Il contrasto tra normativa italiana e normativa comunitaria in materia di radiodiffusione analogica nella gamma delle onde medie

ABSTRACT

 

La libertà di trasmettere mediante stazioni di radiodiffusione circolare (broadcasting) non gode ancora di completa garanzia da parte dell’ordinamento giuridico italiano. Attualmente, infatti, un soggetto privato che intendesse avviare proprie trasmissioni radio nelle gamma delle onde medie si esporrebbe al rischio di sequestri e denunce penali, proprio come le prime radio libere durante gli anni settanta del secolo scorso.

 

Così, se alla saturazione della banda della modulazione di frequenza si contrappone ora il deserto nella gamma delle onde medie (a causa del progressivo abbandono di tali frequenze da parte della concessionaria di Stato), ciò nonostante il legislatore italiano continua ad imporre uno sterile monopolio statale.

 

L’autore – dopo aver individuato la vigente normativa italiana in materia di comunicazioni elettroniche, riferibile alle trasmissioni in onde medie con tecnica analogica – la sottopone al vaglio dell’acquis communautaire,constatando l’avvenuta violazione della normativa dell’Unione europea in tema di libertà di concorrenza e di libertà di comunicazione.

 

 

Sommario: 1. Premessa (La situazione attuale in Italia - I dubbi sulla vigente normativa italiana – Le emissioni radio in onde corte) – 2. La normativa statale italiana (Codice delle comunicazioni elettroniche – - Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici) – 3. La normativa comunitaria (La tutela dei diritti fondamentali dell’uomo - Le direttive comunitarie in materia radiotelevisiva) – 4. La tradizione costituzionale italiana 5.LaConvenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali 6. Conclusioni

 

1.        PREMESSA

 

La normativa di carattere generale in materia di radiodiffusione sonora (broadcasting radio), adottata dallo Stato italiano nell’arco di trent’anni (dalla legge n. 103 del 1975 al decreto legislativo n. 177 del 2005), ha sempre disciplinato le emittenti broadcasting private senza porre alcuna distinzione tra le bande di frequenza utilizzate.

 

La medesima disciplina, conseguentemente, regolamenta oggi tanto le stazioni in modulazione di frequenza (FM) quanto quelle in onde medie a modulazione d’ampiezza (AM–MW), purché «nel rispetto degli accordi internazionali vigenti in materia…».[1]

 

Attualmente sono due i testi vigenti nell’ordinamento giuridico italiano, da ritenersi fondamentali per la disciplina del settore delle comunicazioni elettroniche:

-   il Codice delle comunicazioni elettroniche (emanato con decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259)

 

-   il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (emanato con decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177)

 

che andremo ora ad esaminare.

 

La situazione attuale in Italia

 

In questi ultimi anni, la normativa radiotelevisiva dello Stato italiano – pur continuando a prevedere anche la tecnica analogica[2] – ha rivolto particolare attenzione  alle emissioni in tecnica digitale. Di tale preminenza troviamo conferma – proprio in riferimento alla radiodiffusione privata – in due fondamentali disposizioni contenute nel citato Testo unico:

 

-       Art. 24 (Durata e limiti delle concessioni e autorizzazioni radiofoniche su frequenze terrestri in tecnica analogica) 1. Fino all’adozione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze di radiodiffusione sonora in tecnica analogica di cui all’articolo 42, comma 10, la radiodiffusione sonora privata in àmbito nazionale e locale su frequenze terrestri in tecnica analogica è esercitata in regime di concessione o di autorizzazione con i diritti e gli obblighistabiliti per il concessionario dalla legge 6 agosto 1990, n. 223, e successive modificazioni, da parte dei soggetti legittimamente operanti … alla data del 30 settembre 2001 …;

 

-       Art. 42 (Uso efficiente dello spettro elettromagnetico e pianificazione delle frequenze)

10. L’Autorità adotta il piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche in tecnica analogica successivamente all’effettiva introduzione della radiodiffusione sonora in tecnica digitale e allo sviluppo del relativo mercato.

 

Le suddette disposizioni normative dicono, in buona sostanza, che solamente le emittenti esistenti alla data del 30 settembre 2001 possono continuare a trasmettere in tecnica analogica, mentre le aspiranti nuove stazioni radio dovranno forzatamente attendere l’adozione del nuovo piano di assegnazione delle relative frequenze; piano che, però, sarà adottato solo dopo lo sviluppo (genericamente indicato) del mercato della radio digitale.

 

A chi si applicano tali disposizioni? Indubbiamente alla radio in FM (in riferimento alle quali non è possibile il rilascio di nuove concessioni, consentendo solamente il trasferimento di impianti, di rami di azienda o dell’intera emittente da un concessionario all’altro, oppure l’acquisizione da parte di società di capitali), ma anche alle stazioni in onde medie (considerato il carattere generale della disposizione normativa, come osservato fin dall’inizio).

 

Quindi, secondo tali disposizioni, le emittenti italiane in onde medie di recente attivazione[3] sarebbero tutte illegittime e passibili di spegnimento, in quanto non erano ancora esistenti alla data del 30 settembre 2001[4].

