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Negozio misto con donazione in caso di permuta di immobili tra padre e figlio

Prospettiva
Ph. Fabio Toto / Prospettiva

Breve disamina dell’istituto: la permuta

La permuta è il contratto che ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose o altri diritti da un contraente all’altro ai sensi dell’articolo 1552 Codice Civile

Non v’è dubbio che nel diritto romano più antico non vi erano sostanziali differenze fra vendita e permuta. A tal riguardo, è bene precisare che entrambi erano negozi reali che si realizzavano attraverso due traditiones di res mancipi, senza che avesse rilievo se lo scambio avvenisse tra cosa e cosa o tra cosa e prezzo.

I due istituti in esame assunsero una loro indipendenza quando la vendita diventò un contratto consensuale; in tal senso, da questo momento si manifestò il problema di statuire se la permuta fosse un tipo di contratto reale o consensuale. Il contrasto venne superato, poi, in periodo Giustinianeo, quando l’istituto fu definitivamente considerato come un contratto atipico di natura reale, che si perfezionava con la consegna e non con il consenso.

In tale prospettiva di analisi occorre evidenziare che la permuta differisce dalla vendita in quanto lo scambio non è caratterizzato dalla pattuizione di un prezzo, ma ha per oggetto, difatti, il reciproco trasferimento delle proprietà di cose o della titolarità di altri diritti: cosa contro cosa, come nella forma primitiva di scambio (i.e. il “baratto”) o cosa contro un credito ecc., salvo l’intervento di eventuali conguagli di denaro.

Dall’espressione "altri diritti" vanno escluse, altresì, le prestazioni di fare. I contratti del tipo “do ut facias” sono infatti da inquadrare come contratti innominati.

La permuta è un contratto consensuale, con effetti reali, con attribuzioni corrispettive, oneroso, e commutativo.

Eccetto il caso di regole particolari che si collegano al tema dell’evizione (articolo 1553 Codice Civile), il permutante che ha subito l’evizione può scegliere se chiedere la restituzione della “res”, ovvero la cosa data o il valore della cosa evitta e di spese (articolo 1554 Codice Civile: salvo patto contrario, sono a carico di entrambi i contraenti, a differenza della vendita, in cui, sempre salvo patto contrario, sono a carico del compratore, ex articolo 1475 Codice Civile); inoltre, per la permuta sono richiamate, in quanto compatibili, le norme stabilite per la vendita (articolo 1555 Codice Civile).

Alla luce di quanto appena affermato, sul punto è intervenuto un nuovo principio dalla Suprema Corte di Cassazione - Cass. Civ., Sez. II, Sent., 09 novembre 2021, n. 32804, il quale afferma che la permuta in cui uno dei contraenti ottiene, coscientemente e per spirito di liberalità, un bene di valore inferiore rispetto all’altro, rientra nel negotium mixtum cum donatione”.

 

Fatto

Un uomo spirava e costituiva erede universale la figlia. L’altro figlio, pretermesso dal testamento, procedeva contro la sorella chiedendo di essere reintegrato nella propria quota di riserva; analoga domanda svolgeva la madre – moglie del defunto – anch’ella pretermessa. Il Tribunale accertava l’esistenza di beni relitti per un importo pari a circa 163 mila euro, da cui detraeva il passivo ereditario di circa 52 mila euro e residuavano approssimativamente 111 mila euro. Il passivo consisteva nella fideiussione bancaria prestata dal testatore a garanzia del finanziamento chiesto da una società.

Veniva, altresì, accertato che tra il de cuius e il figlio era intervenuta una permuta di quote di immobili da cui era derivata una liberalità a favore del primo. Il valore della donazione era stato individuato nella differenza di valore tra le quote permutate (circa 75 mila euro). Pertanto, alla luce di quanto summenzionato, la massa ereditaria risultava essere pari a 186 mila euro (i.e. 111 mila + 75 mila) e la quota di legittima spettante a ciascuno dei tre legittimari era pari a circa 46 mila euro.

