Costituzione e situazioni emergenziali: brevi riflessioni giuridiche

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Abstract

Il seguente contributo si pone l’obiettivo primario e precipuo di indagare in che modo il nostro ordinamento statale possa reagire in situazioni emergenziali, valutando la possibilità di limitare e/o addirittura comprimere, operando un quanto mai doveroso bilanciamento di interessi, alcuni diritti e libertà fondamentali, previste nel nostro dettato costituzionale, e le modalità, e gli strumenti, con cui questo si può concretamente porre in essere, cercando di chiarire, non soltanto il nomen iuris delle fonti del diritto utilizzabili all’uopo, bensì anche le loro diversità di funzioni, e di formazione, prendendo in considerazione la prassi governativa che si sta oggi sempre più consolidando, al fine ultimo di tutelare il supremo bene della salute collettiva (articolo 32 Costituzione).

 

Indice:

Premesse

1. Situazioni emergenziali e “risposte” ordinamentali: la fonte (domestica) suprema e maestra, la Costituzione

2. La limitazione/compressione di diritti fondamentali: è possibile? E se sì, in che modo? E con quali strumenti?

3. Una questione non puramente semantica, e il rischio di creare una prassi e un precedente fortemente distorsivo; un fumus di incostituzionalità. Forma est substantia rerum.

 

Premesse

Macchiavelli, e ancor prima Cicerone, affermavano che la salute pubblica è la “legge suprema”, e che quando è in gioco la vita di uno Stato, tutto ciò che è destinato a risolvere la questione, deve considerarsi, senza dubbio alcuno, valido e legittimo.

In linea di massima, e seguendo il quanto mai dimenticato buon senso, che appare sicuramente necessario, ma mai sufficiente, quanto sopraddetto sembra stagliarsi e potersi assolutamente applicare anche a quanto sta accadendo nel nostro Paese, impegnato a combattere un nemico invisibile.

Ma è effettivamente così? Si può, nel nome di un preminente interesse collettivo, quale la salute, e il conseguente contenimento dell’epidemia in corso, far soccombere, seppur temporaneamente, ma con gravi conseguenze, alcuni principi fondamentali, che regolano il nostro ordinamento, sovvertendo la gerarchia delle fonti, e il testo costituzionale? Seguendo due brocardi, sempre utili e saggi (come del resto lo è il latino, nella sua eterna immortalità), e cioè “in medio stat virtus”, e “est modus in rebus”, verrebbe proprio da affermare no, non è possibile, o quantomeno non lo è del tutto, l’ordinamento giuridico, va sempre rispettato e salvaguardato, da qualsiasi ingerenza esterna e potenzialmente foriera di pericoli.

Perciò, in via di prima approssimazione, sì, è assolutamente necessario assumere misure rapide, flessibili, drastiche e (possibilmente) efficaci, ma sempre e comunque nel rispetto del diritto e della legalità (in primis della Costituzione e dei suoi principi supremi), che rappresentano, mai come ora, un faro, una stella polare, che deve illuminare, in un momento buio come questo, l’azione politica e statale, oltre che quella di tutti i consociati.

 

1. Situazioni emergenziali e risposte ordinamentali: la fonte (domestica) suprema e maestra, la Costituzione

Il primo passo da compiere, per affrontare questa complessa, delicata, e per certi aspetti, nuova questione, è quello di chiedersi se il nostro ordinamento preveda una disciplina, un corpus normativo, che permetta di risolvere le emergenze, che ci si potrebbe trovare ad affrontare; e, come sempre dovrebbe accadere, per trovare una risposta a un interrogativo giuridico (di così tale portata), la fonte che in primis andrebbe consultata, è quella costituzionale (insieme ai suoi principi supremi), che com’è ben noto, si pone (insieme ai propri principi) al vertice della gerarchia delle fonti (domestiche) dell’ordinamento statale.

