennaio 1992, il Kreisgericht Worbis ha precisato che, in seguito all’adozione, la ricorrente nella causa principale aveva acquisito quale nome di nascita il cognome del padre adottivo, precisamente nella forma «Fürstin von Sayn‑Wittgenstein», che sarebbe il nome portato dall’interessata.

23 Le autorità austriache hanno proceduto alla registrazione di tale cognome nel registro dello stato civile austriaco.

24 Nell’ambito delle risposte fornite ai quesiti sottoposti dalla Corte in vista dell’udienza e in occasione di quest’ultima, è emerso che la ricorrente nella causa principale ha ottenuto una patente di guida tedesca a nome di Ilonka Fürstin von Sayn‑Wittgenstein ed ha creato una società in Germania con tale nome. Inoltre, il suo passaporto austriaco è stato rinnovato almeno una volta, nel corso dell’anno 2001, e due certificati di cittadinanza sono stati rilasciati dalle autorità consolari austriache in Germania; tutti questi documenti sono stati emessi a nome di Ilonka Fürstin von Sayn‑Wittgenstein.

25 Il 27 novembre 2003, il Verfassungsgerichtshof (Corte costituzionale) (Austria) ha emesso una sentenza in una causa riguardante una situazione simile a quella della ricorrente nella causa principale. Riepilogando lo stato attuale del diritto austriaco, il detto giudice ha statuito che la legge sull’abolizione della nobiltà – la quale ha valore di norma costituzionale ed attua in tale settore il principio di uguaglianza – ostava a che un cittadino austriaco acquisisse un cognome comprendente un titolo nobiliare del passato, mediante adozione da parte di un cittadino tedesco legittimamente portante tale titolo in quanto elemento costitutivo del suo nome. Infatti, conformemente alla legge sull’abolizione della nobiltà, i cittadini austriaci non sono autorizzati a portare titoli nobiliari, ivi compresi quelli di origine straniera. Tale sentenza ha inoltre confermato la giurisprudenza precedente secondo cui, contrariamente al diritto tedesco, il diritto austriaco non ammetteva che i cognomi fossero formati secondo regole differenti per gli uomini e per le donne.

26 A seguito di tale sentenza, il Landeshauptmann von Wien ha ritenuto che l’atto di nascita della ricorrente nella causa principale iscritto successivamente all’adozione fosse inesatto. Con lettera in data 5 aprile 2007, operante un rinvio alla sentenza di cui sopra, l’autorità suddetta ha informato l’interessata della propria intenzione di rettificare il suo cognome, quale risultante dai registri dello stato civile, in «Sayn‑Wittgenstein».

27 Malgrado le obiezioni sollevate dalla ricorrente nella causa principale, la quale faceva valere in particolare il diritto, fondato sulle norme dell’Unione, di viaggiare negli Stati membri senza dover cambiare il proprio nome, il Landeshauptmann von Wien ha deciso, con decreto in data 24 agosto 2007, che il cognome della ricorrente nella causa principale doveva a questo punto essere iscritto nei registri dello stato civile, mediante atto di rettifica, come «Sayn‑Wittgenstein».

28 Poiché con decisione 31 marzo 2008 il ricorso amministrativo da essa proposto contro il suddetto decreto è stato respinto, la ricorrente nella causa principale ne ha chiesto l’annullamento dinanzi al Verwaltungsgerichtshof.

29 Davanti a tale giudice, la ricorrente nella causa principale fa valere, in particolare, i propri diritti alla libera circolazione e alla libera prestazione dei servizi, garantiti dai Trattati.

30 Secondo la ricorrente nella causa principale, il mancato riconoscimento degli effetti giuridici dell’adozione riguardo al nome dell’adottato costituisce un ostacolo alla libera circolazione delle persone, in quanto essa sarebbe costretta a portare cognomi differenti nei diversi Stati membri. Per quanto riguarda l’eventuale applicazione del limite dell’ordine pubblico da parte degli Stati membri, essa ritiene che questi abbiano un obbligo reciproco di farvi ricorso soltanto nei casi di maggiore necessità e urgenza e siano tenuti, nei restanti casi, ad accordare la fiducia più estesa possibile alle decisioni degli altri Stati membri e a riconoscere queste ultime. L’applicazione dell’ordine pubblico presupporrebbe anche un forte collegamento con lo Stato che intenda farvi ricorso, che la semplice cittadinanza non sarebbe sufficiente a costituire.

31 La ricorrente nella causa principale sostiene inoltre che una modifica del cognome Fürstin von Sayn‑Wittgenstein, da essa portato in via continuativa per quindici anni, costituirebbe una violazione del diritto al rispetto della vita familiare garantito dall’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Essa riconosce invero che la lesione di tale diritto è consentita in forza di norme di legge – nel caso di specie, dalla legge austriaca sullo stato civile –, ma a suo avviso nel presente caso tale lesione interverrebbe in danno di un diritto acquisito legittimamente e in buona fede, il quale non potrebbe essere pregiudicato in assenza di una particolare necessità.

32 Dinanzi al Verwaltungsgerichtshof, il Landeshauptmann von Wien ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. Esso sostiene, in particolare, che nel caso di specie non sussiste alcuna circostanza che porti ad una violazione del diritto di libera circolazione previsto dall’art. 21 TFUE e all’insorgere di seri inconvenienti per la ricorrente nella causa principale, quali quelli descritti nella sentenza 14 ottobre 2008, causa C‑353/06, Grunkin e Paul (Racc. pag. I‑7639). Infatti, all’interessata non verrebbe chiesto di utilizzare nomi differenti, bensì si tratterebbe soltanto di sottrarre l’elemento nobiliare «Fürstin von» dal cognome Sayn‑Wittgenstein, che non verrebbe alterato. Anche se la rettifica del registro dello stato civile dovesse comportare per la ricorrente nella causa principale inconvenienti di ordine professionale o personale, non bisognerebbe attribuire a questi ultimi un’importanza tale da giustificare una disapplicazione della legge sull’abolizione della nobiltà, la quale ha valore di legge costituzionale, ha accompagnato la creazione della Repubblica austriaca ed ha dato attuazione al principio di uguaglianza in tale ambito. In caso contrario, ne deriverebbe una grave violazione dei valori fondamentali sui quali poggia l’ordinamento giuridico austriaco.

33 Infine, il Landeshauptmann von Wien fa valere che, secondo le norme di diritto internazionale privato tedesche, il nome di una persona è disciplinato dalla legge dello Stato di cui essa ha la cittadinanza. Attraverso una corretta applicazione della legge, il Kreisgericht Worbis sarebbe dovuto giungere alla conclusione che il nome della ricorrente nella causa principale doveva essere determinato in conformità delle norme austriache. Poiché la forma di cognome «Fürstin von Sayn‑Wittgenstein» non è consentita nell’ordinamento austriaco, anche l’ordinamento tedesco considererebbe errata l’attribuzione di tale cognome alla ricorrente nella causa principale.

34 Il Verwaltungsgerichtshof ritiene che la ricorrente nella causa principale, cittadina austriaca residente in Germania, possa, in linea di principio, invocare l’art. 21 TFUE. Il detto giudice – rilevando che nella citata sentenza Grunkin e Paul la Corte non era stata chiamata a pronunciarsi su questioni riguardanti l’ordine pubblico allorché aveva precisato che un ostacolo alla libertà di circolazione può essere giustificato soltanto qualora sia fondato su considerazioni oggettive e sia proporzionato all’obiettivo legittimamente perseguito – si chiede se, nel caso di specie, una restrizione alla libertà di circolazione eventualmente risultante dalla modifica del cognome della ricorrente nella causa principale potrebbe nondimeno essere giustificata alla luce del divieto, sancito da una norma avente valore di legge costituzionale, di portare titoli nobiliari, nella misura in cui tale norma vieta ai cittadini austriaci l’uso di tali titoli, quand’anche questi trovino fondamento nel diritto tedesco.

35 Alla luce di tali circostanze, il Verwaltungsgerichtshof ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’art. [21 TFUE] osti ad una normativa in base alla quale le autorità competenti di uno Stato membro possono rifiutare di riconoscere un cognome – in quanto contenente un titolo nobiliare non ammesso in tale Stato (anche sotto il profilo giuridico costituzionale) – che sia stato attribuito in un altro Stato membro ad un figlio adottivo (adulto)».

Sulla questione pregiudiziale

36 Con il suo quesito, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 21 TFUE debba essere interpretato nel senso che esso osta a che le autorità di uno Stato membro possano, in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, rifiutare di riconoscere, in tutti i suoi elementi, il cognome di un cittadino di tale Stato, quale determinato in un altro Stato membro – dove il predetto risiede – al momento della sua adozione in età adulta da parte di un cittadino di questo secondo Stato, per il fatto che tale cognome contiene un titolo nobiliare non consentito nel primo Stato in base al suo diritto costituzionale.

Osservazioni preliminari in merito alle disposizioni del diritto dell’Unione applicabili

37 In limine, occorre constatare che la situazione della ricorrente nella causa principale rientra nell’ambito di applicazione ratione materiae del diritto dell’Unione.

38 Sebbene, allo stato attuale del diritto dell’Unione, le norme che disciplinano il cognome di una persona e l’uso di titoli nobiliari rientrino nella competenza degli Stati membri, questi ultimi, nell’esercizio di tale competenza, devono comunque rispettare il diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza Grunkin e Paul, cit., punto 16).

39 È pacifico che la ricorrente nella causa principale è cittadina di uno Stato membro ed ha esercitato, nella sua qualità di cittadina dell’Unione, la propria libertà di circolazione e soggiorno in un altro Stato membro. Essa è dunque legittimata a invocare le libertà riconosciute dall’art. 21 TFUE ad ogni cittadino dell’Unione.

40 Inoltre, all’udienza è stato fatto presente che la ricorrente nella causa principale esercita in Germania un’attività professionale di fornitura di servizi a destinatari situati in uno o più altri Stati membri. Essa sarebbe pertanto legittimata, in linea di principio, a far valere anche le libertà riconosciute dall’art. 56 TFUE.

41 È pacifico che, nel caso di specie, il giudice del rinvio sottopone alla Corte un quesito in merito all’interpretazione dell’art. 21 TFUE in correlazione con la citata sentenza Grunkin e Paul e con il mancato riconoscimento in uno Stato membro di un cognome ottenuto in un altro Stato membro, indipendentemente dall’esercizio o meno di un’attività economica da parte della persona interessata. Merita di essere rilevato, a questo proposito, che il giudice del rinvio non ritiene utile indicare a quale titolo la ricorrente nella causa principale soggiorni in Germania. Con il suo quesito, esso chiede in sostanza se ragioni di ordine costituzionale possano autorizzare uno Stato membro a non riconoscere in tutti i suoi elementi il nome ottenuto da uno dei suoi cittadini in un altro Stato membro, e non già se il fatto di non riconoscere un nome acquisito legittimamente in un altro Stato membro costituisca un ostacolo alla libera prestazione dei servizi garantita dall’art. 56 TFUE.

42 Occorre pertanto esaminare alla luce dell’art. 21 TFUE il rifiuto, opposto dalle autorità di uno Stato membro, di riconoscere, in tutti i suoi elementi, il cognome di un cittadino di tale Stato ottenuto mediante adozione in un altro Stato membro, nel quale tale cittadino risiede.