Tutto ciò premesso, il tribunale rigettava la domanda di riduzione del figlio in quanto questi aveva ricevuta una donazione (75 mila euro) di valore superiore alla quota di legittima. In senso contrario, veniva, invece, accolta la domanda della madre (coniuge del defunto) la cui quota di legittima era reintegrata di circa 18 mila euro a scapito dell’erede testamentaria (la figlia) e per 28 mila euro a danno del donatario (il figlio) per il totale della sua quota di riserva (18 mila + 28 mila = 46 mila euro). La pronuncia risultava essere confermata in appello e si arriva così in Cassazione.

 

La Giurisprudenza recente

La Corte di Cassazione con la sentenza del 9 novembre 2021, n. 32804 si occupa del negozio misto con donazione (negotium mixtum cum donatione). Si tratta di un istituto che ricorre, ad esempio, quando una parte cede all’altra un bene per un corrispettivo inferiore al suo valore, con l’intento di arricchire la controparte per spirito di liberalità.

Nel caso di specie, è stata riconosciuta la sussistenza della donazione mista con la permuta, in considerazione della significativa differenza economica dei beni permutati tra padre e figlio. Dal momento che tale differenza rappresenta una donazione, il suo valore è stato utilizzato per ricostruire la massa ereditaria e, successivamente, reintegrare la quota di legittima dei riservatari pretermessi.

La pronuncia si sofferma, inoltre, sulla cosiddetta “riunione fittizia” ex articolo 556 c.c. In particolare, i giudici affermano che dall’importo del relictum vanno detratti solo i debiti del defunto che siano attuali e certi. Il debito derivante dalla fideiussione prestata dal de cuius è detraibile dalla massa ereditaria solo in due casi: a) se viene dimostrata l’insolvibilità del debitore garantito, b) oppure nell’ipotesi dell’impossibilità di esercitare l’azione di regresso. In conclusione, la fideiussione non rientra automaticamente tra le passività ereditarie.

 

La disparità di valore tra i beni oggetto della permuta: negozio misto con donazione

Il negotium mixtum cum donatione coincide con qualsiasi negozio a titolo oneroso in cui la prestazione del cedente supera la controprestazione del cessionario (Cass. 1685/1963), purché la differenza di valore sia voluta per spirito di liberalità (Cass. 7681/2019); in altre parole, si tratta di una donazione indiretta.

Orbene, un caso particolare è quello della vendita a prezzo inferiore al valore della cosa (i.e. negotium mixtum cum donatione) (Cass., 3 novembre 2009, n. 23297).

È necessario, nondimeno, affinché si tratti davvero di negotium mixtum che siano compresenti i caratteri strutturali e di morfologia di entrambi i negozi (quello della vendita e quello di donazione): se vendo per 100 ciò che vale 200 nell’intento di avvantaggiare l’acquirente, il contratto stipulato non soltanto ha la struttura esteriore della vendita, ma resta tale sostanzialmente con un effettivo scambio di prestazioni in quanto il prezzo di 100 sebbene non corrispondente al massimo prezzo ottenibile sul mercato, rappresenta pur sempre una controprestazione a favore dell’alienante.

È bene però specificare che in un siffatto caso si dice che l’elemento di liberalità è ravvisabile in relazione alla parte di valore di scambio del bene non remunerato dal prezzo pattuito e pertanto donato dall’alienante all’acquirente.

Ad ogni buon conto, la questione relativa alla natura del negotium mixtum cum donatione è di notevole interesse: ad avviso della scrivente, esso costituisce uno dei modi con i quali si può concretizzare, per via indiretta, l’arricchimento di altri.

Non manca poi chi intende inquadrare tale fattispecie tra i negozi misti, ritenendo all’uopo che la gratuità s’inserisca sulla causa onerosa tipica della vendita o, dall’altro canto, chi ritiene altresì che la liberalità riproduca soltanto un motivo che non altererebbe l’onerosità del negozio.

