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Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale

Art. 4-bis dell'Ordinamento penitenziario
Red and Blue Rayonism Beach - Larionov 1911
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Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti (1)

 

1. L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per i seguenti delitti solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell’articolo 58-ter della presente legge o a norma dell’articolo 323-bis, secondo comma, del codice penale: delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 416-bis e 416-ter del codice penale, delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, delitti di cui agli articoli 600, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609-octies e 630 del codice penale, all’articolo 12, commi 1 e 3, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, all’articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all’articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Sono fatte salve le disposizioni degli articoli 16-nonies e 17-bis del decreto legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni. (2) (3) (4) (5).

1-bis. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per uno dei delitti ivi previsti, purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, altresì nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’art. 62, numero 6), anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall’articolo 114 ovvero dall’articolo 116, secondo comma, del codice penale.

1-ter. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi, purché non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, secondo e terzo comma, 600-ter, terzo comma, 600-quinquies, 628, terzo comma, e 629, secondo comma, del codice penale, all’articolo 291-ter del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, all’articolo 73 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80, comma 2, del medesimo testo unico, all’articolo 416, primo e terzo comma, del codice penale, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 e 474 del medesimo codice, e all’articolo 416 del codice penale, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del medesimo codice, dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale e dall’articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.

1-quater. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 609-undecies del codice penale solo sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui al quarto comma dell’articolo 80 della presente legge. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano in ordine al delitto previsto dall’articolo 609-bis del codice penale salvo che risulti applicata la circostanza attenuante dallo stesso contemplata.

1-quinquies. Salvo quanto previsto dal comma 1, ai fini della concessione dei benefici ai detenuti e internati per i delitti di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-quater, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale, nonché agli articoli 609-bis e 609-octies del medesimo codice, se commessi in danno di persona minorenne, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza valuta la positiva partecipazione al programma di riabilitazione specifica di cui all’articolo 13-bis della presente legge.

2. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1 il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni per il tramite del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni. Al suddetto comitato provinciale può essere chiamato a partecipare il direttore dell’istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto.

2-bis. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1-ter, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni dal questore. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni.

3. Quando il comitato ritiene che sussistano particolari esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali, ne dà comunicazione al giudice e il termine di cui al comma 2 è prorogato di ulteriori trenta giorni al fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali.

3-bis. L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo o il Procuratore distrettuale comunica, d’iniziativa o su segnalazione del

comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. In tal caso si prescinde dalle procedure previste dai commi 2 e 3.

(1) La Corte costituzionale con sentenza 445/1997, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non prevede che il beneficio della semilibertà possa essere concesso nei confronti dei condannati che prima della entrata in vigore dell’art. 15, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata.

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 239/2014, ha dichiarato: a) l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui non esclude dal divieto di concessione dei benefici penitenziari, da esso stabilito, la misura della detenzione domiciliare speciale prevista dall’art. 47-quinquies della presente legge; b) in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui non esclude dal divieto di concessione dei benefici penitenziari, da esso stabilito, la misura della detenzione domiciliare prevista dall’art. 47-ter, comma 1, lettere a) e b), della presente legge, ferma restando la condizione dell’insussistenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti.

(3) Comma così modificato dall’ art. 1, comma 6, lett. a) e b), L. 3/2019.

(4) La Corte costituzionale, con sentenza 253/2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis del codice penale e per quelli commessi  avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo  ovvero  al  fine  di agevolare l’attività delle associazioni in  esso  previste,  possano essere concessi permessi premio anche in  assenza  di  collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo ordinamento penitenziario, allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti. Ha inoltre dichiarato in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti ivi contemplati, diversi da quelli di cui all’art. 416-bis cod. pen. e da quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter, allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.

(5)  La Corte costituzionale, con sentenza 32/2020 (riportata diffusamente nella rassegna giurisprudenziale che segue) ha dichiarato: 1) l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera b), L. 3/2019 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici), in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte all’art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019, in riferimento alla disciplina delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della legge n. 354 del 1975, della liberazione condizionale prevista dagli artt. 176 e 177 del codice penale e del divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione previsto dall’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale; 2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso ai condannati che, prima dell’entrata in vigore della medesima legge, abbiano già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio stesso; 3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Taranto con l’ordinanza indicata in epigrafe (ruolo n. 157 del 2019).

