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Donazioni immobiliari: i rimedi esperibili in caso di trasferimento della proprietà

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La rinuncia all’azione di riduzione. - 3. Le ipotesi fideiussorie. - 4. La risoluzione della donazione per mutuo dissenso. - 5. Conclusioni.

1. Premessa

A causa della riduzione delle imposte sulle successioni e sulle donazioni, negli ultimi anni sono notevolmente aumentate le donazioni immobiliari.

Tutto ciò ha determinato un incremento anche degli atti immobiliari le cui provenienze consistano in donazioni.

Ovviamente la problematica che ne scaturisce è che, a fronte di questo incremento, continua a sussistere nel nostro ordinamento giuridico una tutela reale tenace delle ragioni dei legittimari (GAZZONI, Competitività e dannosità della successione necessaria, in www.judicium.it; ANGELONI, Nuove cautele per rendere sicura la circolazione dei beni di provenienza donativa nel terzo millennio, in Contratto e impresa, 2007, p. 933) così che il donatario di un bene immobile ha normalmente difficoltà ad alienarlo o a costituire su di esso diritti di garanzia, come ad esempio l’ipoteca.

Il tutto con evidente compromissione della libera circolazione dei beni in questione provenienti da donazioni.

Nel corso di questi anni, sia la dottrina che la giurisprudenza, hanno cercato di trovare una soluzione a questo problema: infatti, dal combinato disposto degli articoli 561, 563 e 2652 n.8 del Codice Civile può desumersi chiaramente che il terzo acquirente di un immobile con provenienza donativa non può mai dirsi al sicuro prima che siano passati almeno dieci anni dall’apertura della successione del donante e parimenti in questi dieci anni non siano state trascritte domande di azione di riduzione ovvero non ne siano decorsi almeno venti dalla trascrizione della donazione (CEOLIN, Sul mutuo dissenso in generale e, in specie, parziale del contratto di donazione, in Consiglio Nazionale del Notariato, 2014).

Inoltre il nostro ordinamento assicura alla categoria dei legittimari una protezione assoluta: in nessun caso si possono pregiudicare i diritti dei legittimari o riservatari ai quali la legge riserva determinate porzioni, cosiddetta quota di riserva o di legittima, del patrimonio del de cuius, anche contro la volontà di questo.

Pertanto le norme sulla successione necessaria esprimono dei principi inderogabili a tutela dei congiunti più stretti: il coniuge, i discendenti legittimi o naturali, gli ascendenti legittimi (TRIMARCHI, Istituzioni di Diritto Privato, Milano, 2005, p.755).

Com’è noto i legittimari possono chiedere, ai sensi dell’articolo 563 del Codice Civile, la restituzione degli immobili trasferiti con l’atto di donazione anche nei confronti degli aventi causa dal donatario, qualora il patrimonio del beneficiario della donazione sia insufficiente a far fronte alla pretesa del successore necessario, con la facoltà del terzo acquirente, nei cui confronti è stata esercitata l’azione di restituzione, di liberarsi dall’obbligazione di restituzione corrispondendo l’equivalente in denaro (FEDERICO, Tecniche di tutela degli interessi nella circolazione delle provenienze donative: la fidejussione del donante e del legittimario, in Dir. Fam., 2012, p.252).

Tra l’altro l’articolo 561 del Codice Civile prevede che l’immobile debba essere restituito libero da qualsiasi vincolo, peso o ipoteca, eventualmente posti dal donatario, dall’avente causa dal donatario, come ad esempio nel caso di ipoteca iscritta a garanzia di mutuo e concessa al donatario, o dal suo avente causa.

2. La rinuncia all’azione di riduzione

I principi del nostro ordinamento giuridico hanno generato e tuttora generano un sostanziale conflitto tra il privilegio totale accordato alle ragioni dei legittimari lesi rispetto a quelle degli aventi causa dei donatari rendendo potenzialmente impossibile la tutela di chi ha acquistato l’immobile a qualsiasi titolo da un soggetto che, a sua volta, ha avuto l’immobile per donazione. Tutto ciò con evidente compromissione della commerciabilità dei beni che hanno formato oggetto di donazione determinandone la sostanziale incommerciabilità degli immobili in questione ovvero provenienti da donazioni.

Una delle soluzioni che sono state prospettate in questi ultimi anni per la tutela del terzo acquirente è quella prevista dall’articolo 557 del Codice Civile: i legittimari, i loro eredi o aventi causa possono rinunziare all’azione di riduzione. Questa soluzione, però, trova due inconvenienti notevoli.

