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Il contratto di comodato: problematiche giuridiche a confronto

Colori di Ortensie
Ph. Riccardo Radi / Colori di Ortensie

Cenni sul contratto di comodato

Il contratto di comodato trova disciplina nel Codice Civile all’articolo 1803 e ss. e, consiste nell’obbligazione con la quale una parte, denominata comodante, consegna all’altra, comodatario, una cosa mobile o immobile, affinché costui se ne possa servire per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituirlo. Dunque il comodato si annovera tra i contratti reali i quali si perfezionano con la consegna materiale della res data in godimento.

I concetti di «bene» e di «cosa» sono spesso confusi o adoperati come sinonimi. In realtà si tratta di concetti ben diversi. «Cosa» è una parte di materia (non importa se allo stato solido, liquido o gassoso); peraltro non ogni cosa è un «bene»: tale è solo una cosa che possa essere fonte di utilità e oggetto di appropriazione. Quindi non sono beni, ad es., giacimenti su altri pianeti o in fondo al mare, fino a quando non siano raggiungibili e sfruttabili, ovvero le c.d. res communes omnium (aria, acqua del mare, ecc.), a meno che non ne venga assicurato un separato godimento (per es.: aria compressa in bombole). Dunque, è a questo concetto di «bene» che si riferisce l’articolo 810 cod. civ. precisando, correttamente, che «sono beni (soltanto) le cose che possono formare oggetto di diritti», cioè quelli suscettibili di appropriazione e di utilizzo e che, perciò, possono avere un valore[1].

 

La distinzione tra beni fungibili e infungibili quale possibile discrimen del comodato da altre figure contrattuali

Ai fini della comprensione e della distinzione della fattispecie del contratto di comodato da altre tipologie contrattuali è importante porre attenzione alla distinzione tra beni fungibili e infungibili.

I beni immobili sono di solito determinati, mentre quelli mobili posso essere presi in considerazione anche indeterminatamente, per la loro appartenenza ad una categoria generale o genus. Al che, quindi è possibile distinguere i beni infungibili o di specie e i fungibili o di genere.

La predetta distinzione tra cose fungibili ed infungibili serve a distinguere determinate figure contrattuali, come il mutuo ex articolo 1813, codice civile dal comodato ex articolo 1803, codice civile, i quali possono essere ulteriormente essere distinti, il primo quale prestito di consumo ed il secondo quale prestito d’uso.

Il comodato, come detto, ha ad oggetto cose infungibili, poiché bisogna restituire la stessa cosa ricevuta (in comodato), mentre il contratto di mutuo ha ad oggetto cose fungibili perché possono essere restituite cose della stessa specie e qualità.

Ulteriori distinzioni possono essere operate anche con la compensazione ed il deposito; la prima opera tra debiti e crediti che hanno ad oggetto cose fungibili, mentre quella con il contratto di deposito consiste nel fatto che il depositario non può servirsi della cosa consegnata, diversamente, dal comodatario.

 

La causa del contratto di comodato

Per quanto concerne la causa del contratto di comodato quale funzione economico-sociale del negozio, qualifica il comodato come un contratto di godimento basato sulla gratuità dell’uso della cosa.  

Il requisito della gratuità del comodato è previsto al secondo comma dell’articolo 1803 del codice civile il quale recita: “Il comodato è essenzialmente gratuito”. Di regola esso non prevede, a carico del soggetto che riceve la cosa in prestito (d’uso), una controprestazione, sinallagmaticamente[2], collegata alla concessione in godimento del bene. Se per l’uso della cosa fosse previsto un corrispettivo, si ricadrebbe sotto lo schema del contratto di locazione regolato dagli artt. 1571 e ss. cod. civ...

Il contratto di comodato, tradizionalmente, è considerato un contratto bilaterale imperfetto, in quanto esso ha genesi, di regola, da una sola obbligazione a carico del comodatario, quella di restituire la cosa[3].

