Fake news e pluralismo informativo: la formazione dell’opinione pubblica nell’era dei Big Data

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Indice:

1. Dall’avvento di Internet alla diffusione dei Big Data

2. La possibile frizione con i diritti umani fondamentali

3. La libertà di informazione e la lesione del diritto al pluralismo informativo

4. La filiera delle fake news

 

1. Dall’avvento di Internet alla diffusione dei Big Data

Fin dalla sua nascita, Internet ha rappresentato uno dei maggiori mezzi di comunicazione di massa, assieme a radio e televisione, nonché uno dei più potenti mezzi di raccolta e diffusione dell’informazione su scala globale. Ed infatti, la possibilità di avvicinare telematicamente ciò che agli occhi appariva diviso e distante ha fatto sì che la diffusione di Internet, agli inizi degli anni Novanta, rappresentasse una vera e propria rivoluzione non solo tecnologica, ma soprattutto socio-culturale, diventando a tutti gli effetti uno dei motori dello sviluppo economico mondiale.

Negli anni più recenti, l’utilizzo massivo di Internet da parte di utenti più o meno avveduti ha spostato l’attenzione su quei dati che ciascun fruitore, non del tutto consapevolmente, lascia dietro di sé ogniqualvolta opera e si muove all’interno della grande rete digitale. Ed infatti, i suddetti dati hanno assunto un’importanza via via crescente al punto da essere considerati una risorsa economica, passibile di scambio alla stregua di veri e propri beni materiali.

Ed è proprio nel contesto appena delineato che prende piede il fenomeno dei Big Data, intendendo con tale termine la raccolta, l’analisi ma soprattutto l’accumulo di ingenti quantità di dati di varia natura, sia personale che non, finalizzate all’ottimizzazione dei processi produttivi e alla personalizzazione dell’offerta di mercato.

La funzione predittiva, volta alla previsione accurata delle tendenze di consumo, si realizza per mezzo di precise tecniche di organizzazione e modellizzazione dei dati raccolti; tecniche queste dirette alla profilazione degli utenti, i quali vengono segmentati e classificati a seconda del comportamento rilevato.

L’enorme mole di dati che quotidianamente viene raccolta e analizzata ha richiesto l’adozione di procedimenti automatizzati di trattamento, realizzati per mezzo di algoritmi informatici. Le raccolte massive di questi dati, infatti, talvolta acquisiti per la soddisfazione di esigenze non attuali ma solo future ed eventuali, possono comportare serie lesioni degli interessi del singolo utente, nonché del diritto alla privacy individuale.

La fondamentale importanza e i corrispondenti sviluppi che il fenomeno dei Big Data ha, nel tempo, iniziato a ricoprire anche all’interno dell’ordinamento giuridico italiano ha fatto sì che le tre Autorità amministrative indipendenti operanti nel settore delle comunicazioni (AGCM, Autorità garante della concorrenza e del mercato; AGCOM, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e Garante per la protezione dei dati personali) si adoperassero, conducendo un’indagine conoscitiva in materia.

Al termine di una intensa e proficua collaborazione, in data 10 febbraio 2020 è stato pubblicato il rapporto finale della predetta analisi: da tre prospettive diverse ma complementari, l’indagine ha approfondito, anche attraverso audizioni e richieste di informazioni ad imprese, associazioni di categoria ed esperti della materia, i cambiamenti dipendenti dal fenomeno in esame.

 

2. La possibile frizione con i diritti umani fondamentali

Premesso come l’asimmetria informativa che caratterizza strutturalmente le piattaforme digitali all’interno delle quali si muove il singolo utente, comporti una scarsissima consapevolezza da parte di quest’ultimo circa la pervasività della raccolta e dell’utilizzo dei propri dati, la posizione di svantaggio nella quale si viene a trovare il fruitore dei servizi online, lo rende un soggetto particolarmente vulnerabile e, soprattutto, privo di reale libertà di autodeterminazione nel momento in cui lo stesso si avvale della rete digitale. Le procedure legate all’utilizzo di Big Data, infatti, comportano rischi significativi per quanto riguarda la protezione dei diritti fondamentali, quali il diritto alla privacy, alla sicurezza dei propri dati, come pure alla libertà di espressione, di informazione e di non discriminazione.