Dopo aver chiarito qual è l’obiettivo che si intende cercare di raggiungere in questo primo paragrafo, e prima di rispondere alle suddette questioni, sembra doveroso, quantomeno, indagare il significato di un termine chiave nel caso di specie, ossia “emergenza”. Cosa si intende per “emergenza” (nella sua accezione di evento straordinario e imprevedibile)?

Secondo il vocabolario online dell’enciclopedia Treccani, dicasi “emergenza” una “circostanza imprevista”, un “accidente”. Ma non solo, in quanto (cito testualmente), sull’esempio dell’ingl. emergency, particolare condizione di cose, momento critico, che richiede un intervento immediato, soprattutto nella locuzione stato di emergenza (espressione peraltro priva di un preciso significato giuridico nell’ordinamento italiano, che, in situazioni di tal genere, prevede invece lo stato di pericolo pubblico). Con usi più generici e più com.: avere un’e.esseretrovarsi in una situazione di e., di improvvisa difficoltà; intervenire solo in caso di e.formare un governo di e.; adottare provvedimenti di e., eccezionali, ma resi necessari dalla particolare situazione; cercare un rimedio d’emergenza. 

Ergo, dopo aver inquadrato semanticamente (ma non solo) l’essenza più profonda del termine “emergenza”, appare evidente come l’attuale e gravissima situazione sanitaria che il nostro Paese (e il globo intero) sta vivendo, sia a tutti gli effetti una vera e propria “emergenza”, che, come tale, richiede risposte rapide, celeri, immediate, flessibili ed efficaci, allo scopo di superarla il prima possibile, e con il minor danno, sotto tutti i punti di vista.

Come reagisce il nostro ordinamento giuridico, in casi come quelli appena detti ed enunciati? E soprattutto, cosa prevede, se lo prevede, la Costituzione in merito?

Anzitutto, è subito bene precisarlo, come il nostro dettato costituzionale, non prevede alcuna disposizione che potremmo rubricare come “stato di emergenza”, al contrario di ciò che accade in altri testi costituzionali, e ordinamenti, anche a noi prossimi, quali Francia, Spagna e Germania.

Perché i padri costituenti, più di 70 anni fa, decisero (saggiamente) di non inserire alcun specifico articolo ad hoc, che regolamentasse situazioni emergenziali particolari (guerre escluse), nonostante vi fu un fervente e lungo dibattito sul punto nella seconda sottocommissione?

La risposta è presto detta, e di immediata comprensione, e come al solito, è radicata nella storia, più prossima, in particolar modo nell’esperienza ampiamente fallimentare della Repubblica di Weimar, e della sua relativa costituzione, in ispecie, nell’articolo 48; tale disposizione (di cui non appare necessario fornire ulteriori approfondimenti in questa sede) ha di fatto aperto le porte alla nascita del regime nazionalsocialista, guidato da Adolf Hitler.

Questo, di certo, rappresenta uno dei motivi più rilevanti (ma non di certo l’unico) per cui si optò per non inserire alcuna clausola modellata sull’anzidetto articolo 48, onde evitare di poter ripiombare nell’incubo di un’altra dittatura, come quella tragicamente appena conclusasi.

Si è perciò capito ed affermato come la nostra attuale carta costituzionale non presenti alcun articolo che preveda, e regoli di conseguenza, specificamente, particolari situazioni emergenziali, come invece è previsto all’interno del dettato costituzionale francese, all’articolo 16; ma ciò non permette di dire però che in sede di assemblea costituente si ignorò il problema e non si previse alcun strumento per affrontare situazioni di urgente e indifferibile gravità (stato di guerra escluso).

Allora, qual è, o quali sono le modalità con cui si può intervenire per arginare, e fronteggiare situazioni, ed eventi eccezionali, previste all’interno della Costituzione?

L’articolo 77 prevede un eccezionale e straordinario strumento, che permette, nel rispetto della legalità, di intervenire celermente con provvedimenti ad hoc, per risolvere problemi indifferibili, e di straordinaria urgenza e necessità; si tratta della c.d. “decretazione d’urgenza”, adottata attraverso lo strumento del decreto-legge, dal governo, in luogo del Parlamento (formato dalla Camera dei Deputati e dal Senato della Repubblica), il quale, è ben noto, essere il detentore del monopolio legislativo, ex articolo 70 Costituzione, nonostante ciò non sia sempre chiaro a tutti, giuristi e (soprattutto) esecutivo, compresi.

