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Identificazione delle forze dell’ordine: tabù Italia

L’identificazione degli agenti impegnati in attività di ordine pubblico a vent'anni dai fatti di Genova in Italia rimane un tabù. Perchè?
Identificazione delle forze dell’ordine
Identificazione delle forze dell’ordine

Identificazione delle forza dell’ordine: la situazione dopo i fatti di Genova

Identificazione delle forze dell’ordine: sono trascorsi venti anni dai fatti di Genova e nove anni dalla risoluzione 2011/2069(INI) del Parlamento europeo, del 12 dicembre 2012, sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea (2010-2011) che, tra le altre cose, esortava gli Stati membri “a garantire che il personale di polizia porti un numero identificativo”.

L’esortazione all’identificazione in Italia è rimasta lettera morta.

Registriamo il blocco dell’esame delle due proposte di legge, ferme in Commissione Affari costituzionali da due anni, che intendono introdurre una normativa, in linea con gli standard internazionali, che prevedano l’utilizzo di codici alfanumerici identificativi ben visibili sulle uniformi degli agenti impegnati in attività di ordine pubblico, finalizzati a consentire l’immediata identificazione dell’operatore che lo indossa.

Tra il 19 e il 22 luglio a Genova le forze dell’ordine in maniera sistematica operarono in disprezzo dei più elementari diritti democratici.

Il 7 aprile 2015 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato all'unanimità che è stato violato l'articolo 3 sul "divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti" durante l'irruzione della scuola Diaz.

 Il 6 aprile 2017, di fronte alla stessa Corte, l'Italia ha raggiunto una risoluzione amichevole con sei dei sessantacinque ricorrenti per gli atti di tortura subiti presso la caserma di Bolzaneto, ammettendo la propria responsabilità.

Il tempo sembra essere trascorso inutilmente e in altre occasioni abbiamo assistito ad episodi simili con la sostanziale impunità di chi ha usato la divisa non per proteggere ma per prevaricare dei cittadini inermi.

Le immagini sempre più frequenti delle forze dell’ordine che usano la forza in maniera sproporzionata contro persone disarmate e che non costituiscono una minaccia concreta richiamano la necessità di introdurre il codice di identificazione alfanumerici sulle divise e sui caschi.

Le Forze di polizia sono attori chiave ai fini della protezione dei diritti: ricevono le denunce, contribuiscono alle indagini e garantiscono il corretto svolgimento delle manifestazioni pubbliche, tutelando partecipanti e no da violenze e minacce.

Affinché questo ruolo sia riconosciuto nella sua importanza e svolto nella piena fiducia di tutti, sono essenziali il rispetto dei diritti umani, la prevenzione delle violazioni, il riconoscimento delle eventuali responsabilità e una complessiva trasparenza, in linea con gli standard internazionali in materia.

Dopo venti anni dai gravi fatti avvenuti in occasione del G8 di Genova nel luglio 2001, benché gli abusi e le violenze compiuti siano stati accertati in sede di giudizio, molti fra gli agenti coinvolti in quegli eventi sono rimasti impuniti, in parte per effetto della prescrizione e in parte proprio perché non fu possibile risalire all’identità di tutti gli agenti presenti attraverso una identificazione certa.

Le forze dell’ordine rappresentano un pilastro di un sistema fondato sullo Stato di diritto, ma non hanno “sempre ragione”; hanno ragione fintanto che si muovono nel perimetro che la legge gli conferisce, hanno ragione quando operano in maniera proporzionata e nel rispetto dei diritti umani.

La responsabilità è sempre individuale: per questo, a tutela dei cittadini e degli agenti che agiscono nel rispetto della legalità, non si può più attendere.

La speranza di restar impunito è l’incentivo più forte per diventare scellerato.

(Marco Tullio Cicerone)

È dunque ormai non procrastinabile la previsione di misure che consentano l’identificazione degli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico, anche perché episodi di uso ingiustificato della forza, come accaduto in passato, possono innescare pericolose generalizzazioni, specie se si riscontrano difficoltà rispetto all’accertamento delle responsabilità e delle relative sanzioni.

L’introduzione dei codici per l’identificazione sarebbe uno strumento non solo di garanzia per il cittadino, ma anche e soprattutto di maggiore tutela per tutti gli agenti che svolgono il proprio lavoro in maniera corretta.

Dopo l’ingresso nel Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite per il triennio 2019-2021, l’Italia ha il compito ancora più gravoso di dimostrare a livello internazionale il suo impegno nella prevenzione delle violazioni dei diritti umani.