La giurisprudenza ritiene che nel negozio misto con donazione la causa del contratto sia onerosa, «ma il negozio commutativo adottato viene dai contraenti posto in essere per raggiungere in via indiretta, attraverso la voluta sproporzione delle prestazioni corrispettive, una finalità diversa ed ulteriore, rispetto a quella di scambio, consistente nell’arricchimento, per puro spirito di liberalità, di quello del contraente che riceve la prestazione di maggior valore, con ciò venendo il negozio posto in essere a realizzare una donazione indiretta» (Cass. 10614/2016).

Così stando gli eventi e tanto delineato in diritto, per avere un negotium mixtum cum donatione, non è sufficiente la qualifica attribuita all’atto dalle parti (Cass. 5584/2003) né la semplice sproporzione, ma occorre

a) la volontà di compiere un atto a titolo oneroso con causa tipica o atipica,

b) la volontà di procurare un arricchimento come risultato dell’atto,

c) la sproporzione tra le prestazioni deve essere voluta per spirito di liberalità (Cass. 23297/2015; Cass. 10614/2016; Cass. 1955/2007).

Tale circostanza riguarda la vendita ad un prezzo inferiore rispetto all’effettivo valore del bene.

 

La permuta e disparità di valore dei beni scambiati

Il figlio si duole del fatto che la permuta di quote immobiliari, avvenuta con il de cuius, sia stata qualificata come donazione, in relazione alla differenza di valore tra i beni scambiati. In particolare, rileva come il decidente non abbia indagato sulla sussistenza di un animus donandi in capo al de cuius. La Corte considera infondata la censura.

La permuta è il contratto che ha ad oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose (articolo 1552 c.c.), nel caso di specie, si tratta di quote immobiliari. Può capitare che sussista una discrepanza di valore tra i beni scambiati, che comporta l’arricchimento di una parte (figlio) e il depauperamento dell’altra (padre). Qualora, nello scambio, il bene di valore superiore venga trasferito coscientemente e per spirito di liberalità si rientra nello schema del negotium mixtum cum donatione.

La parte che voglia far valere in giudizio tale istituto è gravata dall’onere di provare

a) la sussistenza della sproporzione sull’entità delle prestazioni,

b) la consapevolezza di essa,

c) la volontaria accettazione da parte dell’alienante il quale trasferisce il bene all’acquirente a tali condizioni in forza dell’animus donandi (Cass. 19601/2004).

 

L’accertamento dello spirito di liberalità

Verificare, concretamente, nei singoli casi se l’attribuzione patrimoniale da parte del disponente sia avvenuta per spirito di liberalità è un apprezzamento di merito, fondato sulla disamina degli elementi concreti della causa, pertanto, non è censurabile in Cassazione se adeguatamente motivato (Cass. 111/1964).

La ricostruzione della fattispecie, quale emerge dalla sentenza, impugnata, non rivela errori nella identificazione dei requisiti che debbono ricorrere ai fini della sussistenza del negotium mixtum cum donatione. Diversamente da quanto si sostiene da parte del ricorrente, non è vero che la Corte d’Appello abbia ravvisato la liberalità nel mero divario di valore fra le quote oggetto della permuta. Piuttosto essa ha posto l’accento sull’oggettivo divario dei valori, deducendo, sulla base di considerazioni attinenti alla qualità professionale del defunto e alla notevole entità della sproporzione, che il genitore permutante l’avesse consapevolmente accettata con il fine di arricchire il figlio.

Pertanto, si può ragionevolmente affermare che nella fattispecie in esame, la sentenza gravata ha correttamente argomentato la sussistenza del negotium mixtum cum donatione. Infatti, non solo si è dato conto del divario di valore tra le quote immobiliari oggetto della permuta, ma si è sottolineato come il defunto, essendo un imprenditore esperto, fosse perfettamente consapevole di tale diversità di valore e l’avesse accettata consapevolmente per arricchire il figlio. In conclusione, la valutazione rientra in un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità.

 

La fideiussione non è una passività immediatamente detraibile

In materia tributaria la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che i soli debiti ereditari deducibili sono quelli liquidi ed esigibili. "Pertanto, le eventuali fideiussioni prestate dal de cuius non costituiscono passività deducibili, a meno che al momento dell’apertura della successione sussista l’insolvibilità del debitore garantito o l’impossibilità di esercitare l’azione di regresso, con il conseguente effettivo depauperamento dell’attivo ereditario (Cass. n. 4419/2008; n. 5969/2007).

