Focus sull’articolo 211 del codice appalti: effettività, applicabilità e ragionevolezza del precontenzioso in materia contrattuale

Focus sull’articolo 211 del codice appalti: effettività, applicabilità e ragionevolezza del precontenzioso in materia contrattuale
Focus sull’articolo 211 del codice appalti: effettività, applicabilità e ragionevolezza del precontenzioso in materia contrattuale

Abstract: Il presente articolo si occupa di focalizzare le maggiori problematiche in ordine ai pareri di precontenzioso ex articolo 211 codice appalti, a seguito del regolamento attuativo del 2016 e della successiva modifica legislativa del 2017 che ha rivisto la disposizione, mutandone la consistenza giuridica iniziale. L’autore analizza i maggiori profili di criticità correlati all’istituto in punto di applicabilità ed opportunità nel panorama giuridico odierno, tentando di fornire una soluzione in ordine al principale punto critico di sistema: la legittimazione ad agire ricostruita in capo all’ANAC.

 

Sommario

1. Una premessa doverosa

2. Il testo originario: i pareri di precontenzioso su iniziativa di parte e le raccomandazioni vincolanti

3. Il correttivo 2017 e i pareri su iniziativa ANAC

4. Approdi interpretativi: sistema insufficiente, inapplicabile o irragionevole?

5. Possibili scenari alternativi

 

1. Una premessa doverosa

A partire da una valutazione formale e complessiva del decreto legislativo n. 50 del 2016, è possibile ravvisare una triplice intenzione da parte del legislatore delegato, unitariamente esplicata. Sotto un primo profilo, l’adeguamento dettato da spinte sovranazionali è stato operato tenendo conto dell’esigenza di europeizzazione della disciplina a fini di competitività nel mercato internazionale. Venendo agli aspetti più marcatamente interni, l’iter di riforma è stato animato dal bisogno, prossimo allo spasmodico, di giungere ad un corpus normativo accentrato, autosufficiente e compiuto, oltre che semplificato e maggiormente lineare rispetto all’esperimento condotto circa dieci anni prima con il decreto 163. Soprattutto, si è tentata una reductio ad unum senza precedenti, connettendo (rectius, tentando di connettere) sostanzialmente la normativa di riferimento con l’operato, da un lato, dell’autorità di vigilanza del settore, ovverosia l’ANAC, e, dall’altro, dell’autorità giudiziaria per i risvolti dell’eventuale litigiosità in sede di gara o di esecuzione del contratto.

Europeizzazione, semplificazione e accentramento normativo: queste le coordinate ideali entro le quali leggere la nuova disciplina, che oramai tanto nuova non è più. I primi 18 mesi di vigenza del codice hanno evidenziato molteplici problematiche applicative e teoriche, le quali hanno condotto a problematiche processuali di non poco conto. A titolo meramente esemplificativo, si può citare la vexata quaestio circa l’immediata impugnazione del bando di gara, avallata da recente giurisprudenza sulla considerazione di una pretesa autonomia di tale atto quale fonte generatrice di autonomo interesse a ricorrere, ancora prima che lo stesso venga propriamente ad esistenza (come ad esempio accade per l’immediata impugnabilità della clausola relativa ai criteri di aggiudicazione; cfr. Cons. St. sez. III, n. 2014 del 2017).

 

2. Il testo originario: i pareri di precontenzioso su iniziativa di parte e le raccomandazioni vincolanti

Uno dei garbugli più intricati da dover dipanare e regolare è stato quello del contenzioso in materia di appalti. Infatti, i procedimenti aventi ad oggetto la procedura di aggiudicazione costituiscono una delle voci principali del carico giudiziario amministrativo, anche se la problematica deve essere letta sotto molteplici prospettive.