Non è di certo questa la sede e il momento appropriato per dilungarsi sulla decretazione d’urgenza, le sue modalità di formazione, il suo abuso e la sua regolamentazione ex l. 400/1988, basti solo sottolineare come in casi di necessità, straordinarietà, ed urgenza, il potere legislativo sia esercitabile non più direttamente dal Parlamento, bensì dal Governo, in via derogatoria ed eccezionale, e ciò si giustifica proprio per le particolari esigenze di celerità di quelle particolari circostanze, che non potrebbero essere assolte e risolte al meglio, seguendo l’ordinario iter legislativo.

Per “ritornare” però alla legalità, è previsto che il Parlamento analizzi, possa emendare, e quindi valutare e sindacare l’atto governativo, dovendolo convertire in legge ordinaria, entro 60 giorni dalla sua emanazione, pena la perdita di qualsiasi valore ed efficacia.

E ancora, il decreto-legge, atto con forza di legge, è sindacabile, come tale categoria di atti (in cui vi rientrano anche i decreti legislativi delegati) innanzi al “giudice delle leggi”, la Corte Costituzionale.

Ecco che si contemperano e si bilanciano perfettamente sia esigenze di celerità, immediatezza ed efficacia di provvedimenti normativi e esigenze di rispetto dell’ordinamento, dello stato di diritto e delle istituzioni liberal democratiche, cosa che non è invece assicurata con altri tipi di atti, quali quelli amministrativi, come il dPCM, su cui tra breve si porrà specificamente l’attenzione.

Un’altra fondamentale garanzia che assiste i decreti-legge viene data dall’articolo 87 Costituzione, il quale stabilisce come, tra i vari poteri del Presidente della Repubblica, vi sia quello di “emanare i decreti aventi valore di legge…”.

Un altro connotato che in atti squisitamente amministrativi e “unilaterali” quali gli appena citati dPCM non si riscontra è la sindacabilità di questi dinanzi ai giudici della Consulta, essendo impugnabili solamente dinanzi al giudice amministrativo, nei modi e nei tempi (stringenti) previsti dal codice del processo amministrativo.

Dopo questa premessa iniziale, doverosa, il passaggio successivo è quello di stabilire se in casi di necessità e urgenza, in ossequio a quanto si appena avuto modo di dire, alcuni diritti fondamentali, enunciati nella Costituzione, quali quelli ex articoli 16, 17, 18, 19 e 41, possano essere seppur temporaneamente limitati, in un bilanciamento di interessi che deve contemperare esigenze di rilevante importanza, spesso (quasi sempre) confliggenti.

Dopo aver cercato di chiarire ciò, si passerà a stabilire i modi, le modalità, e gli strumenti, con cui si può intervenire, in situazioni del tutto eccezionali, e giova ripeterlo, provvisoriamente, su alcuni diritti, e libertà fondamentali garantite a ciascun consociato presente sul territorio nazionale.

 

2. La limitazione/compressione dei diritti fondamentali: è possibile? E se sì, in che modo? E con quali strumenti?

Si diceva, in situazione straordinarie e di necessità è possibile limitare, restringere, comprimere, alcuni diritti e libertà fondamentali espressamente sanciti, e garantiti dal nostro dettato costituzionale?

Calando l’interrogativo nel caso di specie, durante il corso di una pandemia, è possibile limitare la libertà di circolazione e di transito spettante a chiunque a tutela del diritto alla salute ex articolo 32 Costituzione?

La risposta la si rintraccia chiaramente nell’articolo 16 Costituzione, il quale recita: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.

Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge.