 

I dubbi sulla vigente normativa italiana

 

A tale restrizione normativa si contrappone il fatto che, attualmente, in Italia (e, probabilmente, anche nel resto d’Europa) non sussiste alcuna situazione di sovraffollamento nella gamma delle onde medie, complice la riduzione (dall’anno 2004) dei canali della concessionaria di Stato R.A.I. a quelli della sola programmazione di «Rai Radio 1»[5] e la conseguente diminuzione dei siti trasmittenti nel territorio italiano.

 

Pertanto, non sussiste alcuna ragione di carattere tecnico per impedire a soggetti, privati imprenditori, l’avvio di un’attività di emissione radiofonica privata a carattere analogico nelle onde medie a modulazione d’ampiezza (AM–MW) (anziché nella consueta ed affollata gamma delle onde ultracorte modulazione di frequenza – FM).

 

Per quanto riguarda invece gli ostacoli di carattere giuridico frapposti dall’ordinamento italiano, se si adotta una lettura della normativa statale alla luce dell’acquis communautaire[6] (oltre che della giurisprudenza costituzionale italiana[7]), è fuor di dubbio che le limitazioni sopra descritte sono illegittime, in quanto tutte le emittenti radiofoniche private devono vedersi garantite – anche nella gamma d’onda dai 526,5 ai 1606,5 KHz – la libertà ed il pluralismo dei mezzi di comunicazione, inclusa la libertà di comunicare informazioni o idee senza limiti di frontiere.[8] Lo vedremo nel prosieguo della presente disamina.

 

A parer nostro, la mancanza (che si protrae da ormai un decennio e chissà per quanto tempo ancora) di un piano di assegnazione[9] delle frequenze analogiche non può certo sospendere a tempo indefinito il diritto dei soggetti privati a trasmettere in onde medie: infatti, non sussistendo un problema di affollamento dell’etere, non può porsi dalle Autorità alcun dubbio sulla possibilità di un «uso efficiente dello spettro elettromagnetico», richiesto dall’art. 42 del citato Testo Unico.

 

Come dimostreremo, il rispetto della normativa comunitaria è possibile – nelle attuali more procedimentali dell’Esecutivo italiano – solo affermando la legittimità dell’utilizzo delle frequenze delle onde medie in tecnica analogica,  anche in assenza del relativo piano, residuando,come unico obbligo, quello del rispetto delle convenzioni internazionali.

 

In proposito, ricordiamo che la normativa statale italiana prevede – così come per tutti i soggetti privati che intendano fornire un servizio di comunicazione elettronica ad uso pubblico – che anche gli operatori che vogliano avviare un’attività di radiodiffusione sonora in onde medie presentino una dichiarazione di inizio attività (D.I.A)[10] alla competente autorità governativa (attualmente il Dipartimento per le Comunicazioni del Ministero dello Sviluppo Economico). Tale adempimento – che è previsto dall’art. 25[11] dell’altro testo normativo fondamentale del settore, cioè il Codice delle comunicazioni elettroniche – è volto al rilascio della c.d. autorizzazione generale a trasmettere.

E’ importante la terminologia utilizzata: il Codice parla di autorizzazione[12] (e non di concessione[13]) proprio perché «l’attività di fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica è libera», salvo poche e ben precise limitazioni.[14]

 

E ciò viene ribadito dal successivo art. 27[15], il quale esclude la necessità di ottenere un’ulteriore concessione del diritto individuale di uso delle frequenze radio «ogni qualvolta ciò sia possibile e sempre che il rischio di interferenze dannose sia trascurabile».

 

Come abbiamo affermato, nel caso delle onde medie in tecnica analogica non sussistono né il rischio di interferenze dannose né, tanto meno, la scarsità delle risorse (cioè le frequenze radio); ciò nonostante, la normativa statale italiana[16] subordina il diritto di trasmettere – in via generale (e, a nostro parere, in modo arbitrario) – alla concessione di uso della relativa frequenza. Ad ogni modo, anche se si volesse accettare tale limitazione, resterebbe comunque ingiustificabile (ed illegittimo) il mancato rilascio della suddetta concessione: ciò a causa della omessa adozione (dopo ormai un decennio) del preliminare piano di assegnazione delle frequenze analogiche, subordinato – a propria volta – ad un incerto sviluppo del mercato delle frequenze digitali.

 

Le emissioni radio in onde corte

 

Oltre che immotivatamente restrittiva nei confronti delle emissioni in onda media, la normativa italiana è anche contraddittoria : essa, infatti, consente – come è giusto che sia – agli operatori privati di trasmettere nella ben più delicata[17] gamma delle onde corte (SW).

 

Infatti, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 10 luglio 1995 n. 391 (Regolamento recante norme sulla radiodiffusione sonora in onde corte verso l’estero),le emissioni in onde corte non sono affatto vietate; anzi, sono assoggettate al regime autorizzatorio (al quale, come abbiamo visto, corrisponde un diritto e non una semplice aspettativa).

 

Senza entrare nel merito dei vincoli[18] comunque apposti, che potrebbero anch’essi essere ritenuti limitativi della libertà d’iniziativa imprenditoriale, è comunque indubbio che il diritto di trasmettere in onde corte non è stato assoggettato a preventivi adempimenti da parte delle autorità statali (come avviene, invece, per le onde medie).