Ciò posto, difatti il ricorrente lamenta, inoltre, che l’importo della fideiussione (circa 52 mila euro) sia stato detratto dalla massa ereditaria come passività, senza aver fornito la prova dell’insolvenza del debitore principale (i.e. la società a favore della quale il de cuius ha prestato la fideiussione). La Corte accoglie tale censura. Secondo la giurisprudenza, sono deducibili dall’asse i debiti ereditari che siano liquidi ed esigibili.

Di conseguenza, la mera sussistenza di una fideiussione non è sufficiente a qualificarla come passività deducibile.

La fideiussione è deducibile solo nel caso in cui all’apertura della successione ricorra

a) l’insolvibilità del debitore garantito,

b) l’impossibilità di esperire l’azione di regresso.

Solo in tali situazioni, avviene un effettivo depauperamento dell’attivo ereditario (Cass. 4419/2008; Cass. 5969/2007).

Considerato quanto sopraesposto, è opportuno mostrare che nella riunione fittizia, ex articolo 556 c.c., «sono inclusi nella massa attiva e passiva solo diritti e obblighi aventi esistenza attuale e certa nel patrimonio ereditario».

Sul punto fideiussione (e ai debiti solidali in genere) si applica un principio similare a quello atteso per i debiti sottoposti a condizione sospensiva

a) i quali sono esclusi dal passivo,

b) fatte salve le opportune correzioni se la condizione si verifica.

Il giudice di merito ha operato in contrasto con i principi di cui sopra detraendo, aprioristicamente, l’importo della fideiussione prestata dal de cuius, non tenendo in considerazione nemmeno del fatto che il conto corrente del debitore principale, cui era unita la garanzia, fosse stato chiuso in epoca anteriore all’apertura della successione.

Tutto quanto sopra premesso, dunque la somma è stata detratta

a) senza alcuna prova dell’attualità del depauperamento del patrimonio ereditario e

b) senza considerare un fatto idoneo ad escludere l’operatività della garanzia.

Secondo i giudici di legittimità, la sentenza gravata ha mutato l’ordine normale di due notevoli circostanze: quello della validità della garanzia con l’effettività ed attualità del debito.

 

Legittimario pretermesso: istanza di esibizione ex articolo 210 c.p.c. e ss., no istanza di nomina di un consulente tecnico

Il legittimario, quando, come nel caso in esame, sia stato preterito dal testatore, non essendo erede né chiamato all’eredità, potrebbe trovarsi nella impossibilità di attivarsi autonomamente presso gli istituti di credito al fine di acquisire documentazione bancaria inerente alle operazioni realizzate dal defunto.

Infatti, il diritto ai sensi e per gli effetti del D.lgs. n. 385 del 2011, ex articolo 119, di ottenere "copia dalla documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni", compete al soggetto che sia "succeduto universalmente al cliente della banca" (Cass. n. 11004/2006). Ma a tale eventuale carenza si supplisce, in ipotesi, con l’istanza di esibizione ex articolo 210 c.p.c. e ss. (cfr. Cass. n. 15688/2020), non con la istanza di nomina di un consulente tecnico. D’altronde non risulta che la legittimaria ricorrente avesse avuto difficoltà nell’ottenere documentazione dalle banche a causa della preterizione. La stessa ricorrente ammette che la documentazione, insieme agli estratti conto, fu depositata nei termini.

Si deve aggiungere che l’onere di specifica deduzione, che avrebbe dovuto accompagnare la richiesta di nomina del consulente, nella specie, si atteggiava in termini ancora più stringenti, tenuto conto che si discuteva di una differenza di Euro 44.000,00 in un arco di tempo di circa un decennio. Infine, si deve rilevare che non ha costituito oggetto di censura il metodo seguito dalla Corte d’Appello nell’operare la riduzione in favore del coniuge superstite.