Il primo, più rilevante, consiste nell’impossibilità, da parte dei legittimari, di rinunziare all’azione di riduzione finché vive il donante: l’azione è irrinunciabile durante la vita del de cuius perché il diritto a cui mirerebbe la rinuncia non è ancora sorto, cosiddetta inattualità del diritto; infatti, il legittimario, prima del morte del de cuius, è solo un potenziale successore e come tale non può vantare alcun diritto sul patrimonio del soggetto ancora in vita.

Il secondo inconveniente concerne il fatto che detta rinunzia, per apprestare una tutela veramente efficace, deve provenire da tutti i legittimari, circostanza che, in concreto, non sempre si rivela di facile attuazione. Anche la possibilità di procedere ad un riconoscimento della donazione da parte degli eredi legittimari presenta ostacoli analoghi a quelli poc’anzi descritti e, in particolare quello di non poter comunque essere fatto finché non risulti aperta la successione del donante (CEOLIN, Sul mutuo dissenso in generale e, in specie, parziale del contratto di donazione, in op. cit.).

3. Le ipotesi fideiussorie 

Negli ultimi anni si è fatta strada anche l’ipotesi del ricorso all’istituto della fidejussione come strumento atto a tutelare i terzi acquirenti di un immobile di provenienza donativa. Si tratterebbe in concreto di una fidejussione indemnitatis in quanto posta a garanzia non dell’adempimento di un debito ma del risarcimento del danno conseguente all’inadempimento del debitore.

La dottrina (PALAZZO, Provenienze donative, successivi trasferimenti e tecniche di tutela degli interessi, in Riv.dir.civ., 2003, I, p.317; RUGGERI-MONTICELLI, Garanzie personali, in Tratt. dir. civ., Napoli, 2009, p.57; GAMBINO, Fideiussione, fideiussione indemnitatis e polizza fideiussoria, in Riv.dir.comm., 1960, II, p.57; BRIGANTI, Fideiussione e promessa del fatto altrui, Napoli, 1981, p. 72) ha ritenuto che l’identificazione delle ipotesi di fidejussione rilasciata dal donante ovvero dal legittimario è stata effettuata mediante la prevalente considerazione dell’intervento, nell’atto di alienazione posto in essere dal donatario, del legittimario non donatario ovvero del donante, il quale si costituisce fideiussore nei confronti dell’acquirente per le obbligazioni risarcitorie che sorgerebbero in capo al donatario-alienante, qualora l’acquirente subisse l’evizione totale o parziale a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di restituzione da parte dei legittimari.

La fidejussione cosiddetta indemnitatis prestata dal legittimario non donatario è stata considerata quale strumento rivolto a privare i legittimari-fideiussori, i quali abbiano ricevuto dalla donazione una lesione dei loro diritti, dell’interesse ad agire ex articolo 100 del Codice di Procedura Civile, giacché il valore che conseguirebbero per effetto del vittorioso esperimento dell’azione di restituzione nei confronti del terzo ex articolo 563 del Codice Civile corrisponderebbe al danno creatosi nel patrimonio del terzo medesimo, danno che sarebbero tenuti a risarcire per effetto dell’obbligazione fideiussoria da essi assunta. In questa direzione, si è affermato che il risultato che si produce attraverso la fideiussione prestata dal legittimario a favore del terzo acquirente è il medesimo risultato ascrivibile alla rinunzia all’azione di riduzione, vietata dall’articolo 557, comma 2 del Codice Civile (FEDERICO, in op. cit., p.252).

L’elaborazione giurisprudenziale, di recente, ha mostrato il diverso caso di una fideiussione omnibus prestata dal donante in favore dell’Istituto di credito che, creditore del donatario, aveva iscritto ipoteca sull’immobile donato (Tribunale di Mantova, 24 febbraio 2011, n.228, in Obbligazioni e Contratti, 2011, 6, p.643 e in Notariato, 2012, p.21).

Secondo la giurisprudenza di merito “La fideiussione del donante, concessa a garanzia di una pluralità di rapporti bancari ed in specie per un mutuo fondiario, sul quale l'istituto di credito iscrive ipoteca, nel caso in cui il legittimario non donatario risulti completamente pretermesso dalla donazione fatta in favore del debitore, è nulla per illiceità della causa ex articolo 1344 del Codice Civile atteso che il contratto, nel caso di specie, costituisce il mezzo per eludere l'applicazione della norma imperativa di cui all'articolo 549 del Codice Civile tramite la quale è impedito al testatore di porre pesi o condizioni sulla quota riservata al legittimario”. Infatti, avrebbe l'effetto di dissuadere il legittimario erede dal promuovere l'azione di riduzione, posto che l'incremento patrimoniale che deriverebbe dal vittorioso esperimento di detta azione sarebbe vanificato dal debito portato dall'obbligazione di garanzia.