Sull’esistenza di una restrizione alla libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione

Osservazioni presentate alla Corte

43 La ricorrente nella causa principale fa valere che il mancato riconoscimento, in applicazione delle norme austriache che vietano i titoli nobiliari, degli elementi nobiliari del nome da lei legittimamente acquisito in Germania in forza di una pronuncia giurisdizionale non impugnabile con un ricorso e dunque giuridicamente vincolante nell’ordinamento giuridico tedesco, ha come effetto che, nei documenti di identità che le saranno rilasciati in Austria, il suo nome verrà scritto in modo diverso rispetto al nome che essa deve portare in Germania. Orbene, dalla citata sentenza Grunkin e Paul risulterebbe che il mancato riconoscimento da parte di uno Stato membro di un nome acquisito in un altro Stato membro e la conseguente necessità di portare nomi differenti in tali due Stati membri pregiudicano il diritto di ogni cittadino dell’Unione di circolare liberamente a norma dell’art. 21, n. 1, TFUE.

44 Per contro, i governi che hanno presentato osservazioni alla Corte ritengono che non sussista alcun ostacolo alla libertà di circolazione della ricorrente nella causa principale.

45 Secondo i governi austriaco e tedesco, da un lato, la situazione all’origine della causa principale si differenzia da quella – qualificata come ostacolo nella citata sentenza Grunkin e Paul – nella quale una persona, che abbia esercitato il proprio diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio di un altro Stato membro, sia obbligata a portare, nello Stato membro del quale possiede la cittadinanza, un nome differente da quello già attribuito e registrato nello Stato membro di nascita e di residenza. Ad avviso dei suddetti governi, la ricorrente nella causa principale, essendo una cittadina austriaca, nata in Austria, potrebbe fornire la prova della propria identità soltanto sulla base degli atti e dei documenti rilasciati dalle autorità austriache. Nessuna iscrizione riguardante la suddetta ricorrente figurerebbe nel registro dello stato civile tedesco, sicché non potrebbe sussistere alcuna divergenza quanto alle forme nelle quali il cognome dell’interessata è iscritto in tali registri in Germania e in Austria.

46 Dall’altro lato, il fatto che, in uno Stato membro, un titolo nobiliare non possa costituire parte integrante del cognome in forza delle norme nazionali applicabili alla formazione del nome in tale Stato non comporterebbe alcun inconveniente per un cittadino di uno Stato membro sotto il profilo della garanzia della libera circolazione. Nel caso di specie, non sarebbe ipotizzabile alcuno degli inconvenienti rilevati nell’ambito della causa decisa dalla citata sentenza Grunkin e Paul. In particolare, la rettifica del nome iscritto nel registro dello stato civile austriaco non comporterebbe alcun rischio concreto di dubbi in merito all’identità della ricorrente nella causa principale.

47 Secondo il governo austriaco, anche nel caso in cui, in applicazione del diritto austriaco, venissero soppressi il titolo nobiliare «Fürst» e la particella nobiliare «von», gli elementi identificativi fondamentali del cognome rimarrebbero preservati. Infatti, ad avviso del detto governo, anche se la ricorrente nella causa principale utilizzasse in Germania nella vita quotidiana il nome Fürstin von Sayn‑Wittgenstein e presentasse un documento di identità intestato alla sig.ra Sayn‑Wittgenstein, le autorità tedesche sarebbero sempre in grado di identificarla con certezza e di riconoscerla, tanto più che la Germania e l’Austria non sarebbero separate da alcuna barriera linguistica.

48 Il governo ceco ritiene che il mancato riconoscimento in uno Stato membro di una parte del nome che è autorizzato in un altro Stato membro, in base ad una normativa quale quella in questione nella causa principale, non costituisca una violazione dell’art. 21 TFUE. Infatti, la funzione dei titoli differirebbe sostanzialmente da quella dei cognomi. Mentre la funzione del nome sarebbe quella di identificare il soggetto che lo porta, il titolo servirebbe a conferire ad una persona un determinato status sociale. Orbene, ogni Stato membro avrebbe competenza esclusiva a decidere se accordare un certo status sociale a questa o quella persona.

49 Il governo italiano ritiene che nella causa principale non sia ravvisabile alcuno degli inconvenienti indicati nella citata sentenza Grunkin e Paul quale potenziale conseguenza sfavorevole della diversità dei cognomi attribuiti da Stati membri differenti alla medesima persona. In discussione sarebbe non una diversità di cognomi, bensì solo la presenza o meno, a completamento del cognome stesso, di un titolo nobiliare. Tale titolo indicherebbe un determinato status sociale e sarebbe ben distinto dal cognome, che è l’unico ad individuare realmente la persona. Il rischio di dubbi quanto all’identità della persona od alla veridicità dei documenti che la riguardano, recanti o meno l’indicazione del titolo nobiliare in questione, non avrebbe alcuna ragion d’essere.

50 Il governo slovacco rileva che, in base alle norme di diritto internazionale privato austriache e tedesche, il nome di una persona è disciplinato dalla legge dello Stato di cui tale persona ha la cittadinanza. Risulterebbe dalle convenzioni internazionali delle quali la Repubblica federale di Germania è parte contraente che il prenome e il cognome di una persona sono disciplinati in linea di principio dalla legge dello Stato del quale questa possiede la cittadinanza, e che uno Stato contraente non può autorizzare il cambiamento di cognome dei cittadini di un altro Stato contraente, a meno che costoro non siano anche suoi cittadini.

51 La Commissione europea ritiene che l’art. 21 TFUE osti, in linea di principio, al mancato riconoscimento di elementi costitutivi del nome legittimamente acquisito in uno Stato membro diverso da quello del quale l’interessato ha la cittadinanza. Il fatto, per un cittadino dell’Unione che abbia esercitato il proprio diritto di libera circolazione, di non essere autorizzato a portare, nel suo Stato membro di origine, il cognome legittimamente acquisito mediante adozione in un altro Stato membro sarebbe, in linea di principio, incompatibile con lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri rappresentato dalla cittadinanza dell’Unione. Tuttavia, non sarebbe escluso che motivi particolari possano giustificare la restrizione della libera circolazione delle persone in un caso quale quello costituente l’oggetto della causa principale.

Risposta della Corte

52 Occorre preliminarmente ricordare che il nome di una persona è un elemento costitutivo della sua identità e della sua vita privata, la tutela della quale è garantita dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché dall’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Anche se l’art. 8 di tale convenzione non lo menziona esplicitamente, il nome di una persona riguarda in ugual modo la vita privata e familiare di quest’ultima in quanto mezzo di identificazione personale e di collegamento ad una famiglia (v., in particolare, Corte eur. D.U., sentenze Burghartz c. Svizzera del 22 febbraio 1994, serie A n. 280‑B, pag. 28, § 24, e Stjerna c. Finlandia del 25 novembre 1994, serie A n. 299‑B, pag. 60, § 37).

53 Una normativa nazionale che sfavorisca taluni cittadini nazionali per il solo fatto che essi hanno esercitato la loro libertà di circolare e di soggiornare in un altro Stato membro rappresenta una restrizione delle libertà riconosciute dall’art. 21, n. 1, TFUE ad ogni cittadino dell’Unione (v., in particolare, sentenze Grunkin e Paul, cit., punto 21; 4 dicembre 2008, causa C‑221/07, Zablocka‑Weyhermüller, Racc. pag. I‑9029, punto 35, nonché 23 aprile 2009, causa C‑544/07, Rüffler, Racc. pag. I‑3389, punto 73).

54 Risulta dalla giurisprudenza della Corte che il fatto che una persona, la quale abbia esercitato il proprio diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio di un altro Stato membro, sia obbligata a portare, nello Stato membro del quale essa ha la cittadinanza, un nome differente da quello già attribuito e registrato nello Stato membro di nascita e di residenza è idoneo ad ostacolare l’esercizio del diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, sancito dall’art. 21 TFUE (sentenza Grunkin e Paul, cit., punti 21 e 22).

55 Nella sentenza 2 ottobre 2003, causa C‑148/02, Garcia Avello (Racc. pag. I‑11613), è stata giudicata incompatibile con gli artt. 12 CE e 17 CE una legislazione di uno Stato membro avente come effetto di costringere una persona a portare cognomi differenti in Stati membri diversi. In tale contesto, la Corte ha constatato, riguardo a figli minorenni in possesso della cittadinanza di due Stati membri, che una diversità di cognomi è idonea a generare per gli interessati seri inconvenienti di ordine tanto professionale quanto privato, derivanti, in particolare, dalle difficoltà di fruire, nello Stato membro di cui essi sono cittadini, degli effetti giuridici di diplomi o di documenti rilasciati con il nome riconosciuto in un altro Stato membro, del quale pure possiedono la cittadinanza. L’interessato può altresì incontrare difficoltà legate, in particolare, al rilascio di attestazioni, certificati e diplomi sui quali sia chiaramente rilevabile una divergenza riguardo al suo cognome. Tale realtà può far sorgere dubbi quanto all’identità della persona, all’autenticità dei documenti presentati o alla veridicità delle informazioni che essi contengono (v., in tal senso, sentenza Garcia Avello, cit., punto 36).

56 La Corte ha statuito, al punto 24 della citata sentenza Grunkin e Paul, che simili seri inconvenienti potevano presentarsi in egual misura nel caso in cui il figlio interessato possedesse la cittadinanza di un solo Stato membro, ma tale Stato di origine rifiutasse di riconoscere il cognome acquisito dal figlio suddetto nello Stato di nascita e di residenza.

57 I governi austriaco e tedesco sostengono che la causa principale si distingue da quella all’origine della citata sentenza Grunkin e Paul, dal momento che quest’ultima fattispecie riguardava un rifiuto di riconoscere, in uno Stato membro, un nome avente una forma regolarmente iscritta nei propri registri dai servizi dello stato civile di un altro Stato membro in virtù delle competenze di cui questi erano investiti. I detti governi evidenziano che la problematica all’origine di quella causa derivava dal fatto che, nello Stato di nascita e di residenza, la determinazione del nome veniva operata in base alla legge del luogo di residenza, mentre nello Stato del quale l’interessato era cittadino la legge applicabile al riguardo era quella dello Stato di cittadinanza di costui. Per contro, secondo i governi austriaco e tedesco, il diritto sostanziale applicabile nella causa principale, designato dalle norme di conflitto sia tedesche che austriache, è soltanto il diritto austriaco.

58 Pertanto, secondo i detti governi, il Kreisgericht Worbis non aveva alcuna competenza, né in virtù del diritto tedesco né in forza di quello austriaco, a determinare il cognome della ricorrente nella causa principale come esso ha fatto, dato che il cognome da esso indicato era irregolare nell’ordinamento austriaco sotto due profili, vale a dire sia per l’inclusione di un titolo nobiliare del passato e della particella «von», sia per l’utilizzazione di una forma femminile di tale titolo. A differenza della causa definita dalla citata sentenza Grunkin e Paul, le diverse autorità nazionali non avrebbero proceduto ad iscrizioni di cognomi divergenti nei registri dello stato civile. Di conseguenza, l’iscrizione rettificata in Austria riguarderebbe non un cognome validamente conferito in un altro Stato membro, bensì un nome attribuito per errore, prima dal Kreisgericht Worbis e poi dai servizi dello stato civile austriaci.

59 Peraltro, vari governi che hanno presentato osservazioni alla Corte sostengono che la ricorrente nella causa principale non incontrerà alcun inconveniente in caso di rettifica del suo cognome nel registro dello stato civile austriaco. Da un lato, essa non sarebbe obbligata ad utilizzare cognomi differenti nei diversi Stati membri, dato che l’iscrizione nel registro suddetto, come rettificata, farebbe ormai fede a tutti gli effetti. Dall’altro lato, l’elemento centrale, identificativo, del suo cognome, Sayn‑Wittgenstein, rimarrebbe conservato e sarebbe di conseguenza esclusa qualsiasi possibilità di confusione riguardo alla sua identità, essendo stato tolto soltanto il complemento non determinativo «Fürstin von».

