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Contro l’addebito della separazione

L’addebito della separazione
L’addebito della separazione

Abstract

L’addebito della separazione pare istituto da superare, sia in quanto residuo di una prospettiva sanzionatoria caratteristica del diritto di famiglia precedente alla Novella del 1975, sia in quanto foriero di conseguenze inique, atte ad affliggere, unicamente o comunque maggiormente, il coniuge economicamente più debole.

 

1. Alcuni cenni storici.

2. L’addebito della separazione personale tra i coniugi.

3. Gli effetti dell’addebito.

4. Alcune ragioni per il superamento dell’addebito.

5. Spunti di drafting legislativo.

 

1. Alcuni cenni storici

Come è noto, prima della grande riforma del diritto di famiglia del 1975, la separazione poteva essere solo per colpa.

Nell’ampio dibattito che precedette la riforma del diritto di famiglia, poi, a lungo si discusse sulla adeguatezza di questa tradizionale prospettiva, a fronte della fattuale difficoltà, e forse anche dell’inadeguatezza di risultati, legate all’esatta individuazione di un “colpevole” nella crisi della coppia, crisi, per lo più, conseguente a un lento deterioramento di rapporti, riguardo al quale diveniva estremamente complesso capire il significato di causa o di effetto dei singoli avvenimenti e delle singole manchevolezze.

Il dibattito, infine, vide prevalere la posizione di coloro che suggerivano di abbandonare questa antica impostazione, e di optare, viceversa, per una separazione personale soltanto rimediale, che prescindesse dalle singole colpe e dalle singole responsabilità.

Con la Riforma del 1975, perciò, si passò dalla separazione come sanzione, alla separazione come rimedio, fondata non sulla colpa di un coniuge, ma sulla intollerabilità della prosecuzione della convivenza. In una prospettiva di mediazione con le forze politiche più legate al passato, tuttavia, una rilevanza della colpa, e della prospettiva sanzionatoria, fu mantenuta anche nella riforma, tramite la previsione dell’addebitabilità della separazione. In questa ottica, nondimeno, l’addebito avrebbe dovuto essere istituto di applicazione del tutto eccezionale, tale, vale a dire, da non mutare, nei fatti, la nuova impostazione “rimediale” della separazione.

2. L’addebito della separazione personale tra i coniugi

Al secondo comma dell’art. 151 c.c., dedicato alla separazione giudiziale, perciò, il Novellatore ha previsto che il giudice, pronunziando la separazione, dichiari, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione. Questo, in considerazione del comportamento del coniuge “contrario ai doveri che derivano dal matrimonio”.

La violazione dei doveri che nascono dal matrimonio – anzitutto di quelli sanciti all’art. 143 c.c. – dunque, può essere sanzionata con l’addebito della separazione.

L’addebito, si sottolinea, è soltanto eventuale, poiché, affinché esso possa essere pronunciato dal giudice, è necessaria la richiesta di parte. Perché la separazione venga addebitata, altresì, bisogna che la violazione del dovere abbia avuto efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza.

Va notato, inoltre, come sovente accada che ognuno dei coniugi chieda al giudice di addebitare la separazione all’altro, e come la separazione possa anche essere addebitata ad entrambi. L’addebito della separazione, insomma, è una delle tipiche sanzioni previste dalla legge per la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, e, a lungo, è stato anche indicato come sanzione “esclusiva” di rimedi più generali, come il risarcimento del danno, i quali, dunque, non avrebbero potuto avere spazio nei rapporti tra coniugi. Questo residuo di carica sanzionatoria, ancora presente nella disciplina della separazione personale, si badi, diversamente da quanto immaginato dal Novellatore, non è rimasto istituto di applicazione eccezionale, ma, tutto al contrario, nella prassi viene richiesto con estrema frequenza, tanto da connotare – almeno nelle domande delle parti, se non nelle pronunzie – la maggior parte delle separazioni giudiziali.

3. Gli effetti dell’addebito

Due sono le conseguenze pratiche dell’addebito della separazione. In primo luogo, ai sensi dell’art. 156 c.c., il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto necessario al suo mantenimento, può spettare unicamentea vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione”. In secondo luogo, ai sensi degli artt. 548, 2° co, e 585, 2° co., c.c., il coniuge al quale sia stata addebitata la separazione non ha altri diritti da legge, rispetto alla successione dell’altro coniuge, se non quello “ad un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto”.

L’addebito della separazione, in altre parole, fa perdere al coniuge contro cui sia pronunziato, sia la possibilità di ricevere un assegno di mantenimento da parte dell’altro coniuge (resta, almeno, la possibilità di ricevere un assegno alimentare, qualora ricorra il presupposto dello stato di bisogno, ai sensi dell’art. 433 c.c.), sia i pieni diritti di successore legittimo e necessario, che, ove non vi sia addebito, spettano anche al coniuge separato, ai sensi degli artt. 548 e 585 c.c. (resta, a questo punto, solo la possibilità di ricevere un assegno vitalizio).

