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Danni alla persona e Pubblica Amministrazione: verso un nuovo diritto privato?

Introduzione

Le problematiche relative al conflitto fra gli interessi dei cittadini (danneggiati) e quelli dell’amministrazione (danneggiante) si collocano in un contesto normativo recentemente e profondamente riformato, caratterizzato dal progressivo avvicinamento del diritto amministrativo al diritto civile, e dalla parallela estensione dell’area del (nuovo) diritto privato della pubblica amministrazione.

Il legislatore dell’ultimo decennio ha compiuto un ampio percorso riformatore, che ha investito, con leggi di privatizzazione, di liberalizzazione e di semplificazione, le attività, la personalità, le fonti, di produzione e di cognizione, della P.A. e dei soggetti alla stessa collegati e dalla stessa controllati, riconoscendo, d’altro canto, nuovi diritti ai cittadini - quali il diritto alla privacy (l. n. 665 del 1996), il diritto di accesso e quello di ottenere un provvedimento espresso a conclusione del procedimento amministrativo (l. n. 241 del 1990), il diritto all’informazione di fonte pubblica (l. n. 150 del 2000).

Si impone pertanto all’attenzione dell’interprete la contrapposizione fra i (nuovi) interessi dei cittadini - cui accordare tutela di fronte agli illeciti dannosi dell’amministrazione pubblica, anche nelle sue nuove vesti riformate e privatizzate, quali ad esempio quelle societarie - e le (vecchie) esigenze della finanza pubblica e dei dipendenti della pubblica amministrazione, ai quali le riforme di privatizzazione e di contrattualizzazione del rapporto di lavoro non hanno ad oggi assicurato neppure il diritto alla copertura assicurativa, fatta eccezione per le posizioni apicali.

Un nuovo diritto privato della pubblica amministrazione si viene delineando anche ad opera di interventi giurisprudenziali sempre più incisivi, i quali, oltre ad aver ampliato l’area del danno risarcibile, sino a ricomprendere nella stessa gli interessi legittimi e le posizioni di interesse qualificato, vanno riducendo la distanza che separa il provvedimento amministrativo dall’obbligazione di diritto civile, ponendo le premesse per la risarcibilità delle lesioni arrecate alle (nuove) situazioni soggettive.

Il filo conduttore dei più recenti orientamenti giurisprudenziali poggia sulla ricerca di un preesistente bene della vita del cittadino: il collegamento fra tale bene e l’interesse leso qualifica il secondo come meritevole di tutela; in tal modo, e ciò avviene ad esempio in materia di interessi legittimi, la condotta (illegittima) della P.A., che arreca pregiudizio al bene collegato all’interesse, è fonte del diritto al risarcimento danni, sia se si collega il diritto al risarcimento alla norma generale dell’art. 2043 c.c., per responsabilità extracontrattuale, che se lo si collega alla responsabilità da contatto sociale, tra privato e P.A., rilevante a seguito della l. 7.8.1990 n. 241 (Cass. Sez. I, 11.6.2003, n. 9366, http://www.giust.it; Cass. 10.1.2003 n. 157, LCDRom; Cons. St., Sez. V, 5.8.2001 n. 4239, FI , 2002, 1).

Afferma la Corte suprema (cass. Sez. I, 11.6.2003, n. 9366, in http://www.giust.it) che la lesione degli interessi legittimi che la legislazione riconosce in relazione alla partecipazione e all’esclusione dalle gare e all’aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, comporta il diritto al risarcimento dei danni, se vi siano violazioni delle norme di condotta della P.A. che ha indetto la gara; la violazione di regole di condotta della P.A., in quanto lesiva di soli interessi legittimi è, peraltro, condizione necessaria ma non sufficiente a far sorgere il diritto al risarcimento dei danni, che nasce solo se, con l’illegittimità del procedimento amministrativo, si ha anche un provvedimento e/o un comportamento della P.A. che causi pregiudizio, perché incide negativamente su interessi meritevoli di tutela dell’amministrato, correlati agli interessi legittimi, in rapporto a un bene della vita che spetta al titolare degli stessi.

Che ciò che rileva, ai fini dell’ammissione a risarcimento, sia l’ingiusta lesione di un interesse alla persona, è anche sostenuto, con riferimento all’art. 2059 c.c., da Cass., Sez. III, 31.5.2003, n. 8828, che, effettuando una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo, ha ritenuto inoperante il limite della riserva di legge alla quale è (era) subordinato il risarcimento del danno non patrimoniale, nel caso in cui la lesione abbia riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti, come la salute.

In materia urbanistica è ad esempio pacifico che la classificazione urbanistica di un terreno in termini di edificabilità (derivante dal piano regolatore o da una convenzione di lottizzazione) conferisce al suolo una qualità economica, autonoma e indipendente dal rilascio delle concessioni edilizie (Cass. Sez. I, 11.6.1998, n. 5821, RGE, 1998, 1143), risarcibile in quanto incisa da un atto amministrativo illegittimo che comprima la posizione di vantaggio collegata all’edificabilità, avente ad oggetto la conservazione di tale potenzialità, situazione definibile in termini di interesse legittimo oppositivo - e non di diritto pieno per la persistenza dello ius variandi che compete all’autorità preposta al governo urbanistico del territorio (Cass. Sez. I, 10.1.2003, n. 157, http://www.foroeuropeo.it).

La ricerca del bene personale, di rilievo costituzionale, è utilizzata anche al fine di verificare l’operatività del limite al quale l’art. 2059 c.c. assoggetta il risarcimento del danno non patrimoniale - riserva di legge: la Cassazione, in presenza di valori personali di rilievo costituzionale, esclude infatti l’operatività della riserva. Afferma la Corte suprema - cass. sez. III, 31.5.2003, n. 8828, CED - in relazione alla questione cruciale del limite, al quale l’art. 2059 c.c. assoggetta il risarcimento del danno non patrimoniale mediante la riserva di legge (originariamente esplicata dal solo art. 185 c.p.), che deve escludersi, allorquando vengano in considerazione valori personali di rilievo costituzionale, che il risarcimento del danno non patrimoniale, che ne consegua, sia soggetto al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p.: ciò che rileva, ai fini dell’ammissione a risarcimento, in riferimento all’art. 2059 c.c., è l’ingiusta lesione di un interesse alla persona, dal quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica. In particolare, una lettura della norma costituzionalmente orientata impone di ritenere inoperante il detto limite, se la lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti.

L’ampliamento dell’area dei danni risarcibili

Il danno è uno degli elementi maggiormente dibattuti dell’intera fattispecie della responsabilità civile della pubblica amministrazione, giacchè non tutti gli interessi che compongono la sfera giuridica soggettiva sono suscettibili, se lesi, di risarcimento.

Il percorso pretorio relativo all’individuazione dell’area del danno ingiusto ne ha via via allargato il concetto: prese le mosse dalla risarcibilità del solo diritto reale per eccellenza (la proprietà), la giurisprudenza ha esteso la tutela risarcitoria via via ai diritti reali minori, ai diritti relativi, di credito (orientamento espresso già nel leading case "Meroni"; fra le tante, Cass. Sez. III, 27.7.1998, n. 7337, GI, 1999, 1601), alle lesioni arrecate all’integrità del patrimonio (Pret. Torino 23.5.1997, Dresp, 1998, 277), alle situazioni possessorie (Cass. 28.2.1989, n. 1093, MFI, 1989; Cass. Sez.U., 22.11.1994, n. 9871, GIUS, 1994, 97; Cass. Sez. II, 28.11.2001, n. 15130, MFI, 2001), alle aspettative patrimoniali legittime - non di fatto (T.a.r. Lombardia Sez. III, 5.6.2001, n. 4215, TAR, 2001, I, 1153; anche nei rapporti familiari di fatto: Cass. Sez. III, 28.3.1994, n. 2988, GC, 1994, I, 1849; Trib. Milano 21.7.1998, NGCC, 1999, I, 598), alla libera determinazione negoziale - nel cui ambito sono stati ritenuti risarcibili i danni da lesione delle chances (Cass. Sez. lav., 14.11.2001, n. 14199, MFI, 2001; T.a.r. Lombardia Sez. III, 11.12.2000, n. 7702, UA, 2001, 199), al danno biologico (Cass. 6.4.1983, n. 2396, RGCT, 1983, 713; Cass. pen. Sez. I, 8.9.1987, n. 9811, LICDRom; Cass. Sez. III, 3.1.2002, n. 24, MFI, 2002) ed esistenziale (Cass. Sez. III, 10.2.2003, n. 1937, LICDRom, Cass. Sez. I 7.6.2000, n. 7713, GI, 2000, 1352; GdP Bologna 8.2.2001, DR, 2001, 981; GdP Verona 16.3.2000, GI, 2001, 1159; GdP Milano 18.12.2000, GI, 2001, 1159; GdP Sora 30.12.2000, AGCSS, 2001, 756; GdP Casamassima 10.6.1999, AGCSS, 1999, 724).

Si deve aggiungere che, nell’ultimo decennio, sono emersi nell’ordinamento nuovi diritti (privacy, accesso), la lesione dei quali può rientrare anch’essa nell’area del danno risarcibile: "Chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’art. 2050 del codice civile (così l’art. 18 della l. 31.12.1996, n. 675).

Il danno, arrecato o subito dalla P.A., in alcuni casi assume anche la forma di danno esistenziale, come accade nel caso del diritto all’immagine della P.a.

Il danno all’immagine di una pubblica amministrazione non rientra nell’ambito di applicabilità dell’art. 2059 del codice civile, ma è una delle fattispecie rientranti nella più generale figura del danno esistenziale (Corte dei Conti Sez.U., 23.4.2003, n. 10/SR/QM).

Gli interessi legittimi

In merito agli interessi legittimi, consolidata e uniforme posizione giurisprudenziale ha ritenuto, sino al 1999 - per ragioni di tutela dell’erario - non risarcibili le lesioni arrecate da parte della pubblica amministrazione a tali situazioni giuridiche.

In particolare, nell’ambito della grande bipartizione delle posizioni soggettive, distinte, secondo il dettato costituzionale (art. 113) in diritti e interessi, in tutti i casi in cui il privato non poteva vantare un diritto soggettivo, l’illegittima compressione della sua posizione non dava luogo ad alcun risarcimento: ciò accadeva, ad esempio, in relazione all’interesse al rilascio della concessione edilizia, situazione che non concreta un diritto neppure di fronte a strumenti urbanistici che prevedono determinate edificabilità (...) potendo(ne) comunque la P.A. discrezionalmente determinare le concrete modalità di esercizio (Cass. Sez.U., 5.3.1993, n. 2667, FI, 1993, I, 3062).

La Suprema Corte deduceva, principalmente dalla natura della posizione lesa, la conseguenza dell’inammissibilità del risarcimento: "non è dovuto il risarcimento del danno per l’illegittimo diniego di concessione edilizia, anche se sia intervenuta pronuncia di annullamento del giudice amministrativo, poiché alla posizione del privato che aspira al rilascio va riconosciuta consistenza di interesse legittimo" (così Cass. Sez.U., 20.4.1994, n. 3732, FI, 1994, I, 3050).

