x

x

Sulla responsabilità oggettiva di un apicoltore

La vicenda sottoposta al vaglio della giurisprudenza di legittimità offre lo spunto alla S.C. per ribadire la natura oggettiva della responsabilità per fatto dell'animale  (in senso conforme, v. Cass., 19 marzo 2007, n. 6454, Foro it., Rep. 2006, voce Responsabilità civile, n. 515, per esteso in  Resp. civ., 2008, 608, con nota di GLIATTA; 26 luglio 2005, n. 15613, id., Rep. 2005, voce cit., n. 462;  29 ottobre 2003, n. 16226; id., Rep. 2004, voce cit., n. 214, per esteso in Danno e resp., 2004, 612, con osservazioni di BENEDETTI; 9 gennaio 2002, n. 200, id., Rep. 2002, voce cit. n. 318; 30 marzo 2001, n. 4742, id., Rep. 2001, voce cit. n. 372, per esteso in Arch civ., 2001, 977; 14 settembre 2000, n. 12161, Foro it., Rep. 2000, voce cit., 345; 4 dicembre 1998, n. 12307, Foro it., 1999, I, 1938, con nota di Di Paola).

Afferma la Corte, infatti, che alla base della responsabilità ex art. 2052 c.c. non vi è la condotta del proprietario o utilizzatore dell'animale, ma il rapporto che lega quest'ultimo al proprietario/utilizzatore. Ovvero l'indagine che dovrà svolgere il giudice sarà inerente alla modalità di causazione del danno: se quest'ultimo è riconducibile eziologicamente all'animale, ne consegue la responsabilità del proprietario/utilizzatore (a prescindere dalla sua condotta); se, al contrario, il danno è riconducibile ad un elemento esterno (caso fortuito) anziché all'animale, allora il proprietario/utilizzatore sarà esente da responsabilità. Per i sostenitori della tesi obiettiva, la proprietà/uso dell'animale non implica uno specifico obbligo di custodire o di vigilare e, quindi, al fine dell'accertamento della responsabilità non rileva la violazione di detto obbligo (in dottrina, in tal senso, FRANZONI, Dei fatti illeciti, in Commentario del Codice Civile, diretto da SCIALOJA-BRANCA, Bologna, 1993, 604, che ripropone tesi già sostenute da RODOTA’, Il problema della responsabilità oggettiva, Milano, 1964, 127 e TRIMARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961, 190).

Invero, nel caso di specie, il proprietario di una tranquilla villa in campagna (immersa, si presume, in un'oasi di macchia mediterranea), infastidito dalle continue incursioni di uno sciame di 40.000 api, cita in giudizio l'apicoltore -  proprietario del fondo confinante che  ospitava  gli operosi insetti - per vederlo condannare al risarcimento dei danni arrecati dalle continue incursioni delle api, che - considerate le esigue dimensioni del fondo che le ospitava - dopo aver  abbandonato le arnie loro destinate, si recavano, per  bottinare, nel fondo del ricorrente imbrattando di propoli la tranquilla dimora.

La S.C., nell'accogliere il ricorso: a) riconosce il nesso tra proprietà degli animali e danno; b) esclude la selvaticità dell'animale, dacchè l'apicoltore, ne trae un beneficio economico dal loro utilizzo (in linea con Cass. civ., 7 luglio 2010, n. 16023, Foro it., 2011, I, 1473;  17 ottobre 2002, n. 14743, Foro it., 2003, I, 1175); c) condanna l'apicoltore al risarcimento dei danni arrecati dallo sciame di api al fondo vicino. In senso contrario ( v. Cass., 19 giugno 2008, n. 16637, Foro it., Rep. 2008, voce cit., n. 407; 15 luglio 2008, n. 19449, ibid., n. 408; 2 ottobre 1998, n. 9794, id., Rep. 1998, voce cit., n. 31; App. Torino, 30 maggio 1987, ibid.,  n. 168, per esteso in  Dir. e pratica assic., 1987, 876, con nota di POLOTTI DI ZUMAGLIA; Cass., 23 febbraio 1983, n. 1400, Foro it., Rep 1984, voce cit., n. 122, per esteso in  Resp. civ., 1983, 632), i sostenitori  della tesi soggettiva inquadrano le ipotesi di responsabilità ex art. 2052 c.c. nell’ambito delle fattispecie a colpa presunta, fornendo per conseguenza una lettura diversa anche della prova contraria: il proprietario dell’animale deve provare che l’evento si è verificato pur avendo usato il grado di diligenza richiesto dal caso concreto (in dottrina, v.  CANDIAN, Caso fortuito e forza maggiore, voce del Noviss. Dig. It., vol. II, Torino, 1957, 990, che  riprende le tesi di BARASSI , Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1946, vol. III, 1022).

In alcune decisioni di merito si sostiene, invece, che l’illecito in questione rappresenta un’ipotesi di responsabilità aggravata, che si configura ogni qualvolta la prova della condotta colposa del proprietario o dell’utilizzatore dell’animale è difficile da raggiungere; ove tale prova sia di facile dimostrazione va applicata la norma generale contenuta nell’art. 2043 c.c. (Trib. Genova, 24 marzo 2010, Danno resp., 2011, 311; Trib Perugia, 4 luglio 1998 In Foro it., Rep. 1999, voce cit .n. 345; per esteso in Rass, Giur. Umbra, 1999, 72, con  nota di BELLOCCI).

SENTENZA

Cassazione Civile, sez. III, 22-03-2013, n. 7260- Pres. UCCELLA Fulvio- Est. SEGRETO Antonio- P.M. CARESTIA Antonietta - A.E. c. T.G.

