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Identità digitale d’impresa: il caso TripAdvisor

Identità digitale d’impresa: il caso TripAdvisor
Identità digitale d’impresa: il caso TripAdvisor

Estratto dal contributo al seminario su “Reputazione online d’impresa”, organizzato dall’Associazione Quadrante presso Bologna Business School, Bologna, 13 marzo 2017.

 

Il sito internet www.tripadvisor.it, gestito dalla società di diritto statunitense TripAdvisor LLC, è un portale web che offre agli internauti informazioni turistiche (ad es. circa hotel, ristoranti, voli aerei, ecc.). In esso i dati sono organizzati in pagine-profilo delle strutture, riportanti l’ubicazione dei luoghi, le recensioni redatte dagli utenti, il “bubble-rating” della struttura e il “popularity index rating” della stessa.

Attesa la popolarità raggiunta dal sito, qualsiasi alterazione nella corretta profilazione della struttura può tradursi in un difetto d’informazione per il consumatore e gravi danni per le attività turistiche possono discendere direttamente anche dalle recensioni ospitate sul sito, laddove queste abbiano un contenuto lesivo dell’immagine della struttura.

Con riferimento al primo profilo, l’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, con provvedimento del 19 dicembre 2014, ha condannato TripAdvisor LLC e TripAdvisor Italy S.r.l. al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria di cinquecentomila euro. Per l’Autorità, il professionista, pur dotandosi di un articolato sistema di controllo delle recensioni e di misure di contrasto alle attività di rilascio delle false recensioni, non è in grado di vagliare effettivamente e, in maniera efficace, la genuinità del loro contenuto informativo, nè l’attendibilità della valutazione complessiva che con le stesse si rilascia alle strutture”. Inoltre, poiché i meccanismi di funzionamento del database consentono una rapida ed ipertrofica diffusione delle informazioni, anche non veritiere, presso una vasta platea di consumatori…”, poiché al professionista è sì riconosciuta “ una facoltà di replica, la quale, tuttavia, ha natura solo informativa e non incide sugli effetti prodotti dalle recensioni pubblicate sull’indice di popolarità né determina automaticamente la rimozione della falsa recensione...” e visto che “la diffusione della pratica commerciale a mezzo internet rafforza il carattere decettivo delle informazioni diffuse dal professionista, in quanto le stesse sono suscettibili di investire una vastissima platea di consumatori, non tutti necessariamente a conoscenza del fenomeno delle false recensioni...”, la AGCM riteneva che in conclusione le condotte contestate a TripAdvisor […] integrano gli estremi di una pratica commerciale scorretta in violazione degli artt. 20,21 e 22 del Codice del Consumo”.

La suindicata deliberazione è stata annullata dal T.A.R. Lazio con la sentenza n. 9355 del 13 luglio 2015, il quale ha ritenuto che “dall’esame della complessa struttura del messaggio proposto da TripAdvisor non si rileva che esso verta essenzialmente e principalmente sulla veridicità delle recensioni, con toni enfatici, ma piuttosto che esso veicolo verso un corretto utilizzo del sito…” e “il consumatore... Viene in realtà posto in condizione di avere un quadro informativo chiaro, competo esaustivo e veritiero in relazione alla conformazione dello specifico servizio offerto sul sito...”. La sentenza è stata appellata dal Garante innanzi al Consiglio di Stato e, pertanto, occorrerà ancora attendere prima di poter leggere il capitolo conclusivo di questa vicenda.

Con riferimento al secondo profilo, quello cioè delle recensioni lesive della reputazione delle strutture, occorre innanzitutto ricordare che la giurisprudenza ha riconosciuto l’esistenza del diritto alla reputazione e alla identità personale anche in capo agli enti collettivi, come affermato espressamente da Cass. Civ., Sez. III, 4 giugno 2007, n. 12929. Tali diritti della personalità subiscono, nella società digitale, continue interferenze rispetto alle quali si pone il problema di ricostruzione non tanto una responsabilità dei singoli autori dei post diffamatori, quanto piuttosto quella delle società multinazionali che gestiscono i siti web.

Sul punto si è recentemente espresso il Tribunale di Venezia, con ordinanza del 24 febbraio 2015, proprio con riferimento al portale TripAdvisor, affermando che “non operando TripAdvisor quale mero intermediario di dati ed informazioni bensì esso agendo quale erogatore di un servizio integrato e, in particolare, quale soggetto che, anche per il tramite delle informazioni offerte dai recensori e di rielaborazione delle stesse offre consigli affidabili di veri viaggiatori e una vasta gamma di opzioni di viaggio e funzioni di pianificazione”, deve ritenersi che “ sul convenuto TripAdvisor sussista, in ragione di quanto stabilito in via generale dall’art. 2043 c.c., l’obbligo, prim’ancora di risarcire il danno, di prevenirlo e, quantomeno, di vagliare le recensioni postate dagli utenti ed escludere quelle apertamente diffamatorie (che fanno uso di forme oggettivamente incivili) ovvero quelle che non appaiono essere state postate da “veri viaggiatori”. In altri termini, per TripAdvisor, in quanto host provider attivo, non opera la previsione di cui all’art. 17, D. Lgs. 70/2003).

Infine, un profilo particolare è collegato all’impossibilità per una struttura di ottenere la cancellazione dal portale. Il rifiuto di TripAdvisor di eliminare una struttura dall’elenco delle strutture presenti sul proprio portale non sembra, tuttavia, legittimo. TripAdvisor non si limita ad elencare le strutture turistiche, ma, attraverso la rielaborazione delle informazioni inserite dagli utenti, stila una classifica delle stesse, realizzando così una profilazione “a base diffusa” delle strutture turistiche, priva di criteri di selezione qualitativa dei giudizi espressi, non verificati e coperti dall’anonimato.

I giudizi e i profili sono immediatamente accessibili e fruibili in qualunque angolo del globo e anche a notevole distanza di tempo dal verificarsi dei fatti oggetto della recensione e non rispondono ad esigenze di informazione del pubblico ma sono serventi rispetto al modello di business di TripAdvisor. Prescindere dal consenso del titolare della struttura comporta una grave interferenza con il diritto all’identità personale dell’impresa, in antitesi con la più ampia tutela ormai da tempo riservata dalla giurisprudenza ai diritti della personalità, sacrificabile solo a fronte dell’autorizzazione del titolare del diritto o di norme rispondenti a superiori interessi costituzionali.