Si ricava perciò chiaramente dal primo comma come la fondamentale libertà di soggiorno e di circolazione, costituzionalmente sancita e garantita, in casi straordinari (“motivi di sanità o di sicurezza”) possa essere ristretta, limitata, o addirittura, seppur temporaneamente soppressa; ciò non è chiaramente possibile, per ovvi motivi, in caso di mere “ragioni politiche”, dato che (fortunatamente) viviamo in uno Stato democratico, in cui ex articolo 21 Costituzione chiunque può esprimere liberamente il proprio pensiero, attraverso qualsiasi mezzo, e quindi anche le proprie idee e preferenze politiche, il tutto però, sempre nel rispetto della legge, che rappresenta il limite ultimo, non solamente in questo particolare caso di specie.

Perciò, alla luce di quanto appena detto, si è capito, come sia ben possibile, e anzi necessario, limitare e restringere questa fondamentale libertà in casi eccezionali, e cioè al fine di tutelare la salute pubblica, e la sicurezza dei consociati, facendo sì che questa (libertà di movimento, soggiorno e circolazione) seppur temporaneamente venga a “soccombere” dinanzi a interessi, in quel momento storico, preponderanti, quali la salute collettiva.

Indi per cui, la “bilancia” su cui pesare le due esigenze, in questo caso contrapposte, pende (giustamente, e nell’interesse della collettività, anche se ai più distratti e superficiali può non sembrare così) dal lato della “sanità” e della “sicurezza”, clausola ampia e onnicomprensiva, che di fatto poi, almeno semanticamente, rappresenta l’altro lato della medaglia del termine “sanità”.

Appreso quindi, come la limitazione e la restrizione di alcuni diritti e libertà fondamentali sia non solo legittima, ma necessaria, per affrontare al meglio situazioni emergenziali, nel doveroso interesse di tutti, è necessario capire come, con quali strumenti, e di conseguenza chi possa operare tali limitazioni e/o restrizioni; lo stesso discorso, testè fatto per la libertà di circolazione e soggiorno all’interno del territorio nazionale, è estensibile anche ad altre libertà e diritti fondamentali, quali quelli ex articoli 17-19 e 41 (riunione e associazione, professione della propria fede religiosa e iniziativa economica).

Il tema quindi è il seguente: appreso che tali limitazioni sono possibili e pienamente legittime, in situazioni di estrema emergenza, è possibile, per affrontarla subitaneamente, e con la massima celerità, stravolgere il sistema della gerarchia delle fonti, e di fatto, “sospendere” in deroga il funzionamento e le dovute procedure, costituzionalmente stabilite, previste nel nostro ordinamento?

La risposta deve essere assolutamente, e ci tengo a sottolinearlo con fermezza, negativa, perché non solo si va a violare quanto prescritto a livello costituzionale, agendo perciò quanto meno in maniera sospettosamente illegittima (fumus di incostituzionalità), ma si andrebbe anche di fatto a scardinare tutti i meccanismi, e la cultura costituzionale che ha caratterizzato il nostro ordinamento statale, e la sua vita, da più di 70 anni a questa parte.

Per evitare questo, il dettato costituzionale, redatto da persone estremamente saggie e pragmatiche (con diverse sensibilità), con una grande visione del futuro, e di quelle che sarebbero potute essere le sue istanze, ha previsto regole e modalità ben precise, per poter agire in situazioni emergenziali, evitando che si venisse a creare il caos e l’anarchia, specie in situazioni particolarmente delicate, in cui cedere a ciò, sarebbe del tutto mortifero ed imperdonabile, oltre che non conforme al nostro ordinamento giuridico.

E qual è l’istituto a tal fine preposto, oltre alla decretazione d’urgenza? La nota “riserva di legge”, baluardo, insieme al principio di legalità dell’ordinamento giuridico, e dei suoi principi.

Se si leggono le disposizioni normative contenute all’interno del dettato costituzionale, ci si imbatterà più e più volte in questo tipo di istituto, oltre che nel appena citato principio di legalità; ma come lo si rintraccia? E quali sono le sue funzioni?