MASSIMA

1) Poiché la responsabilità ex art. 2052 cod. civ. per danno cagionato da animali si fonda non su un comportamento o un'attività del proprietario, ma su una relazione (di proprietà o di uso) intercorrente tra questi e l'animale, e poiché il limite della responsabilità risiede nell'intervento di un fattore (il caso fortuito) che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma alle modalità di causazione del danno, la rilevanza del fortuito deve essere apprezzata sotto il profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre ad un elemento esterno, anziché all'animale che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi. Ne consegue che spetta all'attore provare l'esistenza del rapporto eziologico tra l'animale e l'evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi dalla responsabilità, dovrà provare non già di essere esente da colpa, bensì l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale. (Rigetta, App. Napoli, 10/01/2007).

2) Non rientrano nel novero degli animali selvatici - sottratti all'applicazione dell'art. 2052 cod. civ. - le api utilizzate da un apicoltore, il quale pertanto risponde ai sensi di tale disposizione e non dell'art. 2043 cod. civ. dei danni dalle stesse cagionati.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 5.11.1993                C.G., premesso di essere  proprietaria  di  una  villa sita in (OMISSIS),  confinante  con  un  terreno  di  proprietà  di        A.E.,  sul  quale  questi  aveva  impiantato  un  alveare  di  oltre 40.000 api,  lamentava  che  detti  insetti infestavano la sua proprietà, creando fastidi e disagi  alle  persone  e  che  danneggiavano  il suo immobile  con  "propoli",  che  lasciavano cadere sui terrazzi, infissi e parti esterne della  villa.

Conveniva, pertanto,        A.E. davanti al tribunale di Napoli per  sentirlo condannare, ex art. 2052 c.c., al risarcimento dei danni  ed  al  rimborso  delle spese occorrenti per la riparazione  delle  parti  danneggiate.

Il convenuto contestava l'assunto.

Il tribunale rigettava la domanda.

Proponevano   appello                    C.G.,              T.G.,          B.,    L. e     S..

La  corte di appello di Napoli, con sentenza depositata il 10.1.2007,  accoglieva  l'appello  e  condannava il convenuto  al  pagamento  nei  confronti  degli appellanti della somma di Euro 2.524,06,  oltre  gli  interessi legali e le spese del doppio grado.

Riteneva la corte di merito che dalla consulenza tecnica disposta  in  primo  grado  emergeva che il convenuto aveva 10 arnie e 1  arnietta,  con un numero di api eccessivo rispetto all'estensione del suo fondo,  posto  solo a ml. 180 dalla casa dell'attrice; che le sostanze  scure  che  infestavano  le  terrazze  e  gli  spazi  esterni  dell'immobile  dell'attrice erano propoli, rilasciati dalle api nella loro attività  di "bottinatrici"; che sussisteva la responsabilità del convenuto ex  art. 2052 c.c., quale proprietario di dette api.

Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per cassazione     A.    E.

Resistono  con controricorso gli appellanti. Entrambe le parti  hanno  presentato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione  e  falsa  applicazione  dell'art. 2697 c.c. e  dell'art.  2052  c.c.,  nonchè  l'omesso,  insufficiente  e  contraddittoria  motivazione  e  l'omesso  esame  di  un  punto decisivo della controversia,  a  norma  dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Assume  il  ricorrente  che  la  sentenza  impugnata  ha  violato  la  presunzione  di responsabilità ex art. 2052 c.c., poichè  egli  non  era  proprietario delle api di cui si discute e poichè i  danni  non  erano  stati  causati dalle sue api, atteso che la zona è  piena  di  vegetazione  mediterranea e quindi anche di animali  ed  insetti  che  nella stessa vivono.

2.  Con  il  secondo  motivo  di ricorso  il  ricorrente  lamenta  la  violazione   degli  artt.  2052  e  2967  c.c.,  nonchè   il   vizio  motivazionale dell'impugnata sentenza, a norma dell'art. 360  c.p.c.,  nn. 3 e 5.

Secondo  il  ricorrente illegittimamente è stato ritenuto  il  nesso  causale  tra  il  fatto materiale di tali api,  asseritamente  a  lui  appartenute, e l'evento dannoso lamentato dalla parte attrice, mentre  tale nesso doveva essere provato dal soggetto danneggiato.

3. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione  dell'art.   2052   c.c.,   per  essere   stata   affermata   la   sua  responsabilità  sulla  presunzione di una colpa  in  vigilano  o  in  custodendo, non ipotizzabile in relazione ad animali selvatici, quali  appunto le api.

4.  Con  il  quarto  motivo  di  ricorso  il  ricorrente  lamenta  la  violazione   degli   artt.  2052  e  2043  c.c.,  nonchè   l'omessa,  insufficiente e contraddittoria motivazione per non avere considerato  che   il  preteso  danno  da  "propoli"  di  api  era  da  ascriversi  esclusivamente al fatto che la villa dell'attrice si trovava in mezzo  alla macchia mediterranea e quindi la presenza di tali propoli era la  conseguenza dell'ubicazione della villa.

5.1.  I  suddetti 4 motivi vanno esaminati congiuntamente  stante  la  loro connessione.

Essi sono infondati e vanno rigettati.

Osserva preliminarmente questa Corte che la responsabilità, indicata  dall'art.  2052  cod.  civ., per il danno  provocato  da  animali  è  caratterizzata  dal  fatto  che  i  soggetti  indicati  dalla   norma  rispondono per il solo nesso di causalità, fra l'azione dell'animale  e  l'evento  del  quale  è,  chiamato a rispondere  il  proprietario  dell'animale,  oppure  il  soggetto  che  l'abbia  utilizzato  (Cass.  23.1.2006, n. 1210).