 

L’utilizzo dei relativi impianti deve avvenire, ovviamente, nel rispetto degli accordi internazionali vigenti in materia di utilizzazione delle bande di frequenze previste dal regolamento dell’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (U.I.T.), con l’unico obbligo – in caso di interferenze a danno di altre stazioni - di adottare le misure idonee ad eliminare i disturbi.[19]

 

Osserviamo così, ad ulteriore conferma dell’immotivato gravame cui l’ordinamento giuridico italiano sottopone le emissioni private, che le stazioni private italiane in onde medie a tecnica analogica rischiano di vedersi contestare – dalle autorità amministrative e di polizia – la violazione della norma di cui al combinato disposto degli articoli 52 del Testo Unico[20] e 98, comma 3 del Codice[21], mentre gli operatori in onde corte sono soggetti a semplici prescrizioni di carattere tecnico per la rimozione di eventuali interferenze.

 

Non vi è chi non veda quanto sia immotivata una sanzione – addirittura di carattere penale – per delle emissioni (quali quelle analogiche in onde medie) che non arrecano disturbo ad altre emittenti e, per di più, a carattere locale ; tutto ciò a causa – lo ricordiamo ancora – del gravissimo ritardo in cui si trovano le autorità italiane per l’adozione di quei provvedimenti che (immotivatamente) sono stati posti a necessaria premessa del piano di assegnazione delle frequenze analogiche.

 

Un ritardo che non sappiamo sino a quando potrà protrarsi, vista l’assoluta genericità della stessa disposizione del citato art. 42, comma 10 del Testo Unico.

 

2.        LA NORMATIVA STATALE ITALIANA

L’ordinamento giuridico italiano ha attuato le principali direttive comunitarie[22] in materia radiotelevisiva, mediante i seguenti testi normativi :

 

-          Decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche)

 

-          Decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici).

 

Anche se tecnicamente è stato il Codice ad effettuare il recepimento delle direttive comunitarie nel diritto interno italiano, il comune richiamo alle medesime direttive consente di interpretare tra loro le disposizioni contenute nei due provvedimenti statali, mediante lo strumento ermeneutico del combinato-disposto.

 

I due decreti legislativi sono zeppi di richiami ai principi di «libertà di comunicazione»[23] e di «libertà di iniziativa economica» in regime di concorrenza e quindi antimonopolistico[24]; ciò in formale ossequio ai medesimi principi di libertà contenuti in tali direttive, anche se – come già accennato e come ora andiamo meglio ad illustrare – tali libertà vengono di fatto negate dal Testo Unico.

 

Immagine rimossa.      Codice delle comunicazioni elettroniche (Decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259)

 

E’ da ricordare che tale Codice – proprio in riferimento alla materia della diffusione circolare dei programmi sonori e televisivi – fa salve e ritiene prevalenti le norme speciali[25] in materia di reti (art. 2 comma 3), gestione delle radiofrequenze (art. 14 comma 3), diritti d’uso delle frequenze radio (art. 27 comma 5) e di concessioni e autorizzazioni preesistenti (art. 38 comma 4).

 

Ciò nonostante e proprio per quanto appena affermato, i princìpi in esso contenuti sono sicuramente applicabili anche al settore delle trasmissioni broadcasting radio, per il rapporto «norma generale – norma speciale»[26] che sussiste tra i due atti normativi.

 

Oltre a quelle poste a tutela dei principi di libertà di comunicazione e di libertà di iniziativa economica ricordati nelle note 23 e 24, troviamo nel Codice altre disposizioni applicabili anche al settore delle radiodiffusioni circolari:

 

·         assoggettamento al regime autorizzatorio (e non concessorio), presupponendo quindi l’esistenza di un diritto soggettivo (in questo caso, all’uso dei mezzi di comunicazione elettronica) (art. 1 lettera g),

 

·         nozione di “rete”[27] di comunicazione elettronica (art. 1 comma 1 lettera dd); art. 2 comma 1 lettera a),

 

·         gestione efficiente delle radiofrequenze (art. 4 comma 4 lettera d); art. 14),

 

·         principio di libertà dell’attività di fornitura delle reti di comunicazione elettronica (art. 25 commi 1 e 4),

 

·         esclusione – «ogni qualvolta ciò sia possibile e sempre che il rischio di interferenze dannose sia trascurabile secondo le disposizioni del piano nazionale di ripartizione delle frequenze» – della ulteriore[28] necessità di una concessione di diritti individuali di uso delle frequenze radio (art. 27 commi 1, 2 e 6),

 

·         procedura tassativa e di garanzia, da seguire in caso di limitazione dei diritti d’uso da concedere(art. 29).

 

Immagine rimossa.       Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (Decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177)

 

In questo testo normativo è contenuta gran parte della normativa speciale in materia di «servizi di media audiovisivi» e di «radiofonia» (artt. 1 e 1-bis).

 

Il Testo Unico detta le definizioni relative al settore di nostro interesse (art. 2, in particolare lettere v) e bb) e riprende i medesimi principi di libertà dettati dal ricordato Codice (artt. 3, 4 e 5), facendo propria anche la prospettiva dell’ascoltatore (e non solo dell’operatore radiofonico).