Dal punto di vista semantico, e della tecnica redazionale (eccelsa nella Costituzione, al contrario di quello che avviene negli atti normativi emanati ormai da più di vent’anni a questa parte) prendere immediatamente contezza della riserva di legge (sia relativa che assoluta), è molto semplice; la si riscontra ogniqualvolta si ritrovano i seguenti periodi: “nei soli casi e modi previsti dalla legge”, “in base alla legge”, e “secondo la legge”. In base all’intensità, distinguiamo tra riserva di legge relativa (a disciplinare in dettaglio la materia e a darvi precisa e puntuale esecuzione possono concorrere anche altre fonti normative secondarie, diverse quindi dalla legge, quali i regolamenti) ovvero assoluta (in cui la materia non può in alcun modo essere regolamentata da altri atti normativi che rivestano una forma differente dalla legge ordinaria).

Ecco quindi la risposta agli interrogativi sopra posti, tali restrizioni sono legittime e possibili, solamente se effettuate nel rispetto della riserva di legge, assoluta o relativa che sia, mentre non sarebbero assolutamente valide ed ammissibili, se effettuate con strumenti diversi, specie se trattasi (solamente) di atti amministrativi, che non sono assistiti da alcuna garanzia per i consociati (intervenire su diritti fondamentali si può ben capire come non sia di certo qualcosa di indolore e banale, seppur talvolta necessario, appare evidente).

È sempre bene ricordare, come la riserva di legge non sia una riserva di materia e/o di competenza posta in capo al legislatore, bensì un vincolo per lo stesso, il quale non può esimersi dallo svolgere la propria funzione legislativa, demandandola ad altri soggetti, quali ad esempio l’esecutivo.

 

3. Una questione non puramente semantica, e il rischio di creare una prassi e un precedente fortemente distorsivo; un fumus di incostituzionalità. Forma est substantia rerum

Ora, non resta che prendere brevemente in considerazione come le istituzioni statali abbiano reagito all’attuale emergenza sanitaria in atto, andando ad esaminare la prassi che il governo sta ponendo in essere, del tutto inconsueta e inedita (per certi versi), per affrontare questa situazione emergenziale, che per dovere di cronaca, seppure non necessario, in quanto lapalissiano, è anch’essa una novità, per la sua immensa forza e distruttività.

Si procederà quindi a fare una breve cronistoria delle modalità e degli atti posti in essere dall’esecutivo per arginare e contrastare il contagio, che è ancor oggi drammaticamente dilagante, per poi sottolinearne le storture che questi stanno creando alla Costituzione, al sistema costituzionale, e al nostro ordinamento giuridico in generale.

Il primo soggetto italiano contagiato sul territorio nazionale (grazie al primo cluster a Codogno), il c.d. paziente 1, risulta positivo al tampone il 21 febbraio scorso; da quel momento (rectius, da lì a breve) inizia la sequela, ormai infinita di dPCM, che si stanno susseguendo costantemente e a breve termine, da più di un mese ad oggi.

Prima però dell’emanazione di un decreto-legge, antecedente ai vari dPCM, il c.d. “decreto madre” (D.L. 06/2020), così come definito anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri, il Prof. Avv. Giuseppe Conte, occorre fare un ulteriore passo indietro nel tempo, e più precisamente, fermarsi al 31 gennaio 2020, quando in tempi, per la totalità della popolazione, ma non solo, ancora non “sospetti” (in quanto il virus stava dilagando “solamente” in Asia, e in particolare in Cina e in Corea del Sud), il Consiglio dei Ministri, delibera lo stato di emergenza nazionale, preoccupato dall’andamento del contagio, e su raccomandazione della WHO (l’Organizzazione Mondiale della Sanità), per prepararsi ad affrontare quello che da lì a poco sarebbe diventata tristemente la realtà; il termine in cui scadrà l’anzidetto “stato di emergenza nazionale”, è fissato nel 31 luglio, ossia sei mesi dal momento della sua proclamazione.