Con l’entrata in vigore del GDPR, General Data Protection Regulation (regolamento UE n. 2016/679), viene tipizzata una definizione ampia di “profilazione” intesa come qualsiasi forma di trattamento di dati personali, finalizzato all’utilizzo dei dati stessi per valutare, analizzare o prevedere aspetti personali relativi ad un certo individuo. Tale attività può avvenire anche mediante tracciamento su Internet: in tali circostanze il valore aggiunto, rispetto alle tradizionali forme di trattamento, sta nella possibilità di profilare l’individuo in modo automatizzato.

Per garantire una sempre piena tutela di tutti quei diritti che si presentano come essenziali e connaturati all’essere umano, si dovrà fare riferimento proprio al GDPR, nonostante tale strumento normativo mai si occupi in modo diretto di tale fenomeno. Ai sensi del predetto regolamento, anche l’attività di profilazione che si realizza in modo automatizzato per mezzo dei processi di Big Data, deve essere svolta nel pieno rispetto dei principi generali di liceità, correttezza, trasparenza, finalità e minimizzazione.

Proprio per la particolare struttura della filiera dei Big Data, è possibile, per l’organizzazione che se ne avvale, archiviare tutte quelle informazioni riguardanti ciascun singolo utente, relativamente alla sua vita economica, sociale o privata. Queste, dopo essere state sottoposte a processo di datizzazione, vengono conservate per poter poi essere utilizzate in futuro anche per scopi e fini diversi rispetto a quelli che ne hanno giustificato l’originaria raccolta.

Tale possibilità certamente stride con il rigido quadro di tutele predisposto dal GDPR, il quale prevede una serie di precise garanzie poste a presidio della piena informazione del soggetto dei cui dati si tratta.

L’informazione, resa in forma concisa, trasparente e facilmente intellegibile, costituisce dunque un prerequisito di validità del consenso al trattamento che l’interessato è tenuto a prestare affinché l’organizzazione possa utilizzare i dati del predetto in relazione alle finalità allo stesso rappresentate. Tuttavia, la natura dei trattamenti in parola, effettuati per lo più mediante procedimenti automatizzati, rende assai difficoltosa la raccolta del consenso così come richiesto.

Pertanto, costituendo, la raccolta massiva di dati altrui, un’attività pericolosa in re ipsa perché potenzialmente lesiva dei diritti fondamentali, questa non potrà essere trattata alla stregua di una qualsivoglia attività di impresa.

La responsabilità dell’organizzazione che si avvale dei processi di Big Data non potrà essere determinata in termini di responsabilità soggettiva per colpa o per dolo ma, proprio a causa della pericolosità dell’attività svolta, dovrà essere determinata alla stregua di una responsabilità per danni ai terzi coinvolti nel trattamento, del tipo di cui all’articolo 2050 del Codice Civile.

Si tratterebbe, pertanto, di una forma speciale di responsabilità oggettiva legata allo svolgimento di un’attività naturalmente e finalisticamente pericolosa derivando, tale pericolosità, non solo dalla struttura stessa dell’operazione, ma anche degli esiti rischiosi che tale attività può esplicare sulla collettività tutta.

Il carattere massivo della raccolta, del resto, comporta un nuovo modo di essere del danno, non circoscritto al singolo individuo ma esteso alla collettività, coinvolta nell’attività di analisi predittiva e nella conseguente categorizzazione e profilazione: un vero e proprio danno diffuso, potenzialmente idoneo, secondo taluno in dottrina, ad essere riconosciuto per mezzo di class action stante la spersonalizzazione del legittimato all’azione processuale.