L’unica ipotesi di garanzia fideiussoria legittima si avrebbe nel caso in cui fosse un terzo del tutto estraneo a prestarla, in particolare un Istituto di credito; tuttavia questa soluzione presenterebbe difficoltà probabilmente insormontabili, in considerazione del fatto che essa avrebbe una durata incerta e potenzialmente molto lunga con costi probabilmente improponibili.

4. La risoluzione della donazione per mutuo dissenso

Di fronte a questa situazione normativa è stata individuata sia in dottrina (GIROLAMI, Risoluzione, mutuo dissenso e tutela dei terzi, in Riv.dir.civ., 2009, I, p. 181; MAGNANI, La risoluzione per mutuo dissenso. Un rimedio alla potenziale incommerciabilità degli immobili provenienti da donazioni, in Riv.not., 2004, p. 113) che in giurisprudenza (Cassazione 6 ottobre 2011, n. 20445, in Riv.not., 2012, 5, p.1181) che nell’autonomia privata una soluzione concreta e più affidabile nel ripristinare una circolazione sicura degli immobili con provenienza donativa, vale a dire la risoluzione della donazione per mutuo dissenso, di modo che, con una sorta di finzione giuridica, si possa considerare il bene immobile come mai uscito dal patrimonio del donante attraverso il ripristino dello status quo ante.

Tutto ciò trova il suo fondamento giuridico nel combinato disposto degli articoli 1321 e 1372 Codice Civile: “il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico, ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”.

A tal riguardo, negli ultimi anni, sono state elaborate due teorie dalle quali dipende tutta una serie di conseguenze relative, tra l’altro, agli effetti dell’atto e alla sua forma.

Da un lato si è sostenuta la tesi del contrarius actus in base alla quale per mutuo dissenso può essere sciolto un vincolo contrattuale che non abbia ancora operato definitivamente effetti traslativi, o costitutivi o abdicativi di diritti reali, in quanto, tali effetti se si fossero prodotti, non si tratterebbe di mutuo dissenso, ma di un negozio giuridico con effetti opposti al precedente: un contro negozio dal contenuto speculare all’atto da risolvere che neutralizzi quest’ultimo in modo da invertire le posizioni contrattuali, in altri termini, per il contratto che qui interessa, il donatario dovrebbe restituire quanto ricevuto attraverso una contro donazione in cui assuma le vesti di donante; la soluzione lascia perplessi non solo sotto il profilo economico ma anche e soprattutto in quanto anziché risolvere i problemi legati alla tutela dei legittimari del primo donante, di fatto, li duplica, entrando in gioco, paradossalmente, anche la tutela dei legittimari del secondo donante (GALGANO, Degli effetti del contratto, in Commentario Scialoja e Branca, p.17; SCOGNAMIGLIO, Contratto in generale, in Trattato Grosso e Santoro Passarelli, p.205; GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2011, p.1008; CAPOZZI, Il mutuo dissenso nella pratica notarile, in Vita not., 1993, p.635).

Da un altro lato la dottrina (SRAFFA, Mutuo dissenso e remissione del debito, in Riv.dir.comm., 1916, p.426; FRANZONI, Il mutuo consenso allo scioglimento del contratto, in Il contratto in generale, Tratt.di dir.priv., Torino, 2002, p.15; COGOLI, Lo scioglimento della donazione per mutuo dissenso, in Contratti, 2006, p.619; GIROLAMI, Risoluzione, mutuo dissenso e tutela dei terzi, in Riv.dir.civ., 2009, p.181) e la giurisprudenza (Cassazione 11 dicembre 1998, n.12476; Cassazione 29 aprile 1993, n. 5065; Tribunale di Macerata, decreto 2 marzo 2009; Cassazione 28 maggio 1983, n. 3692; Cassazione 11 aprile 2006, n.8422; Cassazione 6 ottobre 2011, n.20445, in Riv.not., 2012, 5, p.1181) hanno elaborato la teoria del contrarius consensus della risoluzione.

