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I dannati dello zolfo

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Da tempi immemori l’uomo utilizza il fuoco per le proprie necessità. Oggi accendere un fiammifero è cosa facile: basta sfregarlo sulla parte ruvida della scatoletta. È un gesto che tutti abbiamo compiuto innumerevoli volte (anche se adesso è più frequente usare gli accendini). La fiamma scaturisce al nostro comando. Eppure, raramente pensiamo a come a volte ci procuriamo lo zolfo.

A me è toccato scoprirlo qui, nell’isola indonesiana di Jawa.

Nei giorni scorsi sono tornato ad ammirare i due gioielli di questa terra: Prambanan e Borobudur.

Il primo è un complesso templare induista del IX secolo dedicato alla Trimurti (Brahma, Visnu, Siva) e rappresenta il mitico monte Meru (centro del mondo e mitica residenza di Siva). Il tempio di Siva, alto 47 metri, è il più imponente di quelli qui raccolti ed è posto in posizione centrale. Le sue pareti esterne sono impreziosite da magnifici bassorilievi raffiguranti episodi del Ramayana e del Mahabarata, i due poemi epici più rilevanti del mondo induista.

Il secondo consiste in un tempio buddhista dello stesso periodo che riproduce un mandala (evocazione cosmica buddhista utilizzata durante la meditazione). Le tre sezioni che lo compongono a partire dal basso sono rappresentative dei tre mondi da attraversare nel percorso verso l’illuminazione: Kamaloka, mondo delle passioni; Rupaloka, mondo della forma in assenza di passioni; Arupaloka, mondo caratterizzato da assenza di forma del raggiunto nirvana.

Sono luoghi non solo belli, ma che parlano di un percorso di profonda ricerca interiore quale di questi tempi raramente si incontra.

Oggi, invece, accompagnato da una guida che mi indica il percorso, scendo nel cratere del vulcano Kawah Ijen.

La temperatura è fredda. Per proteggermi dai vapori ho noleggiato una maschera antigas. Faccio attenzione a non scivolare nel buio perché il percorso è accidentato tra sassi e macigni.

L’alba non è ancora spuntata, ma è il momento giusto per scorgere le “blue lights”, luminescenze di colore violaceo originate dai vapori solfurei.

Nel luogo vedo persone che non sono visitatori. Sono minatori che, senza protezioni per le esalazioni, trasportano in gerle carichi da 80 chili di zolfo dopo averlo staccato in lastre dai luoghi di condensa. Fuori dal vulcano il materiale verrà loro pagato 1.000 rupie (cioè appena 7 centesimi di euro) al chilo.

Arrancano con fatica risalendo il sentiero. Scivolare, come a volte accade, significa procurarsi una frattura e, soprattutto, non poter poi lavorare per mesi. Sono vestiti leggeri, si riscaldano per lo sforzo.

Alcuni provano a vendere piccole sculture in zolfo. Lascio una coperta al primo che mi passa accanto. Mi ringrazia con lo sguardo.

Questo vale anche un semplice fiammifero.