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I desaparecidos dell’uso sbagliato del potere cautelare: quando lo Stato non paga l’ingiusta detenzione

Fiume Reno, 2020
Ph. Mario Lamma / Fiume Reno, 2020

Articolo pubblicato nella sezione Gran Bazar del numero 1/2021 della Rivista "Percorsi penali".

Se sei capace di tremare d’indignazione

ogni qualvolta si commette un’ingiustizia,

allora siamo compagni

 Ernesto “Che” Guevara

 

1. L’uso del potere cautelare in Italia[1]

…Premessa

Entro il 31 gennaio di ogni anno, il Governo (per esso il ministero della Giustizia) ha l’obbligo, imposto dall’art. 15 della L. 47/2015, di presentare alle Camere “una relazione contenente dati, rilevazioni e statistiche relativi all’applicazione, nell’anno precedente, delle misure cautelari personali, distinte per tipologie, con l’indicazione dell’esito dei relativi procedimenti, ove conclusi”.

L’ultimo periodo dello stesso articolo aggiunge che “La relazione contiene inoltre i dati relativi alle sentenze di riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, pronunciate nell’anno precedente, con specificazione delle ragioni di accoglimento e dell’entità delle riparazioni, nonché i dati relativi al numero di procedimenti disciplinari iniziati nei riguardi dei magistrati per le accertate ingiuste detenzioni, con indicazione dell’esito, ove conclusi”.

È agevole comprendere lo scopo di questa prescrizione, non a caso inserita in una legge varata al dichiarato scopo di rimediare a disinvolte prassi legislative e giurisprudenziali il cui comune effetto era stato di riempire le carceri nazionali oltre ogni livello di civiltà e ragionevolezza.

Così si leggeva infatti nella proposta (prima firmataria on. Donatella Ferranti) da cui è derivata la Legge 47: “Il problema carcerario in Italia è cronico e assume dimensioni sempre più preoccupanti, con istituti penitenziari sovraffollati e condizioni detentive sempre meno degne di un Paese civile. Urge trovare soluzioni immediate, in grado non più solo di lenire temporaneamente il problema ma di risolverlo definitivamente. In questa direzione occorre anzitutto una riflessione culturale. Negli ultimi anni la situazione carceraria si è ulteriormente aggravata sotto la pressione di un’ansia di sicurezza, talora assecondata con troppa disinvoltura, che ha germinato una legislazione emergenziale soprattutto preoccupata di prevenire e di punire, senza particolare attenzione per le ricadute sanzionatorie complessive. La stessa prassi giudiziaria si è talora mostrata fin troppo sensibile all’ondata securitaria, favorendo ulteriormente l’espansione dell’uso della leva detentiva a fini sanzionatori e cautelari. Non si tratta allora più soltanto di arginare la piaga del sovraffollamento, che da anni attanaglia il nostro sistema carcerario, né semplicemente di assicurare modalità detentive che rispettino i più basilari diritti dell’individuo, ma più in generale si deve ridare senso e dignità alla forma più drastica di restrizione dei diritti dell’individuo che il nostro ordinamento conosce […] È necessario superare quelle forme surrettizie di presunzione giurisprudenziale che di fatto enucleano la sussistenza di esigenze cautelari dalla sola gravità del reato commesso e puntare su una valutazione rigorosa, che sappia valorizzare il principio della tendenziale prevalenza della libertà sulla restrizione. L’intervento normativo deve quindi tendere a riallineare il sistema italiano agli standard previsti dalla Costituzione e a quelli previsti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva dalla legge n. 848 del 1955, e dalla sua giurisprudenza. È in queste coordinate che si inscrive la presente proposta di legge”.

È chiaro allora che la relazione imposta dall’art. 15 ha una funzione strumentale: il monitoraggio annuale serve ad offrire al legislatore conoscenza e possibilità di intervento modificativo ove occorra.

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