Detta responsabilità per danni causati dall'animale è esclusa  solo  se il responsabile (proprietario o chi si serve dell'animale), "provi  il caso fortuito".

Trattasi  della  stessa  formula esimente  adottata  dal  legislatore  nell'ipotesi  di  responsabilità, per danno  cagionato  da  cosa  in  custodia, di cui all'art. 2051 c.c.

5.2. Non si tratta, quindi di un caso di presunzione di colpa, ma  di  responsabilità,  e,  quindi,  di  responsabilità,   oggettiva.   La  responsabilità  si  fonda sul mero rapporto di uso  dell'animale;  e  solo  lo stato di fatto, e non l'obbligo di vigilanza, può, assumere  rilievo nella fattispecie.

Infatti  il  dato lessicale della norma in esame ritiene sufficiente,  per   l'applicazione  della  stessa,  la  sussistenza  del   rapporto  (proprietà o uso) tra il responsabile e l'animale che ha dato  luogo  all'evento  lesivo. Sempre dalla lettera dell'art. 2052 c.c.,  emerge  che  il  danno  e,  cagionato  non da un  comportamento  (per  quanto  omissivo)   del   responsabile,  ma  dall'animale,  per   cui   detto  comportamento è irrilevante.

Responsabile   del  danno  cagionato  dall'animale   è   colui   che  essenzialmente ha la proprietà o l'uso dell'animale, ma  il  termine  non  presuppone nè implica uno specifico obbligo di custodire  o  di  vigilare la cosa, e quindi non rileva la violazione di detto obbligo.

Ciò è tanto più rilevante se si osserva che il contesto, nel quale  trovasi  la  norma in questione, è relativo ad altre ipotesi  (artt.  2047, 2048, 2050, 2054, c.c.) ben diversamente strutturate, in cui la  presunzione non attiene alla responsabilità, ma alla colpa, per  cui  la  prova  liberatoria,  in siffatte altre  ipotesi,  ha  appunto  ad  oggetto il superamento di detta presunzione di colpa.

5.3.  Il  limite  della responsabilità del proprietario  (o  utente)  costituito  dal fortuito, integra il punto nodale del dibattuto  tema  concernente la natura (soggettiva o oggettiva) della responsabilità,  ex art. 2052 c.c.. Se si dovesse sostenere la natura soggettiva della  responsabilità,  in  questione (presunzione di  colpa)  il  fortuito  dovrebbe  consistere solo nella situazione in cui il proprietario  è  esente  da colpa, essendo invece irrilevante l'efficacia causale  del  fattore  esterno sul nesso causale. Sennonchè tale assunto contrasta  con  il  principio  che la prova del fortuito non si  identifica  con  l'assenza  di colpa e può apparire artificioso, come rilevato  dalla  dottrina,  in  quanto la presunzione è logicamente costruibile  solo  sull'oggetto della prova contraria.

Se  così  è,  il fatto che il proprietario sia stato diligente  non  esclude la sua responsabilità, per danno cagionato dall'animale,  se  non è provato il fortuito.

5.4.  Poichè  la responsabilità si fonda non su un comportamento  o  un'attività  del proprietario, ma su una relazione (di proprietà  o  di  uso)  intercorrente tra questi e l'animale, e poichè, il  limite  della responsabilità risiede nell'intervento di un fattore (il  caso  fortuito) che attiene non ad un comportamento del responsabile  (come  nelle prove liberatorie degli artt. 2047, 2048, 2050 e 2054 c.c.), ma  nelle  modalità  di causazione del danno, si deve  ritenere  che  la  rilevanza  del  fortuito  attiene  al  profilo  causale,  in   quanto  suscettibile   di   una  valutazione  che  consenta   di   ricondurre  all'elemento   esterno,  anzichè  all'animale  che  ne   è,   fonte  immediata,  il  danno concretamente verificatosi. Si intende,  così,  anche  la  ragione  dell'inversione dell'onere della  prova  prevista  dall'art. 2052 c.c., relativa alla ripartizione della prova sul nesso  causale.   All'attore  compete  provare  l'esistenza   del   rapporto  eziologico  tra  l'animale  e  l'evento  lesivo;  il  convenuto   per  liberarsi  dovrà, provare l'esistenza di un fattore,  estraneo  alla  sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.

6.1.  Contrariamente all'assunto del ricorrente la sentenza impugnata  ha fatto corretta applicazione dei principi suddetti. Anzitutto sulla  base degli accertamenti effettuati dal C.T.U. la sentenza ha appurato  che  le api in questione provenivano (nella villa dell'attrice) dagli  alveari  del  convenuto, attuale ricorrente,  che  si  trovavano  nel  terreno posto a soli 180 ml., mentre non vi erano altri alveari nelle  vicinanze;  che nella proprietà del convenuto vi erano 10  arnie  ed  un'arnietta e che il numero delle api era eccessivo rispetto a quello  che  poteva  nutrire  il terreno del convenuto, per  cui  l'eccessivo  carico  delle  api allevate dall'    A. comportava  necessariamente  che  queste  uscissero  dal suo terreno per "bottinare"  le  sostanze  resinose  su terreni attigui (nella specie quello dell'attrice);  che  dalla consulenza di ufficio emergeva la presenza sulla terrazza della  villa,  sulle  pareti e sugli infissi di vistose  macchie  scure  che  analizzate sono risultati essere "propoli", che è sostanza  prodotta  dalle api mellifere.

Ne  consegue  che, avendo la corte accertato che le  api  provenivano  dalle  arnie  del  convenuto e che la villa  dell'attrice  presentava  vistose macchie scure costituite dai propoli delle api, correttamente  ha  ritenuto  la  responsabilità del convenuto, fondata  sulla  sola  relazione di proprietà (o di uso) tra lo stesso e le api.