 

3. La libertà di informazione e la lesione del diritto al pluralismo informativo

La libertà d’informazione, espressamente prevista e tutelata all’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, rappresenta un’estensione del concetto più generale di libertà di parola e di espressione. Riconosciuto normativamente per la prima volta con la Costituzione statunitense del 1787, tale diritto si collega intrinsecamente all’identità politica, religiosa e culturale del singolo e di ogni nazione ed è pertanto affermato sia a livello nazionale che sovranazionale quale emblema dei diritti di libertà.

Anche la Costituzione italiana espressamente riconosce la libertà di espressione al suo articolo 21, il quale garantisce a tutti il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. Tale norma, unitamente a tutte le ulteriori e specifiche disposizioni a tutela della stampa, quale mezzo di diffusione tradizionale e tuttora insostituibile, riconosce un interesse generale della collettività all’informazione intesa come servizio di pubblico interesse.

Tale connotazione pubblicistica fa sì che il diritto all’informazione debba risultare caratterizzato sia dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie, sia dall’obiettività e dall’imparzialità dei dati forniti, sia infine dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell’attività erogata (Corte Cost., sent. n. 155/2002).

Con l’avanzare della tecnologia, le piattaforme digitali hanno dimostrato un sempre maggiore impatto sulla produzione e sul consumo d’informazione, rendendo ancor più pregnante la tutela del pluralismo politico, sociale e culturale, nonché la salvaguardia dell’informazione come servizio di interesse generale.

Tuttavia, proprio la struttura dei Big Data systems mette a repentaglio tali diritti fondamentali mirando a catturare quanto più possibile l’attenzione dell’utente, facendogli produrre il maggior numero di azioni digitali, in modo da immagazzinare quanti più dati possibili al fine di ottenere quella profilazione funzionale ad una proposizione selettiva di contenuti fortemente collegati alla storia di attività online del consumatore stesso.

In questo contesto, hanno origine fenomeni noti come self-confirmation bias, caratterizzati da un meccanismo di causazione circolare per il quale l’utente, con le proprie scelte, rivela le informazioni che lo interessano e, a sua volta, la selezione delle informazioni operata dall’algoritmo influenza le scelte dell’utente, confermandone la visione pregressa del mondo.

Questo fenomeno è poi ulteriormente rafforzato se l’utente interagisce con altri contatti, come avviene all’interno dei social network, con la costruzione di cluster omogenei di utenti che condividono la stessa visione relativa ad argomenti sociali, politici e di attualità e la conseguente formazione di groupthink effect o di echo chambers.

Tali fenomeni patologici, agendo da fattori di polarizzazione, predispongono contesti particolarmente favorevoli per le strategie di disinformazione, di cui si dirà infra.

 

4. La filiera delle fake news

La diffusione dei contenuti informativi attraverso Internet ha comportato una trasformazione sia nei modelli di consumo delle notizie, sia nei processi di produzione e distribuzione dell’informazione.

In particolare, mutata risulta la tempistica con la quale viene creato il prodotto informativo così che il ridotto ciclo di produzione implichi necessariamente una contrazione del tempo dedicato alla verifica dei fatti e dell’attendibilità delle fonti.

Inoltre, il processo di digitalizzazione ha prodotto nuove modalità di fruizione dell’informazione che, sebbene abbiano comportato un aumento dell’accesso dei cittadini alle fonti informative, hanno al contempo permesso un incremento del rischio di consumo superficiale e disattento del contenuto informativo.

La minore attenzione e il minor grado di approfondimento che scaturisce dai nuovi modelli di consumo dell’informazione rende il cittadino maggiormente esposto al pericolo di disinformazione, nonché di confusione fra notizie reali e false, con conseguente rischio di diffusione delle cosiddette fake news.

Nell’era digitale, pertanto, esistono delle condizioni di contesto peculiari che rendono la disinformazione un fenomeno tendenzialmente pervasivo e più efficace rispetto al passato. Questi nuovi fattori incidono sugli effetti prodotti dalla disinformazione online e sulle modalità con cui essa si esplica. Più nello specifico, per quanto riguarda gli effetti prodotti sull’opinione pubblica, data la viralità con cui si diffondono i contenuti fake e la loro capacità polarizzante, questi risultano connotati da emozionalità, radicamento, capillarità nella diffusione e persistenza nel tempo.

