x

x

Ergastolo ostativo e benefici penitenziari

dall’automatismo delle presunzioni assolute al criterio dell’onus probandi interamente sull’istante
ortensie a primavera
Ph. Riccardo Radi / ortensie a primavera

Ergastolo ostativo e benefici penitenziari, esame della proposta di legge n. 3184 che intende introdurre il nuovo meccanismo di riparto dell’onus probandi, per neutralizzare le presunzioni qualificate come ostative alla concessione dei benefici, interamente a carico dell’istante.

La Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 97 dell’11 maggio 2021, (Link ordinanza) ha segnato un “punto di non ritorno” in merito alla compatibilità della disciplina relativa all’ergastolo cosiddetto “ostativo” con gli articoli 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione. In particolare, la Corte è intervenuta sugli articoli 4-bis, comma 1, e 58-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e sull’articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, “nella parte in cui escludono che possa essere ammesso alla liberazione condizionale il condannato all’ergastolo per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’articolo 416-bis del codice penale, ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia”.

La Corte Costituzionale ha sollecitato il Parlamento a legiferare in materia, in risposta ai rilievi della Corte Costituzionale è stata presentata la proposta di legge n. 3184, stampata in data 2 agosto.

Nella presentazione della proposta di legge si argomenta che: “La presente proposta di legge, pur superando, in virtù delle argomentazioni della Corte costituzionale, l’automatismo delle presunzioni assolute o iuris et de iure, mira a introdurre un nuovo meccanismo di riparto dell’onus probandi, secondo il quale l’onere della prova degli elementi richiesti per neutralizzare le presunzioni qualificate come ostative alla concessione dei benefìci dovrà gravare interamente sull’istante, con ciò determinando un regime probatorio rafforzato a carico dell’istante. Ogni altra e più lassista impostazione rischierebbe di disperdere il patrimonio giuridico degli istituti posti a presidio della legalità e per fronteggiare la criminalità organizzata”.

 

Esame della proposta di legge

Per i firmatari della proposta di legge, l’ordinanza della Corte Costituzionale n. 97 si pone al culmine di un processo di lenta, ma inarrestabile erosione della normativa speciale per contrastare la criminalità organizzata fondato sulla giurisprudenza costituzionale sviluppatasi sulla disciplina ostativa, per oltre venticinque anni, a partire dalla sentenza della Corte costituzionale n. 306 dell’8 luglio 1993 fino alla sentenza della stessa Corte n. 253 del 4 dicembre 2019.

A prescindere dalle singole sensibilità, è urgente e improcrastinabile un intervento del legislatore, peraltro sollecitato dalla stessa Corte costituzionale, al fine di intervenire sulla normativa introdotta nel periodo più difficile della lotta allo sciagurato fenomeno mafioso.

La proposta di legge, a detta dei firmatari, si pone l’obiettivo di salvaguardare, pur nel rispetto delle indicazioni della Corte, le esigenze social-preventive nei confronti della criminalità organizzata e di difesa sociale e di scongiurare che il percorso di frontale contrasto della criminalità organizzata venga disarticolato a causa di mal interpretati e mal metabolizzati princìpi relativi alla funzione rieducativa della pena.

Attualmente, per le condanne inflitte a seguito dei delitti elencati al citato comma 1 dell’articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975, i benefìci della liberazione condizionale e della retrocessione dell’ergastolo sono ammessi solo nei casi di collaborazione con la giustizia o di accertata impossibilità o inesigibilità della collaborazione medesima (link articolo 4-bis Ordinamento Penitenziario).

Con la citata ordinanza del 2021, la Corte costituzionale, a seguito di una sua precedente pronuncia sul punto della compatibilità dell’ergastolo ostativo con la finalità rieducativa della pena, ha sollecitato il legislatore a intervenire per rimuovere i profili di criticità evidenziati e che si porrebbero in contrasto con la funzione rieducativa della pena, contemperando il regime generale applicabile ai condannati per delitti connessi alla criminalità organizzata con la possibilità per il tribunale di sorveglianza di adottare decisioni personalizzate alla presenza di determinate condizioni.

La Corte costituzionale, evitando un intervento meramente demolitorio che non solo avrebbe avuto chiari effetti disarmonici sul complessivo equilibrio della speciale disciplina, ma che avrebbe anche compromesso le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva, ha sollecitato il Parlamento a modificare la disciplina dell’ergastolo ostativo.

