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Funzioni delegate, teoria dell’oggetto sociale e limiti della culpa in vigilando del delegante in materia ambientale

Delegated functions, company object theory and limits of culpa in vigilando of the delegator in environmental matters
Berlino, 1989
Ph. Massimo Golfieri / Berlino, 1989

Articolo pubblicato nella sezione La parola al giudice: prassi e indirizzi interpretativi del numero 1/2021 della Rivista "Sistema 231".

 

Abstract

Il contributo analizza l’istituto della delega di funzioni in materia ambientale, alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione, e, dopo aver messo in luce i limiti delle prassi interpretative volte a ridurne il campo di applicazione, si propone di fornire una lettura della delega di funzioni in linea con le moderne realtà produttive e conforme al principio della responsabilità penale personale.

The paper analyzes the delegation of functions in environmental matters, in the light of the most recent decisions of the Court of Cassation, and, after highlighting the limits resulting from the interpretative practices intended to reduce its scope of application, it aims to provide a reading of the delegation of functions in line with the modern business entities and in accordance with the principle of the individual criminal liability.

 

Sommario

1. Premessa. La delega di funzioni tra prevenzione e organizzazione

2. Ampiezza della delega di funzioni e posizione di garanzia del “vigilante” per i rischi ambientali: profili di responsabilità e criticità

3. Conclusioni. Delega di funzioni e prevedibilità cautelare

 

Summary

1. Introduction. The delegation of functions between prevention and organisation

2. Scope of the delegation of functions and the duty of care for environmental risks: aspects of liability and critical issues

3. Conclusions. Delegation of functions and precautionary foreseeability

 

 

1. La delega di funzioni tra prevenzione e organizzazione

Alcune sentenze “primaverili” pronunciate dalla Cassazione forniscono lo spunto per svolgere una ricognizione dell’istituto della delega di funzioni nel settore della tutela dell’ambiente, onde saggiarne la portata e le prospettive applicative alla luce dell’attuale prassi giurisprudenziale e suggerire un corretto approccio delle imprese ai fini dell’implementazione e del concreto funzionamento della delega come presidio preventivo rispetto alla realizzazione di fatti costituenti illecito[1].

Una sintetica premessa, per quanto di stampo istituzionale e largamente esplorata in letteratura[2], pare comunque opportuna per affrontare le questioni controverse che poco oltre saranno esaminate.

La delega di funzioni, germinata all’interno del sistema della sicurezza sul lavoro,  rappresenta l’istituto giuridico atto a trasferire a favore di un soggetto delegato gli obblighi facenti capo in via “originaria” ai soggetti variamente individuati ex ante dalla legge come garanti, a diversi livelli e in ragione delle loro diverse attribuzioni[3], al fine di realizzare un’allocazione ottimale del debito di sicurezza e una più pronta ed efficace risposta della “rete” di prevenzione aziendale alle istanze di tutela dei lavoratori e di tutti coloro che gravitano nell’orbita dei luoghi di lavoro[4].

Al contempo, la delega risponde anche alle esigenze gestionali delle realtà produttive, soprattutto (ma non solo) quelle più strutturate, topograficamente frammentate o addirittura a vocazione multinazionale, di distribuire compiti e connesse responsabilità, garantendo così che ai livelli apicali dell’organizzazione societaria, generalmente privi delle necessarie cognizioni tecniche, non siano addebitate violazioni inerenti ai profili operativi/esecutivi dell’attività aziendale, in ossequio a un principio di ragionevole esigibilità, ferme restando le prerogative di controllo e di vigilanza “alta” inerenti alle scelte di politica aziendale[5].

La delega di funzioni, quanto a finalità, rivela dunque una natura anfibia: da un lato, strumento di gestione del rischio penale (o anche amministrativo), in un’ottica preventiva e difensiva, capace di ridisegnare la “mappa” dei poteri e delle responsabilità all’interno dell’impresa[6]; dall’altro lato, “catalizzatore” delle dinamiche operative dell’azienda, posto che «organizzazione è dire divisione del lavoro, ripartizione di compiti e valorizzazione di competenze differenziate»[7].