L’irrisarcibilità, cui la dottrina era contraria, si basava su ulteriori argomenti, il primo dei quali focalizzato sulla distinzione fra le norme di azione e le norme di relazione. In particolare, essendo la violazione di interessi legittimi legata alla lesione delle norme di azione, e cioè di norme poste in essere a fini di tutela dell’interesse pubblico, si rilevava che da una tale violazione non poteva seguire alcun risarcimento della situazione del privato eventualmente lesa (Cass. Sez.U., 7.8.1998, n. 7751, Rciv, 1999, 103).

Ulteriori argomenti a sostegno della tradizionale interpretazione dell’art. 2043 c.c., in chiave di irrisarcibilità dei danni patrimoniali scaturenti da comportamenti della P.A., lesivi di meri interessi legittimi, erano i seguenti:

- l’interpretazione letterale della norma di cui all’art. 28 della Costituzione, che circoscrive le ipotesi di responsabilità dei "funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici", specificando che gli stessi "sono direttamente responsabili (…) degli atti compiuti in violazione di diritti";

- la configurazione dell’interesse legittimo in termini di interesse processuale o procedimentale o in termini di posizione occasionalmente protetta (interesse al corretto svolgimento dell’azione amministrativa), da cui segue la sufficienza e dunque l’esaurimento della tutela accordata con l’annullamento dell’atto illegittimo, considerato misura pienamente idonea a ripristinare l’interesse pubblico violato (anche per la sottolineata possibilità di un successivo giudizio di ottemperanza, nell’ipotesi in cui la P.A. violi il giudicato);

- il fatto che la locuzione "danno ingiusto" di cui all’art. 2043 c.c. esigerebbe, fra i suoi elementi costitutivi, che il danno sia prodotto da una condotta non iure e, in base ad una concezione soggettiva dell’illecito, contra ius, ove il termine ius è identificato dal solo diritto soggettivo: l’azione per il risarcimento del danno cagionato in via extracontrattuale da un fatto illecito, civile o penale, postula che il nocumento sia contra ius cioè derivato dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva riconosciuta dall’ordinamento nella forma del diritto soggettivo (così Cass. 5.12.1980, AGCSS, 1982, 202).

Le sorti dell’azione di risarcimento promossa contro la P.A. avanti al giudice ordinario erano dunque negative, ed in proposito si erano contrapposti due principali orientamenti.

Ad avviso di una prima posizione (Cass. Sez.U., 7.8.1998, n. 7751, RCiv, 1999, 103) il giudice doveva dichiarare l’improponibilità della domanda risarcitoria per difetto assoluto di giurisdizione (per esaurimento della tutela concedibile da parte del giudice amministrativo e difetto di sussistenza dei presupposti per la concedibilità della tutela da parte del giudice ordinario, il quale doveva vagliare la pretesa in base al petitum sostanziale, circoscritto al diritto soggettivo): "il diniego della licenza o concessione edilizia (pure nelle forme del silenzio rifiuto), al pari del ritardo nel rilascio della medesima, ed ancorché sia intervenuta pronuncia del giudice amministrativo di accertamento dell’illegittimità del relativo comportamento (eventualmente anche in sede di giudizio d’ottemperanza), non consente al privato di proporre davanti al giudice ordinario azione risarcitoria contro la p. a., stante l’esperibilità di tale azione solo per fatti lesivi di diritti soggettivi, non di interessi legittimi, quali sono da qualificarsi quelli inerenti al conseguimento dell’indicato provvedimento (Cass. Sez.U., 26.2.1992, n. 2382, MGC, 1992, 2).

Ad avviso del secondo orientamento non si poteva invece correttamente presupporre l’inesistenza del diritto azionato, perchè ciò equivaleva ad anticipare una pronuncia nel merito: dunque il giudice doveva considerare ricevibile la richiesta risarcitoria azionata avanti a lui, trattandosi di questione inerente il diritto soggettivo (al risarcimento).

A parere di questo orientamento la domanda era da respingere nel merito, in quanto infondata, per assenza del requisito del danno ingiusto (e dunque del diritto al risarcimento; Cass. Sez.U., 2.6.1992, n. 6667, RC, 1993, 576; Cass. Sez.U., 18.3.1992, n. 3357, RadS, 1992, 262): "la non risarcibilità del danno per lesione di interessi legittimi - in quanto la fattispecie dell’illecito civile (art. 2043 c.c.) presuppone in ogni caso la violazione di un diritto soggettivo - comporta non l’improponibilità (per difetto assoluto di giurisdizione) ma la reiezione nel merito (per difetto del diritto) della domanda risarcitoria proposta dal privato, nei confronti della p. a., in relazione alla lesione di una sua posizione soggettiva avente consistenza di interesse legittimo" (principio affermato con riguardo alla domanda di risarcimento del danno per la ritardata erogazione di un contributo ai sensi della l. 26 giugno 1965, n. 717 da Cass. 3.7.1989, n. 3183, RGL, 1990, 647).

L’art. 13 della legge n. 142 del 1992

Il consolidato orientamento concernente l’irrisarcibilità degli interessi legittimi ha resistito anche all’intervento legislativo effettuato nel 1992, anno in cui, con l’art. 13 della legge n. 142 (legge comunitaria per il 1991), il legislatore ha ammesso la risarcibilità delle lesioni - a prescindere dalla qualificazione delle posizioni lese in termini di diritti soggettivi - arrecate in violazione della normativa comunitaria in materia di procedure di appalto.

Tale norma, attuativa delle previsioni comunitarie contenute nella direttiva CE 21.12.1989, n. 665, del Consiglio, ai sensi della quale gli Stati membri debbono dotarsi di strumenti di tutela idonei ad accordare il risarcimento alle persone lese dalla violazione delle norme sugli appalti, ha aperto la strada ad altre disposizioni, che ne hanno esteso l’efficacia, esportandola in altri segmenti dell’ordinamento (delle procedure pubblicistiche concernenti gli affidamenti di servizi e forniture): "gli articoli 12 e 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, si applicano dal 1993 anche alle procedure di appalto degli enti costituiti in forma di società per azioni di cui alla direttiva 90/531/CEE del Consiglio, del 17 settembre 1990 (così recita l’art. 11, l. 19.12.1992, n. 489).

Oltre all’art. 11 della l. n. 489/1992, che ha disposto l’applicazione della disciplina alle procedure di appalto degli enti costituiti in forma di s.P.A., l’art. 11 della l. n. 146/1994 ha previsto l’estensione delle disposizioni di cui agli articoli 12 e 13 della l. 142/1992 anche agli appalti di servizi, con disposizione attuata dall’art. 30 del d.lg. 157/1995.

La norma di cui all’art. 13, l. n. 142/1992 è stata salutata con favore da parte della dottrina, che ha espresso l’auspicio (Casetta 2001) di un’estensione generalizzata della previsione della risarcibilità degli interessi legittimi, cui avevano fornito argomentazíoni giuridiche di sostegno i richiami alla forza espansiva dei principi comunitari risarcitori ed il riferimento al principio di eguaglianza, che risulterebbe violato limitando al settore degli appalti la possibilità per i privati di ottenere il risarcimento della lesione di interessi legittimi.

Tuttavia la qualificazione data alla norma dalla giurisprudenza è stata nel senso della specialità, con conseguente impossibilità della stessa di assurgere al rango di principio, alla luce del quale interpretare le altre norme dell’ordinamento né, tantomeno, di colmare lacune in via analogica.

Afferama infatti la suprema corte che "deve escludersi che di fronte ad una posizione soggettiva qualificabile come di interesse legittimo sia configurabile una responsabilità della P.A. con conseguente obbligo di risarcimento del danno poiché l’art. 2043 c.c. collega quest’ultimo non ad una mera condotta contra ius ma alla contemporanea sussistenza di una posizione di diritto soggettivo, a nulla rilevando in senso opposto l’espressa previsione normativa contenuta nell’art. 13, 1º comma, l. 19 febbraio 1992 n. 142 (fattispecie di mancato rilascio di concessione edilizia" (così Cass. Sez.U., 5.3.1993, n. 2667, FI, 1993, I, 3062; nello stesso senso Cass. Sez.U., 10.11.1993, n. 11077, CSEP, 1994, 158: se il legislatore aveva sentito la necessità di prevedere il risarcimento per la lesione di interessi legittimi, doveva dedursi che gli stessi non fossero risarcibili in modo generale).

Interessi legittimi oppositivi e interessi legittimi pretensivi

L’importanza del cammino pretorio che ha condotto superamento del dogma della irrisarcibilità degli interessi legittimi emerge chiaramente considerando che - date le difficoltà di condannare la pubblica amministrazione ad un facere specifico - il risarcimento è l’unica forma di tutela concretamente accordabile al soggetto leso.

Una modalità tecnica utilizzata dai giudici per ovviare, almeno in parte, all’assenza di tutela per la lesione degli interessi legittimi, è consistita nella trasformazione di tali posizioni, in vario modo, in diritti soggettivi. L’argomento alla base di questa trasmutazione consiste nel definire un legame giuridicamente rilevante tra la posizione di interesse e quella del diritto, secondo le due tipologie dell’affievolimento del diritto (interessi oppositivi - diritti suscettibili di affievolimento) e dell’espansione del diritto (interessi pretensivi - diritti in attesa di espansione).

Per tal via l’illegittima incisione, da parte del provvedimento amministrativo, della posizione di interesse, qualificata in termini di diritto, consente, nel caso degli interessi oppositivi, la risarcibilità della lesione, per la retroattività dell’annullamento, che fa riemergere il diritto (illegittimamente affievolito); analogamente il ritardato rilascio del provvedimento dovuto, comprimendo un diritto, seppure in attesa di espansione, può essere considerato risarcibile.

La casistica giurisprudenziale ha considerato per tal via risarcibili i casi di illegittima revoca di provvedimenti amministrativi di tipo autorizzatorio: "l’autorizzazione all’esercizio di un’attività industriale (nella specie: per la produzione, confezione e vendita di calcestruzzo) attribuisce al soggetto, beneficiario di essa, una situazione di diritto ("d’impresa"), riconducibile al genus dei diritti soggetti ad espansione; pertanto una volta annullato dal giudice amministrativo l’atto, con cui la p. a. abbia revocato l’autorizzazione già concessa, l’interessato ha azione davanti al giudice ordinario per chiedere il risarcimento del danno, fosse o meno la p. a. investita del potere di adottare l’atto in questione" (così Trib. Roma 26.3.1982, GC, 1982, I, 2475).

Risarcibile anche la lesione della posizione sorta a seguito del rilascio del provvedimento di tipo concessorio: l’interesse legittimo diretto al conseguimento della concessione (diritto in attesa di espansione) assurge, con l’emanazione del provvedimento, a dignità di diritto soggettivo - nonostante la permanenza, in capo alla P.A., dei poteri di autotutela - per cui "nel giudizio promosso dal titolare di una concessione edilizia per conseguire i danni patiti a causa di un’illecita revoca della stessa e consistiti nel temporaneo impedimento ad erigere una costruzione, lo stesso deve rimostrare unicamente la differenza tra i costi monetari nelle due date prese in considerazione - quella nella quale avrebbe potuto realizzare la costruzione e quella in cui la costruzione stessa è stata posta in essere" (così Cass. Sez. III, 25.9.1998, n. 9588, DR, 1999, 542).