60 A questo proposito occorre anzitutto constatare che, secondo le indicazioni contenute nel fascicolo, il nome della ricorrente nella causa principale figura in un solo registro dello stato civile, ossia nel registro austriaco, e che soltanto le autorità austriache possono rilasciarle documenti ufficiali, come un passaporto o un certificato di cittadinanza, sicché una modifica del nome iscritto non farà sorgere alcun conflitto con i registri dello stato civile tenuti da un altro Stato membro ovvero con eventuali documenti ufficiali rilasciati da quest’ultimo.

61 Occorre poi rilevare che numerose azioni della vita quotidiana, nella sfera sia pubblica che privata, esigono la prova dell’identità, la quale viene normalmente fornita tramite il passaporto. Poiché la ricorrente nella causa principale possiede soltanto la cittadinanza austriaca, il rilascio di tale documento rientra nella competenza esclusiva delle autorità austriache.

62 Tuttavia, all’udienza è stato fatto presente che la ricorrente nella causa principale si è vista rilasciare un passaporto a nome di Fürstin von Sayn‑Wittgenstein dalle autorità consolari austriache in Germania nel corso dei quindici anni che sono trascorsi tra la prima iscrizione del suo cognome come «Fürstin von Sayn‑Wittgenstein» in Austria e la decisione di rettifica di quest’ultimo in «Sayn‑Wittgenstein». Per giunta, secondo le risultanze del fascicolo, la ricorrente nella causa principale ha ottenuto in Germania il rilascio di una patente di guida tedesca e possiede in tale Stato una società, iscritta nel registro di commercio, a nome di Ilonka Fürstin von Sayn‑Wittgenstein.

63 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 44 delle sue conclusioni, è probabile che la ricorrente nella causa principale sia stata registrata dalle autorità tedesche come residente straniero e sia stata iscritta ad organismi tedeschi di previdenza sociale, ai fini dell’assicurazione malattia e pensionistica. Oltre a tali apparizioni del suo nome in documenti ufficiali, si può senz’altro presumere che, nel corso dei quindici anni che sono trascorsi tra la prima iscrizione del suo cognome come «Fürstin von Sayn‑Wittgenstein» in Austria e la decisione di rettifica di quest’ultimo in «Sayn‑Wittgenstein», essa abbia aperto dei conti bancari in Germania ed abbia ivi concluso contratti tuttora in corso, come ad esempio contratti di assicurazione. Essa avrà dunque vissuto per un lungo periodo in uno Stato membro con un nome ben preciso, del quale saranno rimaste numerose tracce formali nella sfera sia pubblica che privata.

64 Per quanto riguarda, infine, l’argomento secondo cui la rettifica del nome della ricorrente nella causa principale non comporterebbe problemi ai fini della prova dell’identità di costei poiché soltanto il titolo nobiliare «Fürstin von» non verrebbe riconosciuto, occorre tenere conto del fatto che, secondo il diritto tedesco, i termini «Fürstin von» sono considerati non come un titolo nobiliare, ma come un elemento costitutivo del nome legittimamente acquisito nello Stato di residenza.

65 Di conseguenza, il nome Fürstin von Sayn‑Wittgenstein costituisce in Germania un cognome unico composto di più elementi. Nello stesso modo in cui, nella causa decisa dalla citata sentenza Grunkin e Paul, il nome Grunkin‑Paul era differente dai nomi Grunkin e Paul, così, nella causa principale, i nomi Fürstin von Sayn‑Wittgenstein e Sayn‑Wittgenstein non sono identici.

66 Orbene, da una diversità tra i due nomi applicati ad una stessa persona possono nascere confusioni ed inconvenienti.

67 Infatti, per la ricorrente nella causa principale, costituisce un «serio inconveniente» ai sensi della citata sentenza Grunkin e Paul il fatto di dover modificare tutte le tracce formali del nome Fürstin von Sayn‑Wittgenstein lasciate nella sfera sia pubblica che privata, dato che i suoi documenti di identità ufficiali la designano attualmente con un altro nome. Anche se, una volta effettuata, la rettifica eliminerà qualsiasi futura divergenza, è probabile che la ricorrente nella causa principale possieda e sarà in futuro indotta a presentare documenti rilasciati o formati prima della rettifica, i quali faranno apparire un cognome differente da quello che compare nei suoi nuovi documenti di identità.

68 Di conseguenza, ogni volta che la ricorrente nella causa principale, munita di un passaporto a nome di Sayn‑Wittgenstein, dovrà fornire la prova della sua identità o del suo cognome in Germania, suo Stato di residenza, essa rischia di dover dissipare sospetti di false dichiarazioni suscitati dalla divergenza tra il nome, rettificato, riportato sui suoi documenti di identità austriaci e il nome che essa utilizza da quindici anni nella vita quotidiana, il quale è stato riconosciuto in Austria fino alla rettifica in questione ed è indicato nei documenti rilasciati in Germania che la riguardano, come ad esempio la sua patente di guida.

69 La Corte ha già avuto occasione di dichiarare che, ogni volta che il cognome utilizzato in una situazione concreta non corrisponde a quello che figura nel documento presentato come prova dell’identità di una persona, o che il cognome figurante in due documenti presentati congiuntamente non è lo stesso, una siffatta divergenza di cognome è idonea a far sorgere dubbi in merito all’identità di tale persona e all’autenticità dei documenti prodotti o alla veridicità dei dati in essi contenuti (sentenza Grunkin e Paul, cit., punto 28).

70 Anche se tale rischio può non essere così grave quanto i seri inconvenienti che si prospettavano per il figlio minorenne in questione nella causa decisa dalla citata sentenza Grunkin e Paul, il rischio concreto, in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, di dovere, a causa della diversità di nomi, dissipare dei dubbi quanto all’identità della propria persona costituisce una circostanza idonea ad ostacolare l’esercizio del diritto conferito dall’art. 21 TFUE.

71 Di conseguenza, il rifiuto, da parte delle autorità di uno Stato membro, di riconoscere, in tutti i suoi elementi, il cognome di un cittadino di tale Stato, così come determinato in un secondo Stato membro, nel quale il cittadino in questione risiede, e come iscritto per quindici anni nel registro dello stato civile del primo Stato, costituisce una restrizione delle libertà riconosciute dall’art. 21 TFUE ad ogni cittadino dell’Unione.

Sull’esistenza di una giustificazione della restrizione alla libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione

Osservazioni presentate alla Corte

72 Secondo la ricorrente nella causa principale, l’applicazione del limite dell’ordine pubblico presuppone sempre l’esistenza di un sufficiente collegamento con lo Stato membro interessato. Orbene, nel suo caso, il sufficiente collegamento con tale Stato sarebbe assente, dato che essa, dalla data della sua adozione, ha la propria residenza in Germania.

73 I governi austriaco, ceco, italiano, lituano e slovacco fanno valere – per il caso in cui la Corte giudicasse che il rifiuto di riconoscere, in applicazione della legge sull’abolizione della nobiltà, taluni elementi del cognome costituisce un ostacolo alla libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione – che tale ostacolo è giustificato da considerazioni oggettive e proporzionate all’obiettivo perseguito.

74 Il governo austriaco, in particolare, fa valere che le disposizioni in questione nella causa principale mirano a salvaguardare l’identità costituzionale della Repubblica austriaca. La legge sull’abolizione della nobiltà, pur non essendo parte integrante del principio repubblicano, uno dei principi fondanti della Costituzione federale, rappresenterebbe una decisione a carattere fondamentale del legislatore costituente a favore di una formale parità di trattamento di tutti i cittadini dinanzi alla legge, volta a far sì che nessun cittadino austriaco possa acquisire prestigio particolare attraverso aggiunte al nome sotto forma di titoli nobiliari, onorificenze e dignità, la cui unica funzione sia quella di distinguere la persona che se ne fregia, e che non abbiano alcun legame con la sua professione o i suoi studi.

75 Secondo il governo austriaco, le eventuali restrizioni alle libertà di circolazione, che risulterebbero per i cittadini austriaci dall’applicazione delle disposizioni in questione nella causa principale, sono dunque giustificate alla luce della storia e dei valori fondamentali della Repubblica austriaca. Inoltre, tali disposizioni non restringerebbero l’esercizio delle libertà di circolazione al di là di quanto è necessario per conseguire l’obiettivo summenzionato.

76 Il governo austriaco sostiene altresì che si recherebbe pregiudizio all’ordine pubblico in Austria qualora dovesse essere riconosciuto il cognome della ricorrente nella causa principale corrispondente al cognome dell’adottante nella sua forma femminile, determinato in Germania dall’ordinanza del Kreisgericht Worbis del 24 gennaio 1992. Tale riconoscimento sarebbe incompatibile con i valori fondamentali dell’ordinamento giuridico austriaco, segnatamente con il principio di uguaglianza, sancito dall’art. 7 della Costituzione federale ed attuato mediante la legge sull’abolizione della nobiltà.

77 Il governo ceco fa valere che, se certo, secondo la giurisprudenza della Corte, le differenze constatate nelle legislazioni degli Stati membri riguardo al nome delle persone possono condurre ad una violazione del Trattato FUE, ciò non si verifica in due situazioni, vale a dire qualora il nome presenti nella sua composizione un titolo nobiliare che la persona interessata non può portare nello Stato membro di cui ha la cittadinanza e qualora il nome contenga una denominazione che sia contraria all’ordine pubblico in un altro Stato membro.

78 I governi italiano e slovacco ritengono che, qualora venisse constatata una restrizione della libera circolazione delle persone, essa corrisponde ad un obiettivo legittimo, consistente nel rispetto di una norma costituzionale esprimente un principio di ordine pubblico di valore essenziale nell’ordinamento repubblicano. Il fatto di non poter registrare un cognome qualora non ne vengano soppressi gli elementi nobiliari si baserebbe su considerazioni oggettive e sarebbe proporzionato all’obiettivo perseguito, in quanto questo sarebbe il solo modo possibile per giungere alla realizzazione di tale obiettivo.

79 Nel medesimo senso, il governo lituano ritiene che, qualora sia necessario tutelare valori costituzionali fondamentali dello Stato, come ad esempio, per quanto riguarda la Repubblica di Lituania, la lingua nazionale, oppure, relativamente alla Repubblica d’Austria, valori fondanti dell’ordinamento giuridico o della struttura dello Stato, lo Stato membro interessato deve poter prendere esso stesso la decisione più appropriata riguardo al cognome di una persona e, in alcuni casi, rettificare il nome attribuito da un altro Stato.

80 La Commissione osserva che il nome Fürstin von Sayn‑Wittgenstein è stato legittimamente acquisito in Germania, sebbene per errore. Per giunta, tale nome è già stato riconosciuto dalle autorità austriache, sebbene anche ciò in conseguenza di un errore. Ciò premesso, occorrerebbe prendere in considerazione, nel contesto della storia costituzionale austriaca, la legge sull’abolizione della nobiltà in quanto elemento dell’identità nazionale. Per poter valutare se gli obiettivi perseguiti mediante tale legge siano idonei a giustificare la restrizione della libera circolazione delle persone in un caso quale quello in esame nella causa principale, occorrerebbe procedere ad un bilanciamento tra, da un lato, l’interesse costituzionale alla soppressione degli elementi nobiliari del nome della ricorrente nella causa principale e, dall’altro lato, l’interesse a preservare tale nome che è stato iscritto nel registro dello stato civile austriaco per un periodo di quindici anni.

Risposta della Corte

81 Ai sensi di una costante giurisprudenza, un ostacolo alla libera circolazione delle persone può essere giustificato solo se è basato su considerazioni oggettive e se è proporzionato all’obiettivo legittimamente perseguito dalla normativa nazionale (v. sentenze 18 luglio 2006, causa C‑406/04, De Cuyper, Racc. pag. I‑6947, punto 40; 11 settembre 2007, causa C‑76/05, Schwarz e Gootjes‑Schwarz, Racc. pag. I‑6849, punto 94; Grunkin e Paul, cit., punto 29, e Rüffler, cit., punto 74).