 

In particolare, l’art. 5, comma 1, lettera b)[29] prevede per le emittenti broadcasting tanto l’autorizzazione (generale) a trasmettere quanto la necessità di ottenere in concessione il diritto d’uso delle frequenze: come affermato in precedenza, il legislatore statale ha ritenuto necessario (generalmente e, per questo, arbitrariamente) dover garantire l’uso efficiente delle frequenze radio[30] mediante il meccanismo della concessione d’uso, unitamente all’autorizzazione generale. Questo, però, senza porre alcuna distinzione tra frequenze radio in FM (sicuramente affollate) e frequenze radio in onde medie (ampiamente libere, invece, per le emittenti a bassa potenza d’emissione).

 

A tale proposito, è necessario precisare che vi è una precisa distinzione tra «piano nazionale di ripartizione delle frequenze» avente ad oggetto servizi[31] e gestori[32] (adottato con decreto del Ministro dello Sviluppo economico[33]) e «piani nazionali di assegnazione delle frequenze» (in tecnica digitale[34] ed in tecnica analogica[35]) da destinare agli effettivi utilizzatori[36] (adottati invece mediante provvedimenti dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni).

 

Giunti a questo punto della disamina, possiamo osservare che il diritto di trasmettere in onde medie, pur rientrando nella più generale libertà di comunicazione, è comunque condizionato – per la normativa statale italiana – da una discutibile esigenza di garantire tale gamma d’onda da interferenze e sovraffollamento.

 

Ad ogni modo, anche accettando tale imposizione (nei fatti immotivata), la ricerca delle relative modalità di concessione del diritto d’uso delle relative frequenze radio avrebbe comunque esito negativo, in quanto impossibili da attuare. Infatti, esaminando nel dettaglio altri articoli del Testo unico osserviamo:

 

-            art. 19: la disciplina per autorizzare i servizi radiofonici terrestri in tecnica digitale è contenuta in apposito Regolamento. Detto Regolamento è stato approvato con delibera AGCOM n. 664/09/CONS),[37]

 

-            art. 24, comma 1: fino all’adozione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze di radiodiffusione sonora in tecnica analogica, tale tecnica di radiodiffusione è consentita solo ai soggetti legittimamente operanti alla data del 30 settembre 2001[38],

 

-            art. 42, comma 5: l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) adotta e aggiorna i piani nazionali di assegnazione delle frequenze radiofoniche e televisive in tecnica digitale,

 

-            art. 42, comma 10: l’AGCOM adotta il piano di assegnazione in tecnica analogica successivamente all’effettiva introduzione della radiodiffusione sonora in tecnica digitale e allo sviluppo del relativo mercato.

 

Ebbene, possiamo notare che al piano di ripartizione (nel quale troviamo confermata l’assegnazione della gamma delle onde medie alla radiodiffusione analogica sonora in AM) non solo non ha fatto seguito il piano di assegnazione delle frequenze in tecnica analogica, bensì nemmeno quello delle frequenze in tecnica digitale. Infatti, il citato Regolamento dell’AGCOM (emanato solo nell’anno 2009) prevede – all’art. 18 – che «a seguito del completamento della fase di avvio dei mercati l’Autorità provvede all’individuazione delle frequenze assegnabili al servizio di radiodiffusione sonora terrestre in tecnica digitale mediante procedure ad evidenza pubblica, sulla base delle norme stabilite con apposito regolamento basate su criteri obiettivi, pluralistici, proporzionati, trasparenti e non discriminatori.»

 

Confrontando la disposizione (di legge) del Testo unico con quella del regolamento AGCOM, possiamo constatare che lo Stato italiano si trova in una fase addirittura precedente a quella della «effettiva introduzione» della tecnica digitale (art. 42, comma 10, del Testo Unico), in quanto si sta ancora attendendo il «completamento della fase di avvio» (art. 18 del Regolamento).

 

Stando così le cose, non vi è chi non veda che il piano di assegnazione delle frequenze radio analogiche è, di fatto, sottoposto ad una vera e propria condizione meramente potestativa, il cui avverarsi[39] dipende da una volontà che non esitiamo a definire – dopo ormai più di dieci anni di attesa – connotata da aspetti di arbitrarietà.

 

3.        LA NORMATIVA COMUNITARIA

 

La tutela dei diritti fondamentali dell’uomo

 

E’ necessario premettere che l’intero ordinamento giuridico dell’Unione europea è sotteso da un generale principio di libertà.

 

Come è noto, inizialmente i diritti fondamentali della persona non erano stati oggetto di tutela da parte dell’ordinamento comunitario[40]. Comunque, dopo un’evoluzione giurisprudenziale mediante la quale la Corte di Giustizia ha ricondotto tali diritti fondamentali ai principi generali dell’ordinamento comunitario, anche il diritto positivo ha recentemente fatto propria tale tutela, così che essi ora assurgono al rango di diritto originario.

 

Infatti, dopo quella che era stata una semplice, pur se solenne, proclamazione nell’anno 2000, ribadita nell’anno 2007 (entrambe con valenza esclusivamente politica), il Trattato di Lisbona (art. 6, paragrafo 1 e punto 1 della “dichiarazione A” allegata all’Atto finale della conferenzaintergovernativa che ha adottato il Trattato di Lisbona) ha esplicitamente inserito nel diritto positivo comunitario «i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europeache ha lo stesso valore giuridico dei trattati.»