L’approvazione di disposizioni in materia permetterebbe inoltre di dare seguito, come già avvenuto in diversi Stati membri dell’Unione europea, alla richiesta contenuta nella risoluzione 2011/2069(INI) del Parlamento europeo, del 12 dicembre 2012, sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea (2010-2011) che, tra le altre cose, esortava gli Stati membri “a garantire che il personale di polizia porti un numero identificativo”.

L’Italia, a differenza di Spagna, Francia, Portogallo e in quasi tutto il territorio tedesco (i codici di identificazione sono presenti in nove Länder su sedici), non prevede il codice identificativo alfanumerico, che è invece una misura di civiltà, di garanzia e di tutela dei diritti individuali e della credibilità e l’onorabilità delle forze dell’ordine.

In chiave di legislazione comparata, possiamo notare come diversi Paesi europei prevedano già questo tipologia di identificazione: nel Regno Unito la “Dress Code Policy” per la polizia metropolitana di Londra stabilisce l’obbligo per tutti gli agenti in servizio di esporre il codice identificativo nella spallina dell’uniforme, in modo che sia “visibile in ogni momento”.

In Francia il decreto del Ministro dell’interno, dell’oltremare e delle collettività territoriali firmato dal Primo Ministro Manuel Valls nel dicembre 2013 ha introdotto l’obbligo per gli agenti in servizio, sia in uniforme sia in borghese, di esporre un codice di identificazione individuale di sette cifre, il “référentiel des identités et de l’organisation”.

In Grecia, nel gennaio 2010, il Governo ha emendato il precedente regolamento sull’identificazione pubblica della polizia, introducendo l’obbligo per tutti gli agenti di rendere visibile nelle proprie spalline un codice di riconoscimento individuale.

Peraltro, alla Commissione Affari costituzionali della Camera giacciono, entrambi ferme da due anni, due proposte di legge in materia: una dell’On. Giuditta Pini del Partito Democratico (che oltre a richiedere l’introduzione dei codici di identificazione ha proposto anche l’utilizzo delle cosiddette “bodycam”) e una dell’On. Riccardo Magi, di Radicali/+ Europa.

Per questo le due proposte di legge intendono introdurre una normativa, in linea con gli standard internazionali, che prevedano l’utilizzo di codici alfanumerici identificativi ben visibili sulle uniformi degli agenti impegnati in attività di ordine pubblico, finalizzati a consentire l’immediata identificazione dell’operatore che lo indossa.

Di seguito il testo della proposta di legge A.C. 1912., in tema di identificazione delle forze dell’ordine a firma del deputato Magi.

Art. 1 Il personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile o militare, impegnato in servizi di ordine pubblico e sicurezza dei cittadini, è tenuto a indossare l’uniforme di servizio.

2. Il casco di protezione e le uniformi indossati dal personale delle Forze di polizia in servizio di ordine pubblico riportano sui due lati e sulla parte posteriore del casco di servizio, nella parte superiore dell’uniforme, sia sul petto sia sul dorso, nonché sul corpetto protettivo, un codice alfanumerico individuale, di materiale atto a consentirne la visibilità da almeno 15 metri o in condizioni di scarsa illuminazione, finalizzato a consentire l’immediata identificazione dell’operatore che lo indossa.

3. Per gli agenti esonerati dall’obbligo di indossare l’uniforme, il codice identificativo alfanumerico individuale deve essere apposto sui dispositivi di riconoscimento utilizzati dai medesimi agenti.

4. Le amministrazioni di appartenenza disciplinano le modalità di assegnazione dei codici identificativi alfanumerici individuali in modo da garantirne la casualità e la rotazione, nonché le modalità di tenuta del registro delle assegnazioni dei medesimi codici.

5. È fatto divieto al personale in servizio di ordine pubblico di utilizzare caschi e uniformi assegnati ad altri operatori, nonché di indossare fazzoletti e altri indumenti e mezzi di protezione non previsti o non autorizzati dai regolamenti di servizio atti a oscurare il codice identificativo alfanumerico individuale ovvero ad alterarlo o a modificarne la sequenza.

La proposta di legge della deputata Giuditta Pini, sempre in tema di identificazione delle forze dell’ordine, è simile e qui consultabile.

La proposta della Pini, si differenzia solo per l’introduzione della “bodycam”. In pratica al tema dell’identificazione degli operatori delle Forze di polizia impegnati in operazioni di ordine pubblico e di sicurezza dei cittadini durante le manifestazioni di piazza o sportive, prevede l’utilizzazione delle cosiddette “bodycam”, ossia delle telecamere sulle divise.