L’illegittimo provvedimento amministrativo può così dar luogo a danni risarcibili in quanto lesivo della posizione del privato - e ciò non solo nel caso di provvedimento di revoca di un precedente provvedimento ampliativo, ma anche nel caso dell’adozione di atti paralizzanti l’attività autorizzata: è da configurarsi la responsabilità aquiliana del comune che, "dopo aver consentito - tra l’altro con l’adozione di variante al piano regolatore e formulazione di parere positivo in sede procedimentale - l’emanazione di provvedimento regionale di autorizzazione alla gestione, da parte di una società privata, di un giacimento di rifiuti speciali, successivamente adotti una serie di atti illegittimi volti a rendere impossibile lo svolgimento dell’attività autorizzata, così ledendo, in violazione dell’affidamento al riguardo ingenerato, il relativo diritto sorto in capo alla società" (così il Trib. Voghera 11.1.1996, CorG, 1996, 1148).

Nell’ambito della tipologia dei "diritti suscettibili di affievolimento", sono risarcibili gli interessi legittimi collegati al diritto di proprietà, nel caso di illegittimo provvedimento amministrativo di esproprio annullato, in relazione al tempo precedente l’annullamento (annullamento che consente la ri-espansione della posizione di diritto soggettivo degradato a interesse legittimo).

Nel caso degli interessi pretensivi, qualificati come diritti in attesa di espansione, sono risarcibili le lesioni arrecate da un concorso irregolare all’aspettativa all’avanzamento di carriera (Cass., 22.3.1989, n. 1441, NgiL, 1989, 410; Cass., 12.10.1988, n. 5494, MFI, 1988); ciò, anche nel caso di reato, in quanto la norma di cui all’art. 185 c.p. non richiede il presupposto dell’ingiustizia del danno.

Le innovazioni del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80

Il legislatore delegato del 1998, con il decreto n. 80, ha stabilito, quale innovativo criterio discretivo del riparto di giurisdizione, l’individuazione di alcune materie specifiche, quali l’edilizia, l’urbanistica, i servizi pubblici, con ciò peraltro discostandosi dal criterio costituzionale che poggia sulla natura -diritto/interesse - della posizione lesa.

Il legislatore, con la norma di cui all’art. 35 del decreto, ha aperto uno spiraglio anche in merito alla questione della risarcibilità degli interessi legittimi: "Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva ai sensi degli articoli 33 e 34, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto" (art. 35, d.lg. 31.3.1998, n. 80, nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, 4° co., della l. 15.3.1997, n. 59).

L’attribuzione al giudice amministrativo del potere di pronunciare sentenze di condanna al risarcimento del danno, in materie nelle quali in tradizionale sindacato del giudice amministrativo aveva ad oggetto gli interessi legittimi, ha indotto alcuni tribunali a ipotizzare il raggiungimento del traguardo.

In particolare, dalla norma di cui all’art. 35, letta in chiave sostanziale, sono state dedotte, quali conseguenze (anche in base alla relazione governativa al decreto) sia la possibilità che il giudice amministrativo possa concedere il risarcimento dei danni arrecati mediante lesione degli interessi legittimi nelle materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, sia la possibilità, in realtà forzata, di qualificare il risarcimento del danno in termini di materia a sé stante, devoluta tout court al giudice amministrativo, idonea a ricomprendere nel suo ambito di tutela la lesione degli interessi legittimi. L’art. 35 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80 ha introdotto il principio della generale risarcibilità degli interessi legittimi, in quanto espressione del giudizio di risarcibilità di qualsivoglia lesione contra ius alla sfera giuridica di un soggetto, indipendentemente dalla natura della posizione giuridica incisa (così T.a.r. Friuli-Venezia Giulia 28.3.2000, n. 293, TAR, 2000, I, 2545).

La prevalente dottrina si è invece attestata su posizioni assolutamente contrarie, rilevando come la norma in questione sia una norma processuale, priva di effetti sostanziali, limitandosi l’articolo alla semplice devoluzione al giudice amministrativo delle questioni risarcitorie, senza estendere l’oggetto delle stesse.

Le pronunce che hanno accolto la lettura sostanziale dell’art. 35 hanno dato luogo ad una corrente rimasta minoritaria (T.a.r. Veneto 9.2.1999, n. 119, TAR, 1999, 1351; T.a.r. Friuli-Venezia Giulia, 26.7.1999, n. 903, UA, 1999, 1350): "Dal varo del d.leg. 31 marzo 1998 n. 80 è possibile desumere, in forza di argomenti letterali, logici e sistematici, il principio della generale risarcibilità dell’interesse legittimo. Non è possibile che in un giudizio amministrativo venga introitata una domanda autonoma di risarcimento del danno; a favore della necessaria correlazione tra risarcimento del danno e giudizio amministrativo di annullamento milita il dato letterale, vale a dire il dettato del 1º comma dell’art. 35 d.leg. 80/98, che fa riferimento alle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e il 5º comma del medesimo art. 35, che espressamente si riferisce al risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti amministrativi; in altri termini, la possibilità di chiedere il risarcimento danni dinanzi al giudice amministrativo deve necessariamente conseguire ad una domanda di annullamento" (T.a.r. Friuli-Venezia Giulia 26.7.1999, n. 903, UA, 1999, 1350).

Ciò anche in relazione agli interessi pretensivi: "nel caso di diniego illegittimo di concessione edilizia, l’azione risarcitoria ex art. 35 d.leg. n. 80/98 può essere promossa solo dopo che il ricorrente abbia ottenuto il rilascio della concessione; pertanto non potrà che riguardare i danni conseguenti al ritardo nell’ottenimento della concessione stessa" (così T.a.r. Lombardia 15.4.1999, n. 1190, UA, 1999, 1124).

Il panorama giurisprudenziale è così rimasto caratterizzato dall’assoluta prevalenza di pronunce contrarie ad accordare la richiesta tutela alle posizioni di interesse legittimo incise: "l’art. 35 d.leg. n. 80/1998, nel sancire la devoluzione al giudice amministrativo in sede esclusiva del potere di assicurare il risarcimento del danno nelle materie di cui ai precedenti art. 33 e 34, è una norma puramente processuale relativa al riparto, inidonea, anche in considerazione dei limiti sottesi alla l. delega n. 59/1997, a mutare il regime sostanziale della risarcibilità dell’interesse legittimo; va quindi respinta la richiesta di risarcimento del danno conseguente all’accertata illegittimità del diniego opposto dalla regione alla richiesta di autorizzazione ed accreditamento di posti letto avanzata da una casa di cura privata" (T.a.r. Lombardia 10.7.1999, n. 2585, UA, 1999, 1123).

Nessun risarcimento neppure a seguito dell’annullamento di pubblici concorsi o di procedure di aggiudicazione di contratti pubblici, come anche nell’ipotesi dell’istanza di concessione edilizia - che sottende un interesse legittimo al rilascio della stessa - seguita da un provvedimento di diniego. Nel caso di illegittimità del diniego, il difetto di risarcimento, conseguente alla mancata espansione dell’interesse in diritto soggettivo, ha superato il vaglio di costituzionalità: l’Alta Corte, sul punto, ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di costituzionalità dell’art. 2043 c.c. per violazione degli art. 3, 24 e 113 Cost. (Corte cost. ord., 8.5.1998, n. 165, CorG, 1998, 651). Del tutto prive di tutela rimangono infine le posizioni di interesse che, collocandosi sul piano dell’ordinamento generale, sono protette da norme diverse da quelle che disciplinano l’attività amministrativa, e dunque non assurgono neppure al rango di interesse legittimo.

Il revirement operato dalle sezioni riunite della corte di cassazione

La sentenza n. 500/1999 delle Sezioni Unite, muovendo dalla qualificazione degli interessi legittimi in termini di interessi sostanziali - e cioè di interessi vantati da un soggetto in ordine a un bene oggetto del potere amministrativo, consistenti in una serie di facoltà atte ad influire sul corretto esercizio del potere - li ha inclusi nell’area del danno risarcibile, individuando - ed è il terzo, rilevante, approdo della pronuncia - il metodo prognostico quale strumento utilmente impiegabile per verificare l’astratta spettanza del bene della vita (nel caso di lesione relativa ad interessi pretensivi).

La sentenza della Suprema Corte segna un rilevante punto di arrivo del cammino pretorio avente ad oggetto l’estensione dell’area del danno risarcibile, estendendo il riconoscimento della risarcibilità agli interessi legittimi ma anche delle posizioni di interesse qualificato (e dunque non semplice) diverse dai diritti soggettivi.

La corte, superando gli schermi frapposti dalle categorie giuridiche, ha individuato, quale vero oggetto del risarcimento, non tanto l’interesse legittimo, quanto, in effetti, l’interesse ad esso sottostante (preesistente rispetto all’emanazione dell’atto amministrativo), da intendersi - non in senso procedimentale, ma - in termini di bene della vita collegato alla situazione giuridica che viene lesa.

La Suprema Corte ha posto a sostegno dell’importante approdo molteplici argomenti:

- la decisa evoluzione giurisprudenziale relativa all’ampliamento dell’area del danno risarcibile ex art. 2043 c.c. (§ 2), utilizzabile quale base per il superamento dell’interpretazione tradizionale della norma stessa: in alcune ipotesi la responsabilità aquiliana a carico della P.A. era stata già ammessa, ad esempio in relazione ai comportamenti materiali ed ai casi di violazione dei limiti esterni della discrezionalità, nelle ipotesi dei diritti affievoliti e dei diritti in attesa di espansione;

- il fatto che nell’ordinamento comunitario sia ignota la distinzione fra diritto soggettivo e interesse legittimo;

- l’impiego, da parte del legislatore delegato del decreto n. 80 del 1998, in tema di riparto di giurisdizione, del nuovo criterio discretivo delle materie, in sostituzione di quello che poggiava sulla distinzione fra interessi legittimi e diritti soggettivi, indice di un’ulteriore evoluzione dell’ordinamento in materia;

- l’attribuzione al giudice amministrativo, ancora ad opera del legislatore delegato del 1998, del potere di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto (ciò ha superato il tradizionale schema che restringeva all’annullamento degli atti la generale tutela concedibile dal giudice amministrativo);

- l’interpretazione della norma di cui all’art. 2043 in chiave letterale: la norma, con l’espressione danno ingiusto, non riferisce l’ingiustizia alla condotta, ma al danno, per cui la responsabilità sancita dalla norma può essere qualificata in termini di atipicità e l’art. 2043 in termini di norma primaria: ciò implica il superamento della necessità - presupposta dalla giurisprudenza precedente il revirement - di un’altra norma che protegga la situazione incisa, qualificandola come diritto soggettivo. La nuova lettura dell’art. 2043 richiede che il danno sia prodotto non iure ma non più contra ius, come voleva l’orientamento tradizionale che qualificava illecita la condotta solo se, oltre ad essere contrassegnata dalla colpa, era anche lesiva di una posizione protetta erga omnes dall’ordinamento;

- una interpretazione del concetto di interesse legittimo in chiave non procedimentale (interesse a ricorrere) ma sostanziale, atteso il suo collegamento ad un bene della vita la cui lesione può arrecare danno: l’interesse legittimo - avendo ad oggetto una serie di facoltà collegate all’esercizio del potere amministrativo, idonee a influenzarlo allo scopo di far sì che lo stesso sia esercitato in maniera corretta, e cioè in modo tale da rendere possibile la realizzazione dell’interesse al bene - emerge quando la posizione del privato viene a confronto col potere della P.A., collegandosi ad un bene della vita che può essere inciso da un provvedimento amministrativo.