82 Ad avviso del giudice del rinvio e dei governi che hanno presentato osservazioni alla Corte, nella causa principale potrebbe essere fatta valere a titolo di ragione giustificativa una considerazione oggettiva correlata alla legge sull’abolizione della nobiltà – che ha valore di norma costituzionale ed attua in tale settore il principio di uguaglianza – nonché alla giurisprudenza del Verfassungsgerichtshof intervenuta nel 2003.

83 A questo proposito occorre riconoscere che, nel contesto della storia costituzionale austriaca, la legge sull’abolizione della nobiltà può, in quanto elemento dell’identità nazionale, entrare in linea di conto nel bilanciamento di legittimi interessi con il diritto di libera circolazione delle persone riconosciuto dalle norme dell’Unione.

84 La giustificazione invocata dal governo austriaco in riferimento alla situazione costituzionale austriaca deve essere intesa come richiamo al limite dell’ordine pubblico.

85 Eventuali considerazioni oggettive correlate all’ordine pubblico sono idonee a giustificare, in uno Stato membro, un rifiuto di riconoscimento del cognome di uno dei cittadini di tale Stato, così come attribuito in un altro Stato membro (v., in tal senso, sentenza Grunkin e Paul, cit., punto 38).

86 La Corte ha ripetutamente ricordato che la nozione di ordine pubblico, in quanto giustificazione di una deroga ad una libertà fondamentale, deve essere intesa in senso restrittivo, di guisa che la sua portata non può essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro senza il controllo delle istituzioni dell’Unione europea (v. sentenze 14 ottobre 2004, causa C‑36/02, Omega, Racc. pag. I‑9609, punto 30, e 10 luglio 2008, causa C‑33/07, Jipa, Racc. pag. I‑5157, punto 23). Ne consegue che l’ordine pubblico può essere invocato soltanto in caso di minaccia reale e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività (v. sentenza Omega, cit., punto 30 e giurisprudenza ivi citata).

87 Ciò non toglie che le circostanze specifiche atte a giustificare un’applicazione del limite dell’ordine pubblico possono variare da uno Stato membro all’altro e da un’epoca all’altra. È perciò necessario, a questo riguardo, riconoscere alle competenti autorità nazionali un certo margine di discrezionalità entro i limiti imposti dal Trattato (v. sentenza Omega, cit., punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

88 Nell’ambito della causa principale, il governo austriaco ha affermato che la legge sull’abolizione della nobiltà dà attuazione al più generale principio dell’uguaglianza formale di tutti i cittadini austriaci.

89 L’ordinamento giuridico dell’Unione tende innegabilmente ad assicurare il rispetto del principio di uguaglianza in quanto principio generale del diritto. Tale principio è altresì sancito dall’art. 20 della Carta dei diritti fondamentali. Pertanto, non vi è dubbio che l’obiettivo di rispettare il principio di uguaglianza è compatibile con il diritto dell’Unione.

90 Eventuali misure restrittive di una libertà fondamentale possono essere giustificate da motivi attinenti all’ordine pubblico solo ove risultino necessarie ai fini della tutela degli interessi che esse mirano a garantire e solo nella misura in cui tali obiettivi non possano essere raggiunti mediante misure meno restrittive (v. citate sentenze Omega, punto 36, e Jipa, punto 29).

91 A questo proposito, la Corte ha già precisato che non è indispensabile che la misura restrittiva adottata dalle autorità di uno Stato membro corrisponda ad una concezione condivisa da tutti gli Stati membri relativamente alle modalità di tutela del diritto fondamentale o del legittimo interesse in questione e che, anzi, la necessità e la proporzionalità delle disposizioni adottate in materia non sono escluse per il solo fatto che uno Stato membro abbia scelto un regime di tutela diverso da quello adottato da un altro Stato membro (v. sentenza Omega, cit., punti 37 e 38).

92 Occorre altresì ricordare che, a norma dell’art. 4, n. 2, TUE, l’Unione rispetta l’identità nazionale dei suoi Stati membri, nella quale è inclusa anche la forma repubblicana dello Stato.

93 Nel caso di specie, occorre rilevare come non risulti sproporzionato il fatto che uno Stato membro cerchi di realizzare l’obiettivo di preservazione del principio di uguaglianza vietando qualsiasi acquisto, possesso o utilizzo, da parte dei propri cittadini, di titoli nobiliari o di elementi nobiliari capaci di far credere che il soggetto portatore del nome sia titolare di una dignità siffatta. Rifiutando di riconoscere gli elementi nobiliari di un nome quale quello della ricorrente nella causa principale, le autorità austriache competenti in materia di stato civile non sembrano essere andate oltre quanto è necessario per garantire la realizzazione dell’obiettivo costituzionale fondamentale da esse perseguito.

94 Date tali circostanze, il rifiuto da parte delle autorità di uno Stato membro di riconoscere, in tutti i suoi elementi, il cognome di un cittadino di tale Stato, quale determinato in un altro Stato membro – dove il predetto risiede – al momento della sua adozione in età adulta da parte di un cittadino di questo secondo Stato, per il fatto che tale cognome comprende un titolo nobiliare non consentito nel primo Stato in base al suo diritto costituzionale, non può essere considerato come una misura arrecante un pregiudizio ingiustificato alla libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione.

95 Occorre pertanto risolvere la questione sollevata dichiarando che l’art. 21 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che le autorità di uno Stato membro possano, in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, rifiutare di riconoscere, in tutti i suoi elementi, il cognome di un cittadino di tale Stato, quale determinato in un altro Stato membro – dove il predetto risiede – al momento della sua adozione in età adulta da parte di un cittadino di questo secondo Stato, per il fatto che tale cognome comprende un titolo nobiliare non consentito nel primo Stato in base al suo diritto costituzionale, qualora le misure adottate in tale contesto dalle citate autorità siano giustificate da motivi attinenti all’ordine pubblico, vale a dire siano necessarie per la tutela degli interessi che esse mirano a garantire e siano proporzionate all’obiettivo legittimamente perseguito.

Sulle spese

96 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

L’art. 21 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che le autorità di uno Stato membro possano, in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, rifiutare di riconoscere, in tutti i suoi elementi, il cognome di un cittadino di tale Stato, quale determinato in un altro Stato membro – dove il predetto risiede – al momento della sua adozione in età adulta da parte di un cittadino di questo secondo Stato, per il fatto che tale cognome comprende un titolo nobiliare non consentito nel primo Stato in base al suo diritto costituzionale, qualora le misure adottate in tale contesto dalle citate autorità siano giustificate da motivi attinenti all’ordine pubblico, vale a dire siano necessarie per la tutela degli interessi che esse mirano a garantire e siano proporzionate all’obiettivo legittimamente perseguito.

Firme

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

Nel procedimento C‑208/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Verwaltungsgerichtshof (Austria) con decisione 18 maggio 2009, pervenuta in cancelleria il 10 giugno 2009, nella causa

Ilonka Sayn‑Wittgenstein

contro

Landeshauptmann von Wien,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, presidente di sezione, dai sigg. A. Rosas (relatore), U. Lõhmus, A. Ó Caoimh e dalla sig.ra P. Lindh, giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig. K. Malacek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 giugno 2010,

considerate le osservazioni presentate:

– per la sig.ra Sayn‑Wittgenstein, dall’avv. J. Rieck, Rechtsanwalt;

– per il governo austriaco, dalle sig.re C. Pesendorfer ed E. Handl‑Petz, in qualità di agenti;

– per il governo ceco, dal sig. D. Hadroušek, in qualità di agente;

– per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e J. Möller nonché dalla sig.ra J. Kemper, in qualità di agenti;

– per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dalla sig.ra M. Russo, avvocato dello Stato;

– per il governo lituano, dalle sig.re R. Mackevičienė e V. Kazlauskaitė‑Švenčionienė, in qualità di agenti;

– per il governo slovacco, dalla sig.ra B. Ricziová, in qualità di agente;

– per la Commissione europea, dalle sig.re D. Maidani e S. Grünheid, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 14 ottobre 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 21 TFUE.

2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia insorta tra la sig.ra Sayn‑Wittgenstein, cittadina austriaca residente in Germania, ed il Landeshauptmann von Wien (governatore del Land di Vienna), vertente sulla decisione di quest’ultimo volta a rettificare l’iscrizione nel registro dello stato civile del cognome Fürstin von Sayn‑Wittgenstein, acquisito dalla suddetta interessata in Germania per effetto di adozione da parte di un cittadino tedesco, al fine di sostituirlo con il cognome Sayn‑Wittgenstein.

Contesto normativo

Il diritto austriaco

La legge sull’abolizione della nobiltà e le disposizioni attuative

3 La legge relativa all’abolizione della nobiltà, degli ordini secolari di cavalieri e dame e di determinati titoli e dignità (Gesetz über die Aufhebung des Adels, der weltlichen Ritter- und Damenorden und gewisser Titel und Würden) del 3 aprile 1919 (StGBl. 211/1919), nella versione applicabile ai fatti della causa principale (StGBl. 1/1920; in prosieguo: la «legge sull’abolizione della nobiltà»), ha valore di legge costituzionale in forza dell’art. 149, n. 1, della Costituzione federale (Bundes‑Verfassungsgesetz).

4 L’art. 1 della legge sull’abolizione della nobiltà così dispone:

«La nobiltà, i suoi privilegi onorifici esteriori, come pure i titoli e le dignità conferiti a semplici fini distintivi e non correlati ad una funzione ufficiale, alla professione o a competenze scientifiche o artistiche, nonché i privilegi onorifici connessi a tali titoli e dignità, dei quali si fregino cittadini austriaci, sono aboliti».

5 L’art. 4 di tale legge stabilisce quanto segue:

«La decisione riguardante i titoli e le dignità da considerarsi aboliti a norma dell’art. 1 è di competenza del Segretario di Stato per gli Affari interni e l’Istruzione».

6 Le disposizioni attuative adottate dal Segretariato di Stato per gli Affari interni e l’Istruzione nonché dal Segretariato di Stato per la Giustizia, in accordo con gli altri Segretariati di Stato interessati, in merito all’abolizione della nobiltà e di alcuni titoli e dignità (Vollzugsanweisung des Staatsamtes für Inneres und Unterricht und des Staatsamtes für Justiz, im Einvernehmen mit den beteiligten Staatsämtern, über die Aufhebung des Adels und gewisser Titel und Würden), recanti la data del 18 aprile 1919 (StGBl. n. 237/1919), prevedono, all’art. 1, quanto segue:

«L’abolizione della nobiltà, dei suoi privilegi onorifici esteriori, come pure dei titoli e delle dignità conferiti a semplici fini distintivi e non correlati ad una funzione ufficiale, alla professione o a competenze scientifiche o artistiche, nonché quella dei privilegi onorifici connessi a tali titoli e dignità, riguarda tutti i cittadini austriaci, indipendentemente dal fatto che i privilegi suddetti siano stati acquisiti nello Stato o all’estero».

7 L’art. 2 di tali disposizioni attuative così recita:

«In forza dell’art. 1 della legge [sull’abolizione della nobiltà], sono aboliti:

1. il diritto all’uso del segno nobiliare “von” [“di/da”];

(...)

4. il diritto all’uso dei titoli nobiliari, come, ad esempio, cavaliere [“Ritter”], barone [“Freiherr”], conte [“Graf”] e principe [“Fürst”], e anche del titolo onorifico di duca [“Herzog”], nonché di altri corrispondenti titoli nazionali e stranieri; (...)

(...)».