Prima di evidenziare alcune incongruenze e storture giuridico costituzionali, appare necessario descrivere brevemente cosa sia lo “stato di emergenza” nazionale, quali siano le sue funzioni, quale sia la sua durata, e chi possa legittimamente dichiararlo.

“In Italia gli eventi calamitosi sono classificati in base ad estensione, intensità e capacità di risposta del sistema di protezione civile. Per le emergenze di rilievo nazionale che devono essere, con immediatezza d'intervento, fronteggiate con mezzi e poteri straordinari, il Consiglio dei Ministri delibera lo stato di emergenza, su proposta del Presidente del Consiglio, acquisita l’intesa della regione interessata.

Lo stato di emergenza può essere dichiarato al verificarsi o nell’imminenza di calamità naturali o eventi connessi all'attività dell'uomo in Italia. Può essere dichiarato anche in caso di gravi eventi all’estero nei quali la protezione civile italiana partecipa direttamente

Il Codice della Protezione Civile (Decreto legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018), ridefinisce la durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale, portandola a un massimo di 12 mesi, prorogabile di ulteriori 12 mesi.

La delibera dello stato di emergenza stanzia l’importo per realizzare i primi interventi. Ulteriori risorse possono essere assegnate, con successiva delibera, a seguito della ricognizione dei fabbisogni realizzata dai Commissari delegati. Nella delibera viene indicata anche l'amministrazione pubblica competente in via ordinaria che subentra nelle attività per superare definitivamente le criticità causate dall’emergenza.

Agli interventi per affrontare l’emergenza si provvede con ordinanze in deroga alle disposizioni di legge ma nei limiti e secondo i criteri indicati con la dichiarazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico. Le ordinanze sono emanate dal Capo del Dipartimento della Protezione Civile, se non è diversamente stabilito con la deliberazione dello stato di emergenza. L’attuazione delle ordinanze è curata, in ogni caso, dal Capo del Dipartimento. Allo scadere dello stato di emergenza viene emanata un’ordinanza “di chiusura” che disciplina e regola il subentro dell'amministrazione competente in via ordinaria”.

Ora, è il momento di passare a capire come le istituzioni statali, dopo aver proclamato (doverosamente) lo stato di emergenza nazionale, abbiano agito.

Come è stato evidenziato poco sopra, il primo atto normativo emanato per porre un argine all’inizio del contagio, che si è dimostrato sin da subito molto aggressivo e rapido, è stato un decreto-legge, in ossequio al dettato costituzionale, il quale, come si è già avuto modo di dire, in caso di situazioni di necessità ed urgenza, prevede come strumento principe proprio quello della decretazione d’urgenza, adottata dall’esecutivo, e convertita (eventualmente) dal Parlamento, affinché “si ritorni alla legalità”, e questo non venga del tutto spodestato della sua funzione principale, il monopolio della formazione delle leggi.

E fin qui, verrebbe da dire tutto bene, dato che oltretutto, oltre ad usare finalmente la decretazione d’urgenza da parte dell’esecutivo, in situazioni davvero tali, e non per approvare i provvedimenti più disparati, e che di urgente non hanno nulla, in tempi brevi, il Parlamento ha convertito quasi subitaneamente (e di questo gliene va dato “merito”), il decreto in legge ordinaria; allora, cos’è che preoccupa in questi giorni alcuni costituzionalisti, e chiunque abbia un minimo di spirito critico e di interesse verso determinate questioni?

La ormai nota (a chiunque) prassi di adottare, quasi quotidianamente, un dPCM con cui il Presidente del Consiglio, su intesa e d’accordo con i Ministri competenti, dà attuazione nel dettaglio alle misure generali contenute nel decreto-legge 06/2020; a sua detta questo strumento permette di seguire, giuridicamente parlando, il rapidissimo e tragico sviluppo del contagio, che sembra non conoscere ad ora alcun limite. Quindi, attraverso un atto amministrativo, non dotato di forza di legge (al contrario del decreto-legge), emanato unilateralmente, e sostanzialmente insindacabile, si adottano giorno per giorno (da non intendersi sempre alla lettera), le misure necessarie.