La  corte  ha  rilevato, altresì, che il convenuto  non  ha  fornito  alcuna prova liberatoria del caso fortuito, anzi risultando accertato  che  lo sconfinamento delle api era dovuto all'eccessivo numero dello  stesso  rispetto  alle  potenzialità nutrizionali  del  terreno  del  convenuto.

Tali  motivazioni  della sentenza impugnata sono  immuni  da  censure  rilevabili in questa sede di legittimità.

6.2. Impostata in termini di responsabilità oggettiva è irrilevante  ogni  questione in merito alla pretesa mancanza di culpa in vigilando  o in custodendo del convenuto o di altra forma di colpa.

6.3.  Quanto  alla censura secondo cui la consulenza non  costituisce  mezzo di prova, va osservato che la consulenza tecnica, anche se  non  costituisce, in linea di massima, mezzo di prova, ma strumento per la  valutazione  della  prova acquisita, tuttavia rappresenta  una  fonte  oggettiva  di  prova  quando  si risolve nell'accertamento  di  fatti  rilevabili  unicamente  con  l'ausilio  di  specifiche  cognizioni  o  strumentazioni tecniche (Cass. n. 15630/2000; 1020 del 19/01/2006).

Tanto  si  è  appunto  verificato nella fattispecie,  in  quanto  la  sentenza  impugnata  da atto che solo un tecnico poteva  indicare  al  giudice   la   natura  della  sostanza  imbrattante   la   proprietà  dell'attrice,  il  tipo  di  insetti  che  la  produce,  il  tipo  di  apicoltura  praticato  dal  convenuto  e  l'eccesivo  numero  di  api  possedute in relazione al terreno posseduto.

Ne  consegue  che  è infondata la censura mossa  dal  ricorrente  in  merito alla circostanza che il giudice di merito abbia ricostruito  i  fatti di causa sulla base della consulenza tecnica.

6.4.   Infondata  è  anche  la  censura  di  inapplicabilità   alla  fattispecie  dell'art. 2052 c.c., vertendosi in  ipotesi  di  animali  selvatici.

E'  vero  che  in linea di principio (Cass. n. 27673 del  21/11/2008;

Cass.  10008 del 24/06/2003) il danno cagionato dalla fauna selvatica  non  è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall'art. 2052  cod. civ., inapplicabile alla selvaggina, il cui stato di libertà è  incompatibile  con un qualsiasi obbligo di custodia  da  parte  della  P.A.,   ma  soltanto  alla  stregua  dei  principi  generali  sanciti  dall'art. 2043 cod. civ., e tanto anche in tema di onere della  prova  con   la   conseguente  necessaria  individuazione  di  un   concreto  comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico (cui generalmente  fa capo la responsabilità dei danni da animale selvatico).

Sennonchè nella fattispecie le api, come correttamente rilevato  dal  giudice  di merito (cui tale accertamento di fatto compete) non  sono  "animali  selvatici", tenuto conto che essi sono  pienamente  gestite  dall'apicoltore,   che   attraverso   il   loro   "utilizzo"   svolge  un'attività economicamente rilevante.

7.  Con  il quinto motivo di ricorso il ricorrente lamenta  il  vizio  motivazionale dell'impugnata sentenza ex art. 360 c.c., n. 5.

Il  ricorrente  si  limita a dire: "le considerazioni  che  precedono  rendono  evidente l'illegittimità della sentenza impugnata anche  in  ordine  alla  sussistenza ed alla quantificazione del  preteso  danno  apoditticamente ed immotivatamente affermato e liquidato dai  giudici  di appello nella sentenza che con il presente atto si impugna".

Quindi il motivo si conclude con il presente quesito: " dica la  S.C.  che  ai fini della condanna risarcitoria e della quantificazione  del  danno  ai  sensi  dell'art. 2052 c.c., deve essere accertato  sia  il  danno sia la responsabilità".

8.  Il motivo è inammissibile sia per genericità sia per violazione  dell'art. 366 bis c.p.c.

Va,  infatti, osservato che il motivo d'impugnazione è rappresentato  dall'enunciazione, secondo lo schema normativo con cui  il  mezzo  è  regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo  chi  esercita il diritto d'impugnazione, la decisione è erronea, con  la  conseguenza  che,  in  quanto per denunciare  un  errore  bisogna  identificarlo  e,  quindi, fornirne la rappresentazione,  l'esercizio  del   diritto   d'impugnazione  di  una  decisione  giudiziale   può  considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con  i  quali  è  esplicato  si  concretino in una critica  della  decisione  impugnata  e,  quindi, nell'esplicita e specifica  indicazione  delle  ragioni  per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate  come  tali,  debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono  e  da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo  che  non  rispetti  tale requisito considerarsi nullo per  inidoneità  al  raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per  Cassazione  tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un "non motivo", è  espressamente  sanzionata con l'inammissibilità ai  sensi  dell'art.  366 cod. proc. civ., n. 4 (Cass. n. 359 del 11/01/2005).

Ne  consegue che il motivo, come sopra proposto è inammissibile  per  genericità.

Inoltre è inammissibile per violazione dell'art. 366 bis c.p.c., non  presentando  un  momento  di  sintesi,  (c.d.  quesito   di   fatto),  conferente con quanto espresso nella doglianza.

