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La visione del Risorto

L'ultima cena, Leonardo da Vinci
L'ultima cena, Leonardo da Vinci

Un pizzico d’invidia

Ogni anno, quando la Chiesa festeggia la Pasqua del Signore, c’è un brano del vangelo di san Giovanni che mi torna sempre in mente: «Poi disse a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani: […]”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, tu mi hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”»[1].

La scena è ben nota ed è il momento culminante del breve episodio dell’incredulità di san Tommaso Apostolo. Ciò su cui si ferma la mia attenzione non è tanto la vicenda in sé, quanto l’ultima frase di Gesù; il Signore proclama beati, ossia benedetti dal Padre, coloro che fonderanno la propria fede non sull’esperienza diretta del Risorto ma sulla testimonianza. Inutile dire che, leggendo simili parole, non posso non lodare la misericordia di Cristo che, sempre attento alle nostre umane fragilità, riconosce come meritoria la capacità di fare a meno, per credere, del diretto ausilio dei sensi.

Tuttavia c’è qualcosa che mi lascia un po’ d’amaro in bocca: nonostante tutto, sarebbe stato stupendo vivere la stessa esperienza di san Tommaso e degli altri Apostoli. Credo sia inutile girarci attorno: una cosa simile non avrebbe potuto essere indifferente. Non dico che la mia vita di fede sarebbe ora radicalmente diversa, ma senza dubbio avrebbe un sapore più intimo. Santa Teresa d’Avila ad esempio, mistica carmelitana della seconda metà del XVI secolo, benedetta da molteplici visioni del Cristo Glorioso, afferma che l’intera sua prospettiva sul mondo cambiò a seguito di simili esperienze e, onestamente, non faccio fatica a crederle[2].

L’umiltà quaresimale, così faticosamente incontrata in questi quaranta giorni, mi viene a questo punto in soccorso, rammentandomi di quanto io sia indegno di simili Grazie e di come già scarsamente ringrazi il Signore per quelle, innumerevoli, che mi concede. Preso atto che tutto ciò è sacrosanto, penso vi sia anche un altro elemento da considerare.

 

La luce del Risorto

Tempo addietro mi sono trovato a sfogliare un testo dal titolo “La croce di Gesù[3], scritto dal domenicano francese del XVII secolo Louis Chardon e, quasi per caso, mi sono imbattuto in un brano coerente con la riflessione che sto cercando di proporvi. La frase chiave è la seguente: «Maria non ha la gioia di vedere suo Figlio tutte le volte in cui appare dopo la Risurrezione in diverse occasioni e luoghi, a diverse persone, intrattenendosi e discorrendo con i suoi discepoli»[4]. Nel sostenere ciò, l’autore stesso si rende conto di non poter dare per scontato l’unanime consenso degli uomini di fede, tanto da sentire il bisogno di giustificarsi: «Quanto a me, non contesto le rivelazioni di qualche persona particolare. Io rispetto profondamente i sentimenti di devozione degli altri. Lascio ad ognuno il proprio giudizio. Tuttavia non si deve neanche ritenere strano se, non essendo vincolato da una determinazione della santa Chiesa e fondando il mio pensiero sul silenzio degli Evangelisti, io presumo piamente e con religiosa sottomissione che Maria, Madre di Gesù, non ha avuto la consolazione sensibile di essere stata sempre presente, quando lui apparve sia alle donne che agli Apostoli, durante quaranta giorni, in svariati modi»[5]. Anche se le parole di Chardon si mantengono prudenti, affermando che la Vergine non assistette a tutte le apparizioni, ammettendo quindi la possibilità che ne abbia veduta perlomeno una, consentitemi di considerare la possibilità che il Risorto non l’abbia mai incontrata.

Ipotizzando che questa lettura dei fatti sia vera, ci troviamo a scoprire un curioso parallelismo: noi, discepoli del XXI secolo, condividiamo il silenzio dei sensi, circa la Risurrezione, con la Vergine Maria. Ora, se per quanto ci riguarda era possibile ammettere che la semplice indegnità ci avesse precluso questa splendida esperienza, una simile spiegazione non può certo valere anche per la Madonna.

Credo sia inutile ricorda che lei è la “piena di Grazia[6]”, l’Immacolata Madre del Signore, talmente santa da essere accostabile alla Donna Vestita di Sole dell’Apocalisse[7]. Mi sembra evidente che il negarsi del Risorto alla vista debba avere almeno un’altra spiegazione che, sufficiente per Maria, si assommi, nel nostro caso, alla suddetta indegnità.

Per capirlo forse conviene chiedersi quali effetti ebbero le apparizioni del Signore sugli Apostoli e sulle donne a Lui più vicine. Fra i vari racconti evangelici, credo che particolarmente significativo per la nostra riflessione sia quello di san Luca, il quale dice: «Poi disse: “Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”. Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture […]»[8].

Il testo fa riferimento alla prima apparizione del Risorto agli Apostoli e presenta gli Undici incapaci di comprendere due elementi fondamentali: gli insegnamenti di Cristo e il senso delle Scritture. Lo stesso episodio dei discepoli di Èmmaus, immediatamente precedente il testo riportato[9], propone l’apparizione del Risorto come luce capace d’illuminare, di rendere chiari e comprensibili tutti quegli elementi veritativi presenti nelle Scritture e nell’insegnamento stesso del Maestro. A questo punto credo sia possibile affermare che le apparizioni di Gesù dopo la Risurrezione ebbero come primo effetto quello di ordinare e chiarificare nei suoi la Rivelazione stessa.