..segue: l’art. 2043 c.c. come norma primaria

Dalle considerazioni esaminate supra, la Suprema Corte muove verso la riqualificazione del danno ingiusto, che viene disidentificato, con la sentenza n. 500/1999, dal diritto soggettivo.

La norma sul risarcimento del "danno ingiusto" viene letta, nella nuova interpretazione, come contenente una clausola primaria che deve essere intesa quale danno arrecato a interessi rilevanti per l’ordinamento: "la tendenza ad una rilettura dell’articolo 2043 c.c., di cui si è fatta interprete Cassazione 500/99/Su, s’impone alla luce del principio solidaristico derivante dall’articolo 2 Costituzione, ispirato ad una concezione di giustizia distributiva, e non commutativa, che si preoccupa non di irrogare la sanzione per il colpevole, quanto di distribuite equamente le conseguenze della lesione ad un interesse comunque preso in considerazione dall’ordinamento" (così Cass. Sez. I, 10.1.2003, n. 157, http://www.foroeuropeo.it).

Per tal via è il giudice a dover verificare se un interesse sia o meno protetto e, nel caso in cui confligga con altri interessi, a dover comparare gli stessi per valutare se via sia stata una rottura risarcibile del giusto equilibrio intersoggettivo, dato che l’interesse pubblico non deve prevalere se l’azione della P.A. è illegittima e dolosa o colposa.

Al risarcimento può pertanto pervenirsi solo ove vi sia stata anche la lesione del bene della vita al quale l’interesse legittimo si ricollega, e sempre che si tratti di interesse meritevole di tutela: tale valutazione deve essere effettuata, per gli interessi oppositivi, in relazione alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio, per quelli pretensivi in base ad un giudizio prognostico di settore, relativo all’oggettivo affidamento sull’esito favorevole dell’istanza, in quanto fondata (giacché non è risarcibile una mera aspettativa di accoglimento di un’istanza infondata).

Il procedimento di accertamento che le sezioni unite rimettono al giudice può essere scomposto, in relazione all’oggetto dello stesso, nei seguenti momenti logici: verifica dell’esistenza di un danno, della qualificabilità dello stesso come ingiusto, della riferibilità del danno ad una condotta della P.A., dell’imputabilità del danno a dolo o colpa da accertare in concreto (e non via presuntiva) in capo alla P.A. come apparato (la corte indica, a tal proposito e a scopo esemplificativo, il superamento dei limiti esterni alla discrezionalità - rappresentati dai principi di imparzialità, correttezza, buona amministrazione).

Nel caso specifico le sezioni hanno concluso rilevando come la questione della risarcibilità sia questione di merito, involgendo l’accertamento della sussistenza del diritto al risarcimento: "posto che ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana in capo all’autore di un fatto lesivo di interessi giuridicamente rilevanti non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto danneggiato, va affermata la risarcibilità degli interessi legittimi, quante volte risulti leso, per effetto dell’attività illegittima e colpevole della P.A. (con accertamento che, ove competa all’ago, prescinde da una previa decisione di annullamento del giudice amministrativo), l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla, e sempre che il detto interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo (Cass. Sez.U., 22.7.1999, n. 500, FI, 1999, I, 248).

L’orientamento è stato successivamente confermato da molteplici pronunce (Cass. Sez. lav. 4.11.2000, n. 14432, MFI, 2000, Cass. Sez. III,18.4.2001, n. 5684, GI, 2001, 2380, Cass., Sez. I, 11.6.2003 n. 9366, http://www.giust.it) che pacificamente ammettono oggi la configurabilità della responsabilità civile della P.A. per il risarcimento dei danni causati dall’emanazione di atti e provvedimenti amministrativi lesivi di interessi legittimi: "la lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse giuridicamente rilevante, può essere fonte di responsabilità aquiliana, e quindi dar luogo a risarcimento del danno ingiusto, a condizione che risulti danneggiato, per effetto dell’attività illegittima della P.A., l’interesse al bene della vita al quale il primo si correla, e che detto interesse risulti meritevole di tutela alla stregua del diritto positivo (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che, in ipotesi di annullamento della delibera di nomina a direttore generale usl e conseguente inoperatività del connesso contratto, aveva ritenuto la responsabilità civile della P.A. condannandola al risarcimento del danno conseguente all’illegittimo provvedimento di nomina; così Cass. Sez. lav. 4.11.2000, n. 14432, MFI, 2000).

In punto di giurisdizione, la sentenza n. 500 ha riconosciuto, in ordine alla domanda risarcitoria proposta a seguito della lesione di interessi legittimi pretesivi, la conoscibilità della stessa da parte del giudice ordinario. Ciò perché la causa petendi ha ad oggetto il diritto al risarcimento - posizione distinta da quella sostanziale incisa, al bene della vita (che può essere anche di interesse).

Il revirement è stato infine recepito anche dal legislatore il quale, con la legge n. 205 del 2000 - art. 7 - ha rimesso tale giudizio alla cognizione del giudice amministrativo anche in sede di legittimità: accanto al mutamento di giurisdizione la legge n. 205 ha così definitivamente consacrato, introducendola a livello legislativo, la risarcibilità degli interessi legittimi: "la domanda di risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi deve contenere: a) le ragioni in base alle quali l’illegittimo provvedimento o comportamento della P.A. o delle altre parti intimate ha comportato un pregiudizio, ad essi legato da nesso causale, al ricorrente; b) l’ammontare per equivalente di detto pregiudizio, ove non si chieda la sola reintegrazione in forma specifica; c) i mezzi di prova a sostegno sia dell’affermazione che un danno è stato provocato e che sia attribuibile alla parte intimata, sia del suo ammontare (T.a.r. Friuli-Venezia Giulia 23.4.2001, n. 179, Gam, 2001, 603).

La pregiudiziale amministrativa

Il problema relativo alla necessità, per l’ammissibilità dell’istanza risarcitoria, della previa impugnativa dei provvedimenti dalla cui esecuzione deriva il danno - nonché del previo annullamento degli atti stessi - risolto in senso negativo dalla sentenza n. 500 del 1999, è attualmente al centro di un contrasto giurisprudenziale, che trova le proprie ragioni nel fatto che la legge n. 205 del 2000 ha concentrato la giurisdizione in capo al giudice amministrativo.

Infatti, da un canto, resiste l’orientamento abbozzato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 500, la cui ricostruzione aveva lo scopo di evitare gli inconvenienti derivanti dal regime cd. del doppio binario - che rendeva necessario ricorso a due forme di tutela per ottenere dapprima dal giudice amministrativo l’annullamento dell’atto e poi, dal giudice ordinario, il risarcimento del danno - ribadito da varie pronunce, che ammettono la proponibilità dell’azione di risarcimento in modo autonomo rispetto all’azione di annullamento dell’atto amministrativo, giacché "resta avvalorata la connotazione della tutela risarcitoria invocabile al giudice a prescindere dall’annullamento - quale misura minore rispetto alla rimozione dell’atto, che è ben più impegnativa per l’amministrazione che non la tutela riparatoria (così Cass. Sez. I 5.11.2002-10.1.2003, n. 157, http://www.foroeuropeo.it).

In senso contrario è l’orientamento della giurisprudenza amministrativa di primo grado (T.A.R. Campania 8.2.2001, n. 603, UA, 2001, 1134; T.A.R. Friuli - Venezia Giulia 23.4. 2001, n. 179, Gam, 2001, 603; T.A.R. Puglia Sez. Lecce I, 16.4.1999, n. 416, FI, 2000, I, 2456; T.A.R. Friuli, 26 luglio 1999, n. 903, UA, 1999, 1350) e di secondo grado, che qualificano come necessario presupposto dell’istanza risarcitoria la pregiudiziale amministrativa (Cons. St., Sez. VI, 10.6.2002, n. 3338, http://www.giustizia.amministrativa.it; Cons. St., Sez. VI, 15.2.2002, n. 252, http://www.giustizia.amministrativa.it; T.A.R. Campania 8.2.2001, n. 603, http://www.giustizia.amministrativa.it; T.A.R. Friuli - Venezia Giulia 23.4.2001 n. 179, http://www.giustizia.amministrativa.it; T.A.R. Puglia - Lecce, Sez. I, 16.4.1999, n. 416, http://www.giustizia.amministrativa.it; T.A.R. Friuli, 26.7.1999, n. 903 http://www.giustizia.amministrativa.it; T.A.R. Sicilia Palermo, Sez. I, 11.10.2001, n. 3548; http://www.giustizia.amministrativa.it) argomentando innanzitutto dal fatto che la legge n. 205 del 2000 ha concentrato la giurisdizione avanti al giudice amministrativo, con ciò mutando radicalmente i presupposti legislativi in costanza dei quali la Corte di cassazione aveva ritenuto superata la necessità della pregiudiziale amministrativa. La tempestiva proposizione della domanda di annullamento dell’atto amministrativo che si ritiene lesivo di una situazione soggettiva del ricorrente, è, per il supremo consesso, presupposto di ammissibilità del risarcimento del danno, necessario per evitare l’elusione del termine decadenziale: il giudice amministrativo non può conoscere dell’atto amministrativo in modo incidentale (ed ove ne riscontri l’illegittimità disapplicarlo come fa il giudice ordinario ex art.5 legge n. 2248/1865) per cui la proposizione dell’azione risarcitoria, non può essere indipendente dal previo esperimento di quella demolitoria (la tesi trova un ulteriore sostegno nella posizione espressa dall’alta corte nell’ordinanza n. 165/1998, che ha dichiarato l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale della irrisarcibilità della lesione degli interessi legittimi per non essere stato, nel giudizio a quo, annullato il provvedimento amministrativo di diniego della concessione edilizia).

La IV Sezione del Consiglio di Stato ha confermato che nell’ordinamento amministrativo l’azione di risarcimento del danno può essere proposta sia unitamente all’azione di annullamento o in via autonoma, ma è ammissibile solo a condizione che sia stato tempestivamente impugnato il provvedimento illegittimo e che sia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento (Cons. St. Sez. IV, 15.2.2002, n. 952; http://www.giustizia.amministrativa.it).

La controversa questione è stata da ultimo rimessa alle valutazioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana.

La posizione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

L’Adunanza Plenaria, investita della questione relativa alla necessità della pregiudiziale amministrativa in relazione all’istanza risarcimento dei danni cagionati dal provvedimento illegittimo, ha confermato, con la sentenza n. 4 del 2003, l’orientamento della giurisprudenza amministrativa di secondo grado, che ritiene necessaria la previa impugnativa dell’atto lesivo. Una volta concentrata presso il giudice amministrativo la tutela impugnatoria dell’atto illegittimo e quella risarcitoria conseguente, "non è possibile l’accertamento incidentale da parte del giudice amministrativo della illegittimità dell’atto non impugnato nei termini decadenziali al solo fine di un giudizio risarcitorio e l’azione di risarcimento del danno può essere proposta sia unitamente all’azione di annullamento che in via autonoma, ma è ammissibile solo a condizione che sia impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento, in quanto al giudice amministrativo non è dato di poter disapplicare atti amministrativi non regolamentari" (così Cons. St. 20.1.2003, n. 4, http://www.giustizia.amministrativa.it).