8 L’art. 5 delle citate disposizioni attuative prevede varie sanzioni in caso di mancato rispetto di tale divieto.

Le norme di diritto internazionale privato

9 L’art. 9, n. 1, prima frase, della legge federale sul diritto internazionale privato (Bundesgesetz über das internationale Privatrecht) del 15 giugno 1978 (BGBl. 304/1978), nella versione applicabile ai fatti della causa principale (BGBl. I, 58/2004), stabilisce che lo stato e la capacità di una persona fisica sono disciplinati dalla legge dello Stato di cui tale persona ha la cittadinanza.

10 Ai sensi dell’art. 13, n. 1, della legge suddetta, l’uso del nome da parte di una persona soggiace alle norme che disciplinano lo stato e la capacità di quest’ultima, quale che sia il modo in cui tale nome è stato acquisito.

11 L’art. 26 della medesima legge stabilisce che i presupposti per l’adozione sono regolati dalla legge nazionale di ciascun adottante e da quella dell’adottato, mentre gli effetti dell’adozione sono regolati, in caso di adozione da parte di una sola persona, dalla legge nazionale dell’adottante. Secondo le osservazioni presentate dalla Repubblica austriaca e gli autori da questa citati, gli effetti disciplinati da tale norma sono unicamente quelli attinenti al rapporto familiare instaurato con l’adozione e non includono la determinazione del nome dell’adottato, il quale resta disciplinato dall’art. 13, n. 1, della citata legge federale sul diritto internazionale privato.

Le norme di diritto civile

12 L’art. 183, n. 1, del codice civile austriaco (Allgemeines bürgerliches Gesetzbuch), nel testo applicabile ai fatti della causa principale (BGBl. 25/1995), così dispone:

«Qualora il figlio adottivo venga adottato da una sola persona e venga meno il vincolo familiare con l’altro genitore ai sensi dell’art. 182, n. 2, seconda frase, il figlio adottivo acquisisce il cognome dell’adottante (...)».

La legge sullo stato delle persone

13 L’art. 15, n. 1, della legge sullo stato civile (Personenstandgesetz, BGBl. 60/1983) prevede che un atto iscritto nei registri venga rettificato qualora fosse inesatto al momento dell’iscrizione.

Il diritto tedesco

Le norme sull’abolizione della nobiltà

14 L’art. 109 della Costituzione dell’Impero Tedesco (Verfassung des Deutschen Reichs), adottata l’11 agosto 1919 a Weimar, ha in particolare abolito tutti i privilegi connessi alla nascita o allo status sociale, dichiarando che i titoli nobiliari dovevano ormai considerarsi soltanto come una componente del cognome e che non potevano più conferirsene di nuovi.

15 A norma dell’art. 123, n. 1, della Legge fondamentale (Grundgesetz), tale disposizione è tuttora in vigore, con valore di legge federale ordinaria (sentenze del Bundesverwaltungsgericht in data 11 marzo 1966 e 11 dicembre 1996).

Le norme di diritto internazionale privato

16 L’art. 10, n. 1, della legge recante disposizioni preliminari al codice civile (Einführungsgesetz zum Bürgerlichen Gesetzbuch; in prosieguo: l’«EGBGB») dispone quanto segue:

«Il nome di una persona è disciplinato dalla legge dello Stato di cui essa ha la cittadinanza».

17 L’art. 22, nn. 1 e 2, dell’EGBGB stabilisce che l’adozione e gli effetti della medesima sui rapporti di parentela intercorrenti tra l’adottato e l’adottante nonché le persone unite da un vincolo familiare con l’adottato sono disciplinati dalla legge dello Stato del quale l’adottante ha la cittadinanza.

18 Risulta però dalla decisione di rinvio, nonché dalla conferma in tal senso fornita dal governo tedesco, che gli effetti dell’adozione per quanto riguarda la determinazione del nome sono disciplinati dalla legge dello Stato del quale il figlio adottivo ha la cittadinanza, a norma dell’art. 10, n. 1, dell’EGBGB. Il diritto internazionale privato tedesco stabilisce che la cittadinanza della persona costituisce il criterio di collegamento per individuare la legge applicabile ai fini della determinazione del cognome.

Causa principale e questione pregiudiziale

19 La ricorrente nella causa principale è nata a Vienna (Austria) nel 1944 ed è cittadina austriaca.

20 Con ordinanza emessa il 14 ottobre 1991, a norma degli artt. 1752 e 1767 del codice civile tedesco (Bürgerliches Gesetzbuch), il Kreisgericht Worbis (Germania) ha dichiarato l’adozione, da parte di un cittadino tedesco, il sig. Lothar Fürst von Sayn‑Wittgenstein, della detta ricorrente. È pacifico che l’adozione non ha avuto alcun effetto sulla cittadinanza di quest’ultima.

21 La ricorrente nella causa principale viveva in Germania al momento della sua adozione e là risiede ancor oggi. Il giudice del rinvio non precisa a quale titolo la ricorrente nella causa principale soggiorni in Germania. Tuttavia, all’udienza, il rappresentante della ricorrente ha dichiarato che quest’ultima esercita un’attività professionale principalmente in Germania, ma anche al di fuori di tale Stato membro, nel settore degli immobili di lusso. In particolare, essa interviene, con il nome di Ilonka Fürstin von Sayn‑Wittgenstein, in occasione di compravendite di castelli e manieri.

22 Con ordinanza integrativa in data 24 gennaio 1992, il Kreisgericht Worbis ha precisato che, in seguito all’adozione, la ricorrente nella causa principale aveva acquisito quale nome di nascita il cognome del padre adottivo, precisamente nella forma «Fürstin von Sayn‑Wittgenstein», che sarebbe il nome portato dall’interessata.

23 Le autorità austriache hanno proceduto alla registrazione di tale cognome nel registro dello stato civile austriaco.

24 Nell’ambito delle risposte fornite ai quesiti sottoposti dalla Corte in vista dell’udienza e in occasione di quest’ultima, è emerso che la ricorrente nella causa principale ha ottenuto una patente di guida tedesca a nome di Ilonka Fürstin von Sayn‑Wittgenstein ed ha creato una società in Germania con tale nome. Inoltre, il suo passaporto austriaco è stato rinnovato almeno una volta, nel corso dell’anno 2001, e due certificati di cittadinanza sono stati rilasciati dalle autorità consolari austriache in Germania; tutti questi documenti sono stati emessi a nome di Ilonka Fürstin von Sayn‑Wittgenstein.

25 Il 27 novembre 2003, il Verfassungsgerichtshof (Corte costituzionale) (Austria) ha emesso una sentenza in una causa riguardante una situazione simile a quella della ricorrente nella causa principale. Riepilogando lo stato attuale del diritto austriaco, il detto giudice ha statuito che la legge sull’abolizione della nobiltà – la quale ha valore di norma costituzionale ed attua in tale settore il principio di uguaglianza – ostava a che un cittadino austriaco acquisisse un cognome comprendente un titolo nobiliare del passato, mediante adozione da parte di un cittadino tedesco legittimamente portante tale titolo in quanto elemento costitutivo del suo nome. Infatti, conformemente alla legge sull’abolizione della nobiltà, i cittadini austriaci non sono autorizzati a portare titoli nobiliari, ivi compresi quelli di origine straniera. Tale sentenza ha inoltre confermato la giurisprudenza precedente secondo cui, contrariamente al diritto tedesco, il diritto austriaco non ammetteva che i cognomi fossero formati secondo regole differenti per gli uomini e per le donne.

26 A seguito di tale sentenza, il Landeshauptmann von Wien ha ritenuto che l’atto di nascita della ricorrente nella causa principale iscritto successivamente all’adozione fosse inesatto. Con lettera in data 5 aprile 2007, operante un rinvio alla sentenza di cui sopra, l’autorità suddetta ha informato l’interessata della propria intenzione di rettificare il suo cognome, quale risultante dai registri dello stato civile, in «Sayn‑Wittgenstein».

27 Malgrado le obiezioni sollevate dalla ricorrente nella causa principale, la quale faceva valere in particolare il diritto, fondato sulle norme dell’Unione, di viaggiare negli Stati membri senza dover cambiare il proprio nome, il Landeshauptmann von Wien ha deciso, con decreto in data 24 agosto 2007, che il cognome della ricorrente nella causa principale doveva a questo punto essere iscritto nei registri dello stato civile, mediante atto di rettifica, come «Sayn‑Wittgenstein».

28 Poiché con decisione 31 marzo 2008 il ricorso amministrativo da essa proposto contro il suddetto decreto è stato respinto, la ricorrente nella causa principale ne ha chiesto l’annullamento dinanzi al Verwaltungsgerichtshof.

29 Davanti a tale giudice, la ricorrente nella causa principale fa valere, in particolare, i propri diritti alla libera circolazione e alla libera prestazione dei servizi, garantiti dai Trattati.

30 Secondo la ricorrente nella causa principale, il mancato riconoscimento degli effetti giuridici dell’adozione riguardo al nome dell’adottato costituisce un ostacolo alla libera circolazione delle persone, in quanto essa sarebbe costretta a portare cognomi differenti nei diversi Stati membri. Per quanto riguarda l’eventuale applicazione del limite dell’ordine pubblico da parte degli Stati membri, essa ritiene che questi abbiano un obbligo reciproco di farvi ricorso soltanto nei casi di maggiore necessità e urgenza e siano tenuti, nei restanti casi, ad accordare la fiducia più estesa possibile alle decisioni degli altri Stati membri e a riconoscere queste ultime. L’applicazione dell’ordine pubblico presupporrebbe anche un forte collegamento con lo Stato che intenda farvi ricorso, che la semplice cittadinanza non sarebbe sufficiente a costituire.

31 La ricorrente nella causa principale sostiene inoltre che una modifica del cognome Fürstin von Sayn‑Wittgenstein, da essa portato in via continuativa per quindici anni, costituirebbe una violazione del diritto al rispetto della vita familiare garantito dall’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Essa riconosce invero che la lesione di tale diritto è consentita in forza di norme di legge – nel caso di specie, dalla legge austriaca sullo stato civile –, ma a suo avviso nel presente caso tale lesione interverrebbe in danno di un diritto acquisito legittimamente e in buona fede, il quale non potrebbe essere pregiudicato in assenza di una particolare necessità.

32 Dinanzi al Verwaltungsgerichtshof, il Landeshauptmann von Wien ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. Esso sostiene, in particolare, che nel caso di specie non sussiste alcuna circostanza che porti ad una violazione del diritto di libera circolazione previsto dall’art. 21 TFUE e all’insorgere di seri inconvenienti per la ricorrente nella causa principale, quali quelli descritti nella sentenza 14 ottobre 2008, causa C‑353/06, Grunkin e Paul (Racc. pag. I‑7639). Infatti, all’interessata non verrebbe chiesto di utilizzare nomi differenti, bensì si tratterebbe soltanto di sottrarre l’elemento nobiliare «Fürstin von» dal cognome Sayn‑Wittgenstein, che non verrebbe alterato. Anche se la rettifica del registro dello stato civile dovesse comportare per la ricorrente nella causa principale inconvenienti di ordine professionale o personale, non bisognerebbe attribuire a questi ultimi un’importanza tale da giustificare una disapplicazione della legge sull’abolizione della nobiltà, la quale ha valore di legge costituzionale, ha accompagnato la creazione della Repubblica austriaca ed ha dato attuazione al principio di uguaglianza in tale ambito. In caso contrario, ne deriverebbe una grave violazione dei valori fondamentali sui quali poggia l’ordinamento giuridico austriaco.

33 Infine, il Landeshauptmann von Wien fa valere che, secondo le norme di diritto internazionale privato tedesche, il nome di una persona è disciplinato dalla legge dello Stato di cui essa ha la cittadinanza. Attraverso una corretta applicazione della legge, il Kreisgericht Worbis sarebbe dovuto giungere alla conclusione che il nome della ricorrente nella causa principale doveva essere determinato in conformità delle norme austriache. Poiché la forma di cognome «Fürstin von Sayn‑Wittgenstein» non è consentita nell’ordinamento austriaco, anche l’ordinamento tedesco considererebbe errata l’attribuzione di tale cognome alla ricorrente nella causa principale.