4. Alcune ragioni per il superamento dell’addebito

Come ho appena sinteticamente richiamato, il coniuge che riceve l’addebito, come pratica conseguenza, perderà soltanto diritti. Non dovrà, cioè, “dare” qualcosa all’altro, ma, semplicemente, non potrà più avere vantaggi che altrimenti avrebbe avuto. Si osservi, anzitutto, il primo di questi vantaggi perduti, vale a dire il diritto a ricevere quanto necessario per il mantenimento.

Fin troppo semplice è notare che, per perdere questo diritto in conseguenza dell’addebito, è necessario, a monte, che ricorrano i presupposti per goderne.

In altri termini, solo il coniuge che non abbia adeguati redditi propri, e che dunque potrebbe aver diritto a ricevere dall’altro quanto necessario per mantenersi, potrà perdere questo diritto in conseguenza dell’addebito.

Questa concreta e pratica afflizione conseguente all’addebito, insomma, può colpire unicamente il coniuge economicamente debole, e mai quello forte, che, anche senza ricevere l’addebito, comunque non potrebbe aver diritto al mantenimento. Si rivolga l’attenzione, poi, al secondo vantaggio che viene perduto, vale dire ai pieni diritti successori.

Anche in questo caso, è facile notare come, in una coppia nella quale un coniuge sia economicamente più forte dell’altro, l’afflittività della conseguenza ora osservata dell’addebito sarà molto più forte per il coniuge più povero (che perde i pieni diritti successori nei confronti di un soggetto più abbiente), che nei confronti del coniuge più ricco (che non sarà pieno successore verso un asse comunque più esiguo rispetto al suo patrimonio personale).

Entrambe le conseguenze dell’addebito, insomma, hanno un minimo comune denominatore: l’attitudine ad affliggere, esclusivamente o maggiormente, il coniuge economicamente più debole. Esse mi pare siano, perciò, intollerabilmente inique. E qui sta la prima, e principale, ragione che, a mio modo di vedere, consiglia di abrogare definitivamente questo istituto. Superare l’addebito, poi, renderebbe anche più limpido un sistema che, sempre di più, per colpire le più gravi violazioni dei doveri che nascono dal matrimonio va verso il risarcimento del danno, c.d., endo-familiare tra i coniugi. Benchè, per i più, la previsione dell’addebito non sia argomento per escludere la possibilità anche di risarcire il danno tra coniugi, vi sono, infatti, ancora autori che sottolineano l’esclusività dell’addebito, per sanzionare le violazioni tra i coniugi, e, perciò, l’impossibilità di applicare a queste ipotesi il generale rimedio risarcitorio.

Inoltre, l’intrecciarsi, in diversi giudizi, di richieste di addebito con richieste di risarcimenti di danni endo-familiari, conduce, non raramente, a confusione e risultati contraddittori.

Molto più lineare, perciò, mi pare sarebbe abbandonare l’addebito, e lasciare solo al rimedio generale del risarcimento del danno, la risposta alle più gravi violazioni dei doveri coniugali. Questo porterebbe, sia a un maggiore ordine, sia a conseguenze eque, dal momento che il risarcimento costringerà il responsabile delle violazioni a un “dare”, e non, come l’addebito, a un “perdere” che, o può riguardare solo il coniuge più debole economicamente (per le conseguenze inter vivos), o comunque è più pesante per il coniuge più debole economicamente (per le conseguenze morits causa).

​​​​​​​5. Spunti di drafting legislativo

Da notare, da ultimo, come questa piccola riforma sarebbe assai semplice anche dal punto di vista tecnico, poiché basterebbe rimuovere il riferimento all’addebito nelle poche norme che lo contengono.

Così, ad esempio, dell’art. 151 c.c. dovrebbe venire abrogato l’intero secondo comma, dall’art. 156 c.c. andrebbero sostituite le parole “del coniuge cui non sia addebitata la separazione” con “di un coniuge”, all’art. 548 c.c., nel primo comma le parole “cui non è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato, ai sensi del secondo comma dell’articolo 151” andrebbero sostituite con “separato”, e il secondo comma andrebbe abrogato, e analoghi intervento e abrogazione dovrebbero riguardare il primo e il secondo comma dell’art. 585 c.c.

Resta da notare, infine, come possa apparire stridente riservare e riconoscere pieni diritti successori in favore di un coniuge superstite, non solo separato, ma anche che abbia gravemente violato i doveri matrimoniali verso l’altro coniuge. Questa notazione, tuttavia, aprirebbe la strada ad altre considerazioni, che dovrebbero riguardare l’opportunità di riconoscere diritti successori da legge anche in favore del coniuge superstite separato, e che non svolgo ora, perché sono già state oggetto di un altro mio contributo su Filodiritto.​​​​​​​

Letture consigliate:

L. Olivero, Abbandono, addebito e assegno, in Giur. it., 2021, p. 1052 ss.;

F. Danovi, Modifica della separazione e (parziale) autonomia dal divorzio, in Fam. dir., 2020, p. 274 ss.;

F. Tommaseo, Sulla richiesta di addebito nei giudizi di separazione, in Fam. dir., 2020, p. 7 ss.;

G. Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, Milano, 2020, IX ed., p. 225 ss.;

M. Sala, sub art. 151 c.c., in Codice di famiglia – minori – soggetti deboli, a cura di G.F. Basini, G. Bonilini, M. Confortini, Torino, 2014, p. 563 ss.