Giacomo Biffi: riflessioni sull'avvenimento Pasquale

La Resurrezione, Mantegna, 1457-1459, Musée des Beaux-Arts, Tours
La Resurrezione, Mantegna, 1457-1459, Musée des Beaux-Arts, Tours

In occasione della Pasqua proponiamo una meditazione del Cardinale Giacomo Biffi, tratta dal suo libro:

La rivincita del Crocifisso. Riflessioni sull’avvenimento pasquale, Edizioni Studio Domenicano, Bologna

 

L’avvenimento pasquale ha, come tutti gli avvenimenti, una data precisa, che, secondo i calcoli più attendibili, è identificata nel 9 aprile dell’anno 30. Era il primo giorno della settimana, il giorno dopo il sabato, il giorno che da allora si cominciò a chiamare «Domenica», cioè «giorno del Signore risorto». Non siamo dunque di fronte a un mito o a un racconto fiabesco: la Pasqua ha segnato la storia, perché è accaduta entro la storia; l’ha trasformata, perché il suo valore sta sopra la storia e attinge l’eternità.

Il fatto della risurrezione è stato percepito attraverso due elementi conoscitivi distinti e complementari: il sepolcro vuoto e l’incontro con Gesù che è tornato alla vita.

Il primo elemento – il sepolcro vuoto – è stato colto da tutti, amici e nemici, quanti avevano un animo aperto e preparato agli interventi della grazia divina e quanti in partenza erano rinserrati in un atteggiamento di invincibile incredulità. Il sepolcro vuoto è stato visto da tutti, tanto da Maria di Magdala quanto dai soldati posti a guardia, tanto da Pietro quanto dai capi del popolo. Tutti ne sono rimasti stupiti, ma gli uni sono stati da questa esperienza disposti e guidati a riconoscere il Vincitore della morte, gli altri hanno cercato di censurarla e di travisarla con la menzogna. Dice il Vangelo di Matteo: Deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati dicendo: «Dichiarate che i suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo» (Mt 28,13). Neppure si sono accorti, tanto erano accecati, dell’incongruenza di addurre dei testimoni addormentati a sostegno di questa aprioristica versione dello sconcertante fenomeno.

È ancora così. Quel sepolcro incomprensibilmente vuoto è un po’ il simbolo della nostra esistenza inspiegabilmente inconsistente.

Ancor oggi non è difficile, sia per i cristiani sia per i più lontani dalla fede, rendersi conto che la nostra vita è vuota; che, considerato soltanto per se stesso, l’uomo è una strana creatura che passa i suoi primi anni a illudersi e i suoi ultimi anni a registrare le delusioni; che la storia umana, se non c’è una prospettiva superiore, è una vicenda senza capo né coda e una tragedia senza plausibilità.

Questo è un dato che si impone a tutti, tranne a quelli che si rifiutano di pensare e si stordiscono in una dissipazione alienante.

Ma a partire da questa esperienza comune l’umanità si divide: chi non oltrepassa il «sepolcro vuoto» non può che approdare a un traguardo di scetticismo e di disperazione; chi invece, travalicando il sentimento dell’inutilità dei nostri giorni, si getta con la fede tra le braccia di colui che ci può garantire un’esistenza senza fine e una felicità senza insidie, arriva davvero a fare dell’evento pasquale l’inesauribile sorgente della sua gioia. Per Maria di Magdala, per Pietro, per i Dodici, per tutti i discepoli è cominciato da qui un tempo nuovo, tutto segnato dal rapporto personale con il Signore che è vivo. Così sia anche per noi.

Allora la Pasqua diventa davvero Pasqua, cioè il fondamento di ogni speranza e il motivo più convincente per dare una nuova dimensione e un nuovo orientamento al nostro pellegrinare sulla terra.

Noi, oggi, abbiamo la possibilità di incontrare il Cristo risorto nell’efficacia del rito eucaristico, che ci ripresenta sotto i segni sacramentali il suo sacrificio e il suo trionfo imperituro; per conformarci a lui, centro e senso di tutto; per rispondere come lui con la vita al disegno del Padre.