La Corte riconosce che il legittimario pretermesso – come la moglie – non rivestendo la qualità di erede riscontri delle oggettive difficoltà nel ricostruire il patrimonio del defunto. Infatti, il legittimario preterito è privo di qualsiasi titolo per poter avanzare agli istituti di credito le richieste inerenti ai rapporti intrattenuti dal de cuius. Il testo unico bancario richiede la qualità di successore del cliente per conoscere la movimentazione bancaria e le operazioni compiute negli ultimi dieci anni (ex articolo 119 c. 4 d. lgs. 385/1993). In tali circostanze, quindi, bisogna ricorrere all’istanza di esibizione ex articolo 210 c.p.c. (Cass. 15688/2020), non già alla richiesta di CTU.

Infatti, la riduzione è stata operata anche a scapito del donatario pur essendo il relictum capiente, in contrasto con la regola inderogabile, stabilita dall’articolo 555 c.c., che le donazioni non si riducono se non esaurito il valore dei beni dei quali è stato disposto per testamento (Cass. n. 4721/2016; n. 17926/2020).

Grazie a questo anomalo modo di procedere, la erede testamentaria, destinataria dell’azione di riduzione esercitata dal coniuge, ha conservato non solo la quota di legittima (come è naturale che sia: Cass. n. 4694/2020), ma anche l’intera quota disponibile, nonostante questa, attesa la presenza della donazione eccedente la legittima del donatario, fosse stata già intaccata.

Tale modo di procedere trascura che, in senso tecnico, la quota disponibile non è la porzione della massa fittizia formata con il procedimento di calcolo ai sensi dell’articolo 556 c.c., ma la quota del relictum che eventualmente sopravanza la porzione indisponibile, determinata in base a quel procedimento: la quota disponibile varia in proporzione inversa al valore delle donazioni fatte ad estranei o anche a legittimari, nella misura in cui le donazioni fatte a questi ultimi siano imputabili alla disponibile.

La ricorrente incidentale si duole del fatto che il giudice di merito non abbia accolto la sua richiesta di CTU.

Secondo la moglie del defunto, infatti, le disponibilità economiche del marito, al momento della morte, erano inferiori rispetto a quelle menzionate nel testamento. Ella, pertanto, aveva sollecitato una consulenza tecnica per fare emergere l’esistenza di eventuali donazioni. La Corte considera infondata la doglianza, infatti, la CTU non è un mezzo istruttorio e serve ad aiutare il giudice nella soluzione di questioni che richiedano competenze specifiche. Pertanto, «il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati» (Cass. 30218/2017; Cass. 10373/2019).

Nel caso in esame, il testamento indicava beni non presenti al momento dell’apertura della successione (10 anni dopo la stesura) e la richiesta di una CTU, non essendo accompagnata da alcuna circostanza concreta volta a dimostrare l’esistenza di donazioni, assume un carattere esplorativo.

 

Conclusioni

La Corte Suprema di Cassazione considera fondata la censura del ricorrente con cui si lamenta della detrazione dall’attivo ereditario dell’importo afferente alla fideiussione prestata dal defunto. Per questa ragione, la stessa enuncia il presente principio di diritto:

"Nella formazione della massa ai sensi dell’articolo 556 c.c., si detrae dal valore dei beni compresi nel relictum solo il valore dei debiti del defunto aventi esistenza attuale e certa nel patrimonio ereditario, fatta salva la reintegrazione della legittima, previa rettifica del calcolo, se il debito, inizialmente non detratto, sia venuto ad esistenza in un secondo momento. Pertanto, il debito derivante da fideiussione prestata dal de cuius è detraibile se e nella misura in cui sia dimostrata l’insolvibilità del debitore garantito o l’impossibilità di esercitare l’azione di regresso".

Riferimenti bibliografici e giurisprudenziali:

Cass. Civ., Sez. II, 9.11.2021, n. 32804 (Cassazione-civile-sentenza-32804-2021.pdf)

Manuale di Diritto Privato di Andrea Torrente (Autore), Piero Schlesinger (Autore), a cura di Franco Anelli e Carlo Granelli, ventiduesima edizione, Giuffrè.