La delega di funzioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, un tempo non prevista per tabulas ma pacificamente ammessa per mano pretoria[8] e poi implicitamente riconosciuta dal Decreto Legislativo 626/1994[9], trova oggi nella disciplina dell’articolo 16 Decreto Legislativo 81/2008 una formale legittimazione e rappresenta un presidio altamente diffuso nei contesti imprenditoriali più attenti a una minimizzazione dei profili di rischio prevenzionistico e orientati a una segregazione delle responsabilità.

In tal senso, già la più avveduta giurisprudenza, in epoca antecedente alla codificazione del Decreto Legislativo 81/2008, aveva posto in luce come la ripartizione delle mansioni all’interno degli organismi complessi rappresentasse una necessità oggettiva imposta dalla stessa organizzazione aziendale, tale da richiedere al giudicante il massimo sforzo per accertare l’effettiva ripartizione di responsabilità all’interno delle posizioni di vertice.

Pertanto, in ossequio al principio di personalità della responsabilità penale, si avvertiva chiaramente l’esigenza di «adeguare la realtà di fatto a quella normativa, evitando ovviamente di pervenire a soluzioni che, considerando legittima ogni delega, svuotino di contenuto l’obbligo di prevenzione normativamente imposto»[10], assicurando al datore di lavoro una chance di salvezza nel caso di predisposizione di un adeguato organigramma dirigenziale ed esecutivo[11].

La disposizione del citato articolo 16 tipizza alcuni requisiti di tipo formale e qualitativo-sostanziale della delega[12], filtrando selettivamente quelli già individuati dalla precedente giurisprudenza[13], e mantiene in capo al delegante, al netto degli obblighi non delegabili del successivo articolo 17 Decreto Legislativo 81/2008[14], un immanente obbligo di vigilanza sull’esercizio delle funzioni delegate (c.d. residuo non delegabile)[15]; obbligo quest’ultimo che, almeno in materia di sicurezza sul lavoro[16], è suscettibile di adempimento anche attraverso il “canale” del sistema di controllo dell’articolo 30, comma 4 Decreto Legislativo 81/2008, all’insegna di una interconnessione osmotica tra sistema prevenzionistico e il Modello di organizzazione e gestione eventualmente adottato dall’ente ai sensi del Decreto Legislativo 231/2001[17].

L’efficacia preventiva dello strumento giuridico in esame – si badi bene – è strettamente correlata al grado di “genuinità” del documento, in relazione alla sua rispondenza alla realtà concreta dell’organizzazione e dei poteri aziendali, caratteristica volta a escludere che l’atto di delega costituisca un mero “paravento” predisposto ad hoc a tutela delle posizioni societarie di vertice, attraverso cui realizzare un indebito “scarico verso il basso” di compiti e responsabilità[18].

Eventuali costruzioni meramente cartolari dell’organigramma prevenzionistico, invero, oltre ad assumere una coloritura elusiva agli occhi degli organi di controllo preposti agli accertamenti “sul campo”, potranno essere agevolmente destabilizzate dai riscontri aliunde acquisiti in sede di indagini preliminari e dibattimentale (si pensi, ad esempio, alle dichiarazioni assunte dai lavoratori di uno stabilimento in cui si è verificato l’infortunio, che attestino il reali atteggiarsi dei poteri direzionali nella quotidianità dell’operatività aziendale, in contrasto con il dato “su carta”), oltre che vanificate dall’applicazione del principio di effettività che permea la disciplina prevenzionistica (articolo 299 Decreto Legislativo 81/2008): da un lato, certificando la delega come “interessante testo in teoria”, totalmente slegato dalla reali dinamiche aziendali, e, dall’altro, determinando, in forza della delega “imperfetta”, un esito di indesiderata moltiplicazione delle responsabilità (anziché, come imporrebbe la logica della delega, una traslazione delle stesse in capo al delegato)[19].