8.  Il ricorso va, pertanto, rigettato ed il ricorrente va condannato  al  pagamento  delle spese del giudizio di cassazione  sostenute  dai  resistenti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dai resistenti, liquidate in complessivi Euro 2200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

La vicenda sottoposta al vaglio della giurisprudenza di legittimità offre lo spunto alla S.C. per ribadire la natura oggettiva della responsabilità per fatto dell'animale  (in senso conforme, v. Cass., 19 marzo 2007, n. 6454, Foro it., Rep. 2006, voce Responsabilità civile, n. 515, per esteso in  Resp. civ., 2008, 608, con nota di GLIATTA; 26 luglio 2005, n. 15613, id., Rep. 2005, voce cit., n. 462;  29 ottobre 2003, n. 16226; id., Rep. 2004, voce cit., n. 214, per esteso in Danno e resp., 2004, 612, con osservazioni di BENEDETTI; 9 gennaio 2002, n. 200, id., Rep. 2002, voce cit. n. 318; 30 marzo 2001, n. 4742, id., Rep. 2001, voce cit. n. 372, per esteso in Arch civ., 2001, 977; 14 settembre 2000, n. 12161, Foro it., Rep. 2000, voce cit., 345; 4 dicembre 1998, n. 12307, Foro it., 1999, I, 1938, con nota di Di Paola).

Afferma la Corte, infatti, che alla base della responsabilità ex art. 2052 c.c. non vi è la condotta del proprietario o utilizzatore dell'animale, ma il rapporto che lega quest'ultimo al proprietario/utilizzatore. Ovvero l'indagine che dovrà svolgere il giudice sarà inerente alla modalità di causazione del danno: se quest'ultimo è riconducibile eziologicamente all'animale, ne consegue la responsabilità del proprietario/utilizzatore (a prescindere dalla sua condotta); se, al contrario, il danno è riconducibile ad un elemento esterno (caso fortuito) anziché all'animale, allora il proprietario/utilizzatore sarà esente da responsabilità. Per i sostenitori della tesi obiettiva, la proprietà/uso dell'animale non implica uno specifico obbligo di custodire o di vigilare e, quindi, al fine dell'accertamento della responsabilità non rileva la violazione di detto obbligo (in dottrina, in tal senso, FRANZONI, Dei fatti illeciti, in Commentario del Codice Civile, diretto da SCIALOJA-BRANCA, Bologna, 1993, 604, che ripropone tesi già sostenute da RODOTA’, Il problema della responsabilità oggettiva, Milano, 1964, 127 e TRIMARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961, 190).

Invero, nel caso di specie, il proprietario di una tranquilla villa in campagna (immersa, si presume, in un'oasi di macchia mediterranea), infastidito dalle continue incursioni di uno sciame di 40.000 api, cita in giudizio l'apicoltore -  proprietario del fondo confinante che  ospitava  gli operosi insetti - per vederlo condannare al risarcimento dei danni arrecati dalle continue incursioni delle api, che - considerate le esigue dimensioni del fondo che le ospitava - dopo aver  abbandonato le arnie loro destinate, si recavano, per  bottinare, nel fondo del ricorrente imbrattando di propoli la tranquilla dimora.

La S.C., nell'accogliere il ricorso: a) riconosce il nesso tra proprietà degli animali e danno; b) esclude la selvaticità dell'animale, dacchè l'apicoltore, ne trae un beneficio economico dal loro utilizzo (in linea con Cass. civ., 7 luglio 2010, n. 16023, Foro it., 2011, I, 1473;  17 ottobre 2002, n. 14743, Foro it., 2003, I, 1175); c) condanna l'apicoltore al risarcimento dei danni arrecati dallo sciame di api al fondo vicino. In senso contrario ( v. Cass., 19 giugno 2008, n. 16637, Foro it., Rep. 2008, voce cit., n. 407; 15 luglio 2008, n. 19449, ibid., n. 408; 2 ottobre 1998, n. 9794, id., Rep. 1998, voce cit., n. 31; App. Torino, 30 maggio 1987, ibid.,  n. 168, per esteso in  Dir. e pratica assic., 1987, 876, con nota di POLOTTI DI ZUMAGLIA; Cass., 23 febbraio 1983, n. 1400, Foro it., Rep 1984, voce cit., n. 122, per esteso in  Resp. civ., 1983, 632), i sostenitori  della tesi soggettiva inquadrano le ipotesi di responsabilità ex art. 2052 c.c. nell’ambito delle fattispecie a colpa presunta, fornendo per conseguenza una lettura diversa anche della prova contraria: il proprietario dell’animale deve provare che l’evento si è verificato pur avendo usato il grado di diligenza richiesto dal caso concreto (in dottrina, v.  CANDIAN, Caso fortuito e forza maggiore, voce del Noviss. Dig. It., vol. II, Torino, 1957, 990, che  riprende le tesi di BARASSI , Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1946, vol. III, 1022).

In alcune decisioni di merito si sostiene, invece, che l’illecito in questione rappresenta un’ipotesi di responsabilità aggravata, che si configura ogni qualvolta la prova della condotta colposa del proprietario o dell’utilizzatore dell’animale è difficile da raggiungere; ove tale prova sia di facile dimostrazione va applicata la norma generale contenuta nell’art. 2043 c.c. (Trib. Genova, 24 marzo 2010, Danno resp., 2011, 311; Trib Perugia, 4 luglio 1998 In Foro it., Rep. 1999, voce cit .n. 345; per esteso in Rass, Giur. Umbra, 1999, 72, con  nota di BELLOCCI).

SENTENZA

Cassazione Civile, sez. III, 22-03-2013, n. 7260- Pres. UCCELLA Fulvio- Est. SEGRETO Antonio- P.M. CARESTIA Antonietta - A.E. c. T.G.