Si è quindi “inaugurata” questa prassi, questo nuovo regime giuridico in caso di emergenze, secondo cui attraverso l’adozione di un atto amministrativo, che trova la propria “fondazione” e “legittimazione” in un sottostante e precedente decreto-legge, si può agire rapidamente per adottare le varie misure all’uopo necessarie.

E ciò, va detto, ed è stato sottolineato anche dal PdCM, durante la recente informativa alla Camera, è un’assoluta novità per il nostro ordinamento giuridico, che si è trovato a dover affrontare, quasi dall’oggi al domani, una situazione gravissima, senza precedenti, e di portata planetaria.

Superata la questione del se si possono comprimere o meno temporaneamente certi diritti o libertà, facendoli soccombere dinanzi a interessi in quel momento prevalenti, e di assoluta necessità, e indifferibilità, a tutela della collettività, in quanto esplicitamente previsto in Costituzione, ma non solo, anche in alcune fonti sovranazionali (che sappiamo porsi al vertice della gerarchia delle fonti del diritto), quali la CEDU (articolo 15) e il Patto per i Diritti Civili e Politici del 1966, resta da capire come mai ad affrontare questa emergenza sia di fatto solo l’Esecutivo (e la protezione civile ovviamente), e perché il Parlamento in sede di conversione del c.d. “decreto madre” (D.L. 06/20) non si è interrogato circa la portata e l’ampiezza dei poteri delegati al governo, per la risoluzione dell’attuale e straordinaria crisi sanitaria.

Perché questa nuova prassi rischia di essere “pericolosa” e presenta non pochi fumus di incostituzionalità (che però non possono essere rilevati dal giudice delle leggi), seppur prima facie, possa sembrare (magari) adatta alla situazione, data la celerità e l’immediatezza con cui vengono emanati questi atti (amministrativi)?

Per i motivi che già nel primo e nel secondo paragrafo si sono enunciati, e cioè che un atto amministrativo, sostanzialmente insindacabile, e unilateralmente adottato, non è soggetto al controllo democratico dell’assemblea parlamentare, né tantomeno, soprattutto, è sindacabile dalla Corte Costituzionale, ma eventualmente è impugnabile solamente dinanzi al competente giudice, e cioè il giudice amministrativo, e questo crea non pochi problemi giuridici, anche perché quegli atti stanno incidendo significativamente sulla vita quotidiana di chiunque. Lo stesso vale per tutte le varie ordinanze, che sono sempre atti amministrativi, emanati via via da Sindaci e dai vari Presidenti delle Regioni.

Pertanto, non si tratta solamente di una questione puramente stilistica, semantica, di nomen iuris, ma di una vera e propria differenza sostanziale, specie oggi in cui il rischio di una confusione terminologica, che implicherebbe però enormi e significative differenze, sotto tutti i punti di vista, è elevatissima, dato che specie nei media, e negli organi di informazione, vengono quotidianamente riportate affermazioni del tutto atecniche, e che di fatto sono dei veri e proprio abomini giuridici, quali “reato penale” et similia, oltre a credere, e soprattutto a far credere, che un decreto-legge, un’ordinanza, e un dPCM siano la medesima cosa, intanto a detta di qualcuno, cito testualmente “quello che conta è il contenuto, e gli effetti che questo produce”.

Non è di certo questo il momento, e la sede opportuna per distinguere in nuce e puntualmente le differenze (abissali) che distinguono un decreto-legge, da un’ordinanza di un Sindaco o di un Presidente di Regione, da quella del Capo della protezione civile (emanate ex codice della protezione civile), da un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da una circolare; basti dire, che sono atti tra di loro ontologicamente, e radicalmente diversi, sotto tutti i punti di vista.