34 Il Verwaltungsgerichtshof ritiene che la ricorrente nella causa principale, cittadina austriaca residente in Germania, possa, in linea di principio, invocare l’art. 21 TFUE. Il detto giudice – rilevando che nella citata sentenza Grunkin e Paul la Corte non era stata chiamata a pronunciarsi su questioni riguardanti l’ordine pubblico allorché aveva precisato che un ostacolo alla libertà di circolazione può essere giustificato soltanto qualora sia fondato su considerazioni oggettive e sia proporzionato all’obiettivo legittimamente perseguito – si chiede se, nel caso di specie, una restrizione alla libertà di circolazione eventualmente risultante dalla modifica del cognome della ricorrente nella causa principale potrebbe nondimeno essere giustificata alla luce del divieto, sancito da una norma avente valore di legge costituzionale, di portare titoli nobiliari, nella misura in cui tale norma vieta ai cittadini austriaci l’uso di tali titoli, quand’anche questi trovino fondamento nel diritto tedesco.

35 Alla luce di tali circostanze, il Verwaltungsgerichtshof ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’art. [21 TFUE] osti ad una normativa in base alla quale le autorità competenti di uno Stato membro possono rifiutare di riconoscere un cognome – in quanto contenente un titolo nobiliare non ammesso in tale Stato (anche sotto il profilo giuridico costituzionale) – che sia stato attribuito in un altro Stato membro ad un figlio adottivo (adulto)».

Sulla questione pregiudiziale

36 Con il suo quesito, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 21 TFUE debba essere interpretato nel senso che esso osta a che le autorità di uno Stato membro possano, in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, rifiutare di riconoscere, in tutti i suoi elementi, il cognome di un cittadino di tale Stato, quale determinato in un altro Stato membro – dove il predetto risiede – al momento della sua adozione in età adulta da parte di un cittadino di questo secondo Stato, per il fatto che tale cognome contiene un titolo nobiliare non consentito nel primo Stato in base al suo diritto costituzionale.

Osservazioni preliminari in merito alle disposizioni del diritto dell’Unione applicabili

37 In limine, occorre constatare che la situazione della ricorrente nella causa principale rientra nell’ambito di applicazione ratione materiae del diritto dell’Unione.

38 Sebbene, allo stato attuale del diritto dell’Unione, le norme che disciplinano il cognome di una persona e l’uso di titoli nobiliari rientrino nella competenza degli Stati membri, questi ultimi, nell’esercizio di tale competenza, devono comunque rispettare il diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza Grunkin e Paul, cit., punto 16).

39 È pacifico che la ricorrente nella causa principale è cittadina di uno Stato membro ed ha esercitato, nella sua qualità di cittadina dell’Unione, la propria libertà di circolazione e soggiorno in un altro Stato membro. Essa è dunque legittimata a invocare le libertà riconosciute dall’art. 21 TFUE ad ogni cittadino dell’Unione.

40 Inoltre, all’udienza è stato fatto presente che la ricorrente nella causa principale esercita in Germania un’attività professionale di fornitura di servizi a destinatari situati in uno o più altri Stati membri. Essa sarebbe pertanto legittimata, in linea di principio, a far valere anche le libertà riconosciute dall’art. 56 TFUE.

41 È pacifico che, nel caso di specie, il giudice del rinvio sottopone alla Corte un quesito in merito all’interpretazione dell’art. 21 TFUE in correlazione con la citata sentenza Grunkin e Paul e con il mancato riconoscimento in uno Stato membro di un cognome ottenuto in un altro Stato membro, indipendentemente dall’esercizio o meno di un’attività economica da parte della persona interessata. Merita di essere rilevato, a questo proposito, che il giudice del rinvio non ritiene utile indicare a quale titolo la ricorrente nella causa principale soggiorni in Germania. Con il suo quesito, esso chiede in sostanza se ragioni di ordine costituzionale possano autorizzare uno Stato membro a non riconoscere in tutti i suoi elementi il nome ottenuto da uno dei suoi cittadini in un altro Stato membro, e non già se il fatto di non riconoscere un nome acquisito legittimamente in un altro Stato membro costituisca un ostacolo alla libera prestazione dei servizi garantita dall’art. 56 TFUE.

42 Occorre pertanto esaminare alla luce dell’art. 21 TFUE il rifiuto, opposto dalle autorità di uno Stato membro, di riconoscere, in tutti i suoi elementi, il cognome di un cittadino di tale Stato ottenuto mediante adozione in un altro Stato membro, nel quale tale cittadino risiede.

Sull’esistenza di una restrizione alla libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione

Osservazioni presentate alla Corte

43 La ricorrente nella causa principale fa valere che il mancato riconoscimento, in applicazione delle norme austriache che vietano i titoli nobiliari, degli elementi nobiliari del nome da lei legittimamente acquisito in Germania in forza di una pronuncia giurisdizionale non impugnabile con un ricorso e dunque giuridicamente vincolante nell’ordinamento giuridico tedesco, ha come effetto che, nei documenti di identità che le saranno rilasciati in Austria, il suo nome verrà scritto in modo diverso rispetto al nome che essa deve portare in Germania. Orbene, dalla citata sentenza Grunkin e Paul risulterebbe che il mancato riconoscimento da parte di uno Stato membro di un nome acquisito in un altro Stato membro e la conseguente necessità di portare nomi differenti in tali due Stati membri pregiudicano il diritto di ogni cittadino dell’Unione di circolare liberamente a norma dell’art. 21, n. 1, TFUE.

44 Per contro, i governi che hanno presentato osservazioni alla Corte ritengono che non sussista alcun ostacolo alla libertà di circolazione della ricorrente nella causa principale.

45 Secondo i governi austriaco e tedesco, da un lato, la situazione all’origine della causa principale si differenzia da quella – qualificata come ostacolo nella citata sentenza Grunkin e Paul – nella quale una persona, che abbia esercitato il proprio diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio di un altro Stato membro, sia obbligata a portare, nello Stato membro del quale possiede la cittadinanza, un nome differente da quello già attribuito e registrato nello Stato membro di nascita e di residenza. Ad avviso dei suddetti governi, la ricorrente nella causa principale, essendo una cittadina austriaca, nata in Austria, potrebbe fornire la prova della propria identità soltanto sulla base degli atti e dei documenti rilasciati dalle autorità austriache. Nessuna iscrizione riguardante la suddetta ricorrente figurerebbe nel registro dello stato civile tedesco, sicché non potrebbe sussistere alcuna divergenza quanto alle forme nelle quali il cognome dell’interessata è iscritto in tali registri in Germania e in Austria.

46 Dall’altro lato, il fatto che, in uno Stato membro, un titolo nobiliare non possa costituire parte integrante del cognome in forza delle norme nazionali applicabili alla formazione del nome in tale Stato non comporterebbe alcun inconveniente per un cittadino di uno Stato membro sotto il profilo della garanzia della libera circolazione. Nel caso di specie, non sarebbe ipotizzabile alcuno degli inconvenienti rilevati nell’ambito della causa decisa dalla citata sentenza Grunkin e Paul. In particolare, la rettifica del nome iscritto nel registro dello stato civile austriaco non comporterebbe alcun rischio concreto di dubbi in merito all’identità della ricorrente nella causa principale.

47 Secondo il governo austriaco, anche nel caso in cui, in applicazione del diritto austriaco, venissero soppressi il titolo nobiliare «Fürst» e la particella nobiliare «von», gli elementi identificativi fondamentali del cognome rimarrebbero preservati. Infatti, ad avviso del detto governo, anche se la ricorrente nella causa principale utilizzasse in Germania nella vita quotidiana il nome Fürstin von Sayn‑Wittgenstein e presentasse un documento di identità intestato alla sig.ra Sayn‑Wittgenstein, le autorità tedesche sarebbero sempre in grado di identificarla con certezza e di riconoscerla, tanto più che la Germania e l’Austria non sarebbero separate da alcuna barriera linguistica.

48 Il governo ceco ritiene che il mancato riconoscimento in uno Stato membro di una parte del nome che è autorizzato in un altro Stato membro, in base ad una normativa quale quella in questione nella causa principale, non costituisca una violazione dell’art. 21 TFUE. Infatti, la funzione dei titoli differirebbe sostanzialmente da quella dei cognomi. Mentre la funzione del nome sarebbe quella di identificare il soggetto che lo porta, il titolo servirebbe a conferire ad una persona un determinato status sociale. Orbene, ogni Stato membro avrebbe competenza esclusiva a decidere se accordare un certo status sociale a questa o quella persona.

49 Il governo italiano ritiene che nella causa principale non sia ravvisabile alcuno degli inconvenienti indicati nella citata sentenza Grunkin e Paul quale potenziale conseguenza sfavorevole della diversità dei cognomi attribuiti da Stati membri differenti alla medesima persona. In discussione sarebbe non una diversità di cognomi, bensì solo la presenza o meno, a completamento del cognome stesso, di un titolo nobiliare. Tale titolo indicherebbe un determinato status sociale e sarebbe ben distinto dal cognome, che è l’unico ad individuare realmente la persona. Il rischio di dubbi quanto all’identità della persona od alla veridicità dei documenti che la riguardano, recanti o meno l’indicazione del titolo nobiliare in questione, non avrebbe alcuna ragion d’essere.

50 Il governo slovacco rileva che, in base alle norme di diritto internazionale privato austriache e tedesche, il nome di una persona è disciplinato dalla legge dello Stato di cui tale persona ha la cittadinanza. Risulterebbe dalle convenzioni internazionali delle quali la Repubblica federale di Germania è parte contraente che il prenome e il cognome di una persona sono disciplinati in linea di principio dalla legge dello Stato del quale questa possiede la cittadinanza, e che uno Stato contraente non può autorizzare il cambiamento di cognome dei cittadini di un altro Stato contraente, a meno che costoro non siano anche suoi cittadini.

51 La Commissione europea ritiene che l’art. 21 TFUE osti, in linea di principio, al mancato riconoscimento di elementi costitutivi del nome legittimamente acquisito in uno Stato membro diverso da quello del quale l’interessato ha la cittadinanza. Il fatto, per un cittadino dell’Unione che abbia esercitato il proprio diritto di libera circolazione, di non essere autorizzato a portare, nel suo Stato membro di origine, il cognome legittimamente acquisito mediante adozione in un altro Stato membro sarebbe, in linea di principio, incompatibile con lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri rappresentato dalla cittadinanza dell’Unione. Tuttavia, non sarebbe escluso che motivi particolari possano giustificare la restrizione della libera circolazione delle persone in un caso quale quello costituente l’oggetto della causa principale.

Risposta della Corte

52 Occorre preliminarmente ricordare che il nome di una persona è un elemento costitutivo della sua identità e della sua vita privata, la tutela della quale è garantita dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché dall’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Anche se l’art. 8 di tale convenzione non lo menziona esplicitamente, il nome di una persona riguarda in ugual modo la vita privata e familiare di quest’ultima in quanto mezzo di identificazione personale e di collegamento ad una famiglia (v., in particolare, Corte eur. D.U., sentenze Burghartz c. Svizzera del 22 febbraio 1994, serie A n. 280‑B, pag. 28, § 24, e Stjerna c. Finlandia del 25 novembre 1994, serie A n. 299‑B, pag. 60, § 37).

53 Una normativa nazionale che sfavorisca taluni cittadini nazionali per il solo fatto che essi hanno esercitato la loro libertà di circolare e di soggiornare in un altro Stato membro rappresenta una restrizione delle libertà riconosciute dall’art. 21, n. 1, TFUE ad ogni cittadino dell’Unione (v., in particolare, sentenze Grunkin e Paul, cit., punto 21; 4 dicembre 2008, causa C‑221/07, Zablocka‑Weyhermüller, Racc. pag. I‑9029, punto 35, nonché 23 aprile 2009, causa C‑544/07, Rüffler, Racc. pag. I‑3389, punto 73).