MASSIMA

1) Poiché la responsabilità ex art. 2052 cod. civ. per danno cagionato da animali si fonda non su un comportamento o un'attività del proprietario, ma su una relazione (di proprietà o di uso) intercorrente tra questi e l'animale, e poiché il limite della responsabilità risiede nell'intervento di un fattore (il caso fortuito) che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma alle modalità di causazione del danno, la rilevanza del fortuito deve essere apprezzata sotto il profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre ad un elemento esterno, anziché all'animale che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi. Ne consegue che spetta all'attore provare l'esistenza del rapporto eziologico tra l'animale e l'evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi dalla responsabilità, dovrà provare non già di essere esente da colpa, bensì l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale. (Rigetta, App. Napoli, 10/01/2007).

2) Non rientrano nel novero degli animali selvatici - sottratti all'applicazione dell'art. 2052 cod. civ. - le api utilizzate da un apicoltore, il quale pertanto risponde ai sensi di tale disposizione e non dell'art. 2043 cod. civ. dei danni dalle stesse cagionati.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 5.11.1993                C.G., premesso di essere  proprietaria  di  una  villa sita in (OMISSIS),  confinante  con  un  terreno  di  proprietà  di        A.E.,  sul  quale  questi  aveva  impiantato  un  alveare  di  oltre 40.000 api,  lamentava  che  detti  insetti infestavano la sua proprietà, creando fastidi e disagi  alle  persone  e  che  danneggiavano  il suo immobile  con  "propoli",  che  lasciavano cadere sui terrazzi, infissi e parti esterne della  villa.

Conveniva, pertanto,        A.E. davanti al tribunale di Napoli per  sentirlo condannare, ex art. 2052 c.c., al risarcimento dei danni  ed  al  rimborso  delle spese occorrenti per la riparazione  delle  parti  danneggiate.

Il convenuto contestava l'assunto.

Il tribunale rigettava la domanda.

Proponevano   appello                    C.G.,              T.G.,          B.,    L. e     S..

La  corte di appello di Napoli, con sentenza depositata il 10.1.2007,  accoglieva  l'appello  e  condannava il convenuto  al  pagamento  nei  confronti  degli appellanti della somma di Euro 2.524,06,  oltre  gli  interessi legali e le spese del doppio grado.

Riteneva la corte di merito che dalla consulenza tecnica disposta  in  primo  grado  emergeva che il convenuto aveva 10 arnie e 1  arnietta,  con un numero di api eccessivo rispetto all'estensione del suo fondo,  posto  solo a ml. 180 dalla casa dell'attrice; che le sostanze  scure  che  infestavano  le  terrazze  e  gli  spazi  esterni  dell'immobile  dell'attrice erano propoli, rilasciati dalle api nella loro attività  di "bottinatrici"; che sussisteva la responsabilità del convenuto ex  art. 2052 c.c., quale proprietario di dette api.

Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per cassazione     A.    E.

Resistono  con controricorso gli appellanti. Entrambe le parti  hanno  presentato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione  e  falsa  applicazione  dell'art. 2697 c.c. e  dell'art.  2052  c.c.,  nonchè  l'omesso,  insufficiente  e  contraddittoria  motivazione  e  l'omesso  esame  di  un  punto decisivo della controversia,  a  norma  dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Assume  il  ricorrente  che  la  sentenza  impugnata  ha  violato  la  presunzione  di responsabilità ex art. 2052 c.c., poichè  egli  non  era  proprietario delle api di cui si discute e poichè i  danni  non  erano  stati  causati dalle sue api, atteso che la zona è  piena  di  vegetazione  mediterranea e quindi anche di animali  ed  insetti  che  nella stessa vivono.

2.  Con  il  secondo  motivo  di ricorso  il  ricorrente  lamenta  la  violazione   degli  artt.  2052  e  2967  c.c.,  nonchè   il   vizio  motivazionale dell'impugnata sentenza, a norma dell'art. 360  c.p.c.,  nn. 3 e 5.

Secondo  il  ricorrente illegittimamente è stato ritenuto  il  nesso  causale  tra  il  fatto materiale di tali api,  asseritamente  a  lui  appartenute, e l'evento dannoso lamentato dalla parte attrice, mentre  tale nesso doveva essere provato dal soggetto danneggiato.

3. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione  dell'art.   2052   c.c.,   per  essere   stata   affermata   la   sua  responsabilità  sulla  presunzione di una colpa  in  vigilano  o  in  custodendo, non ipotizzabile in relazione ad animali selvatici, quali  appunto le api.

4.  Con  il  quarto  motivo  di  ricorso  il  ricorrente  lamenta  la  violazione   degli   artt.  2052  e  2043  c.c.,  nonchè   l'omessa,  insufficiente e contraddittoria motivazione per non avere considerato  che   il  preteso  danno  da  "propoli"  di  api  era  da  ascriversi  esclusivamente al fatto che la villa dell'attrice si trovava in mezzo  alla macchia mediterranea e quindi la presenza di tali propoli era la  conseguenza dell'ubicazione della villa.

5.1.  I  suddetti 4 motivi vanno esaminati congiuntamente  stante  la  loro connessione.

Essi sono infondati e vanno rigettati.

Osserva preliminarmente questa Corte che la responsabilità, indicata  dall'art.  2052  cod.  civ., per il danno  provocato  da  animali  è  caratterizzata  dal  fatto  che  i  soggetti  indicati  dalla   norma  rispondono per il solo nesso di causalità, fra l'azione dell'animale  e  l'evento  del  quale  è,  chiamato a rispondere  il  proprietario  dell'animale,  oppure  il  soggetto  che  l'abbia  utilizzato  (Cass.  23.1.2006, n. 1210).