Inoltre, la maniera con cui si manifesta la disinformazione online è caratterizzata dall’emergere di un preciso modus operandi, il quale presuppone una sequenza ordinata di azioni che tipicamente sono effettuate per rendere disponibile un contenuto fake. Questa successione di attività può configurarsi come una vera e propria filiera, più o meno strutturata a seconda del soggetto che promuove l’iniziativa e delle sue motivazioni.

Tale filiera è tradizionalmente caratterizzata da quattro distinte fasi:

una prima, di creazione della notizia, condotta sulla base del target cui è indirizzata;

una seconda fase, di trasformazione del messaggio in prodotto informativo;

una terza, di distribuzione della fake news per mezzo di pubblicazione online e, infine,

una quarta fase di valorizzazione economica della notizia.

Sorretta dalle più svariate motivazioni di ordine economico, ideologico, politico o satirico, tale filiera trova le risorse tecnologiche primarie proprio nei Big Data, raccolti mediante tracciamento e profilazione degli utenti. In tal guisa, il messaggio falso verrà progettato in termini molto più efficaci in ragione dell’audience target da raggiungere e, soprattutto, in maniera molto più remunerativa per l’organizzazione che decide di avvalersene.

Per far fronte al sempre più frequente fenomeno delle fake news e della disinformazione online in generale, l’Autorità amministrativa indipendente Agcom, nel novembre 2017, ha istituito un Tavolo tecnico per la garanzia del pluralismo e della correttezza dell’informazione sulle piattaforme digitali.

In particolare nell’ultimo anno, il Tavolo ha svolto le proprie finalità istituzionali attraverso un’intensa attività di cooperazione e scambio di buone prassi ma nonostante ciò, la strada da percorrere per raggiungere la piena tutela del diritto ad un’informazione plurale, corretta, trasparente e veritiera è ancora molto lunga.

Gli interessi in gioco sono vari e diversificati e, pertanto, molteplici dovranno essere anche le misure di contrasto per potersi dimostrare efficaci ed equilibrate. In ogni caso, il Tavolo tecnico resta, ad oggi, la sede più idonea dove sviluppare le utili soluzioni al fine di ottenere il più ampio ed esteso pluralismo non solo informativo, ma anche politico, sociale e culturale.

Letture consigliate:

  • Documenti:

AGCM, AGCOM, Garante per la protezione dei dati personali, Indagine conoscitiva sui Big Data, 2020

AGCOM, Tavolo tecnico per la garanzia del pluralismo e della correttezza dell’informazione sulle piattaforme digitali (Delibera n. 423/17/CONS), Rapporto tecnico: Strategie di disinformazione online e la filiera dei contenuti fake, 2017

Risoluzione del Parlamento Europeo, Implicazioni dei Big Data per i diritti fondamentali: privacy, protezione dei dati, non discriminazione, sicurezza e attività di contrasto, 2017

  • Articoli:

A. Bessi, M. Coletto, G.A. Davidescu, A. Scala, G. Caldarelli, W. Quattriciocchi, Science vs Conspirancy: collective narratives in the age of misinformation, 2015

G. Buttarelli, Le sfide dei Big Data tra evoluzione tecnologica, etica e interessi collettivi, 2017

C. Comella, Origine dei “Big Data”, 2017

G. De Minico, Big Data e la debole resistenza delle categorie giuridiche. Privacy e lex mercatoria, 2019

M. Delmastro, A. Nicita, Big Data. Come stanno cambiando il nostro mondo, 2019

A. Nicita, E’ possibile il libero scambio nel mercato della verità?, 2017

W. Quattrociocchi, A. Scala, C.R. Sunstein, Echo chambers on Facebook, 2016