Le straordinarie potenzialità connesse a detto strumento preventivo giustificano il processo di trasfusione della delega di funzioni anche in altri contesti normativi ad alto tasso di regolazione, nei quali il legislatore pone una serie di obblighi sanzionati (ora in via penale, ora in via amministrativa) a carico di coloro che svolgono attività suscettibili di porre in pericolo o di cagionare un danno all’interesse tutelato, gestendone il relativo rischio; settori in cui, parimenti al comparto prevenzionistico, sono identificabili ex ante dei centri di responsabilità funzionalmente preposti ad assicurare il corretto adempimento degli obblighi giuridici che presiedono allo svolgimento di una determinata attività produttiva[20].

Proprio la disciplina ambientale – come si vedrà più diffusamente poco oltre – è stata fin da subito innervata dall’esigenza di consentire un trasferimento delle attribuzioni e degli obblighi previsti dalla normativa di settore “dall’alto verso il basso”, ossia a favore di soggetti dotati delle competenze tecniche richieste dall’elevato grado di tecnicismo della materia; in tale ambito è oggi pacificamente ammessa la delega di funzioni, con il connesso effetto di traslare sul delegato l’adempimento degli obblighi previsti dalla disciplina “quadro” di settore, ad esempio in relazione alla corretta gestione dei rifiuti[21], ovvero dalle variegate discipline speciali[22].

Allo stesso modo, essendo identiche le ragioni di natura organizzativa connesse al tasso di specializzazione e di ipernormazione della materia, in tema di tutela degli alimenti si afferma che, se destinatario degli obblighi connessi al controllo del rispetto delle condizioni igienico-sanitarie degli stessi è, nelle società di capitali aventi organizzazione e struttura complessa, la persona che riveste il ruolo di legale rappresentante della società, questi nondimeno può realizzare un trasferimento delle responsabilità attraverso il conferimento di una delega di funzioni correttamente attuata[23], connotata dai requisiti della chiarezza e della certezza[24] a persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento e che abbia accettato lo specifico incarico[25].

Ciò implica che, in mancanza di effettiva delega di funzioni, il legale rappresentante può essere chiamato a rispondere del reato di frode in commercio (o dei diversi reati previsti dalla normativa specialistica in tema di alimenti di cui alla l. 283/1962), essendo tenuto a osservare e far osservare tutte le disposizioni imperative concernenti gli aspetti dell’attività aziendale[26]; con la precisazione, quanto ai soggetti della distribuzione, che una corretta indagine sull’efficacia della delega deve approfondire quali siano i poteri delegati a ciascun responsabile di supermercato, ad esempio anche rispetto all’adozione delle eventuali iniziative promozionali, onde verificare se la direttiva elaborata a livello centrale sia davvero quella di vendere un prodotto qualitativamente diverso da quello in promozione[27].

Si noti, peraltro, che proprio la materia alimentare ha fatto registrare un orientamento di “avanguardia” per cui, nei casi in cui l’apparato commerciale di una società sia articolato in più unità territoriali autonome, ciascuna affidata a un soggetto investito di mansioni direttive, il problema della responsabilità connessa al rispetto dei requisiti igienici e sanitari dei prodotti commerciali deve essere affrontato con riferimento alla singola struttura aziendale, all’interno della quale dovrà ricercarsi il responsabile dei fatti, commissivi od omissivi[28]; in una società di rilevanti dimensioni, dunque, l’esigenza della delega di funzioni potrebbe considerarsi superflua, dovendosi presumere in re ipsa[29] o comunque «superata ed assorbita» in relazione a una «realistica valutazione delle esigenze della moderna economia, imponenti l’articolato decentramento delle grandi strutture produttive ed un approccio ragionevole alla problematica della suddivisione delle responsabilità, anche organizzative e di vigilanza»[30].