Detta responsabilità per danni causati dall'animale è esclusa  solo  se il responsabile (proprietario o chi si serve dell'animale), "provi  il caso fortuito".

Trattasi  della  stessa  formula esimente  adottata  dal  legislatore  nell'ipotesi  di  responsabilità, per danno  cagionato  da  cosa  in  custodia, di cui all'art. 2051 c.c.

5.2. Non si tratta, quindi di un caso di presunzione di colpa, ma  di  responsabilità,  e,  quindi,  di  responsabilità,   oggettiva.   La  responsabilità  si  fonda sul mero rapporto di uso  dell'animale;  e  solo  lo stato di fatto, e non l'obbligo di vigilanza, può, assumere  rilievo nella fattispecie.

Infatti  il  dato lessicale della norma in esame ritiene sufficiente,  per   l'applicazione  della  stessa,  la  sussistenza  del   rapporto  (proprietà o uso) tra il responsabile e l'animale che ha dato  luogo  all'evento  lesivo. Sempre dalla lettera dell'art. 2052 c.c.,  emerge  che  il  danno  e,  cagionato  non da un  comportamento  (per  quanto  omissivo)   del   responsabile,  ma  dall'animale,  per   cui   detto  comportamento è irrilevante.

Responsabile   del  danno  cagionato  dall'animale   è   colui   che  essenzialmente ha la proprietà o l'uso dell'animale, ma  il  termine  non  presuppone nè implica uno specifico obbligo di custodire  o  di  vigilare la cosa, e quindi non rileva la violazione di detto obbligo.

Ciò è tanto più rilevante se si osserva che il contesto, nel quale  trovasi  la  norma in questione, è relativo ad altre ipotesi  (artt.  2047, 2048, 2050, 2054, c.c.) ben diversamente strutturate, in cui la  presunzione non attiene alla responsabilità, ma alla colpa, per  cui  la  prova  liberatoria,  in siffatte altre  ipotesi,  ha  appunto  ad  oggetto il superamento di detta presunzione di colpa.

5.3.  Il  limite  della responsabilità del proprietario  (o  utente)  costituito  dal fortuito, integra il punto nodale del dibattuto  tema  concernente la natura (soggettiva o oggettiva) della responsabilità,  ex art. 2052 c.c.. Se si dovesse sostenere la natura soggettiva della  responsabilità,  in  questione (presunzione di  colpa)  il  fortuito  dovrebbe  consistere solo nella situazione in cui il proprietario  è  esente  da colpa, essendo invece irrilevante l'efficacia causale  del  fattore  esterno sul nesso causale. Sennonchè tale assunto contrasta  con  il  principio  che la prova del fortuito non si  identifica  con  l'assenza  di colpa e può apparire artificioso, come rilevato  dalla  dottrina,  in  quanto la presunzione è logicamente costruibile  solo  sull'oggetto della prova contraria.

Se  così  è,  il fatto che il proprietario sia stato diligente  non  esclude la sua responsabilità, per danno cagionato dall'animale,  se  non è provato il fortuito.

5.4.  Poichè  la responsabilità si fonda non su un comportamento  o  un'attività  del proprietario, ma su una relazione (di proprietà  o  di  uso)  intercorrente tra questi e l'animale, e poichè, il  limite  della responsabilità risiede nell'intervento di un fattore (il  caso  fortuito) che attiene non ad un comportamento del responsabile  (come  nelle prove liberatorie degli artt. 2047, 2048, 2050 e 2054 c.c.), ma  nelle  modalità  di causazione del danno, si deve  ritenere  che  la  rilevanza  del  fortuito  attiene  al  profilo  causale,  in   quanto  suscettibile   di   una  valutazione  che  consenta   di   ricondurre  all'elemento   esterno,  anzichè  all'animale  che  ne   è,   fonte  immediata,  il  danno concretamente verificatosi. Si intende,  così,  anche  la  ragione  dell'inversione dell'onere della  prova  prevista  dall'art. 2052 c.c., relativa alla ripartizione della prova sul nesso  causale.   All'attore  compete  provare  l'esistenza   del   rapporto  eziologico  tra  l'animale  e  l'evento  lesivo;  il  convenuto   per  liberarsi  dovrà, provare l'esistenza di un fattore,  estraneo  alla  sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.

6.1.  Contrariamente all'assunto del ricorrente la sentenza impugnata  ha fatto corretta applicazione dei principi suddetti. Anzitutto sulla  base degli accertamenti effettuati dal C.T.U. la sentenza ha appurato  che  le api in questione provenivano (nella villa dell'attrice) dagli  alveari  del  convenuto, attuale ricorrente,  che  si  trovavano  nel  terreno posto a soli 180 ml., mentre non vi erano altri alveari nelle  vicinanze;  che nella proprietà del convenuto vi erano 10  arnie  ed  un'arnietta e che il numero delle api era eccessivo rispetto a quello  che  poteva  nutrire  il terreno del convenuto, per  cui  l'eccessivo  carico  delle  api allevate dall'    A. comportava  necessariamente  che  queste  uscissero  dal suo terreno per "bottinare"  le  sostanze  resinose  su terreni attigui (nella specie quello dell'attrice);  che  dalla consulenza di ufficio emergeva la presenza sulla terrazza della  villa,  sulle  pareti e sugli infissi di vistose  macchie  scure  che  analizzate sono risultati essere "propoli", che è sostanza  prodotta  dalle api mellifere.

Ne  consegue  che, avendo la corte accertato che le  api  provenivano  dalle  arnie  del  convenuto e che la villa  dell'attrice  presentava  vistose macchie scure costituite dai propoli delle api, correttamente  ha  ritenuto  la  responsabilità del convenuto, fondata  sulla  sola  relazione di proprietà (o di uso) tra lo stesso e le api.