Rileva, invece, che il contratto di comodato comporta un sacrifico economico per il solo comodante, gravando quindi sul comodatario, solamente, gli oneri economici connessi all’utilizzo e alla custodia della cosa. Sono comunque compatibili con il requisito della essenziale gratuità, ut supra, tanto l’esistenza di un eventuale interesse proprio del comodante alla stipulazione del contratto di comodato, quanto la circostanza che l’uso ordinario della res da parte del comodatario arrechi pure al comodante un qualche vantaggio, anche di natura economica, a condizione, però, che si tratti di un’utilità perseguita in via mediata o indiretta. Ma occorre precisare che non è esclusa la possibilità di far ricorso a un comodato c.d. "modale" o "oneroso" a patto che l'onere imposto non sia di una consistenza tale da far venir meno la natura tipica del contratto. Tuttavia, la natura e la causa del negozio di comodato non vengono meno nel caso in cui i contraenti si accordino per imporre un onere a carico del comodatario stessoDifatti, il carattere essenzialmente gratuito del comodato non viene meno per l'apposizione a carico del comodatario di un modus, di un onere, purché esso non sia di consistenza tale da snaturare il rapporto contrattuale (Ex Multis: Cass. Civ. Sent. n. 485 del 2003). In altre parole, è necessario che tale modus non si ponga come corrispettivo del godimento della cosa ed assuma così la natura di una controprestazione. Inoltre, l'elemento della gratuità o della onerosità del contratto in esame deve valutarsi avuto riguardo alla causa del contratto stesso, intesa come funzione economico-sociale che il medesimo è destinato obbiettivamente ad adempiere. Dunque non deve comunque trattarsi di un corrispettivo per il godimento della cosa. 

 

Problematiche di rilievo giuridico. Casi e soluzioni giurisprudenziali

Distinti dalla causa del contratto di comodato vanno tenuti i motivi che possono determinare il sorgere del rapporto, come ad es. i legami affettivi, di riconoscenza, di umana solidarietà, i quali non hanno alcuna rilevanza giuridica.

Per quanto possa sembrare una modalità molto semplice per gestire determinati rapporti che si basano sulla fiducia e sulla cortesia, in realtà si tratta di una scelta contrattuale che potrebbe far insorgere problematiche di non poco conto, se non altro sotto il profilo procedurale.

Se ad esempio un contratto di comodato ha per oggetto un bene immobile e alla scadenza il comodatario non intende restituirlo, il comodante dovrà intraprendere un giudizio ordinario per ottenere la restituzione del bene non essendo prevista per il comodato una procedura rapida come quella per le procedure di sfratto nei contratti di locazione.

In caso di morte del comodatario il contratto di comodato si estingue, automaticamente, come previsto dall’articolo 1811, codice civile.. La ratio di tale norma risiede nel fatto che si tratta di ipotesi tipica di contratto intuitus personae per il quale, cioè, è determinante la persona del contraente[4]. L’estinzione si produce, a prescindere dal fatto che il comodato avesse un termine o meno. Di conseguenza, il comodante potrà pretendere, immediatamente, dagli eredi del comodatario la restituzione della cosa.

Nel caso in cui a morire sia il comodante il Codice Civile tace, in quanto non è prevista alcuna norma al riguardo per cui la soluzione è rimessa all’interpretazione giurisprudenziale.

A complicare, ulteriormente, il quadro, vi è la constatazione che le decisioni che si sono succedute nel tempo, sia di merito sia di legittimità, sono spesso discordanti tra loro.

Malgrado quanto sopra riferito, grazie ad una breve, ma chiarissima pronuncia della Corte di Cassazione[5] , è possibile districare questo groviglio e stabilire dei criteri chiari da applicare al caso della morte del comodante. Pertanto, si possono tracciare i seguenti criteri:

  • nel caso in cui sia stata stabilita una precisa durata nel contratto di comodato, anche con scadenza lontana, e il comodante perisce, i suoi eredi dovranno rispettare il termine, originariamente, concordato ab initio tra le parti, e non potranno pretendere la restituzione anticipata del bene. Si tratta di un indirizzo che è condiviso non solo da larga parte dei Giudici, ma anche dalla dottrina maggioritaria.