 

In particolare, la nostra Carta afferma quanto segue:

 

Articolo 11 (Libertà di espressione e d’informazione)

 

1. Ogni persona ha diritto a
ABSTRACT

 

La libertà di trasmettere mediante stazioni di radiodiffusione circolare (broadcasting) non gode ancora di completa garanzia da parte dell’ordinamento giuridico italiano. Attualmente, infatti, un soggetto privato che intendesse avviare proprie trasmissioni radio nelle gamma delle onde medie si esporrebbe al rischio di sequestri e denunce penali, proprio come le prime radio libere durante gli anni settanta del secolo scorso.

 

Così, se alla saturazione della banda della modulazione di frequenza si contrappone ora il deserto nella gamma delle onde medie (a causa del progressivo abbandono di tali frequenze da parte della concessionaria di Stato), ciò nonostante il legislatore italiano continua ad imporre uno sterile monopolio statale.

 

L’autore – dopo aver individuato la vigente normativa italiana in materia di comunicazioni elettroniche, riferibile alle trasmissioni in onde medie con tecnica analogica – la sottopone al vaglio dell’acquis communautaire,constatando l’avvenuta violazione della normativa dell’Unione europea in tema di libertà di concorrenza e di libertà di comunicazione.

 

 

Sommario: 1. Premessa (La situazione attuale in Italia - I dubbi sulla vigente normativa italiana – Le emissioni radio in onde corte) – 2. La normativa statale italiana (Codice delle comunicazioni elettroniche – - Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici) – 3. La normativa comunitaria (La tutela dei diritti fondamentali dell’uomo - Le direttive comunitarie in materia radiotelevisiva) – 4. La tradizione costituzionale italiana 5.LaConvenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali 6. Conclusioni

 

1.        PREMESSA

 

La normativa di carattere generale in materia di radiodiffusione sonora (broadcasting radio), adottata dallo Stato italiano nell’arco di trent’anni (dalla legge n. 103 del 1975 al decreto legislativo n. 177 del 2005), ha sempre disciplinato le emittenti broadcasting private senza porre alcuna distinzione tra le bande di frequenza utilizzate.

 

La medesima disciplina, conseguentemente, regolamenta oggi tanto le stazioni in modulazione di frequenza (FM) quanto quelle in onde medie a modulazione d’ampiezza (AM–MW), purché «nel rispetto degli accordi internazionali vigenti in materia…».[1]

 

Attualmente sono due i testi vigenti nell’ordinamento giuridico italiano, da ritenersi fondamentali per la disciplina del settore delle comunicazioni elettroniche:

-   il Codice delle comunicazioni elettroniche (emanato con decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259)

 

-   il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (emanato con decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177)

 

che andremo ora ad esaminare.

 

La situazione attuale in Italia

 

In questi ultimi anni, la normativa radiotelevisiva dello Stato italiano – pur continuando a prevedere anche la tecnica analogica[2] – ha rivolto particolare attenzione  alle emissioni in tecnica digitale. Di tale preminenza troviamo conferma – proprio in riferimento alla radiodiffusione privata – in due fondamentali disposizioni contenute nel citato Testo unico:

 

-       Art. 24 (Durata e limiti delle concessioni e autorizzazioni radiofoniche su frequenze terrestri in tecnica analogica) 1. Fino all’adozione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze di radiodiffusione sonora in tecnica analogica di cui all’articolo 42, comma 10, la radiodiffusione sonora privata in àmbito nazionale e locale su frequenze terrestri in tecnica analogica è esercitata in regime di concessione o di autorizzazione con i diritti e gli obblighistabiliti per il concessionario dalla legge 6 agosto 1990, n. 223, e successive modificazioni, da parte dei soggetti legittimamente operanti … alla data del 30 settembre 2001 …;

 

-       Art. 42 (Uso efficiente dello spettro elettromagnetico e pianificazione delle frequenze)

10. L’Autorità adotta il piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche in tecnica analogica successivamente all’effettiva introduzione della radiodiffusione sonora in tecnica digitale e allo sviluppo del relativo mercato.

 

Le suddette disposizioni normative dicono, in buona sostanza, che solamente le emittenti esistenti alla data del 30 settembre 2001 possono continuare a trasmettere in tecnica analogica, mentre le aspiranti nuove stazioni radio dovranno forzatamente attendere l’adozione del nuovo piano di assegnazione delle relative frequenze; piano che, però, sarà adottato solo dopo lo sviluppo (genericamente indicato) del mercato della radio digitale.

 

A chi si applicano tali disposizioni? Indubbiamente alla radio in FM (in riferimento alle quali non è possibile il rilascio di nuove concessioni, consentendo solamente il trasferimento di impianti, di rami di azienda o dell’intera emittente da un concessionario all’altro, oppure l’acquisizione da parte di società di capitali), ma anche alle stazioni in onde medie (considerato il carattere generale della disposizione normativa, come osservato fin dall’inizio).

 

Quindi, secondo tali disposizioni, le emittenti italiane in onde medie di recente attivazione[3] sarebbero tutte illegittime e passibili di spegnimento, in quanto non erano ancora esistenti alla data del 30 settembre 2001[4].