54 Risulta dalla giurisprudenza della Corte che il fatto che una persona, la quale abbia esercitato il proprio diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio di un altro Stato membro, sia obbligata a portare, nello Stato membro del quale essa ha la cittadinanza, un nome differente da quello già attribuito e registrato nello Stato membro di nascita e di residenza è idoneo ad ostacolare l’esercizio del diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, sancito dall’art. 21 TFUE (sentenza Grunkin e Paul, cit., punti 21 e 22).

55 Nella sentenza 2 ottobre 2003, causa C‑148/02, Garcia Avello (Racc. pag. I‑11613), è stata giudicata incompatibile con gli artt. 12 CE e 17 CE una legislazione di uno Stato membro avente come effetto di costringere una persona a portare cognomi differenti in Stati membri diversi. In tale contesto, la Corte ha constatato, riguardo a figli minorenni in possesso della cittadinanza di due Stati membri, che una diversità di cognomi è idonea a generare per gli interessati seri inconvenienti di ordine tanto professionale quanto privato, derivanti, in particolare, dalle difficoltà di fruire, nello Stato membro di cui essi sono cittadini, degli effetti giuridici di diplomi o di documenti rilasciati con il nome riconosciuto in un altro Stato membro, del quale pure possiedono la cittadinanza. L’interessato può altresì incontrare difficoltà legate, in particolare, al rilascio di attestazioni, certificati e diplomi sui quali sia chiaramente rilevabile una divergenza riguardo al suo cognome. Tale realtà può far sorgere dubbi quanto all’identità della persona, all’autenticità dei documenti presentati o alla veridicità delle informazioni che essi contengono (v., in tal senso, sentenza Garcia Avello, cit., punto 36).

56 La Corte ha statuito, al punto 24 della citata sentenza Grunkin e Paul, che simili seri inconvenienti potevano presentarsi in egual misura nel caso in cui il figlio interessato possedesse la cittadinanza di un solo Stato membro, ma tale Stato di origine rifiutasse di riconoscere il cognome acquisito dal figlio suddetto nello Stato di nascita e di residenza.

57 I governi austriaco e tedesco sostengono che la causa principale si distingue da quella all’origine della citata sentenza Grunkin e Paul, dal momento che quest’ultima fattispecie riguardava un rifiuto di riconoscere, in uno Stato membro, un nome avente una forma regolarmente iscritta nei propri registri dai servizi dello stato civile di un altro Stato membro in virtù delle competenze di cui questi erano investiti. I detti governi evidenziano che la problematica all’origine di quella causa derivava dal fatto che, nello Stato di nascita e di residenza, la determinazione del nome veniva operata in base alla legge del luogo di residenza, mentre nello Stato del quale l’interessato era cittadino la legge applicabile al riguardo era quella dello Stato di cittadinanza di costui. Per contro, secondo i governi austriaco e tedesco, il diritto sostanziale applicabile nella causa principale, designato dalle norme di conflitto sia tedesche che austriache, è soltanto il diritto austriaco.

58 Pertanto, secondo i detti governi, il Kreisgericht Worbis non aveva alcuna competenza, né in virtù del diritto tedesco né in forza di quello austriaco, a determinare il cognome della ricorrente nella causa principale come esso ha fatto, dato che il cognome da esso indicato era irregolare nell’ordinamento austriaco sotto due profili, vale a dire sia per l’inclusione di un titolo nobiliare del passato e della particella «von», sia per l’utilizzazione di una forma femminile di tale titolo. A differenza della causa definita dalla citata sentenza Grunkin e Paul, le diverse autorità nazionali non avrebbero proceduto ad iscrizioni di cognomi divergenti nei registri dello stato civile. Di conseguenza, l’iscrizione rettificata in Austria riguarderebbe non un cognome validamente conferito in un altro Stato membro, bensì un nome attribuito per errore, prima dal Kreisgericht Worbis e poi dai servizi dello stato civile austriaci.

59 Peraltro, vari governi che hanno presentato osservazioni alla Corte sostengono che la ricorrente nella causa principale non incontrerà alcun inconveniente in caso di rettifica del suo cognome nel registro dello stato civile austriaco. Da un lato, essa non sarebbe obbligata ad utilizzare cognomi differenti nei diversi Stati membri, dato che l’iscrizione nel registro suddetto, come rettificata, farebbe ormai fede a tutti gli effetti. Dall’altro lato, l’elemento centrale, identificativo, del suo cognome, Sayn‑Wittgenstein, rimarrebbe conservato e sarebbe di conseguenza esclusa qualsiasi possibilità di confusione riguardo alla sua identità, essendo stato tolto soltanto il complemento non determinativo «Fürstin von».

60 A questo proposito occorre anzitutto constatare che, secondo le indicazioni contenute nel fascicolo, il nome della ricorrente nella causa principale figura in un solo registro dello stato civile, ossia nel registro austriaco, e che soltanto le autorità austriache possono rilasciarle documenti ufficiali, come un passaporto o un certificato di cittadinanza, sicché una modifica del nome iscritto non farà sorgere alcun conflitto con i registri dello stato civile tenuti da un altro Stato membro ovvero con eventuali documenti ufficiali rilasciati da quest’ultimo.

61 Occorre poi rilevare che numerose azioni della vita quotidiana, nella sfera sia pubblica che privata, esigono la prova dell’identità, la quale viene normalmente fornita tramite il passaporto. Poiché la ricorrente nella causa principale possiede soltanto la cittadinanza austriaca, il rilascio di tale documento rientra nella competenza esclusiva delle autorità austriache.

62 Tuttavia, all’udienza è stato fatto presente che la ricorrente nella causa principale si è vista rilasciare un passaporto a nome di Fürstin von Sayn‑Wittgenstein dalle autorità consolari austriache in Germania nel corso dei quindici anni che sono trascorsi tra la prima iscrizione del suo cognome come «Fürstin von Sayn‑Wittgenstein» in Austria e la decisione di rettifica di quest’ultimo in «Sayn‑Wittgenstein». Per giunta, secondo le risultanze del fascicolo, la ricorrente nella causa principale ha ottenuto in Germania il rilascio di una patente di guida tedesca e possiede in tale Stato una società, iscritta nel registro di commercio, a nome di Ilonka Fürstin von Sayn‑Wittgenstein.

63 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 44 delle sue conclusioni, è probabile che la ricorrente nella causa principale sia stata registrata dalle autorità tedesche come residente straniero e sia stata iscritta ad organismi tedeschi di previdenza sociale, ai fini dell’assicurazione malattia e pensionistica. Oltre a tali apparizioni del suo nome in documenti ufficiali, si può senz’altro presumere che, nel corso dei quindici anni che sono trascorsi tra la prima iscrizione del suo cognome come «Fürstin von Sayn‑Wittgenstein» in Austria e la decisione di rettifica di quest’ultimo in «Sayn‑Wittgenstein», essa abbia aperto dei conti bancari in Germania ed abbia ivi concluso contratti tuttora in corso, come ad esempio contratti di assicurazione. Essa avrà dunque vissuto per un lungo periodo in uno Stato membro con un nome ben preciso, del quale saranno rimaste numerose tracce formali nella sfera sia pubblica che privata.

64 Per quanto riguarda, infine, l’argomento secondo cui la rettifica del nome della ricorrente nella causa principale non comporterebbe problemi ai fini della prova dell’identità di costei poiché soltanto il titolo nobiliare «Fürstin von» non verrebbe riconosciuto, occorre tenere conto del fatto che, secondo il diritto tedesco, i termini «Fürstin von» sono considerati non come un titolo nobiliare, ma come un elemento costitutivo del nome legittimamente acquisito nello Stato di residenza.

65 Di conseguenza, il nome Fürstin von Sayn‑Wittgenstein costituisce in Germania un cognome unico composto di più elementi. Nello stesso modo in cui, nella causa decisa dalla citata sentenza Grunkin e Paul, il nome Grunkin‑Paul era differente dai nomi Grunkin e Paul, così, nella causa principale, i nomi Fürstin von Sayn‑Wittgenstein e Sayn‑Wittgenstein non sono identici.

66 Orbene, da una diversità tra i due nomi applicati ad una stessa persona possono nascere confusioni ed inconvenienti.

67 Infatti, per la ricorrente nella causa principale, costituisce un «serio inconveniente» ai sensi della citata sentenza Grunkin e Paul il fatto di dover modificare tutte le tracce formali del nome Fürstin von Sayn‑Wittgenstein lasciate nella sfera sia pubblica che privata, dato che i suoi documenti di identità ufficiali la designano attualmente con un altro nome. Anche se, una volta effettuata, la rettifica eliminerà qualsiasi futura divergenza, è probabile che la ricorrente nella causa principale possieda e sarà in futuro indotta a presentare documenti rilasciati o formati prima della rettifica, i quali faranno apparire un cognome differente da quello che compare nei suoi nuovi documenti di identità.

68 Di conseguenza, ogni volta che la ricorrente nella causa principale, munita di un passaporto a nome di Sayn‑Wittgenstein, dovrà fornire la prova della sua identità o del suo cognome in Germania, suo Stato di residenza, essa rischia di dover dissipare sospetti di false dichiarazioni suscitati dalla divergenza tra il nome, rettificato, riportato sui suoi documenti di identità austriaci e il nome che essa utilizza da quindici anni nella vita quotidiana, il quale è stato riconosciuto in Austria fino alla rettifica in questione ed è indicato nei documenti rilasciati in Germania che la riguardano, come ad esempio la sua patente di guida.

69 La Corte ha già avuto occasione di dichiarare che, ogni volta che il cognome utilizzato in una situazione concreta non corrisponde a quello che figura nel documento presentato come prova dell’identità di una persona, o che il cognome figurante in due documenti presentati congiuntamente non è lo stesso, una siffatta divergenza di cognome è idonea a far sorgere dubbi in merito all’identità di tale persona e all’autenticità dei documenti prodotti o alla veridicità dei dati in essi contenuti (sentenza Grunkin e Paul, cit., punto 28).

70 Anche se tale rischio può non essere così grave quanto i seri inconvenienti che si prospettavano per il figlio minorenne in questione nella causa decisa dalla citata sentenza Grunkin e Paul, il rischio concreto, in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, di dovere, a causa della diversità di nomi, dissipare dei dubbi quanto all’identità della propria persona costituisce una circostanza idonea ad ostacolare l’esercizio del diritto conferito dall’art. 21 TFUE.

71 Di conseguenza, il rifiuto, da parte delle autorità di uno Stato membro, di riconoscere, in tutti i suoi elementi, il cognome di un cittadino di tale Stato, così come determinato in un secondo Stato membro, nel quale il cittadino in questione risiede, e come iscritto per quindici anni nel registro dello stato civile del primo Stato, costituisce una restrizione delle libertà riconosciute dall’art. 21 TFUE ad ogni cittadino dell’Unione.

Sull’esistenza di una giustificazione della restrizione alla libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione

Osservazioni presentate alla Corte

72 Secondo la ricorrente nella causa principale, l’applicazione del limite dell’ordine pubblico presuppone sempre l’esistenza di un sufficiente collegamento con lo Stato membro interessato. Orbene, nel suo caso, il sufficiente collegamento con tale Stato sarebbe assente, dato che essa, dalla data della sua adozione, ha la propria residenza in Germania.

73 I governi austriaco, ceco, italiano, lituano e slovacco fanno valere – per il caso in cui la Corte giudicasse che il rifiuto di riconoscere, in applicazione della legge sull’abolizione della nobiltà, taluni elementi del cognome costituisce un ostacolo alla libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione – che tale ostacolo è giustificato da considerazioni oggettive e proporzionate all’obiettivo perseguito.