Ciò constatato, la disposizione dell’articolo 211 non deve stupire. Si scorge una funzione ausiliaria dell’Autorità di settore rispetto all’apparato giudiziario, rafforzando, di riflesso, l’intento di favorire l’accentramento amministrativo delle possibili controversie insorgenti nell’ambito della contrattualistica pubblica. Si può dire, ad una prima approssimazione, che l’intento di fondo è comune rispetto alle esigenze di deflazione del contenzioso, nella scia degli interventi nell’ambito civile e negli altri settori del diritto amministrativo. Come si vedrà, tale impostazione è stata accolta come qualificazione ufficiale dell’istituto.

La disciplina primigenia del precontenzioso ha origine nel testo del codice degli appalti come licenziato nel 2016 e nel successivo regolamento ANAC di attuazione dell’ottobre 2016. L’articolo in esame si pone come naturale erede dei precedenti, timidi tentativi di introduzione di strumenti stragiudiziali, previsti dal codice del 2006 (articolo 6, comma 7, lett. n).

Nel primo comma si afferma la natura vincolante dei pareri richiesti dai soggetti interessati alla procedura. I pareri sono emessi entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta e sono vincolanti per il richiedente per “le parti che vi abbiano preventivamente acconsentito”, e per questo sono impugnabili in via giurisdizionale ex articolo 120 c.p.a. Il secondo comma dell’articolo 211 può sembrare posto senza logica alcuna all’interno della disciplina dei pareri di precontenzioso. A conti fatti, il codice ha previsto un duplice potere di incidenza dell’Autorità di settore sui casi di illegittimità ravvisati nelle procedure di gara: uno di carattere “consultivo” ancorché officioso, che consente di inviare una raccomandazione alla stazione appaltante invitandola ad agire in autotutela per rimuovere in casi di illegalità, e uno spiccatamente sanzionatorio, conseguente al mancato adeguamento della stazione alla raccomandazione. Ciò che emerge è una particolare forma di legittimazione a cura del pubblico interesse alla legalità delle procedure di affidamento.

Occorre interrogarsi sulla natura giuridica dei pareri. Non si tratta di un’operazione ermeneutica complessa, in quanto sul punto si è pronunciato, in sede consultiva, il Consiglio di Stato, interrogato sulla bozza di regolamento proposta dalla stessa ANAC, emessa con apposito parere del 30 agosto 2016. Esclusa la riconducibilità di tali pareri all’attività consultiva generica dell’Autorità e alle linee guida vincolanti, il Supremo Consesso amministrativo ha incasellato l’istituto nell’ambito degli strumenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie, ossia strumenti di deflazione ad accesso volontario e dal carattere prettamente amministrativo. Dunque, l’istituto si inserisce nel quadro di rimedi alternativi alla giurisdizione in pieno accordo con la qualificazione formale accordata dalla collocazione nel codice. Occorre tenere presente però che, al contrario di ciò che accade in strumenti deflattivi conosciuti in ambito civile e commerciale, la procedura di acquisizione dei pareri dell’articolo 211 non identifica una fase pre-processuale, né si può porre quale condizione di procedibilità per un successivo contenzioso. Si può tutt’al più parlare di un “auto-vincolo” conseguente, qualora non si tratti dell’istante, ad una dichiarazione preventiva di obbligarsi in tal senso.

Il regolamento del 5 ottobre 2016 ha disciplinato il procedimento di richiesta ed impugnazione. L’ANAC ha chiarito che la legittimazione appartiene a tutte le parti coinvolte nella procedura, nonché ai soggetti esterni alla procedura portatori di interessi rilevanti per la stessa. L’istanza per l’ottenimento del parere può essere proposta, sempre in forma telematica, dal soggetto con rappresentanza esterna dell’ente, il quale può esprimere la volontà dell’ente di riferimento. Il regolamento distingue l’ipotesi di presentazione dell’istanza da parte di un solo soggetto (articolo 3) e quella congiunta (articolo 4). Se nel primo caso il parere non è vincolante per i soggetti non richiedenti, i quali al più possono aderirvi entro 10 giorni dalla ricezione della comunicazione di presentazione dell’istanza, nel secondo caso il parere è vincolante “per tutti coloro che vi acconsentono”, rimarcando il carattere spiccatamente volontario della procedura. Avverso il parere, l’istante e le parti che hanno acconsentito all’applicazione dell’atto consultivo possono proporre ricorso giurisdizionale ex articolo 120 c.p.a. entro 35 giorni dalla ricezione del parere.