 

I dubbi sulla vigente normativa italiana

 

A tale restrizione normativa si contrappone il fatto che, attualmente, in Italia (e, probabilmente, anche nel resto d’Europa) non sussiste alcuna situazione di sovraffollamento nella gamma delle onde medie, complice la riduzione (dall’anno 2004) dei canali della concessionaria di Stato R.A.I. a quelli della sola programmazione di «Rai Radio 1»[5] e la conseguente diminuzione dei siti trasmittenti nel territorio italiano.

 

Pertanto, non sussiste alcuna ragione di carattere tecnico per impedire a soggetti, privati imprenditori, l’avvio di un’attività di emissione radiofonica privata a carattere analogico nelle onde medie a modulazione d’ampiezza (AM–MW) (anziché nella consueta ed affollata gamma delle onde ultracorte modulazione di frequenza – FM).

 

Per quanto riguarda invece gli ostacoli di carattere giuridico frapposti dall’ordinamento italiano, se si adotta una lettura della normativa statale alla luce dell’acquis communautaire[6] (oltre che della giurisprudenza costituzionale italiana[7]), è fuor di dubbio che le limitazioni sopra descritte sono illegittime, in quanto tutte le emittenti radiofoniche private devono vedersi garantite – anche nella gamma d’onda dai 526,5 ai 1606,5 KHz – la libertà ed il pluralismo dei mezzi di comunicazione, inclusa la libertà di comunicare informazioni o idee senza limiti di frontiere.[8] Lo vedremo nel prosieguo della presente disamina.

 

A parer nostro, la mancanza (che si protrae da ormai un decennio e chissà per quanto tempo ancora) di un piano di assegnazione[9] delle frequenze analogiche non può certo sospendere a tempo indefinito il diritto dei soggetti privati a trasmettere in onde medie: infatti, non sussistendo un problema di affollamento dell’etere, non può porsi dalle Autorità alcun dubbio sulla possibilità di un «uso efficiente dello spettro elettromagnetico», richiesto dall’art. 42 del citato Testo Unico.

 

Come dimostreremo, il rispetto della normativa comunitaria è possibile – nelle attuali more procedimentali dell’Esecutivo italiano – solo affermando la legittimità dell’utilizzo delle frequenze delle onde medie in tecnica analogica,  anche in assenza del relativo piano, residuando,come unico obbligo, quello del rispetto delle convenzioni internazionali.

 

In proposito, ricordiamo che la normativa statale italiana prevede – così come per tutti i soggetti privati che intendano fornire un servizio di comunicazione elettronica ad uso pubblico – che anche gli operatori che vogliano avviare un’attività di radiodiffusione sonora in onde medie presentino una dichiarazione di inizio attività (D.I.A)[10] alla competente autorità governativa (attualmente il Dipartimento per le Comunicazioni del Ministero dello Sviluppo Economico). Tale adempimento – che è previsto dall’art. 25[11] dell’altro testo normativo fondamentale del settore, cioè il Codice delle comunicazioni elettroniche – è volto al rilascio della c.d. autorizzazione generale a trasmettere.

E’ importante la terminologia utilizzata: il Codice parla di autorizzazione[12] (e non di concessione[13]) proprio perché «l’attività di fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica è libera», salvo poche e ben precise limitazioni.[14]

 

E ciò viene ribadito dal successivo art. 27[15], il quale esclude la necessità di ottenere un’ulteriore concessione del diritto individuale di uso delle frequenze radio «ogni qualvolta ciò sia possibile e sempre che il rischio di interferenze dannose sia trascurabile».

 

Come abbiamo affermato, nel caso delle onde medie in tecnica analogica non sussistono né il rischio di interferenze dannose né, tanto meno, la scarsità delle risorse (cioè le frequenze radio); ciò nonostante, la normativa statale italiana[16] subordina il diritto di trasmettere – in via generale (e, a nostro parere, in modo arbitrario) – alla concessione di uso della relativa frequenza. Ad ogni modo, anche se si volesse accettare tale limitazione, resterebbe comunque ingiustificabile (ed illegittimo) il mancato rilascio della suddetta concessione: ciò a causa della omessa adozione (dopo ormai un decennio) del preliminare piano di assegnazione delle frequenze analogiche, subordinato – a propria volta – ad un incerto sviluppo del mercato delle frequenze digitali.

 

Le emissioni radio in onde corte

 

Oltre che immotivatamente restrittiva nei confronti delle emissioni in onda media, la normativa italiana è anche contraddittoria : essa, infatti, consente – come è giusto che sia – agli operatori privati di trasmettere nella ben più delicata[17] gamma delle onde corte (SW).

 

Infatti, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 10 luglio 1995 n. 391 (Regolamento recante norme sulla radiodiffusione sonora in onde corte verso l’estero),le emissioni in onde corte non sono affatto vietate; anzi, sono assoggettate al regime autorizzatorio (al quale, come abbiamo visto, corrisponde un diritto e non una semplice aspettativa).

 

Senza entrare nel merito dei vincoli[18] comunque apposti, che potrebbero anch’essi essere ritenuti limitativi della libertà d’iniziativa imprenditoriale, è comunque indubbio che il diritto di trasmettere in onde corte non è stato assoggettato a preventivi adempimenti da parte delle autorità statali (come avviene, invece, per le onde medie).