 

Rassegna di giurisprudenza

Questioni di legittimità costituzionale

L’art. 4-bis reca una disciplina speciale, a carattere restrittivo, per la concessione dei benefici penitenziari a determinate categorie di detenuti o di internati, che si presumono socialmente pericolosi in ragione del tipo di reato per il quale la detenzione o l’internamento sono stati disposti; disciplina la cui genesi risale alla “stagione emergenziale” in tema di lotta alla criminalità organizzata risalente al principio degli anni ’90 dello scorso secolo. Già nella versione di origine - introdotta dall’art. 1 DL 152/1991, convertito nella L. 203/1991 - l’art. 4-bis distingueva le figure criminose di riferimento in due “fasce”. Per i reati di “prima fascia”, a matrice o sfondo carattere associativo, l’accesso alle misure alternative era subordinato all’acquisizione di elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata; per i reati di “seconda fascia”, privi di tale connotazione ma comunque socialmente allarmanti, si richiedeva - in termini inversi, dal punto di vista probatorio - la mancata emersione di elementi tali da far ritenere attuali detti collegamenti.

Erano parallelamente disposti aggravamenti istruttori, di natura obbligatoria, ancorché dall’esito non vincolante. In relazione, era previsto l’innalzamento dei “tetti” di pena stabiliti per i benefici penitenziari caratterizzati dall’accesso subordinato all’avvenuta espiazione di una predeterminata quota parte della pena stessa. A seguito della riforma operata dal DL 306/1992, convertito nella L. 356/1992, assunse un ruolo centrale, nell’economia dell’istituto, la collaborazione con la giustizia.

L’utile collaborazione, nei sensi indicati dall’art. 58-ter, divenne, infatti, condicio sine qua non per l’accesso ai benefici penitenziari, in rapporto ai delitti di “prima fascia”, salva - anche per effetto delle pronunce della Corte costituzionale e delle successive conformi modifiche legislative - l’equiparazione della collaborazione impossibile o «oggettivamente irrilevante», ove al condannato fossero state concesse talune attenuanti, sintomatiche di una minore pericolosità. Il meccanismo poggia sulla presunzione legislativa che la commissione di determinati delitti dimostri il collegamento dell’autore con la criminalità organizzata e costituisca, quindi, un indice di pericolosità sociale incompatibile con l’ammissione del condannato ai benefici penitenziari extra-murari.

La scelta di collaborare con la giustizia viene assunta, in questa prospettiva, come una sorta di prova legale, la sola idonea ad esprimere con certezza la volontà di emenda del condannato e, dunque, a rimuovere l’ostacolo alla concessione delle misure, in ragione della sua valenza “rescissoria” di tale legame, ferma in ogni caso la necessità che risulti esclusa l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata.

Pur a seguito del successivo incremento del relativo catalogo dei reati, l’assetto complessivo dell’istituto ha ripetutamente superato il vaglio di legittimità costituzionale, ancorché talune pronunce della Corte costituzionale, tra le quali vanno in particolare ricordate quelle in tema di rieducazione già raggiunta e di collaborazione impossibile e quelle relative ai minorenni, abbiano inciso su aspetti specifici (e limitati) della disciplina. Quanto ai reati di “seconda fascia”, il loro regime giuridico, nonostante la sempre più marcata eterogeneità dell’elencazione, via via aggiornata dal legislatore, non è sostanzialmente mutato dal 1991 ad oggi. Si tratta, in sostanza, di reati considerati espressivi - nella astratta valutazione, preventivamente operata dal legislatore - di accentuata pericolosità sociale del loro autore, la quale giustifica nel sistema legale la necessità di verificare, presso le competenti autorità di pubblica sicurezza, se sussistano collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, la cui emersione soltanto opera, “in negativo”, come fattore preclusivo del beneficio penitenziario.

 

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