3. Il correttivo 2017 e i pareri su iniziativa ANAC

La legge n. 96 del 2017 ha riscritto, tra gli altri, l’articolo 211, lasciando intatto il primo comma e dunque la disciplina dei pareri di precontenzioso “base” e introducendo però tre commi, con la tecnica dell’iterazione numerica, con contestuale espunzione del tanto discusso secondo comma relativo ai poteri di “pubblica accusa” dell’ANAC.

Le tre nuove disposizioni tratteggiano un sistema di poteri ex officio più lineare che, confermando gli intenti messi in campo con il vecchio secondo comma, sembrano creare un sistema di emergenza rispetto alla mancata richiesta dei pareri di precontenzioso da parte della stazione e degli altri soggetti legittimati, consentendo l’attivazione di poteri officiosi dell’Autorità al ricorrere di illegittimità nelle procedure, e, al contempo, svuotandolo di effettività per la mancata predisposizione di un sistema sanzionatorio.

Più nel dettaglio, il comma 1-bis afferma la legittimazione ad agire in giudizio dell’ANAC all’impugnazione dei bandi, degli “altri atti generali” e dei contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga sussistente una violazione della disciplina dei contratti pubblici. Dunque, viene attribuita una legittimazione a ricorrere basata su un interesse pubblico dell’Autorità, che assume le vesti di un “pubblico ministero amministrativo”.

Limitatamente ai provvedimenti viziati da “gravi violazioni” (verrebbe da aggiungere “citazione necessaria” per la vuotezza di significato dell’espressione, che sembra ricalcare quella di gross violations nel diritto internazionale), il comma 1-ter stabilisce che l’ANAC ha il potere di emettere un parere officioso in cui l’Autorità si limita a segnalare le violazioni riscontrate, entro 60 giorni dall’acquisizione della notizia di tali violazioni, presumibilmente ottenuta per comunicazione del provvedimento adottato dalla stazione appaltante. Solo nel caso in cui quest’ultima non si adegui entro il termine assegnato con il parere, anch’esso non superiore a 60 giorni, l’ANAC ha facoltà di agire in giudizio ex articolo 120 c.p.a. Infine, l’articolo 1-quater, nel tentativo di riempire di significato e di fornire di un briciolo di tassatività (eterointegrata) alla disposizione precedente, facoltizza l’Autorità ad adottare apposito regolamento recante la definizione delle gravi violazioni.

Cosa dire in punto di diritto? Anzitutto, non vengono chiarite puntualmente le modalità di conoscenza o conoscibilità degli atti di ogni procedura (non si pone distinzione alcuna tra procedure osservabili e procedure su cui non porre l’attenzione). Inoltre, la legittimazione ad agire dell’ANAC non sembra trovare un fondamento di sistema, data, da un lato, la difficoltà di configurare e qualificare l’interesse a ricorrere che è uno dei presupposti essenziali dell’azione in giudizio, di norma attribuito al privato amministrato, e, dall’altro, la novità, non corredata da precedenti o figure equipollenti o assimilabili, di una pubblica accusa amministrativa tesa a rimuovere i fenomeni di illegalità nelle procedure di affidamento. Infine, il vacuum legis più evidente rimane l’assenza di un apparato di coercizione della stazione appaltante in sede di necessaria osservanza del parere, non qualificato in termini di vincolatività, e di un sistema sanzionatorio, sulla scorta di quanto invece disponeva la disposizione soppressa. L’effetto ultimo, inevitabile e sillogisticamente ricavabile, è la completa ineffettività di quanto disposto, derivata dall’inoperatività di tale sistema se non corredato da profonde innovazioni ordinamentali.