74 Il governo austriaco, in particolare, fa valere che le disposizioni in questione nella causa principale mirano a salvaguardare l’identità costituzionale della Repubblica austriaca. La legge sull’abolizione della nobiltà, pur non essendo parte integrante del principio repubblicano, uno dei principi fondanti della Costituzione federale, rappresenterebbe una decisione a carattere fondamentale del legislatore costituente a favore di una formale parità di trattamento di tutti i cittadini dinanzi alla legge, volta a far sì che nessun cittadino austriaco possa acquisire prestigio particolare attraverso aggiunte al nome sotto forma di titoli nobiliari, onorificenze e dignità, la cui unica funzione sia quella di distinguere la persona che se ne fregia, e che non abbiano alcun legame con la sua professione o i suoi studi.

75 Secondo il governo austriaco, le eventuali restrizioni alle libertà di circolazione, che risulterebbero per i cittadini austriaci dall’applicazione delle disposizioni in questione nella causa principale, sono dunque giustificate alla luce della storia e dei valori fondamentali della Repubblica austriaca. Inoltre, tali disposizioni non restringerebbero l’esercizio delle libertà di circolazione al di là di quanto è necessario per conseguire l’obiettivo summenzionato.

76 Il governo austriaco sostiene altresì che si recherebbe pregiudizio all’ordine pubblico in Austria qualora dovesse essere riconosciuto il cognome della ricorrente nella causa principale corrispondente al cognome dell’adottante nella sua forma femminile, determinato in Germania dall’ordinanza del Kreisgericht Worbis del 24 gennaio 1992. Tale riconoscimento sarebbe incompatibile con i valori fondamentali dell’ordinamento giuridico austriaco, segnatamente con il principio di uguaglianza, sancito dall’art. 7 della Costituzione federale ed attuato mediante la legge sull’abolizione della nobiltà.

77 Il governo ceco fa valere che, se certo, secondo la giurisprudenza della Corte, le differenze constatate nelle legislazioni degli Stati membri riguardo al nome delle persone possono condurre ad una violazione del Trattato FUE, ciò non si verifica in due situazioni, vale a dire qualora il nome presenti nella sua composizione un titolo nobiliare che la persona interessata non può portare nello Stato membro di cui ha la cittadinanza e qualora il nome contenga una denominazione che sia contraria all’ordine pubblico in un altro Stato membro.

78 I governi italiano e slovacco ritengono che, qualora venisse constatata una restrizione della libera circolazione delle persone, essa corrisponde ad un obiettivo legittimo, consistente nel rispetto di una norma costituzionale esprimente un principio di ordine pubblico di valore essenziale nell’ordinamento repubblicano. Il fatto di non poter registrare un cognome qualora non ne vengano soppressi gli elementi nobiliari si baserebbe su considerazioni oggettive e sarebbe proporzionato all’obiettivo perseguito, in quanto questo sarebbe il solo modo possibile per giungere alla realizzazione di tale obiettivo.

79 Nel medesimo senso, il governo lituano ritiene che, qualora sia necessario tutelare valori costituzionali fondamentali dello Stato, come ad esempio, per quanto riguarda la Repubblica di Lituania, la lingua nazionale, oppure, relativamente alla Repubblica d’Austria, valori fondanti dell’ordinamento giuridico o della struttura dello Stato, lo Stato membro interessato deve poter prendere esso stesso la decisione più appropriata riguardo al cognome di una persona e, in alcuni casi, rettificare il nome attribuito da un altro Stato.

80 La Commissione osserva che il nome Fürstin von Sayn‑Wittgenstein è stato legittimamente acquisito in Germania, sebbene per errore. Per giunta, tale nome è già stato riconosciuto dalle autorità austriache, sebbene anche ciò in conseguenza di un errore. Ciò premesso, occorrerebbe prendere in considerazione, nel contesto della storia costituzionale austriaca, la legge sull’abolizione della nobiltà in quanto elemento dell’identità nazionale. Per poter valutare se gli obiettivi perseguiti mediante tale legge siano idonei a giustificare la restrizione della libera circolazione delle persone in un caso quale quello in esame nella causa principale, occorrerebbe procedere ad un bilanciamento tra, da un lato, l’interesse costituzionale alla soppressione degli elementi nobiliari del nome della ricorrente nella causa principale e, dall’altro lato, l’interesse a preservare tale nome che è stato iscritto nel registro dello stato civile austriaco per un periodo di quindici anni.

Risposta della Corte

81 Ai sensi di una costante giurisprudenza, un ostacolo alla libera circolazione delle persone può essere giustificato solo se è basato su considerazioni oggettive e se è proporzionato all’obiettivo legittimamente perseguito dalla normativa nazionale (v. sentenze 18 luglio 2006, causa C‑406/04, De Cuyper, Racc. pag. I‑6947, punto 40; 11 settembre 2007, causa C‑76/05, Schwarz e Gootjes‑Schwarz, Racc. pag. I‑6849, punto 94; Grunkin e Paul, cit., punto 29, e Rüffler, cit., punto 74).

82 Ad avviso del giudice del rinvio e dei governi che hanno presentato osservazioni alla Corte, nella causa principale potrebbe essere fatta valere a titolo di ragione giustificativa una considerazione oggettiva correlata alla legge sull’abolizione della nobiltà – che ha valore di norma costituzionale ed attua in tale settore il principio di uguaglianza – nonché alla giurisprudenza del Verfassungsgerichtshof intervenuta nel 2003.

83 A questo proposito occorre riconoscere che, nel contesto della storia costituzionale austriaca, la legge sull’abolizione della nobiltà può, in quanto elemento dell’identità nazionale, entrare in linea di conto nel bilanciamento di legittimi interessi con il diritto di libera circolazione delle persone riconosciuto dalle norme dell’Unione.

84 La giustificazione invocata dal governo austriaco in riferimento alla situazione costituzionale austriaca deve essere intesa come richiamo al limite dell’ordine pubblico.

85 Eventuali considerazioni oggettive correlate all’ordine pubblico sono idonee a giustificare, in uno Stato membro, un rifiuto di riconoscimento del cognome di uno dei cittadini di tale Stato, così come attribuito in un altro Stato membro (v., in tal senso, sentenza Grunkin e Paul, cit., punto 38).

86 La Corte ha ripetutamente ricordato che la nozione di ordine pubblico, in quanto giustificazione di una deroga ad una libertà fondamentale, deve essere intesa in senso restrittivo, di guisa che la sua portata non può essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro senza il controllo delle istituzioni dell’Unione europea (v. sentenze 14 ottobre 2004, causa C‑36/02, Omega, Racc. pag. I‑9609, punto 30, e 10 luglio 2008, causa C‑33/07, Jipa, Racc. pag. I‑5157, punto 23). Ne consegue che l’ordine pubblico può essere invocato soltanto in caso di minaccia reale e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività (v. sentenza Omega, cit., punto 30 e giurisprudenza ivi citata).

87 Ciò non toglie che le circostanze specifiche atte a giustificare un’applicazione del limite dell’ordine pubblico possono variare da uno Stato membro all’altro e da un’epoca all’altra. È perciò necessario, a questo riguardo, riconoscere alle competenti autorità nazionali un certo margine di discrezionalità entro i limiti imposti dal Trattato (v. sentenza Omega, cit., punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

88 Nell’ambito della causa principale, il governo austriaco ha affermato che la legge sull’abolizione della nobiltà dà attuazione al più generale principio dell’uguaglianza formale di tutti i cittadini austriaci.

89 L’ordinamento giuridico dell’Unione tende innegabilmente ad assicurare il rispetto del principio di uguaglianza in quanto principio generale del diritto. Tale principio è altresì sancito dall’art. 20 della Carta dei diritti fondamentali. Pertanto, non vi è dubbio che l’obiettivo di rispettare il principio di uguaglianza è compatibile con il diritto dell’Unione.

90 Eventuali misure restrittive di una libertà fondamentale possono essere giustificate da motivi attinenti all’ordine pubblico solo ove risultino necessarie ai fini della tutela degli interessi che esse mirano a garantire e solo nella misura in cui tali obiettivi non possano essere raggiunti mediante misure meno restrittive (v. citate sentenze Omega, punto 36, e Jipa, punto 29).

91 A questo proposito, la Corte ha già precisato che non è indispensabile che la misura restrittiva adottata dalle autorità di uno Stato membro corrisponda ad una concezione condivisa da tutti gli Stati membri relativamente alle modalità di tutela del diritto fondamentale o del legittimo interesse in questione e che, anzi, la necessità e la proporzionalità delle disposizioni adottate in materia non sono escluse per il solo fatto che uno Stato membro abbia scelto un regime di tutela diverso da quello adottato da un altro Stato membro (v. sentenza Omega, cit., punti 37 e 38).

92 Occorre altresì ricordare che, a norma dell’art. 4, n. 2, TUE, l’Unione rispetta l’identità nazionale dei suoi Stati membri, nella quale è inclusa anche la forma repubblicana dello Stato.

93 Nel caso di specie, occorre rilevare come non risulti sproporzionato il fatto che uno Stato membro cerchi di realizzare l’obiettivo di preservazione del principio di uguaglianza vietando qualsiasi acquisto, possesso o utilizzo, da parte dei propri cittadini, di titoli nobiliari o di elementi nobiliari capaci di far credere che il soggetto portatore del nome sia titolare di una dignità siffatta. Rifiutando di riconoscere gli elementi nobiliari di un nome quale quello della ricorrente nella causa principale, le autorità austriache competenti in materia di stato civile non sembrano essere andate oltre quanto è necessario per garantire la realizzazione dell’obiettivo costituzionale fondamentale da esse perseguito.

94 Date tali circostanze, il rifiuto da parte delle autorità di uno Stato membro di riconoscere, in tutti i suoi elementi, il cognome di un cittadino di tale Stato, quale determinato in un altro Stato membro – dove il predetto risiede – al momento della sua adozione in età adulta da parte di un cittadino di questo secondo Stato, per il fatto che tale cognome comprende un titolo nobiliare non consentito nel primo Stato in base al suo diritto costituzionale, non può essere considerato come una misura arrecante un pregiudizio ingiustificato alla libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione.

95 Occorre pertanto risolvere la questione sollevata dichiarando che l’art. 21 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che le autorità di uno Stato membro possano, in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, rifiutare di riconoscere, in tutti i suoi elementi, il cognome di un cittadino di tale Stato, quale determinato in un altro Stato membro – dove il predetto risiede – al momento della sua adozione in età adulta da parte di un cittadino di questo secondo Stato, per il fatto che tale cognome comprende un titolo nobiliare non consentito nel primo Stato in base al suo diritto costituzionale, qualora le misure adottate in tale contesto dalle citate autorità siano giustificate da motivi attinenti all’ordine pubblico, vale a dire siano necessarie per la tutela degli interessi che esse mirano a garantire e siano proporzionate all’obiettivo legittimamente perseguito.

Sulle spese

96 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

L’art. 21 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che le autorità di uno Stato membro possano, in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, rifiutare di riconoscere, in tutti i suoi elementi, il cognome di un cittadino di tale Stato, quale determinato in un altro Stato membro – dove il predetto risiede – al momento della sua adozione in età adulta da parte di un cittadino di questo secondo Stato, per il fatto che tale cognome comprende un titolo nobiliare non consentito nel primo Stato in base al suo diritto costituzionale, qualora le misure adottate in tale contesto dalle citate autorità siano giustificate da motivi attinenti all’ordine pubblico, vale a dire siano necessarie per la tutela degli interessi che esse mirano a garantire e siano proporzionate all’obiettivo legittimamente perseguito.

Firme