Introduzione

Le problematiche relative al conflitto fra gli interessi dei cittadini (danneggiati) e quelli dell’amministrazione (danneggiante) si collocano in un contesto normativo recentemente e profondamente riformato, caratterizzato dal progressivo avvicinamento del diritto amministrativo al diritto civile, e dalla parallela estensione dell’area del (nuovo) diritto privato della pubblica amministrazione.

Il legislatore dell’ultimo decennio ha compiuto un ampio percorso riformatore, che ha investito, con leggi di privatizzazione, di liberalizzazione e di semplificazione, le attività, la personalità, le fonti, di produzione e di cognizione, della P.A. e dei soggetti alla stessa collegati e dalla stessa controllati, riconoscendo, d’altro canto, nuovi diritti ai cittadini - quali il diritto alla privacy (l. n. 665 del 1996), il diritto di accesso e quello di ottenere un provvedimento espresso a conclusione del procedimento amministrativo (l. n. 241 del 1990), il diritto all’informazione di fonte pubblica (l. n. 150 del 2000).

Si impone pertanto all’attenzione dell’interprete la contrapposizione fra i (nuovi) interessi dei cittadini - cui accordare tutela di fronte agli illeciti dannosi dell’amministrazione pubblica, anche nelle sue nuove vesti riformate e privatizzate, quali ad esempio quelle societarie - e le (vecchie) esigenze della finanza pubblica e dei dipendenti della pubblica amministrazione, ai quali le riforme di privatizzazione e di contrattualizzazione del rapporto di lavoro non hanno ad oggi assicurato neppure il diritto alla copertura assicurativa, fatta eccezione per le posizioni apicali.

Un nuovo diritto privato della pubblica amministrazione si viene delineando anche ad opera di interventi giurisprudenziali sempre più incisivi, i quali, oltre ad aver ampliato l’area del danno risarcibile, sino a ricomprendere nella stessa gli interessi legittimi e le posizioni di interesse qualificato, vanno riducendo la distanza che separa il provvedimento amministrativo dall’obbligazione di diritto civile, ponendo le premesse per la risarcibilità delle lesioni arrecate alle (nuove) situazioni soggettive.

Il filo conduttore dei più recenti orientamenti giurisprudenziali poggia sulla ricerca di un preesistente bene della vita del cittadino: il collegamento fra tale bene e l’interesse leso qualifica il secondo come meritevole di tutela; in tal modo, e ciò avviene ad esempio in materia di interessi legittimi, la condotta (illegittima) della P.A., che arreca pregiudizio al bene collegato all’interesse, è fonte del diritto al risarcimento danni, sia se si collega il diritto al risarcimento alla norma generale dell’art. 2043 c.c., per responsabilità extracontrattuale, che se lo si collega alla responsabilità da contatto sociale, tra privato e P.A., rilevante a seguito della l. 7.8.1990 n. 241 (Cass. Sez. I, 11.6.2003, n. 9366, http://www.giust.it; Cass. 10.1.2003 n. 157, LCDRom; Cons. St., Sez. V, 5.8.2001 n. 4239, FI , 2002, 1).

Afferma la Corte suprema (cass. Sez. I, 11.6.2003, n. 9366, in http://www.giust.it) che la lesione degli interessi legittimi che la legislazione riconosce in relazione alla partecipazione e all’esclusione dalle gare e all’aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, comporta il diritto al risarcimento dei danni, se vi siano violazioni delle norme di condotta della P.A. che ha indetto la gara; la violazione di regole di condotta della P.A., in quanto lesiva di soli interessi legittimi è, peraltro, condizione necessaria ma non sufficiente a far sorgere il diritto al risarcimento dei danni, che nasce solo se, con l’illegittimità del procedimento amministrativo, si ha anche un provvedimento e/o un comportamento della P.A. che causi pregiudizio, perché incide negativamente su interessi meritevoli di tutela dell’amministrato, correlati agli interessi legittimi, in rapporto a un bene della vita che spetta al titolare degli stessi.

Che ciò che rileva, ai fini dell’ammissione a risarcimento, sia l’ingiusta lesione di un interesse alla persona, è anche sostenuto, con riferimento all’art. 2059 c.c., da Cass., Sez. III, 31.5.2003, n. 8828, che, effettuando una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo, ha ritenuto inoperante il limite della riserva di legge alla quale è (era) subordinato il risarcimento del danno non patrimoniale, nel caso in cui la lesione abbia riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti, come la salute.

In materia urbanistica è ad esempio pacifico che la classificazione urbanistica di un terreno in termini di edificabilità (derivante dal piano regolatore o da una convenzione di lottizzazione) conferisce al suolo una qualità economica, autonoma e indipendente dal rilascio delle concessioni edilizie (Cass. Sez. I, 11.6.1998, n. 5821, RGE, 1998, 1143), risarcibile in quanto incisa da un atto amministrativo illegittimo che comprima la posizione di vantaggio collegata all’edificabilità, avente ad oggetto la conservazione di tale potenzialità, situazione definibile in termini di interesse legittimo oppositivo - e non di diritto pieno per la persistenza dello ius variandi che compete all’autorità preposta al governo urbanistico del territorio (Cass. Sez. I, 10.1.2003, n. 157, http://www.foroeuropeo.it).

La ricerca del bene personale, di rilievo costituzionale, è utilizzata anche al fine di verificare l’operatività del limite al quale l’art. 2059 c.c. assoggetta il risarcimento del danno non patrimoniale - riserva di legge: la Cassazione, in presenza di valori personali di rilievo costituzionale, esclude infatti l’operatività della riserva. Afferma la Corte suprema - cass. sez. III, 31.5.2003, n. 8828, CED - in relazione alla questione cruciale del limite, al quale l’art. 2059 c.c. assoggetta il risarcimento del danno non patrimoniale mediante la riserva di legge (originariamente esplicata dal solo art. 185 c.p.), che deve escludersi, allorquando vengano in considerazione valori personali di rilievo costituzionale, che il risarcimento del danno non patrimoniale, che ne consegua, sia soggetto al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p.: ciò che rileva, ai fini dell’ammissione a risarcimento, in riferimento all’art. 2059 c.c., è l’ingiusta lesione di un interesse alla persona, dal quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica. In particolare, una lettura della norma costituzionalmente orientata impone di ritenere inoperante il detto limite, se la lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti.

L’ampliamento dell’area dei danni risarcibili

Il danno è uno degli elementi maggiormente dibattuti dell’intera fattispecie della responsabilità civile della pubblica amministrazione, giacchè non tutti gli interessi che compongono la sfera giuridica soggettiva sono suscettibili, se lesi, di risarcimento.

Il percorso pretorio relativo all’individuazione dell’area del danno ingiusto ne ha via via allargato il concetto: prese le mosse dalla risarcibilità del solo diritto reale per eccellenza (la proprietà), la giurisprudenza ha esteso la tutela risarcitoria via via ai diritti reali minori, ai diritti relativi, di credito (orientamento espresso già nel leading case "Meroni"; fra le tante, Cass. Sez. III, 27.7.1998, n. 7337, GI, 1999, 1601), alle lesioni arrecate all’integrità del patrimonio (Pret. Torino 23.5.1997, Dresp, 1998, 277), alle situazioni possessorie (Cass. 28.2.1989, n. 1093, MFI, 1989; Cass. Sez.U., 22.11.1994, n. 9871, GIUS, 1994, 97; Cass. Sez. II, 28.11.2001, n. 15130, MFI, 2001), alle aspettative patrimoniali legittime - non di fatto (T.a.r. Lombardia Sez. III, 5.6.2001, n. 4215, TAR, 2001, I, 1153; anche nei rapporti familiari di fatto: Cass. Sez. III, 28.3.1994, n. 2988, GC, 1994, I, 1849; Trib. Milano 21.7.1998, NGCC, 1999, I, 598), alla libera determinazione negoziale - nel cui ambito sono stati ritenuti risarcibili i danni da lesione delle chances (Cass. Sez. lav., 14.11.2001, n. 14199, MFI, 2001; T.a.r. Lombardia Sez. III, 11.12.2000, n. 7702, UA, 2001, 199), al danno biologico (Cass. 6.4.1983, n. 2396, RGCT, 1983, 713; Cass. pen. Sez. I, 8.9.1987, n. 9811, LICDRom; Cass. Sez. III, 3.1.2002, n. 24, MFI, 2002) ed esistenziale (Cass. Sez. III, 10.2.2003, n. 1937, LICDRom, Cass. Sez. I 7.6.2000, n. 7713, GI, 2000, 1352; GdP Bologna 8.2.2001, DR, 2001, 981; GdP Verona 16.3.2000, GI, 2001, 1159; GdP Milano 18.12.2000, GI, 2001, 1159; GdP Sora 30.12.2000, AGCSS, 2001, 756; GdP Casamassima 10.6.1999, AGCSS, 1999, 724).

Si deve aggiungere che, nell’ultimo decennio, sono emersi nell’ordinamento nuovi diritti (privacy, accesso), la lesione dei quali può rientrare anch’essa nell’area del danno risarcibile: "Chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’art. 2050 del codice civile (così l’art. 18 della l. 31.12.1996, n. 675).

Il danno, arrecato o subito dalla P.A., in alcuni casi assume anche la forma di danno esistenziale, come accade nel caso del diritto all’immagine della P.a.

Il danno all’immagine di una pubblica amministrazione non rientra nell’ambito di applicabilità dell’art. 2059 del codice civile, ma è una delle fattispecie rientranti nella più generale figura del danno esistenziale (Corte dei Conti Sez.U., 23.4.2003, n. 10/SR/QM).

Gli interessi legittimi

In merito agli interessi legittimi, consolidata e uniforme posizione giurisprudenziale ha ritenuto, sino al 1999 - per ragioni di tutela dell’erario - non risarcibili le lesioni arrecate da parte della pubblica amministrazione a tali situazioni giuridiche.

In particolare, nell’ambito della grande bipartizione delle posizioni soggettive, distinte, secondo il dettato costituzionale (art. 113) in diritti e interessi, in tutti i casi in cui il privato non poteva vantare un diritto soggettivo, l’illegittima compressione della sua posizione non dava luogo ad alcun risarcimento: ciò accadeva, ad esempio, in relazione all’interesse al rilascio della concessione edilizia, situazione che non concreta un diritto neppure di fronte a strumenti urbanistici che prevedono determinate edificabilità (...) potendo(ne) comunque la P.A. discrezionalmente determinare le concrete modalità di esercizio (Cass. Sez.U., 5.3.1993, n. 2667, FI, 1993, I, 3062).

La Suprema Corte deduceva, principalmente dalla natura della posizione lesa, la conseguenza dell’inammissibilità del risarcimento: "non è dovuto il risarcimento del danno per l’illegittimo diniego di concessione edilizia, anche se sia intervenuta pronuncia di annullamento del giudice amministrativo, poiché alla posizione del privato che aspira al rilascio va riconosciuta consistenza di interesse legittimo" (così Cass. Sez.U., 20.4.1994, n. 3732, FI, 1994, I, 3050).