4. Approdi interpretativi: sistema insufficiente, inapplicabile o irragionevole?

Tale sezione tende ad esprimere due ordini di perplessità, per i quali si indicherà un tentativo di porre rimedio, in quanto occorre valutare, anche con l’ausilio dell’attività consultiva già posta in essere, quale sia il grado di utilità ed effettività, e quindi la bontà del percorso evolutivo, compiuto dai pareri del comma primo, per poi passare a verificare la “fattibilità” dell’impianto normativo formalmente inciso, ossia quello relativo al comma 2 e nuovi commi 1-bisquater.

Passando ora al vero punctum dolens su cui l’autore vuole porre l’attenzione, ciò che è stato evidenziato a proposito dei poteri di iniziativa giudiziale targati ANAC induce in riflessioni sistematiche di non poco conto.

In primo luogo, il legislatore sembra aver surrettiziamente stravolto un’acquisizione consolidata, ossia quella dell’interesse a ricorrere come appannaggio esclusivo dell’amministrato, sia come singolo persona fisica che, secondo la giurisprudenza progressista, nelle formazioni sociali portatrici di interessi collettivi o diffusi. Ciò è avvenuto accordando poteri di iniziativa processuale ad un’Autorità amministrativa di vigilanza del settore, con notevoli problemi sotto il profilo della ricostruzione della consistenza di tale interesse ad agire. A che titolo l’ANAC agirebbe?

In realtà, la problematica intavolata risulta molto più complessa di ciò che sembra, in quanto, come già accennato, intacca un principio quesito del diritto amministrativo, ossia quello dell’attribuzione dell’interesse a ricorrere attribuita al privato cittadino. Sotto questo profilo, una legittimazione processuale attiva della parte pubblica risulta difficilmente compatibile, anche a fronte di una lettura combinata dei principi costituzionali.

A livello di legislazione ordinaria, la figura della pubblica accusa agisce nel giudizio penale e, solo nei casi previsti dalla legge, ha potere di iniziativa e di intervento nel processo civile al ricorrere di un pubblico interesse. Nulla viene invece previsto in ambito amministrativo. Laddove si pensi di accedere ad una concezione della legittimazione dell’ANAC in termini di rilevazione e tutela di vizi di legittimità per violazione dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione (articolo 97 Cost.), mancherebbe un sostrato normativo ma anche di principio per configurare una tale legittimazione. Rivive, dunque, la considerazione fatta a suo tempo dal Consiglio di Stato nel parere al progetto del codice in merito al cassato comma 2 (v. Cons. St. parere n. 855 del 2016).

Per dovere di completezza, occorre evidenziare che l’ANAC non risulta essere l’unica Autorità di vigilanza destinataria di pervasivi poteri di controllo e verifica dell’operato degli enti di settore. In particolare, per una valutazione pregnante si può far riferimento ad un settore limitrofo, ossia all’antitrust e dunque all’attività dell’AGCOM che, in virtù della legge n. 287 del 1990, ha poteri istruttori e sanzionatori nei confronti dei soggetti economici che violano la normativa antitrust (artt. 12 ss.).

Insufficienza, inapplicabilità o irragionevolezza? Per certo, nonostante le rilevanti pecche concettuali e formali del sistema delineato, sia in prima battuta che post-riforma, l’aspirazione del legislatore è stata concretizzata, dunque il punto di partenza costituito, se adeguato nei modi in cui successivamente si esporranno, appare sufficiente a delineare una nuova frontiera per la repressione e prevenzione degli illeciti nell’economia pubblica.

Certamente è inapplicabile, e diversamente non potrebbe essere, per ragioni differenti a seconda del comma di riferimento. Per ciò che riguarda il primo comma, l’inapplicabilità diviene disinteresse all’accesso alla procedura, mentre la seconda parte della disposizione rimane inapplicabile per tutto quanto detto in merito alle criticità di sistema per la configurazione di una legittimazione sia amministrativa che processuale dell’ANAC per l’esercizio dei poteri.