 

La Luce della Pasqua

Vediamo quindi di tirare le fila: se l’incontro degli Apostoli con il Risorto ebbe l’effetto di permetter loro di comprendere sia il Suo magistero sia il senso profondo delle Scritture, e se la Santa Vergine non sperimentò in prima persona un simile prodigio, è lecito supporre che l’esperienza non le fosse necessaria per comprendere la Salvezza. Quell’elemento cioè che fu donato agli Apostoli dalla personale conferma della Risurrezione, già risiedeva nel cuore di Maria, tanto da non rendere necessario questo tipo d’incontro.

Ma di che si tratta esattamente? Credo sia la consapevolezza di un elemento nuovo, tanto minuto quanto fondamentale in ogni esperienza: il suo punto di arrivo. Prima d’incontrare il Risorto gli Apostoli, come il resto dell’umanità, concepivano nella morte il proprio epilogo; anche infatti chi credeva nella risurrezione finale, viveva comunque senza alcuna testimonianza, alcuna vera certezza che questa si sarebbe manifestata.

Mi viene in mente il povero san Pietro che, di fronte alla prospettiva della morte di Gesù, esprime un totale rifiuto e per questo viene rimproverato[10]. Queste persone, a prescindere dalle loro dichiarazioni, vivevano dando la centralità non alla meta, bensì al viaggio, ai diversi elementi ad esso propri. Per tale ragione, anche di fronte ad un insegnamento altissimo come quello di Cristo, alla loro lettura sfugge qualcosa, quel salto di trascendenza che, se la conclusione del cammino fosse la tomba, sarebbe impossibile.

Di conseguenza l’esperienza sensibile di Gesù vincitore della morte cambiò ogni cosa. Quel cammino di fede e di sapienza che Dio, nella tradizione ebraica e nell’insegnamento stesso di Gesù, aveva donato loro, ora acquisiva un senso nuovo nel fatto che la sua destinazione era visibile ed evidente. La realizzazione nel Salvatore della promessa di vita contenuta nella Rivelazione ebbe la capacità di dare un significato unitario ad ogni elemento, permettendo alla giovane Chiesa di alzarsi ed iniziare la sua corsa[11].

Gesù Risorto, Luce delle genti, concesse agli Apostoli uno “sguardo di vita” che mutò radicalmente non solo il loro futuro, ma anche il peso del loro passato. Quello stesso sguardo tuttavia era già proprio della Vergine che, con grande eloquenza, espresse nel Magnificat la consapevolezza che la Vita stessa era giunta a mutare ogni cosa[12].

A questo punto possiamo nuovamente chiederci secondo quale specificità condividiamo la peculiare sorte della Vergine. La risposta sta nel fatto che anche se non vediamo concretamente Gesù Risorto, possiamo ogni giorno illuminare i nostri cuori con la luce di chi ha ereditato quello sguardo di vita che Lui ha donato all’uomo. Anche se ci sembra di vagare nelle tenebre, dobbiamo renderci conto che la Chiesa stessa, ed ogni uomo di Dio che vi sia immerso, ci mostra la certezza di quella Risurrezione, di quella vita in fondo al cammino che animò gli Apostoli.

Proprio come Maria non ebbe bisogno di rivedere suo Figlio, poiché già albergava in lei, per Grazia, quello sguardo vitale proprio di chi non ha nella tomba il suo epilogo, così noi non necessitiamo di simili visioni, poiché ogni giorno condividiamo con i nostri fratelli quella certezza nella Risurrezione che la Chiesa, fedelmente, tramanda attraverso i secoli.

Tanto nella comunità quanto nel singolo, abbiamo la possibilità di scorgere il riflesso di quell’apparizione originale, della speranza viva che, se fissata con fiducia, cambia ogni cosa. Cerchiamo questa Luce nella Santa pasqua così da attendere poi, come Maria, con serenità tutto ciò che Dio ha saggiamente disposto per noi[13]

 

[1] Gv 20, 27-29.

[2] Cf Teresa d’Avila, Storia della mia vita (a cura di Italo Alighiero Chiusano), Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2015, pp. 373-380.

[3] Cf Louis Chardon, La croce di Gesù, dove sono provate le più belle verità della teologia mistica e della grazia santificante (trad. a cura di p. Giorgio Carbone OP), ESD, Bologna 2019.

[4] Cf ivi, Primo Discorso, Cap. 32, n. 449, p. 340.

[5] Cf ivi, Primo Discorso, Cap. 32, n. 443, p. 337.

[6] Cf Lc 1, 28.

[7] Cf Ap 12, 1.

[8] Lc 24, 44-45.

[9] Cf Lc 24, 13-35.

[10] Cf Mt 16, 21-23.

[11] 2 Tm 4, 7.

[12] Cf Lc 1, 49.

[13] Cf Chardon, La croce di Gesù, Primo Discorso, Cap. 32, n. 449, p. 341.

Testi consigliati

  • Luois Chardon, La croce di Gesù, dove sono provate le più belle verità della teologia mistica e della grazia santificante (trad. a cura di p. Giorgio Carbone OP), seconda edizione, ESD, Bologna 2019.
  • Teresa d’Avila, Storia della mia vita (a cura di Italo Alighiero Chiusano), Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2015.