Essa afferma non solo la possibilità di sciogliere per mutuo consenso un contratto immediatamente produttivo di effetti reali, ma anche, a fortiori, l’insita retroattività di tale risoluzione: se le parti concludessero una controdonazione, evidentemente tale autonomo atto non potrebbe che avere effetti ex nunc ed essere soggetto a tutte le formalità richieste dalla legge; ma se esse eliminano dal mondo giuridico la donazione, allora agiscono per definizione sul passato, eliminando un titolo e facendo residuare in capo al soggetto che era stato donatario una detenzione materiale e un dovere restitutorio in quanto troverebbe applicazione l’articolo 2037 del Codice Civile sull’indebito oggettivo. Nessun ritrasferimento, quindi, e così nessuna necessità della forma e delle clausole previste appunto per i contratti che producono un trasferimento o una modifica di diritti reali immobiliari.

La teoria del contrarius consensus retroattivo trova conforto normativo anche nella lettera dell’articolo 2655 Codice Civile, il quale, proprio con riferimento alla pubblicità immobiliare, stabilisce che la risoluzione di un atto trascritto o iscritto deve essere annotata a margine della trascrizione o iscrizione, e che è titolo per tale annotazione non solo la sentenza, ma anche la convenzione da cui risultino i fatti che hanno causato il venir meno degli effetti prodotti dall’atto precedentemente trascritto. Nella nozione di convenzione va ricompreso anche il contratto di mutuo dissenso, che produce la risoluzione del precedente contratto di donazione. Dalla norma in esame molti autori hanno tratto la conclusione di un implicito accoglimento da parte del legislatore della teoria del contrarius consensus, dal momento che se la convenzione da cui risulta la risoluzione fosse stata considerata come contrarius actus, essa sarebbe rientrata nell’articolo 2643 del Codice Civile fra gli atti oggetto di autonoma trascrizione.

Quest’ultima intepretazione è stata confermata anche dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha affermato che “Il mutuo dissenso costituisce un atto di risoluzione convenzionale (o un accordo risolutorio), espressione dell'autonomia negoziale dei privati, i quali sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio, anche indipendentemente dall'esistenza di eventuali fatti o circostanze sopravvenute, impeditivi o modificativi dell'attuazione dell'originario regolamento di interessi, dando luogo ad un effetto ripristinatorio con carattere retroattivo, anche per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali; tale effetto, infatti, essendo espressamente previsto "ex lege" dall'articolo 1458 del Codice Civile con riguardo alla risoluzione per inadempimento, anche di contratti ad effetto reale, non può dirsi precluso agli accordi risolutori, risultando soltanto obbligatorio il rispetto dell'onere della forma scritta “ad substantiam” (Cassazione 6 ottobre 2011, n. 20445, in op. cit, p.1181).

5. Conclusioni

Sembra pertanto confermato attualmente che l'unica, se non la più sicura soluzione al problema della pratica incommerciabilità degli atti provenienti da donazione, sia costituito dall'atto di risoluzione convenzionale della donazione stessa, stipulato dal donatario e dal donante se ancora in vita, con il quale il bene non trasferito ma tornato nella titolarità del donante stesso, potrà essere da questi alienato all'acquirente senza problemi. L’atto di mutuo dissenso avrà le seguenti caratteristiche:

- efficacia estintiva secondo quanto disposto dagli articoli 1321 e 1372 del Codice Civile;

- efficacia retroattiva ovvero la donazione si risolve con effetto ex tunc ed il donante sarà ripristinato nella proprietà e nel possesso del bene donato con decorrenza dall’atto di donazione;

- non efficacia traslativa in quanto il contratto di mutuo dissenso non determinerà alcun effetto traslativo ovvero un ritrasferimento dell’immobile dal donatario al donante;

- onere della forma scritta ad substantiam alla presenza dei testimoni avendo per oggetto diritti reali su beni immobili secondo quanto disposto dall’articolo 1350 del Codice Civile;

- non produttività di effetti sfavorevoli a danno dei terzi in base al principio generale previsto dall’articolo 1372 del Codice Civile secondo cui il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge.

Nel caso che il donante fosse invece deceduto, e non fosse trascorso il termine di cui all'articolo 2652 n. 8 del Codice Civile, potrebbe soccorrere un atto di rinuncia all’epoca della reintegrazione, stipulato da tutti i legittimari, sempreché se ne conoscano esattamente il numero e le generalità, dati non sempre con sicurezza accertabili in via definitiva, data la progressiva aumentata possibilità di riconoscimento di figli naturali e di secondi (o ulteriori) coniugi, legittimari sopravvenuti, per i quali non sia trascorso il termine di prescrizione dei dieci anni per l’esercizio dell'azione di reintegra.