Tuttavia, gli eredi del comodante possono richiedere la restituzione del bene in quattro casi: a) ex articolo 1804, 1° comma, codice civile se il comodatario non conserva e custodisce la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia ai sensi dell’articolo 1176[6], 1° comma, cod. civ.. Con questa espressione, si intende la diligenza dell’uomo medio, che deve essere valutata con riferimento alla cosa che forma oggetto del comodato, e all’uso che è normale farne; b) se il comodante concede l’uso della cosa a terze persone così come previsto dal capoverso dell’articolo 1804, codice civile. In questo caso e in quello precedente, non solo gli eredi del comodante possono recedere dal contratto, pretendendo la restituzione immediata del bene, ma possono anche chiedere il risarcimento di eventuali danni ai sensi del 3° comma dell’articolo 1804, codice civile; c) se il comodante ha un urgente e imprevisto bisogno di utilizzare la cosa così come disciplinato al 2° comma dell’articolo 1809, codice civile. La cosa dev'essere restituita cum omni causa, con cioè tutti gli accessori ed anche coi frutti (le fonti citano, ad esempio, la cavalla col puledro, tanto se è nato prima, quanto se e nato durante il comodato). Se l'uso era impossibile senza la percezione dei frutti, la cosa dev'essere restituita in quello status fructifer in cui venne consegnata. Riguardo al tempo della restituzione della cosa oggetto di comodato, esso si desume dal termine pattuito, o, in mancanza, da quello deducibile dall'uso della cosa stessa, sempre salva, in ogni caso, la possibilità d'immediata risoluzione del rapporto, per urgente e impreveduto bisogno del comodante. Mentre per quanto concerne il luogo della restituzione, in difetto di specifici patti, è determinato dagli usi e, se questi

difettano, è desunto dalla natura della prestazione o da altre circostanze, come è possibile dedurre dall’articolo1282 del codice civile: solo quando da tutto ciò non si possa ricavare alcun elemento, si fa capo alle norme generali ex articolo 1882 del codice civile.. Sia gli usi, sia la natura della prestazione, sia le altre circostanze sono univoci nel far presumere che sia il comodatario, nel caso di bene mobile, a portare la cosa al comodante, e non questo a chiederla al domicilio del comodatario stesso. In tal senso è comunemente interpretata la volontà delle parti, e così sembrano orientate anche le fonti; d) se muore anche il comodatario, caso in cui il comodato si estingue, e pertanto gli eredi del comodante possono chiedere la restituzione immediata del bene agli eredi del comodatario ex articolo 1811, codice civile. Invece, nel caso di comodato precario, ossia senza determinazione di tempo, gli eredi del comodante possono recedere dal contratto in ogni momento e pretendere la restituzione del bene, così come, del resto, avrebbe potuto fare il defunto.

 

Comodato e Usucapione

In presenza di un contratto di comodato esclude la possibilità che, dopo 20 anni (o un termine differente a seconda del tipo di bene e della buona o mala fede), il comodatario possa rivendicare l’usucapione. Tale esclusione nasce dalla circostanza che il comodatario è detentore e non possessore della cosa oggetto di comodato. Pertanto, l’usucapione potrebbe compiersi soltanto se il detentore ponesse dei comportamenti tipici del proprietario. In tal caso non sarebbe più qualificato detentore, bensì possessore.

L’utilizzo della cosa oggetto di comodato, conformemente, a quanto previsto negli accordi (scritti o orali) con il comodante non è un atteggiamento tipico del proprietario, in quanto esso presuppone proprio il rispetto e il riconoscimento dell’altrui titolarità. Dunque, perché possa iniziare a decorrere il termine dell’usucapione è necessario che il comodatario ponga in essere comportamenti incompatibili con i limiti assegnati a questi dal comodato e che «invadano» l’ambito delle prerogative del titolare del bene. In termini più tecnici, ciò è definita come interversione del possesso.

 

La detenzione. Differenza tra detenzione qualificata e non qualificata

Esula dal Codice Civile una definizione di detenzione, e sul medesimo non vi è a tutt’oggi uniformità di vedute. Pertanto, in generale si intende per detenzione la disponibilità materiale, fondata su un titolo giuridico, come ad esempio, un contratto di locazione, un contratto di comodato, un contratto di deposito non irregolare, che un soggetto, detentore, ha di una cosa appartenente ad un altro soggetto, quindi riconoscendo l’altrui titolarità. Si distingue tra detenzione non qualificata e qualificata: nella prima ipotesi il detentore esercita il suo potere sulla cosa sotto il controllo diretto del possessore, come ad esempio, un prestatore d’opera che debba riparare l’automobile altrui), il quale può ordinarne sic et simpliciter la restituzione; nella seconda il detentore è titolare di un vero e proprio diritto personale di godimento sul bene o comunque di un potere di gestione, come ad esempio, l’appaltatore ha la detenzione dell’opera realizzata fino alla consegna al committente. Anche se il detentore qualificato è ammesso ad esercitare l’azione di reintegrazione, la sua detenzione non giova ai fini dell’usucapione.