Si è detto che la Costituzione non si occupa direttamente e specificamente di situazioni emergenziali, con strumenti ad hoc (decretazione d’urgenza a parte, e stato di guerra), ma un insegnamento molto importante, spesso proditoriamente dimenticato, ce lo fornisce, ed è il seguente: la centralità del Parlamento, come istituzione democratica, e di confronto, di composizione delle varie istanze dei cittadini, per il normale e fisiologico svolgimento della vita democratica, e a maggior ragione delle situazioni di estrema emergenza, tant’è, che come si è già più volte tenuto a sottolineare, è questo il detentore del monopolio legislativo, ex articolo 70 della Costituzione.

Indi per cui la prassi che in questo momento e mai come ora dovrebbe essere seguita (a mio modestissimo avviso) è la seguente: il Parlamento ricomincia a svolgere la propria funzione, e il governo lo affianca, e lo coadiuva, eventualmente sostituendosi ad esso, nell’adozione di alcuni provvedimenti normativi, con la decretazione d’urgenza, come avvenuto in prima battuta, e come dovrebbe normalmente accadere in queste circostanze straordinarie.

Sarebbe perciò doveroso che i parlamentari (giustamente preoccupati e timorosi della propria salute), ritornassero, con qualsiasi modalità (anche non in presenza) a svolgere la loro funzione, mai come ora fondamentale, al netto del rispetto di tutte le necessarie misure per il contenimento del contagio, che rappresentano l’unica “ancora di salvezza”, dato che saranno i nostri comportamenti virtuosi a permettere di sconfiggere questo nemico invisibile, ma tremendo, che ha già mietuto davvero troppe vittime.

Quello che invece va assolutamente deprecato in questo momento è la smania ossessivo compulsiva di alcuni “politici”, che sono alla costante ricerca del consenso, e che speculano, disinformando, e cavalcando le normali e comprensibili paure e pulsioni più profonde della popolazione, dimostrandosi ora come mai, dei veri e propri “sciacalli” del mondo politico.

Come ha giustamente sottolineato il Presidente del Consiglio, arriverà anche il momento delle valutazioni politiche, circa le modalità, più o meno adeguate della gestione di questa situazione travolgente e straordinaria, sotto tutti i punti di vista, ma andrà rigorosamente differita ad un momento futuro, e soprattutto andrà operata “frigido pacatoque animo”.

L’argomento è di disarmante, e tragica attualità, e meriterebbe un approfondimento ben più complesso e completo, dato che vi sarebbero anche molti altri temi da toccare, per avere una visione (quasi) onnicomprensiva della questione, quale il quadro sanzionatorio (mutato con l’ultimissimo decreto-legge adottato, non essendo più contravvenzionale, ma bensì depenalizzato in illecito amministrativo, punito per cui con una sanzione amministrativa pecuniaria, che va da 400 fino a 3000 euro), le modalità e i limiti con cui i cittadini possono essere “controllati” con mezzi tecnologici negli loro spostamenti, e svariate altre questioni, attinenti non solamente il diritto pubblico/costituzionale, ma quello che premeva era cercare di condividere alcune brevi riflessioni, su alcuni punti che mai come oggi sono sotto gli occhi di tutti.

Per un quadro più completo di una questione assai complessa e ampia, che tocca svariati rami del diritto, si invita alla lettura degli articoli sotto riportati.

Letture consigliate:

Emergenze e diritti fondamentali, di Carlo Blengino, pubblicato su ilpost.it giovedì 19 marzo 2020.

La tutela dei diritti fondamentali nell’ambito dell’emergenza COVID-19, di Grazia Ofelia Cesaro, pubblicato su diritto24.ilsole24ore.com, il 25 marzo 2020.

I rischi di una confusione semantica ai tempi dell’emergenza Coronavirus, tra Decreti-legge, ordinanze, DPCM e circolari, pubblicato su iusinitinere.it il 18 marzo 2020.

Stato d’emergenza e Costituzione, pubblicato su iusinitinere.it il 27 marzo 2020.

Coronavirus, limitazioni di diritti e libertà fondamentali e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, di Gian Luigi Gatta, pubblicato su sistemapenale.it il 16 marzo 2020.