L’irrisarcibilità, cui la dottrina era contraria, si basava su ulteriori argomenti, il primo dei quali focalizzato sulla distinzione fra le norme di azione e le norme di relazione. In particolare, essendo la violazione di interessi legittimi legata alla lesione delle norme di azione, e cioè di norme poste in essere a fini di tutela dell’interesse pubblico, si rilevava che da una tale violazione non poteva seguire alcun risarcimento della situazione del privato eventualmente lesa (Cass. Sez.U., 7.8.1998, n. 7751, Rciv, 1999, 103).

Ulteriori argomenti a sostegno della tradizionale interpretazione dell’art. 2043 c.c., in chiave di irrisarcibilità dei danni patrimoniali scaturenti da comportamenti della P.A., lesivi di meri interessi legittimi, erano i seguenti:

- l’interpretazione letterale della norma di cui all’art. 28 della Costituzione, che circoscrive le ipotesi di responsabilità dei "funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici", specificando che gli stessi "sono direttamente responsabili (…) degli atti compiuti in violazione di diritti";

- la configurazione dell’interesse legittimo in termini di interesse processuale o procedimentale o in termini di posizione occasionalmente protetta (interesse al corretto svolgimento dell’azione amministrativa), da cui segue la sufficienza e dunque l’esaurimento della tutela accordata con l’annullamento dell’atto illegittimo, considerato misura pienamente idonea a ripristinare l’interesse pubblico violato (anche per la sottolineata possibilità di un successivo giudizio di ottemperanza, nell’ipotesi in cui la P.A. violi il giudicato);

- il fatto che la locuzione "danno ingiusto" di cui all’art. 2043 c.c. esigerebbe, fra i suoi elementi costitutivi, che il danno sia prodotto da una condotta non iure e, in base ad una concezione soggettiva dell’illecito, contra ius, ove il termine ius è identificato dal solo diritto soggettivo: l’azione per il risarcimento del danno cagionato in via extracontrattuale da un fatto illecito, civile o penale, postula che il nocumento sia contra ius cioè derivato dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva riconosciuta dall’ordinamento nella forma del diritto soggettivo (così Cass. 5.12.1980, AGCSS, 1982, 202).

Le sorti dell’azione di risarcimento promossa contro la P.A. avanti al giudice ordinario erano dunque negative, ed in proposito si erano contrapposti due principali orientamenti.

Ad avviso di una prima posizione (Cass. Sez.U., 7.8.1998, n. 7751, RCiv, 1999, 103) il giudice doveva dichiarare l’improponibilità della domanda risarcitoria per difetto assoluto di giurisdizione (per esaurimento della tutela concedibile da parte del giudice amministrativo e difetto di sussistenza dei presupposti per la concedibilità della tutela da parte del giudice ordinario, il quale doveva vagliare la pretesa in base al petitum sostanziale, circoscritto al diritto soggettivo): "il diniego della licenza o concessione edilizia (pure nelle forme del silenzio rifiuto), al pari del ritardo nel rilascio della medesima, ed ancorché sia intervenuta pronuncia del giudice amministrativo di accertamento dell’illegittimità del relativo comportamento (eventualmente anche in sede di giudizio d’ottemperanza), non consente al privato di proporre davanti al giudice ordinario azione risarcitoria contro la p. a., stante l’esperibilità di tale azione solo per fatti lesivi di diritti soggettivi, non di interessi legittimi, quali sono da qualificarsi quelli inerenti al conseguimento dell’indicato provvedimento (Cass. Sez.U., 26.2.1992, n. 2382, MGC, 1992, 2).

Ad avviso del secondo orientamento non si poteva invece correttamente presupporre l’inesistenza del diritto azionato, perchè ciò equivaleva ad anticipare una pronuncia nel merito: dunque il giudice doveva considerare ricevibile la richiesta risarcitoria azionata avanti a lui, trattandosi di questione inerente il diritto soggettivo (al risarcimento).

A parere di questo orientamento la domanda era da respingere nel merito, in quanto infondata, per assenza del requisito del danno ingiusto (e dunque del diritto al risarcimento; Cass. Sez.U., 2.6.1992, n. 6667, RC, 1993, 576; Cass. Sez.U., 18.3.1992, n. 3357, RadS, 1992, 262): "la non risarcibilità del danno per lesione di interessi legittimi - in quanto la fattispecie dell’illecito civile (art. 2043 c.c.) presuppone in ogni caso la violazione di un diritto soggettivo - comporta non l’improponibilità (per difetto assoluto di giurisdizione) ma la reiezione nel merito (per difetto del diritto) della domanda risarcitoria proposta dal privato, nei confronti della p. a., in relazione alla lesione di una sua posizione soggettiva avente consistenza di interesse legittimo" (principio affermato con riguardo alla domanda di risarcimento del danno per la ritardata erogazione di un contributo ai sensi della l. 26 giugno 1965, n. 717 da Cass. 3.7.1989, n. 3183, RGL, 1990, 647).

L’art. 13 della legge n. 142 del 1992

Il consolidato orientamento concernente l’irrisarcibilità degli interessi legittimi ha resistito anche all’intervento legislativo effettuato nel 1992, anno in cui, con l’art. 13 della legge n. 142 (legge comunitaria per il 1991), il legislatore ha ammesso la risarcibilità delle lesioni - a prescindere dalla qualificazione delle posizioni lese in termini di diritti soggettivi - arrecate in violazione della normativa comunitaria in materia di procedure di appalto.

Tale norma, attuativa delle previsioni comunitarie contenute nella direttiva CE 21.12.1989, n. 665, del Consiglio, ai sensi della quale gli Stati membri debbono dotarsi di strumenti di tutela idonei ad accordare il risarcimento alle persone lese dalla violazione delle norme sugli appalti, ha aperto la strada ad altre disposizioni, che ne hanno esteso l’efficacia, esportandola in altri segmenti dell’ordinamento (delle procedure pubblicistiche concernenti gli affidamenti di servizi e forniture): "gli articoli 12 e 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, si applicano dal 1993 anche alle procedure di appalto degli enti costituiti in forma di società per azioni di cui alla direttiva 90/531/CEE del Consiglio, del 17 settembre 1990 (così recita l’art. 11, l. 19.12.1992, n. 489).

Oltre all’art. 11 della l. n. 489/1992, che ha disposto l’applicazione della disciplina alle procedure di appalto degli enti costituiti in forma di s.P.A., l’art. 11 della l. n. 146/1994 ha previsto l’estensione delle disposizioni di cui agli articoli 12 e 13 della l. 142/1992 anche agli appalti di servizi, con disposizione attuata dall’art. 30 del d.lg. 157/1995.

La norma di cui all’art. 13, l. n. 142/1992 è stata salutata con favore da parte della dottrina, che ha espresso l’auspicio (Casetta 2001) di un’estensione generalizzata della previsione della risarcibilità degli interessi legittimi, cui avevano fornito argomentazíoni giuridiche di sostegno i richiami alla forza espansiva dei principi comunitari risarcitori ed il riferimento al principio di eguaglianza, che risulterebbe violato limitando al settore degli appalti la possibilità per i privati di ottenere il risarcimento della lesione di interessi legittimi.

Tuttavia la qualificazione data alla norma dalla giurisprudenza è stata nel senso della specialità, con conseguente impossibilità della stessa di assurgere al rango di principio, alla luce del quale interpretare le altre norme dell’ordinamento né, tantomeno, di colmare lacune in via analogica.

Afferama infatti la suprema corte che "deve escludersi che di fronte ad una posizione soggettiva qualificabile come di interesse legittimo sia configurabile una responsabilità della P.A. con conseguente obbligo di risarcimento del danno poiché l’art. 2043 c.c. collega quest’ultimo non ad una mera condotta contra ius ma alla contemporanea sussistenza di una posizione di diritto soggettivo, a nulla rilevando in senso opposto l’espressa previsione normativa contenuta nell’art. 13, 1º comma, l. 19 febbraio 1992 n. 142 (fattispecie di mancato rilascio di concessione edilizia" (così Cass. Sez.U., 5.3.1993, n. 2667, FI, 1993, I, 3062; nello stesso senso Cass. Sez.U., 10.11.1993, n. 11077, CSEP, 1994, 158: se il legislatore aveva sentito la necessità di prevedere il risarcimento per la lesione di interessi legittimi, doveva dedursi che gli stessi non fossero risarcibili in modo generale).

Interessi legittimi oppositivi e interessi legittimi pretensivi

L’importanza del cammino pretorio che ha condotto superamento del dogma della irrisarcibilità degli interessi legittimi emerge chiaramente considerando che - date le difficoltà di condannare la pubblica amministrazione ad un facere specifico - il risarcimento è l’unica forma di tutela concretamente accordabile al soggetto leso.

Una modalità tecnica utilizzata dai giudici per ovviare, almeno in parte, all’assenza di tutela per la lesione degli interessi legittimi, è consistita nella trasformazione di tali posizioni, in vario modo, in diritti soggettivi. L’argomento alla base di questa trasmutazione consiste nel definire un legame giuridicamente rilevante tra la posizione di interesse e quella del diritto, secondo le due tipologie dell’affievolimento del diritto (interessi oppositivi - diritti suscettibili di affievolimento) e dell’espansione del diritto (interessi pretensivi - diritti in attesa di espansione).

Per tal via l’illegittima incisione, da parte del provvedimento amministrativo, della posizione di interesse, qualificata in termini di diritto, consente, nel caso degli interessi oppositivi, la risarcibilità della lesione, per la retroattività dell’annullamento, che fa riemergere il diritto (illegittimamente affievolito); analogamente il ritardato rilascio del provvedimento dovuto, comprimendo un diritto, seppure in attesa di espansione, può essere considerato risarcibile.

La casistica giurisprudenziale ha considerato per tal via risarcibili i casi di illegittima revoca di provvedimenti amministrativi di tipo autorizzatorio: "l’autorizzazione all’esercizio di un’attività industriale (nella specie: per la produzione, confezione e vendita di calcestruzzo) attribuisce al soggetto, beneficiario di essa, una situazione di diritto ("d’impresa"), riconducibile al genus dei diritti soggetti ad espansione; pertanto una volta annullato dal giudice amministrativo l’atto, con cui la p. a. abbia revocato l’autorizzazione già concessa, l’interessato ha azione davanti al giudice ordinario per chiedere il risarcimento del danno, fosse o meno la p. a. investita del potere di adottare l’atto in questione" (così Trib. Roma 26.3.1982, GC, 1982, I, 2475).

Risarcibile anche la lesione della posizione sorta a seguito del rilascio del provvedimento di tipo concessorio: l’interesse legittimo diretto al conseguimento della concessione (diritto in attesa di espansione) assurge, con l’emanazione del provvedimento, a dignità di diritto soggettivo - nonostante la permanenza, in capo alla P.A., dei poteri di autotutela - per cui "nel giudizio promosso dal titolare di una concessione edilizia per conseguire i danni patiti a causa di un’illecita revoca della stessa e consistiti nel temporaneo impedimento ad erigere una costruzione, lo stesso deve rimostrare unicamente la differenza tra i costi monetari nelle due date prese in considerazione - quella nella quale avrebbe potuto realizzare la costruzione e quella in cui la costruzione stessa è stata posta in essere" (così Cass. Sez. III, 25.9.1998, n. 9588, DR, 1999, 542).