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La rinuncia all’azione di riduzione. - 3. Le ipotesi fideiussorie. - 4. La risoluzione della donazione per mutuo dissenso. - 5. Conclusioni.

1. Premessa

A causa della riduzione delle imposte sulle successioni e sulle donazioni, negli ultimi anni sono notevolmente aumentate le donazioni immobiliari.

Tutto ciò ha determinato un incremento anche degli atti immobiliari le cui provenienze consistano in donazioni.

Ovviamente la problematica che ne scaturisce è che, a fronte di questo incremento, continua a sussistere nel nostro ordinamento giuridico una tutela reale tenace delle ragioni dei legittimari (GAZZONI, Competitività e dannosità della successione necessaria, in www.judicium.it; ANGELONI, Nuove cautele per rendere sicura la circolazione dei beni di provenienza donativa nel terzo millennio, in Contratto e impresa, 2007, p. 933) così che il donatario di un bene immobile ha normalmente difficoltà ad alienarlo o a costituire su di esso diritti di garanzia, come ad esempio l’ipoteca.

Il tutto con evidente compromissione della libera circolazione dei beni in questione provenienti da donazioni.

Nel corso di questi anni, sia la dottrina che la giurisprudenza, hanno cercato di trovare una soluzione a questo problema: infatti, dal combinato disposto degli articoli 561, 563 e 2652 n.8 del Codice Civile può desumersi chiaramente che il terzo acquirente di un immobile con provenienza donativa non può mai dirsi al sicuro prima che siano passati almeno dieci anni dall’apertura della successione del donante e parimenti in questi dieci anni non siano state trascritte domande di azione di riduzione ovvero non ne siano decorsi almeno venti dalla trascrizione della donazione (CEOLIN, Sul mutuo dissenso in generale e, in specie, parziale del contratto di donazione, in Consiglio Nazionale del Notariato, 2014).

Inoltre il nostro ordinamento assicura alla categoria dei legittimari una protezione assoluta: in nessun caso si possono pregiudicare i diritti dei legittimari o riservatari ai quali la legge riserva determinate porzioni, cosiddetta quota di riserva o di legittima, del patrimonio del de cuius, anche contro la volontà di questo.

Pertanto le norme sulla successione necessaria esprimono dei principi inderogabili a tutela dei congiunti più stretti: il coniuge, i discendenti legittimi o naturali, gli ascendenti legittimi (TRIMARCHI, Istituzioni di Diritto Privato, Milano, 2005, p.755).

Com’è noto i legittimari possono chiedere, ai sensi dell’articolo 563 del Codice Civile, la restituzione degli immobili trasferiti con l’atto di donazione anche nei confronti degli aventi causa dal donatario, qualora il patrimonio del beneficiario della donazione sia insufficiente a far fronte alla pretesa del successore necessario, con la facoltà del terzo acquirente, nei cui confronti è stata esercitata l’azione di restituzione, di liberarsi dall’obbligazione di restituzione corrispondendo l’equivalente in denaro (FEDERICO, Tecniche di tutela degli interessi nella circolazione delle provenienze donative: la fidejussione del donante e del legittimario, in Dir. Fam., 2012, p.252).

Tra l’altro l’articolo 561 del Codice Civile prevede che l’immobile debba essere restituito libero da qualsiasi vincolo, peso o ipoteca, eventualmente posti dal donatario, dall’avente causa dal donatario, come ad esempio nel caso di ipoteca iscritta a garanzia di mutuo e concessa al donatario, o dal suo avente causa.

2. La rinuncia all’azione di riduzione

I principi del nostro ordinamento giuridico hanno generato e tuttora generano un sostanziale conflitto tra il privilegio totale accordato alle ragioni dei legittimari lesi rispetto a quelle degli aventi causa dei donatari rendendo potenzialmente impossibile la tutela di chi ha acquistato l’immobile a qualsiasi titolo da un soggetto che, a sua volta, ha avuto l’immobile per donazione. Tutto ciò con evidente compromissione della commerciabilità dei beni che hanno formato oggetto di donazione determinandone la sostanziale incommerciabilità degli immobili in questione ovvero provenienti da donazioni.

Una delle soluzioni che sono state prospettate in questi ultimi anni per la tutela del terzo acquirente è quella prevista dall’articolo 557 del Codice Civile: i legittimari, i loro eredi o aventi causa possono rinunziare all’azione di riduzione. Questa soluzione, però, trova due inconvenienti notevoli.