Parimenti, anche in ambito previdenziale si afferma che, pur in assenza di una norma espressamente codificata, trova applicazione la disciplina dell’articolo 16 Decreto Legislativo 81/2008 ai fini dell’adempimento degli obblighi previdenziali e assistenziali penalmente rilevanti ai sensi del d.l. 463/1983, conv. in l. 638/1983 in tema di omesso versamento delle ritenute operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori; il requisito di specificità della delega, tuttavia, non può essere apprezzato dinanzi a un atto di incarico riguardante genericamente «la cura dei rapporti con gli istituti previdenziali e la gestione delle risorse umane, senza precisare se ciò comportasse o meno, in concreto, il versamento delle ritenute previdenziali»[31].

Al contrario, la delega di funzioni non trova tradizionalmente “quartiere” in ambito tributario[32], ove, data la natura strettamente personale degli obblighi facenti capo al contribuente e attesa la natura propria delle fattispecie dichiarative, la giurisprudenza non ammette che un’eventuale delega possa modificare il titolare della posizione di garanzia, il quale, in ossequio ai criteri di tassatività e di legalità, continua a coincidere con il soggetto individuato dalla legge[33].

Pertanto, l’affidamento a un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi (o, allo stesso modo, l’attribuzione a una specifica funzione aziendale del compito di assicurare l’adempimento degli obblighi tributari) non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione[34] – costituendo tutt’al più un incarico di esecuzione – anche considerato che una diversa interpretazione finirebbe per modificare l’obbligo originariamente previsto per il delegante in mera attività di controllo sull’adempimento da parte del soggetto delegato (in contraddizione con il dato normativo, che individua nel legale rappresentante il soggetto tenuto alla presentazione delle dichiarazioni)[35].

Tale esclusione trova il proprio fondamento nella considerazione che l’obbligo annuale di presentazione della dichiarazione non integra un’attività duratura e continuativa attribuita alla gestione e al controllo di altro soggetto che agisce sotto la superiore vigilanza dell’imprenditore – come accade invece in materia di sicurezza sul lavoro – bensì integra un adempimento puntuale e specifico che resta in capo al solo titolare dell’obbligo e dunque al rappresentante legale della società[36].

Alla luce della panoramica appena effettuata, volgendo lo sguardo alle responsabilità dei soggetti collettivi, non sorprende infine che una delega di funzioni valida ed efficace rechi beneficio all’entità societaria anche sotto il profilo del giudizio di idoneità del modello di organizzazione e gestione adottato dall’ente ai sensi del Decreto Legislativo 231/2001, posto che la Cassazione, proprio in materia ambientale, ha sottolineato il contributo che un adeguato sistema di deleghe è in grado di fornire al sistema della compliance aziendale, costituendone un elemento imprescindibile ed essenziale[37].

Radicandosi su tale substrato ermeneutico, le pronunce in commento affrontano alcune delle questioni cardine e più ricorrenti nella casistica giudiziaria in materia di deleghe di funzioni in procedimenti per reati ambientali, fornendo all’operatore giuridico importanti coordinate interpretative da recepire e applicare tanto nella fase preventiva “a monte” (di redazione della delega), quanto nella fase patologica “a valle” (del procedimento penale), a violazione avvenuta e ai fini della valorizzazione difensiva della delega.

Tra i temi “caldi” risalta in particolare la problematica definizione dei confini della responsabilità – e, ancor prima, della quantificazione della diligenza esigibile – in capo al delegante per omessa, carente o inidonea vigilanza sull’esercizio in concreto delle funzioni da parte del delegato, il quale abbia contribuito alla violazione di una norma ambientale penalmente presidiata; fattispecie tipicamente riscontrabile nell’esperienza giudiziaria in cui, attesa la natura contravvenzionale di gran parte dei reati ambientali e stante comunque l’espressa punibilità a titolo colposo di alcuni dei più gravi delitti contro l’ambiente – al netto della controversa configurabilità del concorso colposo nel reato doloso[38] – il delegante è spesso chiamato a risponde a titolo di concorso nella contravvenzione o di cooperazione colposa nel delitto con il delegato, se non addirittura in via esclusiva.