 

L’utilizzo dei relativi impianti deve avvenire, ovviamente, nel rispetto degli accordi internazionali vigenti in materia di utilizzazione delle bande di frequenze previste dal regolamento dell’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (U.I.T.), con l’unico obbligo – in caso di interferenze a danno di altre stazioni - di adottare le misure idonee ad eliminare i disturbi.[19]

 

Osserviamo così, ad ulteriore conferma dell’immotivato gravame cui l’ordinamento giuridico italiano sottopone le emissioni private, che le stazioni private italiane in onde medie a tecnica analogica rischiano di vedersi contestare – dalle autorità amministrative e di polizia – la violazione della norma di cui al combinato disposto degli articoli 52 del Testo Unico[20] e 98, comma 3 del Codice[21], mentre gli operatori in onde corte sono soggetti a semplici prescrizioni di carattere tecnico per la rimozione di eventuali interferenze.

 

Non vi è chi non veda quanto sia immotivata una sanzione – addirittura di carattere penale – per delle emissioni (quali quelle analogiche in onde medie) che non arrecano disturbo ad altre emittenti e, per di più, a carattere locale ; tutto ciò a causa – lo ricordiamo ancora – del gravissimo ritardo in cui si trovano le autorità italiane per l’adozione di quei provvedimenti che (immotivatamente) sono stati posti a necessaria premessa del piano di assegnazione delle frequenze analogiche.

 

Un ritardo che non sappiamo sino a quando potrà protrarsi, vista l’assoluta genericità della stessa disposizione del citato art. 42, comma 10 del Testo Unico.

 

2.        LA NORMATIVA STATALE ITALIANA

L’ordinamento giuridico italiano ha attuato le principali direttive comunitarie[22] in materia radiotelevisiva, mediante i seguenti testi normativi :

 

-          Decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche)

 

-          Decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici).

 

Anche se tecnicamente è stato il Codice ad effettuare il recepimento delle direttive comunitarie nel diritto interno italiano, il comune richiamo alle medesime direttive consente di interpretare tra loro le disposizioni contenute nei due provvedimenti statali, mediante lo strumento ermeneutico del combinato-disposto.

 

I due decreti legislativi sono zeppi di richiami ai principi di «libertà di comunicazione»[23] e di «libertà di iniziativa economica» in regime di concorrenza e quindi antimonopolistico[24]; ciò in formale ossequio ai medesimi principi di libertà contenuti in tali direttive, anche se – come già accennato e come ora andiamo meglio ad illustrare – tali libertà vengono di fatto negate dal Testo Unico.

 

Immagine rimossa.      Codice delle comunicazioni elettroniche (Decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259)

 

E’ da ricordare che tale Codice – proprio in riferimento alla materia della diffusione circolare dei programmi sonori e televisivi – fa salve e ritiene prevalenti le norme speciali[25] in materia di reti (art. 2 comma 3), gestione delle radiofrequenze (art. 14 comma 3), diritti d’uso delle frequenze radio (art. 27 comma 5) e di concessioni e autorizzazioni preesistenti (art. 38 comma 4).

 

Ciò nonostante e proprio per quanto appena affermato, i princìpi in esso contenuti sono sicuramente applicabili anche al settore delle trasmissioni broadcasting radio, per il rapporto «norma generale – norma speciale»[26] che sussiste tra i due atti normativi.

 

Oltre a quelle poste a tutela dei principi di libertà di comunicazione e di libertà di iniziativa economica ricordati nelle note 23 e 24, troviamo nel Codice altre disposizioni applicabili anche al settore delle radiodiffusioni circolari:

 

·         assoggettamento al regime autorizzatorio (e non concessorio), presupponendo quindi l’esistenza di un diritto soggettivo (in questo caso, all’uso dei mezzi di comunicazione elettronica) (art. 1 lettera g),

 

·         nozione di “rete”[27] di comunicazione elettronica (art. 1 comma 1 lettera dd); art. 2 comma 1 lettera a),

 

·         gestione efficiente delle radiofrequenze (art. 4 comma 4 lettera d); art. 14),

 

·         principio di libertà dell’attività di fornitura delle reti di comunicazione elettronica (art. 25 commi 1 e 4),

 

·         esclusione – «ogni qualvolta ciò sia possibile e sempre che il rischio di interferenze dannose sia trascurabile secondo le disposizioni del piano nazionale di ripartizione delle frequenze» – della ulteriore[28] necessità di una concessione di diritti individuali di uso delle frequenze radio (art. 27 commi 1, 2 e 6),

 

·         procedura tassativa e di garanzia, da seguire in caso di limitazione dei diritti d’uso da concedere(art. 29).

 

Immagine rimossa.       Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (Decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177)

 

In questo testo normativo è contenuta gran parte della normativa speciale in materia di «servizi di media audiovisivi» e di «radiofonia» (artt. 1 e 1-bis).

 

Il Testo Unico detta le definizioni relative al settore di nostro interesse (art. 2, in particolare lettere v) e bb) e riprende i medesimi principi di libertà dettati dal ricordato Codice (artt. 3, 4 e 5), facendo propria anche la prospettiva dell’ascoltatore (e non solo dell’operatore radiofonico).