Il primo, più rilevante, consiste nell’impossibilità, da parte dei legittimari, di rinunziare all’azione di riduzione finché vive il donante: l’azione è irrinunciabile durante la vita del de cuius perché il diritto a cui mirerebbe la rinuncia non è ancora sorto, cosiddetta inattualità del diritto; infatti, il legittimario, prima del morte del de cuius, è solo un potenziale successore e come tale non può vantare alcun diritto sul patrimonio del soggetto ancora in vita.

Il secondo inconveniente concerne il fatto che detta rinunzia, per apprestare una tutela veramente efficace, deve provenire da tutti i legittimari, circostanza che, in concreto, non sempre si rivela di facile attuazione. Anche la possibilità di procedere ad un riconoscimento della donazione da parte degli eredi legittimari presenta ostacoli analoghi a quelli poc’anzi descritti e, in particolare quello di non poter comunque essere fatto finché non risulti aperta la successione del donante (CEOLIN, Sul mutuo dissenso in generale e, in specie, parziale del contratto di donazione, in op. cit.).

3. Le ipotesi fideiussorie 

Negli ultimi anni si è fatta strada anche l’ipotesi del ricorso all’istituto della fidejussione come strumento atto a tutelare i terzi acquirenti di un immobile di provenienza donativa. Si tratterebbe in concreto di una fidejussione indemnitatis in quanto posta a garanzia non dell’adempimento di un debito ma del risarcimento del danno conseguente all’inadempimento del debitore.

La dottrina (PALAZZO, Provenienze donative, successivi trasferimenti e tecniche di tutela degli interessi, in Riv.dir.civ., 2003, I, p.317; RUGGERI-MONTICELLI, Garanzie personali, in Tratt. dir. civ., Napoli, 2009, p.57; GAMBINO, Fideiussione, fideiussione indemnitatis e polizza fideiussoria, in Riv.dir.comm., 1960, II, p.57; BRIGANTI, Fideiussione e promessa del fatto altrui, Napoli, 1981, p. 72) ha ritenuto che l’identificazione delle ipotesi di fidejussione rilasciata dal donante ovvero dal legittimario è stata effettuata mediante la prevalente considerazione dell’intervento, nell’atto di alienazione posto in essere dal donatario, del legittimario non donatario ovvero del donante, il quale si costituisce fideiussore nei confronti dell’acquirente per le obbligazioni risarcitorie che sorgerebbero in capo al donatario-alienante, qualora l’acquirente subisse l’evizione totale o parziale a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di restituzione da parte dei legittimari.

La fidejussione cosiddetta indemnitatis prestata dal legittimario non donatario è stata considerata quale strumento rivolto a privare i legittimari-fideiussori, i quali abbiano ricevuto dalla donazione una lesione dei loro diritti, dell’interesse ad agire ex articolo 100 del Codice di Procedura Civile, giacché il valore che conseguirebbero per effetto del vittorioso esperimento dell’azione di restituzione nei confronti del terzo ex articolo 563 del Codice Civile corrisponderebbe al danno creatosi nel patrimonio del terzo medesimo, danno che sarebbero tenuti a risarcire per effetto dell’obbligazione fideiussoria da essi assunta. In questa direzione, si è affermato che il risultato che si produce attraverso la fideiussione prestata dal legittimario a favore del terzo acquirente è il medesimo risultato ascrivibile alla rinunzia all’azione di riduzione, vietata dall’articolo 557, comma 2 del Codice Civile (FEDERICO, in op. cit., p.252).

L’elaborazione giurisprudenziale, di recente, ha mostrato il diverso caso di una fideiussione omnibus prestata dal donante in favore dell’Istituto di credito che, creditore del donatario, aveva iscritto ipoteca sull’immobile donato (Tribunale di Mantova, 24 febbraio 2011, n.228, in Obbligazioni e Contratti, 2011, 6, p.643 e in Notariato, 2012, p.21).

Secondo la giurisprudenza di merito “La fideiussione del donante, concessa a garanzia di una pluralità di rapporti bancari ed in specie per un mutuo fondiario, sul quale l'istituto di credito iscrive ipoteca, nel caso in cui il legittimario non donatario risulti completamente pretermesso dalla donazione fatta in favore del debitore, è nulla per illiceità della causa ex articolo 1344 del Codice Civile atteso che il contratto, nel caso di specie, costituisce il mezzo per eludere l'applicazione della norma imperativa di cui all'articolo 549 del Codice Civile tramite la quale è impedito al testatore di porre pesi o condizioni sulla quota riservata al legittimario”. Infatti, avrebbe l'effetto di dissuadere il legittimario erede dal promuovere l'azione di riduzione, posto che l'incremento patrimoniale che deriverebbe dal vittorioso esperimento di detta azione sarebbe vanificato dal debito portato dall'obbligazione di garanzia.