È necessario, dunque, intervenire tempestivamente perché la funzione rieducativa della pena venga mantenuta in equilibrio costituzionale con altre funzioni della pena che, nel caso del contrasto della criminalità organizzata, hanno un valore certamente fondamentale e soprattutto che si circoscriva con precisione il perimetro all’interno del quale si possa ritenere maturato un serio, genuino, sincero, metabolizzato e convinto percorso di reinserimento nella società, previo abbandono della mentalità, degli agiti e delle frequentazioni criminali e associative.

La Corte costituzionale ha censurato la presunzione assoluta di perdurante pericolosità a carico del soggetto condannato all’ergastolo non collaborante. La vischiosità dei fenomeni criminali associativi induce a ritenere che la meritevolezza di qualsiasi beneficio debba essere decisamente soppesata, soprattutto in assenza di collaborazione, e, in ogni caso, che l’onere probatorio debba essere posto in capo al detenuto.

La finalità rieducativa della pena deve essere contemperata con le esigenze di sicurezza della collettività e con le esigenze social-preventive: solo una fondata e argomentata prognosi in ordine alla non reiterazione del reato e alla rescissione di ogni collegamento con ambienti criminosi, con onere probatorio a carico del detenuto, può consentire una positiva valutazione relativa alla non attualità della pericolosità sociale che giustifica l’ammissione ai benefìci.

La proposta di legge si compone di due articoli e intende contemperare i contrapposti valori di preminente rilievo costituzionale dell’esigenza di difesa sociale e della finalità rieducativa della pena. Pur non disconoscendo la funzione rieducativa della pena, la presente proposta di legge si prefigge di riaffermare e di valorizzare anche la funzione social-preventiva, retributiva e punitiva della pena, in particolare modo nei confronti di coloro che sono stati condannati per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’articolo 416-bis del codice penale, cioè al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste.

La proposta di legge, pur superando, in virtù delle argomentazioni della Corte costituzionale, l’automatismo delle presunzioni assolute o iuris et de iure, mira a introdurre un nuovo meccanismo di riparto dell’onus probandi, secondo il quale l’onere della prova degli elementi richiesti per neutralizzare le presunzioni qualificate come ostative alla concessione dei benefìci dovrà gravare interamente sull’istante, con ciò determinando un regime probatorio rafforzato a carico dell’istante.

Secondo i firmatari, ogni altra e più lassista impostazione rischierebbe di disperdere il patrimonio giuridico degli istituti posti a presidio della legalità e per fronteggiare la criminalità organizzata. Il legislatore deve rivendicare il diritto di indicare criteri di accertamento affinché il giudice valuti sia l’assoluta rottura dei collegamenti del detenuto con la criminalità organizzata, sia il venire meno della pericolosità sociale dello stesso detenuto.

Se il condannato per i reati di cui al comma 1 dell’articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975 non può essere escluso a priori dai benefìci, è però possibile affermare che i medesimi benefìci non potranno essere concessi esclusivamente sulla base della regolare condotta carceraria, della positiva partecipazione al percorso rieducativo o della mera dichiarazione di dissociazione. La presunzione di pericolosità, intrinseca nelle condotte poste in essere nei reati associativi, potrà essere superata attraverso l’onere di allegazioni a carico del condannato.

Al giudice, inoltre, vengono riconosciuti nuovi e più ampi poteri di ricerca e di acquisizione degli elementi necessari ai fini della decisione, in particolar modo utili a consentire un eventuale riscontro alle tassative allegazioni fornite dal condannato richiedente. In particolare, affinché il condannato possa accedere ai benefìci previsti dalla normativa vigente, occorre che egli dia prova del superamento della particolare pericolosità sociale, sia sotto il profilo delle caratteristiche personali, sia sotto il profilo, ancor più rilevante, della particolare gravità del reato commesso. Per provare il superamento della pericolosità sociale il condannato dovrà dimostrare la sussistenza di fatti e di circostanze in grado di attestare non solo che egli non sia più pericoloso per la collettività ma anche l’assenza del rischio che, in virtù dei benefìci a cui eventualmente possa accedere, si possa ripristinare un qualsiasi collegamento con l’associazione criminale alla quale apparteneva al momento della condanna. La presente proposta di legge, infine, attribuisce al magistrato di sorveglianza o al tribunale di sorveglianza, nell’ambito dell’accertamento sulla pericolosità sociale del detenuto, il compito di valutare la condotta carceraria e l’effettiva partecipazione al percorso rieducativo, la presenza delle circostanze di fatto espressamente indicate dalla legge nonché il contesto sociale esterno in cui il condannato rientrerebbe in virtù dei benefìci acquisiti, verificando attraverso una serie di indicatori specifici che egli abbia effettivamente reciso ogni collegamento con l’ambiente da cui il delitto evidentemente ha tratto origine.