La  corte  ha  rilevato, altresì, che il convenuto  non  ha  fornito  alcuna prova liberatoria del caso fortuito, anzi risultando accertato  che  lo sconfinamento delle api era dovuto all'eccessivo numero dello  stesso  rispetto  alle  potenzialità nutrizionali  del  terreno  del  convenuto.

Tali  motivazioni  della sentenza impugnata sono  immuni  da  censure  rilevabili in questa sede di legittimità.

6.2. Impostata in termini di responsabilità oggettiva è irrilevante  ogni  questione in merito alla pretesa mancanza di culpa in vigilando  o in custodendo del convenuto o di altra forma di colpa.

6.3.  Quanto  alla censura secondo cui la consulenza non  costituisce  mezzo di prova, va osservato che la consulenza tecnica, anche se  non  costituisce, in linea di massima, mezzo di prova, ma strumento per la  valutazione  della  prova acquisita, tuttavia rappresenta  una  fonte  oggettiva  di  prova  quando  si risolve nell'accertamento  di  fatti  rilevabili  unicamente  con  l'ausilio  di  specifiche  cognizioni  o  strumentazioni tecniche (Cass. n. 15630/2000; 1020 del 19/01/2006).

Tanto  si  è  appunto  verificato nella fattispecie,  in  quanto  la  sentenza  impugnata  da atto che solo un tecnico poteva  indicare  al  giudice   la   natura  della  sostanza  imbrattante   la   proprietà  dell'attrice,  il  tipo  di  insetti  che  la  produce,  il  tipo  di  apicoltura  praticato  dal  convenuto  e  l'eccesivo  numero  di  api  possedute in relazione al terreno posseduto.

Ne  consegue  che  è infondata la censura mossa  dal  ricorrente  in  merito alla circostanza che il giudice di merito abbia ricostruito  i  fatti di causa sulla base della consulenza tecnica.

6.4.   Infondata  è  anche  la  censura  di  inapplicabilità   alla  fattispecie  dell'art. 2052 c.c., vertendosi in  ipotesi  di  animali  selvatici.

E'  vero  che  in linea di principio (Cass. n. 27673 del  21/11/2008;

Cass.  10008 del 24/06/2003) il danno cagionato dalla fauna selvatica  non  è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall'art. 2052  cod. civ., inapplicabile alla selvaggina, il cui stato di libertà è  incompatibile  con un qualsiasi obbligo di custodia  da  parte  della  P.A.,   ma  soltanto  alla  stregua  dei  principi  generali  sanciti  dall'art. 2043 cod. civ., e tanto anche in tema di onere della  prova  con   la   conseguente  necessaria  individuazione  di  un   concreto  comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico (cui generalmente  fa capo la responsabilità dei danni da animale selvatico).

Sennonchè nella fattispecie le api, come correttamente rilevato  dal  giudice  di merito (cui tale accertamento di fatto compete) non  sono  "animali  selvatici", tenuto conto che essi sono  pienamente  gestite  dall'apicoltore,   che   attraverso   il   loro   "utilizzo"   svolge  un'attività economicamente rilevante.

7.  Con  il quinto motivo di ricorso il ricorrente lamenta  il  vizio  motivazionale dell'impugnata sentenza ex art. 360 c.c., n. 5.

Il  ricorrente  si  limita a dire: "le considerazioni  che  precedono  rendono  evidente l'illegittimità della sentenza impugnata anche  in  ordine  alla  sussistenza ed alla quantificazione del  preteso  danno  apoditticamente ed immotivatamente affermato e liquidato dai  giudici  di appello nella sentenza che con il presente atto si impugna".

Quindi il motivo si conclude con il presente quesito: " dica la  S.C.  che  ai fini della condanna risarcitoria e della quantificazione  del  danno  ai  sensi  dell'art. 2052 c.c., deve essere accertato  sia  il  danno sia la responsabilità".

8.  Il motivo è inammissibile sia per genericità sia per violazione  dell'art. 366 bis c.p.c.

Va,  infatti, osservato che il motivo d'impugnazione è rappresentato  dall'enunciazione, secondo lo schema normativo con cui  il  mezzo  è  regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo  chi  esercita il diritto d'impugnazione, la decisione è erronea, con  la  conseguenza  che,  in  quanto per denunciare  un  errore  bisogna  identificarlo  e,  quindi, fornirne la rappresentazione,  l'esercizio  del   diritto   d'impugnazione  di  una  decisione  giudiziale   può  considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con  i  quali  è  esplicato  si  concretino in una critica  della  decisione  impugnata  e,  quindi, nell'esplicita e specifica  indicazione  delle  ragioni  per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate  come  tali,  debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono  e  da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo  che  non  rispetti  tale requisito considerarsi nullo per  inidoneità  al  raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per  Cassazione  tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un "non motivo", è  espressamente  sanzionata con l'inammissibilità ai  sensi  dell'art.  366 cod. proc. civ., n. 4 (Cass. n. 359 del 11/01/2005).

Ne  consegue che il motivo, come sopra proposto è inammissibile  per  genericità.

Inoltre è inammissibile per violazione dell'art. 366 bis c.p.c., non  presentando  un  momento  di  sintesi,  (c.d.  quesito   di   fatto),  conferente con quanto espresso nella doglianza.

8.  Il ricorso va, pertanto, rigettato ed il ricorrente va condannato  al  pagamento  delle spese del giudizio di cassazione  sostenute  dai  resistenti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dai resistenti, liquidate in complessivi Euro 2200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori di legge.