L’unica ipotesi di garanzia fideiussoria legittima si avrebbe nel caso in cui fosse un terzo del tutto estraneo a prestarla, in particolare un Istituto di credito; tuttavia questa soluzione presenterebbe difficoltà probabilmente insormontabili, in considerazione del fatto che essa avrebbe una durata incerta e potenzialmente molto lunga con costi probabilmente improponibili.

4. La risoluzione della donazione per mutuo dissenso

Di fronte a questa situazione normativa è stata individuata sia in dottrina (GIROLAMI, Risoluzione, mutuo dissenso e tutela dei terzi, in Riv.dir.civ., 2009, I, p. 181; MAGNANI, La risoluzione per mutuo dissenso. Un rimedio alla potenziale incommerciabilità degli immobili provenienti da donazioni, in Riv.not., 2004, p. 113) che in giurisprudenza (Cassazione 6 ottobre 2011, n. 20445, in Riv.not., 2012, 5, p.1181) che nell’autonomia privata una soluzione concreta e più affidabile nel ripristinare una circolazione sicura degli immobili con provenienza donativa, vale a dire la risoluzione della donazione per mutuo dissenso, di modo che, con una sorta di finzione giuridica, si possa considerare il bene immobile come mai uscito dal patrimonio del donante attraverso il ripristino dello status quo ante.

Tutto ciò trova il suo fondamento giuridico nel combinato disposto degli articoli 1321 e 1372 Codice Civile: “il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico, ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”.

A tal riguardo, negli ultimi anni, sono state elaborate due teorie dalle quali dipende tutta una serie di conseguenze relative, tra l’altro, agli effetti dell’atto e alla sua forma.

Da un lato si è sostenuta la tesi del contrarius actus in base alla quale per mutuo dissenso può essere sciolto un vincolo contrattuale che non abbia ancora operato definitivamente effetti traslativi, o costitutivi o abdicativi di diritti reali, in quanto, tali effetti se si fossero prodotti, non si tratterebbe di mutuo dissenso, ma di un negozio giuridico con effetti opposti al precedente: un contro negozio dal contenuto speculare all’atto da risolvere che neutralizzi quest’ultimo in modo da invertire le posizioni contrattuali, in altri termini, per il contratto che qui interessa, il donatario dovrebbe restituire quanto ricevuto attraverso una contro donazione in cui assuma le vesti di donante; la soluzione lascia perplessi non solo sotto il profilo economico ma anche e soprattutto in quanto anziché risolvere i problemi legati alla tutela dei legittimari del primo donante, di fatto, li duplica, entrando in gioco, paradossalmente, anche la tutela dei legittimari del secondo donante (GALGANO, Degli effetti del contratto, in Commentario Scialoja e Branca, p.17; SCOGNAMIGLIO, Contratto in generale, in Trattato Grosso e Santoro Passarelli, p.205; GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2011, p.1008; CAPOZZI, Il mutuo dissenso nella pratica notarile, in Vita not., 1993, p.635).

Da un altro lato la dottrina (SRAFFA, Mutuo dissenso e remissione del debito, in Riv.dir.comm., 1916, p.426; FRANZONI, Il mutuo consenso allo scioglimento del contratto, in Il contratto in generale, Tratt.di dir.priv., Torino, 2002, p.15; COGOLI, Lo scioglimento della donazione per mutuo dissenso, in Contratti, 2006, p.619; GIROLAMI, Risoluzione, mutuo dissenso e tutela dei terzi, in Riv.dir.civ., 2009, p.181) e la giurisprudenza (Cassazione 11 dicembre 1998, n.12476; Cassazione 29 aprile 1993, n. 5065; Tribunale di Macerata, decreto 2 marzo 2009; Cassazione 28 maggio 1983, n. 3692; Cassazione 11 aprile 2006, n.8422; Cassazione 6 ottobre 2011, n.20445, in Riv.not., 2012, 5, p.1181) hanno elaborato la teoria del contrarius consensus della risoluzione.