L’illegittimo provvedimento amministrativo può così dar luogo a danni risarcibili in quanto lesivo della posizione del privato - e ciò non solo nel caso di provvedimento di revoca di un precedente provvedimento ampliativo, ma anche nel caso dell’adozione di atti paralizzanti l’attività autorizzata: è da configurarsi la responsabilità aquiliana del comune che, "dopo aver consentito - tra l’altro con l’adozione di variante al piano regolatore e formulazione di parere positivo in sede procedimentale - l’emanazione di provvedimento regionale di autorizzazione alla gestione, da parte di una società privata, di un giacimento di rifiuti speciali, successivamente adotti una serie di atti illegittimi volti a rendere impossibile lo svolgimento dell’attività autorizzata, così ledendo, in violazione dell’affidamento al riguardo ingenerato, il relativo diritto sorto in capo alla società" (così il Trib. Voghera 11.1.1996, CorG, 1996, 1148).

Nell’ambito della tipologia dei "diritti suscettibili di affievolimento", sono risarcibili gli interessi legittimi collegati al diritto di proprietà, nel caso di illegittimo provvedimento amministrativo di esproprio annullato, in relazione al tempo precedente l’annullamento (annullamento che consente la ri-espansione della posizione di diritto soggettivo degradato a interesse legittimo).

Nel caso degli interessi pretensivi, qualificati come diritti in attesa di espansione, sono risarcibili le lesioni arrecate da un concorso irregolare all’aspettativa all’avanzamento di carriera (Cass., 22.3.1989, n. 1441, NgiL, 1989, 410; Cass., 12.10.1988, n. 5494, MFI, 1988); ciò, anche nel caso di reato, in quanto la norma di cui all’art. 185 c.p. non richiede il presupposto dell’ingiustizia del danno.

Le innovazioni del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80

Il legislatore delegato del 1998, con il decreto n. 80, ha stabilito, quale innovativo criterio discretivo del riparto di giurisdizione, l’individuazione di alcune materie specifiche, quali l’edilizia, l’urbanistica, i servizi pubblici, con ciò peraltro discostandosi dal criterio costituzionale che poggia sulla natura -diritto/interesse - della posizione lesa.

Il legislatore, con la norma di cui all’art. 35 del decreto, ha aperto uno spiraglio anche in merito alla questione della risarcibilità degli interessi legittimi: "Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva ai sensi degli articoli 33 e 34, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto" (art. 35, d.lg. 31.3.1998, n. 80, nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, 4° co., della l. 15.3.1997, n. 59).

L’attribuzione al giudice amministrativo del potere di pronunciare sentenze di condanna al risarcimento del danno, in materie nelle quali in tradizionale sindacato del giudice amministrativo aveva ad oggetto gli interessi legittimi, ha indotto alcuni tribunali a ipotizzare il raggiungimento del traguardo.

In particolare, dalla norma di cui all’art. 35, letta in chiave sostanziale, sono state dedotte, quali conseguenze (anche in base alla relazione governativa al decreto) sia la possibilità che il giudice amministrativo possa concedere il risarcimento dei danni arrecati mediante lesione degli interessi legittimi nelle materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, sia la possibilità, in realtà forzata, di qualificare il risarcimento del danno in termini di materia a sé stante, devoluta tout court al giudice amministrativo, idonea a ricomprendere nel suo ambito di tutela la lesione degli interessi legittimi. L’art. 35 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80 ha introdotto il principio della generale risarcibilità degli interessi legittimi, in quanto espressione del giudizio di risarcibilità di qualsivoglia lesione contra ius alla sfera giuridica di un soggetto, indipendentemente dalla natura della posizione giuridica incisa (così T.a.r. Friuli-Venezia Giulia 28.3.2000, n. 293, TAR, 2000, I, 2545).

La prevalente dottrina si è invece attestata su posizioni assolutamente contrarie, rilevando come la norma in questione sia una norma processuale, priva di effetti sostanziali, limitandosi l’articolo alla semplice devoluzione al giudice amministrativo delle questioni risarcitorie, senza estendere l’oggetto delle stesse.

Le pronunce che hanno accolto la lettura sostanziale dell’art. 35 hanno dato luogo ad una corrente rimasta minoritaria (T.a.r. Veneto 9.2.1999, n. 119, TAR, 1999, 1351; T.a.r. Friuli-Venezia Giulia, 26.7.1999, n. 903, UA, 1999, 1350): "Dal varo del d.leg. 31 marzo 1998 n. 80 è possibile desumere, in forza di argomenti letterali, logici e sistematici, il principio della generale risarcibilità dell’interesse legittimo. Non è possibile che in un giudizio amministrativo venga introitata una domanda autonoma di risarcimento del danno; a favore della necessaria correlazione tra risarcimento del danno e giudizio amministrativo di annullamento milita il dato letterale, vale a dire il dettato del 1º comma dell’art. 35 d.leg. 80/98, che fa riferimento alle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e il 5º comma del medesimo art. 35, che espressamente si riferisce al risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti amministrativi; in altri termini, la possibilità di chiedere il risarcimento danni dinanzi al giudice amministrativo deve necessariamente conseguire ad una domanda di annullamento" (T.a.r. Friuli-Venezia Giulia 26.7.1999, n. 903, UA, 1999, 1350).

Ciò anche in relazione agli interessi pretensivi: "nel caso di diniego illegittimo di concessione edilizia, l’azione risarcitoria ex art. 35 d.leg. n. 80/98 può essere promossa solo dopo che il ricorrente abbia ottenuto il rilascio della concessione; pertanto non potrà che riguardare i danni conseguenti al ritardo nell’ottenimento della concessione stessa" (così T.a.r. Lombardia 15.4.1999, n. 1190, UA, 1999, 1124).

Il panorama giurisprudenziale è così rimasto caratterizzato dall’assoluta prevalenza di pronunce contrarie ad accordare la richiesta tutela alle posizioni di interesse legittimo incise: "l’art. 35 d.leg. n. 80/1998, nel sancire la devoluzione al giudice amministrativo in sede esclusiva del potere di assicurare il risarcimento del danno nelle materie di cui ai precedenti art. 33 e 34, è una norma puramente processuale relativa al riparto, inidonea, anche in considerazione dei limiti sottesi alla l. delega n. 59/1997, a mutare il regime sostanziale della risarcibilità dell’interesse legittimo; va quindi respinta la richiesta di risarcimento del danno conseguente all’accertata illegittimità del diniego opposto dalla regione alla richiesta di autorizzazione ed accreditamento di posti letto avanzata da una casa di cura privata" (T.a.r. Lombardia 10.7.1999, n. 2585, UA, 1999, 1123).

Nessun risarcimento neppure a seguito dell’annullamento di pubblici concorsi o di procedure di aggiudicazione di contratti pubblici, come anche nell’ipotesi dell’istanza di concessione edilizia - che sottende un interesse legittimo al rilascio della stessa - seguita da un provvedimento di diniego. Nel caso di illegittimità del diniego, il difetto di risarcimento, conseguente alla mancata espansione dell’interesse in diritto soggettivo, ha superato il vaglio di costituzionalità: l’Alta Corte, sul punto, ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di costituzionalità dell’art. 2043 c.c. per violazione degli art. 3, 24 e 113 Cost. (Corte cost. ord., 8.5.1998, n. 165, CorG, 1998, 651). Del tutto prive di tutela rimangono infine le posizioni di interesse che, collocandosi sul piano dell’ordinamento generale, sono protette da norme diverse da quelle che disciplinano l’attività amministrativa, e dunque non assurgono neppure al rango di interesse legittimo.

Il revirement operato dalle sezioni riunite della corte di cassazione

La sentenza n. 500/1999 delle Sezioni Unite, muovendo dalla qualificazione degli interessi legittimi in termini di interessi sostanziali - e cioè di interessi vantati da un soggetto in ordine a un bene oggetto del potere amministrativo, consistenti in una serie di facoltà atte ad influire sul corretto esercizio del potere - li ha inclusi nell’area del danno risarcibile, individuando - ed è il terzo, rilevante, approdo della pronuncia - il metodo prognostico quale strumento utilmente impiegabile per verificare l’astratta spettanza del bene della vita (nel caso di lesione relativa ad interessi pretensivi).

La sentenza della Suprema Corte segna un rilevante punto di arrivo del cammino pretorio avente ad oggetto l’estensione dell’area del danno risarcibile, estendendo il riconoscimento della risarcibilità agli interessi legittimi ma anche delle posizioni di interesse qualificato (e dunque non semplice) diverse dai diritti soggettivi.

La corte, superando gli schermi frapposti dalle categorie giuridiche, ha individuato, quale vero oggetto del risarcimento, non tanto l’interesse legittimo, quanto, in effetti, l’interesse ad esso sottostante (preesistente rispetto all’emanazione dell’atto amministrativo), da intendersi - non in senso procedimentale, ma - in termini di bene della vita collegato alla situazione giuridica che viene lesa.

La Suprema Corte ha posto a sostegno dell’importante approdo molteplici argomenti:

- la decisa evoluzione giurisprudenziale relativa all’ampliamento dell’area del danno risarcibile ex art. 2043 c.c. (§ 2), utilizzabile quale base per il superamento dell’interpretazione tradizionale della norma stessa: in alcune ipotesi la responsabilità aquiliana a carico della P.A. era stata già ammessa, ad esempio in relazione ai comportamenti materiali ed ai casi di violazione dei limiti esterni della discrezionalità, nelle ipotesi dei diritti affievoliti e dei diritti in attesa di espansione;

- il fatto che nell’ordinamento comunitario sia ignota la distinzione fra diritto soggettivo e interesse legittimo;

- l’impiego, da parte del legislatore delegato del decreto n. 80 del 1998, in tema di riparto di giurisdizione, del nuovo criterio discretivo delle materie, in sostituzione di quello che poggiava sulla distinzione fra interessi legittimi e diritti soggettivi, indice di un’ulteriore evoluzione dell’ordinamento in materia;

- l’attribuzione al giudice amministrativo, ancora ad opera del legislatore delegato del 1998, del potere di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto (ciò ha superato il tradizionale schema che restringeva all’annullamento degli atti la generale tutela concedibile dal giudice amministrativo);

- l’interpretazione della norma di cui all’art. 2043 in chiave letterale: la norma, con l’espressione danno ingiusto, non riferisce l’ingiustizia alla condotta, ma al danno, per cui la responsabilità sancita dalla norma può essere qualificata in termini di atipicità e l’art. 2043 in termini di norma primaria: ciò implica il superamento della necessità - presupposta dalla giurisprudenza precedente il revirement - di un’altra norma che protegga la situazione incisa, qualificandola come diritto soggettivo. La nuova lettura dell’art. 2043 richiede che il danno sia prodotto non iure ma non più contra ius, come voleva l’orientamento tradizionale che qualificava illecita la condotta solo se, oltre ad essere contrassegnata dalla colpa, era anche lesiva di una posizione protetta erga omnes dall’ordinamento;

- una interpretazione del concetto di interesse legittimo in chiave non procedimentale (interesse a ricorrere) ma sostanziale, atteso il suo collegamento ad un bene della vita la cui lesione può arrecare danno: l’interesse legittimo - avendo ad oggetto una serie di facoltà collegate all’esercizio del potere amministrativo, idonee a influenzarlo allo scopo di far sì che lo stesso sia esercitato in maniera corretta, e cioè in modo tale da rendere possibile la realizzazione dell’interesse al bene - emerge quando la posizione del privato viene a confronto col potere della P.A., collegandosi ad un bene della vita che può essere inciso da un provvedimento amministrativo.