 

In particolare, l’art. 5, comma 1, lettera b)[29] prevede per le emittenti broadcasting tanto l’autorizzazione (generale) a trasmettere quanto la necessità di ottenere in concessione il diritto d’uso delle frequenze: come affermato in precedenza, il legislatore statale ha ritenuto necessario (generalmente e, per questo, arbitrariamente) dover garantire l’uso efficiente delle frequenze radio[30] mediante il meccanismo della concessione d’uso, unitamente all’autorizzazione generale. Questo, però, senza porre alcuna distinzione tra frequenze radio in FM (sicuramente affollate) e frequenze radio in onde medie (ampiamente libere, invece, per le emittenti a bassa potenza d’emissione).

 

A tale proposito, è necessario precisare che vi è una precisa distinzione tra «piano nazionale di ripartizione delle frequenze» avente ad oggetto servizi[31] e gestori[32] (adottato con decreto del Ministro dello Sviluppo economico[33]) e «piani nazionali di assegnazione delle frequenze» (in tecnica digitale[34] ed in tecnica analogica[35]) da destinare agli effettivi utilizzatori[36] (adottati invece mediante provvedimenti dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni).

 

Giunti a questo punto della disamina, possiamo osservare che il diritto di trasmettere in onde medie, pur rientrando nella più generale libertà di comunicazione, è comunque condizionato – per la normativa statale italiana – da una discutibile esigenza di garantire tale gamma d’onda da interferenze e sovraffollamento.

 

Ad ogni modo, anche accettando tale imposizione (nei fatti immotivata), la ricerca delle relative modalità di concessione del diritto d’uso delle relative frequenze radio avrebbe comunque esito negativo, in quanto impossibili da attuare. Infatti, esaminando nel dettaglio altri articoli del Testo unico osserviamo:

 

-            art. 19: la disciplina per autorizzare i servizi radiofonici terrestri in tecnica digitale è contenuta in apposito Regolamento. Detto Regolamento è stato approvato con delibera AGCOM n. 664/09/CONS),[37]

 

-            art. 24, comma 1: fino all’adozione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze di radiodiffusione sonora in tecnica analogica, tale tecnica di radiodiffusione è consentita solo ai soggetti legittimamente operanti alla data del 30 settembre 2001[38],

 

-            art. 42, comma 5: l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) adotta e aggiorna i piani nazionali di assegnazione delle frequenze radiofoniche e televisive in tecnica digitale,

 

-            art. 42, comma 10: l’AGCOM adotta il piano di assegnazione in tecnica analogica successivamente all’effettiva introduzione della radiodiffusione sonora in tecnica digitale e allo sviluppo del relativo mercato.

 

Ebbene, possiamo notare che al piano di ripartizione (nel quale troviamo confermata l’assegnazione della gamma delle onde medie alla radiodiffusione analogica sonora in AM) non solo non ha fatto seguito il piano di assegnazione delle frequenze in tecnica analogica, bensì nemmeno quello delle frequenze in tecnica digitale. Infatti, il citato Regolamento dell’AGCOM (emanato solo nell’anno 2009) prevede – all’art. 18 – che «a seguito del completamento della fase di avvio dei mercati l’Autorità provvede all’individuazione delle frequenze assegnabili al servizio di radiodiffusione sonora terrestre in tecnica digitale mediante procedure ad evidenza pubblica, sulla base delle norme stabilite con apposito regolamento basate su criteri obiettivi, pluralistici, proporzionati, trasparenti e non discriminatori.»

 

Confrontando la disposizione (di legge) del Testo unico con quella del regolamento AGCOM, possiamo constatare che lo Stato italiano si trova in una fase addirittura precedente a quella della «effettiva introduzione» della tecnica digitale (art. 42, comma 10, del Testo Unico), in quanto si sta ancora attendendo il «completamento della fase di avvio» (art. 18 del Regolamento).

 

Stando così le cose, non vi è chi non veda che il piano di assegnazione delle frequenze radio analogiche è, di fatto, sottoposto ad una vera e propria condizione meramente potestativa, il cui avverarsi[39] dipende da una volontà che non esitiamo a definire – dopo ormai più di dieci anni di attesa – connotata da aspetti di arbitrarietà.

 

3.        LA NORMATIVA COMUNITARIA

 

La tutela dei diritti fondamentali dell’uomo

 

E’ necessario premettere che l’intero ordinamento giuridico dell’Unione europea è sotteso da un generale principio di libertà.

 

Come è noto, inizialmente i diritti fondamentali della persona non erano stati oggetto di tutela da parte dell’ordinamento comunitario[40]. Comunque, dopo un’evoluzione giurisprudenziale mediante la quale la Corte di Giustizia ha ricondotto tali diritti fondamentali ai principi generali dell’ordinamento comunitario, anche il diritto positivo ha recentemente fatto propria tale tutela, così che essi ora assurgono al rango di diritto originario.

 

Infatti, dopo quella che era stata una semplice, pur se solenne, proclamazione nell’anno 2000, ribadita nell’anno 2007 (entrambe con valenza esclusivamente politica), il Trattato di Lisbona (art. 6, paragrafo 1 e punto 1 della “dichiarazione A” allegata all’Atto finale della conferenzaintergovernativa che ha adottato il Trattato di Lisbona) ha esplicitamente inserito nel diritto positivo comunitario «i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europeache ha lo stesso valore giuridico dei trattati.»

 

In particolare, la nostra Carta afferma quanto segue:

 

Articolo 11 (Libertà di espressione e d’informazione)

 

1. Ogni persona ha diritto a