Essa afferma non solo la possibilità di sciogliere per mutuo consenso un contratto immediatamente produttivo di effetti reali, ma anche, a fortiori, l’insita retroattività di tale risoluzione: se le parti concludessero una controdonazione, evidentemente tale autonomo atto non potrebbe che avere effetti ex nunc ed essere soggetto a tutte le formalità richieste dalla legge; ma se esse eliminano dal mondo giuridico la donazione, allora agiscono per definizione sul passato, eliminando un titolo e facendo residuare in capo al soggetto che era stato donatario una detenzione materiale e un dovere restitutorio in quanto troverebbe applicazione l’articolo 2037 del Codice Civile sull’indebito oggettivo. Nessun ritrasferimento, quindi, e così nessuna necessità della forma e delle clausole previste appunto per i contratti che producono un trasferimento o una modifica di diritti reali immobiliari.

La teoria del contrarius consensus retroattivo trova conforto normativo anche nella lettera dell’articolo 2655 Codice Civile, il quale, proprio con riferimento alla pubblicità immobiliare, stabilisce che la risoluzione di un atto trascritto o iscritto deve essere annotata a margine della trascrizione o iscrizione, e che è titolo per tale annotazione non solo la sentenza, ma anche la convenzione da cui risultino i fatti che hanno causato il venir meno degli effetti prodotti dall’atto precedentemente trascritto. Nella nozione di convenzione va ricompreso anche il contratto di mutuo dissenso, che produce la risoluzione del precedente contratto di donazione. Dalla norma in esame molti autori hanno tratto la conclusione di un implicito accoglimento da parte del legislatore della teoria del contrarius consensus, dal momento che se la convenzione da cui risulta la risoluzione fosse stata considerata come contrarius actus, essa sarebbe rientrata nell’articolo 2643 del Codice Civile fra gli atti oggetto di autonoma trascrizione.

Quest’ultima intepretazione è stata confermata anche dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha affermato che “Il mutuo dissenso costituisce un atto di risoluzione convenzionale (o un accordo risolutorio), espressione dell'autonomia negoziale dei privati, i quali sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio, anche indipendentemente dall'esistenza di eventuali fatti o circostanze sopravvenute, impeditivi o modificativi dell'attuazione dell'originario regolamento di interessi, dando luogo ad un effetto ripristinatorio con carattere retroattivo, anche per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali; tale effetto, infatti, essendo espressamente previsto "ex lege" dall'articolo 1458 del Codice Civile con riguardo alla risoluzione per inadempimento, anche di contratti ad effetto reale, non può dirsi precluso agli accordi risolutori, risultando soltanto obbligatorio il rispetto dell'onere della forma scritta “ad substantiam” (Cassazione 6 ottobre 2011, n. 20445, in op. cit, p.1181).

5. Conclusioni

Sembra pertanto confermato attualmente che l'unica, se non la più sicura soluzione al problema della pratica incommerciabilità degli atti provenienti da donazione, sia costituito dall'atto di risoluzione convenzionale della donazione stessa, stipulato dal donatario e dal donante se ancora in vita, con il quale il bene non trasferito ma tornato nella titolarità del donante stesso, potrà essere da questi alienato all'acquirente senza problemi. L’atto di mutuo dissenso avrà le seguenti caratteristiche:

- efficacia estintiva secondo quanto disposto dagli articoli 1321 e 1372 del Codice Civile;

- efficacia retroattiva ovvero la donazione si risolve con effetto ex tunc ed il donante sarà ripristinato nella proprietà e nel possesso del bene donato con decorrenza dall’atto di donazione;

- non efficacia traslativa in quanto il contratto di mutuo dissenso non determinerà alcun effetto traslativo ovvero un ritrasferimento dell’immobile dal donatario al donante;

- onere della forma scritta ad substantiam alla presenza dei testimoni avendo per oggetto diritti reali su beni immobili secondo quanto disposto dall’articolo 1350 del Codice Civile;

- non produttività di effetti sfavorevoli a danno dei terzi in base al principio generale previsto dall’articolo 1372 del Codice Civile secondo cui il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge.

Nel caso che il donante fosse invece deceduto, e non fosse trascorso il termine di cui all'articolo 2652 n. 8 del Codice Civile, potrebbe soccorrere un atto di rinuncia all’epoca della reintegrazione, stipulato da tutti i legittimari, sempreché se ne conoscano esattamente il numero e le generalità, dati non sempre con sicurezza accertabili in via definitiva, data la progressiva aumentata possibilità di riconoscimento di figli naturali e di secondi (o ulteriori) coniugi, legittimari sopravvenuti, per i quali non sia trascorso il termine di prescrizione dei dieci anni per l’esercizio dell'azione di reintegra.