..segue: l’art. 2043 c.c. come norma primaria

Dalle considerazioni esaminate supra, la Suprema Corte muove verso la riqualificazione del danno ingiusto, che viene disidentificato, con la sentenza n. 500/1999, dal diritto soggettivo.

La norma sul risarcimento del "danno ingiusto" viene letta, nella nuova interpretazione, come contenente una clausola primaria che deve essere intesa quale danno arrecato a interessi rilevanti per l’ordinamento: "la tendenza ad una rilettura dell’articolo 2043 c.c., di cui si è fatta interprete Cassazione 500/99/Su, s’impone alla luce del principio solidaristico derivante dall’articolo 2 Costituzione, ispirato ad una concezione di giustizia distributiva, e non commutativa, che si preoccupa non di irrogare la sanzione per il colpevole, quanto di distribuite equamente le conseguenze della lesione ad un interesse comunque preso in considerazione dall’ordinamento" (così Cass. Sez. I, 10.1.2003, n. 157, http://www.foroeuropeo.it).

Per tal via è il giudice a dover verificare se un interesse sia o meno protetto e, nel caso in cui confligga con altri interessi, a dover comparare gli stessi per valutare se via sia stata una rottura risarcibile del giusto equilibrio intersoggettivo, dato che l’interesse pubblico non deve prevalere se l’azione della P.A. è illegittima e dolosa o colposa.

Al risarcimento può pertanto pervenirsi solo ove vi sia stata anche la lesione del bene della vita al quale l’interesse legittimo si ricollega, e sempre che si tratti di interesse meritevole di tutela: tale valutazione deve essere effettuata, per gli interessi oppositivi, in relazione alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio, per quelli pretensivi in base ad un giudizio prognostico di settore, relativo all’oggettivo affidamento sull’esito favorevole dell’istanza, in quanto fondata (giacché non è risarcibile una mera aspettativa di accoglimento di un’istanza infondata).

Il procedimento di accertamento che le sezioni unite rimettono al giudice può essere scomposto, in relazione all’oggetto dello stesso, nei seguenti momenti logici: verifica dell’esistenza di un danno, della qualificabilità dello stesso come ingiusto, della riferibilità del danno ad una condotta della P.A., dell’imputabilità del danno a dolo o colpa da accertare in concreto (e non via presuntiva) in capo alla P.A. come apparato (la corte indica, a tal proposito e a scopo esemplificativo, il superamento dei limiti esterni alla discrezionalità - rappresentati dai principi di imparzialità, correttezza, buona amministrazione).

Nel caso specifico le sezioni hanno concluso rilevando come la questione della risarcibilità sia questione di merito, involgendo l’accertamento della sussistenza del diritto al risarcimento: "posto che ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana in capo all’autore di un fatto lesivo di interessi giuridicamente rilevanti non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto danneggiato, va affermata la risarcibilità degli interessi legittimi, quante volte risulti leso, per effetto dell’attività illegittima e colpevole della P.A. (con accertamento che, ove competa all’ago, prescinde da una previa decisione di annullamento del giudice amministrativo), l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla, e sempre che il detto interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo (Cass. Sez.U., 22.7.1999, n. 500, FI, 1999, I, 248).

L’orientamento è stato successivamente confermato da molteplici pronunce (Cass. Sez. lav. 4.11.2000, n. 14432, MFI, 2000, Cass. Sez. III,18.4.2001, n. 5684, GI, 2001, 2380, Cass., Sez. I, 11.6.2003 n. 9366, http://www.giust.it) che pacificamente ammettono oggi la configurabilità della responsabilità civile della P.A. per il risarcimento dei danni causati dall’emanazione di atti e provvedimenti amministrativi lesivi di interessi legittimi: "la lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse giuridicamente rilevante, può essere fonte di responsabilità aquiliana, e quindi dar luogo a risarcimento del danno ingiusto, a condizione che risulti danneggiato, per effetto dell’attività illegittima della P.A., l’interesse al bene della vita al quale il primo si correla, e che detto interesse risulti meritevole di tutela alla stregua del diritto positivo (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che, in ipotesi di annullamento della delibera di nomina a direttore generale usl e conseguente inoperatività del connesso contratto, aveva ritenuto la responsabilità civile della P.A. condannandola al risarcimento del danno conseguente all’illegittimo provvedimento di nomina; così Cass. Sez. lav. 4.11.2000, n. 14432, MFI, 2000).

In punto di giurisdizione, la sentenza n. 500 ha riconosciuto, in ordine alla domanda risarcitoria proposta a seguito della lesione di interessi legittimi pretesivi, la conoscibilità della stessa da parte del giudice ordinario. Ciò perché la causa petendi ha ad oggetto il diritto al risarcimento - posizione distinta da quella sostanziale incisa, al bene della vita (che può essere anche di interesse).

Il revirement è stato infine recepito anche dal legislatore il quale, con la legge n. 205 del 2000 - art. 7 - ha rimesso tale giudizio alla cognizione del giudice amministrativo anche in sede di legittimità: accanto al mutamento di giurisdizione la legge n. 205 ha così definitivamente consacrato, introducendola a livello legislativo, la risarcibilità degli interessi legittimi: "la domanda di risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi deve contenere: a) le ragioni in base alle quali l’illegittimo provvedimento o comportamento della P.A. o delle altre parti intimate ha comportato un pregiudizio, ad essi legato da nesso causale, al ricorrente; b) l’ammontare per equivalente di detto pregiudizio, ove non si chieda la sola reintegrazione in forma specifica; c) i mezzi di prova a sostegno sia dell’affermazione che un danno è stato provocato e che sia attribuibile alla parte intimata, sia del suo ammontare (T.a.r. Friuli-Venezia Giulia 23.4.2001, n. 179, Gam, 2001, 603).

La pregiudiziale amministrativa

Il problema relativo alla necessità, per l’ammissibilità dell’istanza risarcitoria, della previa impugnativa dei provvedimenti dalla cui esecuzione deriva il danno - nonché del previo annullamento degli atti stessi - risolto in senso negativo dalla sentenza n. 500 del 1999, è attualmente al centro di un contrasto giurisprudenziale, che trova le proprie ragioni nel fatto che la legge n. 205 del 2000 ha concentrato la giurisdizione in capo al giudice amministrativo.

Infatti, da un canto, resiste l’orientamento abbozzato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 500, la cui ricostruzione aveva lo scopo di evitare gli inconvenienti derivanti dal regime cd. del doppio binario - che rendeva necessario ricorso a due forme di tutela per ottenere dapprima dal giudice amministrativo l’annullamento dell’atto e poi, dal giudice ordinario, il risarcimento del danno - ribadito da varie pronunce, che ammettono la proponibilità dell’azione di risarcimento in modo autonomo rispetto all’azione di annullamento dell’atto amministrativo, giacché "resta avvalorata la connotazione della tutela risarcitoria invocabile al giudice a prescindere dall’annullamento - quale misura minore rispetto alla rimozione dell’atto, che è ben più impegnativa per l’amministrazione che non la tutela riparatoria (così Cass. Sez. I 5.11.2002-10.1.2003, n. 157, http://www.foroeuropeo.it).

In senso contrario è l’orientamento della giurisprudenza amministrativa di primo grado (T.A.R. Campania 8.2.2001, n. 603, UA, 2001, 1134; T.A.R. Friuli - Venezia Giulia 23.4. 2001, n. 179, Gam, 2001, 603; T.A.R. Puglia Sez. Lecce I, 16.4.1999, n. 416, FI, 2000, I, 2456; T.A.R. Friuli, 26 luglio 1999, n. 903, UA, 1999, 1350) e di secondo grado, che qualificano come necessario presupposto dell’istanza risarcitoria la pregiudiziale amministrativa (Cons. St., Sez. VI, 10.6.2002, n. 3338, http://www.giustizia.amministrativa.it; Cons. St., Sez. VI, 15.2.2002, n. 252, http://www.giustizia.amministrativa.it; T.A.R. Campania 8.2.2001, n. 603, http://www.giustizia.amministrativa.it; T.A.R. Friuli - Venezia Giulia 23.4.2001 n. 179, http://www.giustizia.amministrativa.it; T.A.R. Puglia - Lecce, Sez. I, 16.4.1999, n. 416, http://www.giustizia.amministrativa.it; T.A.R. Friuli, 26.7.1999, n. 903 http://www.giustizia.amministrativa.it; T.A.R. Sicilia Palermo, Sez. I, 11.10.2001, n. 3548; http://www.giustizia.amministrativa.it) argomentando innanzitutto dal fatto che la legge n. 205 del 2000 ha concentrato la giurisdizione avanti al giudice amministrativo, con ciò mutando radicalmente i presupposti legislativi in costanza dei quali la Corte di cassazione aveva ritenuto superata la necessità della pregiudiziale amministrativa. La tempestiva proposizione della domanda di annullamento dell’atto amministrativo che si ritiene lesivo di una situazione soggettiva del ricorrente, è, per il supremo consesso, presupposto di ammissibilità del risarcimento del danno, necessario per evitare l’elusione del termine decadenziale: il giudice amministrativo non può conoscere dell’atto amministrativo in modo incidentale (ed ove ne riscontri l’illegittimità disapplicarlo come fa il giudice ordinario ex art.5 legge n. 2248/1865) per cui la proposizione dell’azione risarcitoria, non può essere indipendente dal previo esperimento di quella demolitoria (la tesi trova un ulteriore sostegno nella posizione espressa dall’alta corte nell’ordinanza n. 165/1998, che ha dichiarato l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale della irrisarcibilità della lesione degli interessi legittimi per non essere stato, nel giudizio a quo, annullato il provvedimento amministrativo di diniego della concessione edilizia).

La IV Sezione del Consiglio di Stato ha confermato che nell’ordinamento amministrativo l’azione di risarcimento del danno può essere proposta sia unitamente all’azione di annullamento o in via autonoma, ma è ammissibile solo a condizione che sia stato tempestivamente impugnato il provvedimento illegittimo e che sia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento (Cons. St. Sez. IV, 15.2.2002, n. 952; http://www.giustizia.amministrativa.it).

La controversa questione è stata da ultimo rimessa alle valutazioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana.

La posizione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

L’Adunanza Plenaria, investita della questione relativa alla necessità della pregiudiziale amministrativa in relazione all’istanza risarcimento dei danni cagionati dal provvedimento illegittimo, ha confermato, con la sentenza n. 4 del 2003, l’orientamento della giurisprudenza amministrativa di secondo grado, che ritiene necessaria la previa impugnativa dell’atto lesivo. Una volta concentrata presso il giudice amministrativo la tutela impugnatoria dell’atto illegittimo e quella risarcitoria conseguente, "non è possibile l’accertamento incidentale da parte del giudice amministrativo della illegittimità dell’atto non impugnato nei termini decadenziali al solo fine di un giudizio risarcitorio e l’azione di risarcimento del danno può essere proposta sia unitamente all’azione di annullamento che in via autonoma, ma è ammissibile solo a condizione che sia impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento, in quanto al giudice amministrativo non è dato di poter disapplicare atti amministrativi non regolamentari" (così Cons. St. 20.1.2003, n. 4, http://www.giustizia.amministrativa.it).