Questa scelta normativa comporta per il magistrato di sorveglianza o per il tribunale di sorveglianza un accertamento della pericolosità sociale anche attraverso la verifica del contesto sociale esterno in cui il condannato sarebbe autorizzato a rientrare, essendo necessaria per la concessione dei benefìci la prova positiva – attraverso l’accertamento in sede procedimentale di una serie di indicatori fattuali specifici – che il detenuto abbia reciso ogni collegamento con l’ambiente da cui il delitto evidentemente ha tratto scaturigine. Si propone, dunque, di inserire il comma 1-sexies dell’articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975, nel quale, in termini meramente esemplificativi, non tassativi e quindi non esaustivi, sono elencati una serie di indicatori rilevanti ai fini del superamento della presunzione di particolare pericolosità connessa alla condanna all’ergastolo per delitti cosiddetti « ostativi », atteso che i benefìci possono essere concessi solo nelle ipotesi in cui l’istante fornisca la prova di un effettivo conseguimento delle finalità rieducative assegnate dalla Costituzione alla pena.

L’ufficio giudicante dovrà, dunque, acquisire agli atti del procedimento:

1) la prova di elementi che dimostrino la risocializzazione del detenuto o dell’internato, che è fornita attraverso l’allegazione dell’esistenza di un percorso effettivo di rieducazione e di recupero che tenga conto della valutazione critica del vissuto in relazione al ravvedimento del detenuto o dell’internato, dell’assenza di infrazioni o rilievi disciplinari, della mancanza di sopravvenienze di nuove incriminazioni o condanne e degli adempimenti alle obbligazioni civili nascenti dal reato;

2) la prova dell’assenza di collegamenti attuali con l’ambiente criminale, desumibile da indici sintomatici quali la caratura criminale del detenuto o dell’internato, le sue attuali disponibilità economiche, il suo tenore di vita all’interno degli istituti penitenziari, la compatibilità dei redditi dichiarati con le attività svolte dai familiari, nonché, nell’ipotesi di detenuti o di internati non collaboranti, le specifiche ragioni della mancata collaborazione con la giustizia;

3) la prova dell’assenza di pericoli di ripristino di collegamenti con la criminalità, che è possibile trarre dalla verifica del perdurare o no dell’operatività del sodalizio criminale al quale apparteneva il condannato, dall’accertamento della capacità eventualmente manifestata dal detenuto nel corso della detenzione di mantenere collegamenti con l’originaria associazione, dalla verifica di idoneità dei luoghi ove è destinato a godere del beneficio il richiedente e dalla verifica delle carriere criminali dei sodali.

Atteso che i benefìci possono essere concessi solo nelle ipotesi in cui l’istante fornisca la prova di un effettivo conseguimento delle finalità rieducative assegnate dalla Costituzione alla pena, la proposta di legge, con il nuovo comma 2-ter del citato articolo 4-bis, consente al magistrato di sorveglianza o al tribunale di sorveglianza di stabilire, con il provvedimento di concessione dei benefìci in oggetto, ulteriori prescrizioni e limitazioni idonee a escludere il pericolo di ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata.

La proposta di legge intende porre rimedio ad alcune problematiche emerse dalla giurisprudenza, nella parte in cui contribuisce a creare un regime probatorio differenziato per i detenuti sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della stessa legge n. 354 del 1975, per i quali assume un significato particolare l’acquisizione di informazioni dettagliate e non generiche o meramente assertorie, da parte del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica e del direttore dell’istituto penitenziario.

Infine, con le modifiche al comma 1 dell’articolo 2 del decreto-legge n. 152 del 1991, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 203 del 1991, la presente proposta di legge estende all’istituto della liberazione condizionale la nuova disciplina stabilita, per le altre misure alternative, dal novellato articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975.