Infine, se di mancanza di ponderatezza vera e propria non si può parlare, il problema rimane la predisposizione di strumenti deflattivi del contenzioso non in linea con la cultura giuridica e sociale del presente, all’interno, peraltro, di un ordinamento ancora arretrato sulla tematica.

5. Possibili scenari alternativi

Come a più riprese affermato, la problematica essenziale relativa al precontenzioso è l’inadeguato contesto normativo di contorno. In ogni caso, come a più riprese rilevato, non deve osteggiarsi la ricostruzione di un potere di controllo pervasivo di tutte le procedure di affidamento, collegato ad una legittimazione speciale e specifica dell’Autorità per l’azione in giudizio, rimodulando la stessa nel senso di impedire l’apertura diretta del procedimento giudiziario anche in caso di gravi violazioni. L’assenza di tassatività della previsione può e deve condurre all’espunzione di tale previsione, riconducendo quanto contenuto nel comma 1-ter all’interno di quello precedente e unificando il meccanismo.

Infatti, l’introduzione del giudizio deve essere sempre posposta al tentativo di risoluzione dell’insorgenda controversia per via amministrativa, dunque precontenziosa. Si tratterebbe del risvolto officioso di quanto previsto come iniziativa di parte. Ciò richiederebbe perlomeno due adeguamenti normativi. In primis, è necessario prevedere la competenza al controllo diffuso delle procedure, non in senso meramente generico ma puntuale, che nella disposizione si dà per acquisita, se non scontata. Inoltre, per far ciò,

Oltre a quanto detto, non sussistendo, a livello sistemico, la configurabilità di un interesse a ricorrere in capo all’Autorità, occorre una lex specialis che configuri tale legittimazione. Scrivere una nuova norma del codice del processo amministrativo appare necessario. Come noto, l’articolo 39 c.p.a. dispone un generico rinvio esterno al codice di rito civile per tutti gli aspetti non specificamente normati dal decreto legislativo n. 104 del 2010. Nel dettaglio e per ciò che importa in questa sede, non viene riprodotto l’articolo 100 c.p.c., in tema di interesse ad agire, aspetto che si dimostra essere cruciale, da ritenersi applicabile anche in ambito amministrativo.

L’interesse legittimo in senso classico non appare adatto a definire l’azione dell’Autorità, per cui delle due, l’una: o ci si imbarca per la (quasi) impossibile impresa di configurare un tertium genus di situazione giuridica soggettiva, in spregio al dettato dell’articolo 24 Cost. o, più agevolmente, si pone una previsione ad hoc che giustifichi l’introduzione del giudizio da parte pubblica.

In particolare, la proposta è quella che segue:

Articolo 39-bis – Interesse a ricorrere delle Autorità amministrative di vigilanza.

Nei casi definiti dalla legge, il giudizio può essere introdotto dall’Autorità amministrativa posta a vigilanza del settore di riferimento, previo esaurimento dei mezzi di tutela amministrativa e autotutela previsti dall’ordinamento, al fine di garantire il rispetto dei principi di cui all’articolo 97 Cost.”

L’interesse e, dunque, la legittimazione dell’Autorità sono delimitati in un duplice senso. In primo luogo, il giudizio può essere introdotto solo a seguito dell’esaurimento dei mezzi previsti dall’ordinamento per la risoluzione amministrativa delle violazioni rilevate dall’ANAC. In secondo luogo, l’attivazione di tale prerogativa non si spinge ad situazione di illegittimità latu sensu, ma solamente a quelle violazioni che comportino la lesione di principi di rango costituzionale.

Seppur possa mostrarsi come una superflua petizione di principio, la disposizione in questione risolverebbe nel modo più celere e compatibile con l’ordinamento una problematica gettata nella mischia in pieno spregio alle regole dell’ordinamento. Si tratta di una messa in pratica del rasoio di Occam: la via più breve e di celere definizione è anche quella giusta.