 

Distinzione tra detenzione e possesso

La differenza tra detenzione e possesso è costituita dall’elemento psicologico; animus detinendi nella detenzione; e animus rem sibi habendi o possidendi nel possesso. Mentre è facile dimostrare l’elemento esteriore dell’estrinsecazione del rapporto con la cosa, ostico è invece fornire la prova dell’elemento spirituale o animus.

L’usucapione è uno dei modi di acquisto a titolo originario della proprietà o di altro diritto reale di godimento che si realizza per effetto del possesso pacifico, non clandestino, non violento, continuo ed ininterrotto per un periodo di tempo prescritto dalla legge.

Le ragioni a fondamento di tale istituto risiedono nell’esigenza di eliminare le situazioni di incertezza sorte in merito all’appartenenza dei beni.

Al riguardo, bisogna porre nella dovuta attenzione i riflettori su quelle che sono le condizioni affinché un bene possa essere usucapito.

Occorre specificare in che cosa consiste l’interversio possessionis[7]. Tale espressione sta a significare un mutamento del titolo o della qualifica del possesso.

L’articolo 1164 codice civile statuisce che chi ha il possesso corrispondente all’esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà se il titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario. Tale norma va letta in relazione con l’articolo 1141 secondo comma codice civile il quale prevede l’impossibilità di acquistare il possesso, per il mero detentore di un bene finché il titolo non venga ad essere mutato per causa proveniente da un terzo o in virtù di opposizione da lui fatta contro il possessore.

Orbene, l’intento del legislatore è quello di tutelare il potere di fatto esercitato da un soggetto sulla res, a nulla rilevando se ad esso corrisponde anche una situazione di diritto.

A tal punto, infatti, è bene ricordare che ai sensi dell’articolo 1140 codice civile il possesso è definito come il potere di fatto sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o altro diritto reale.

La detenzione, come nel caso del comodatario nei confronti della cosa oggetto del comodato, pertanto non basta ai fini dell’usucapione, poiché il detentore ha il potere della cosa ma lo esercita in nome altrui; detiene la res nella propria disponibilità, ma non la considera come propria[8].

Manca quel quid pluris che caratterizza, al contrario, il possesso ovvero l’intenzione di comportarsi come proprietario del bene ad esempio, provvedendo anche alla manutenzione ordinaria e straordinaria del bene.

Affinché, la detenzione si trasformi in possesso è necessario che si manifestino atti estrinseci dai quali possa desumersi, in modo inequivocabile, la modificata relazione di fatto con la cosa detenuta, con correlata sostituzione al precedente animus detenendi dell’animus rem sibi habendi.

A sostegno di quanto ut supra esposto, giova ricordare recente giurisprudenza (cfr. Cass. Civ. Sez II 17 marzo 2016 n. ° 5333) che si è espressa, sul punto, precisando che tale manifestazione deve essere rivolta specificatamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento.

 

[1] A. Torrente P. Schlesinger Manuale di diritto privato - 15° Edizione Giuffrè 1997 p. 114

[2] https://www.treccani.it/vocabolario/sinallagma/: sinallagma s. m. [dal gr. συνάλλαγμα «accordo, contratto», der. di συναλλάσσω «contrarre, stipulare» (comp. di σύν «con» e ἀλλάσσω «prendere o dare in cambio»)] (pl. -i). – Nel linguaggio giur., rapporto di interdipendenza tra prestazione e controprestazione in alcuni tipi di contratto: s. genetico, quello che deve sussistere al momento della formazione del vincolo contrattuale; s. funzionale, quello che, spec. nei contratti a esecuzione continuata, deve sussistere durante lo svolgimento del rapporto.

[3] Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21853 del 09/10/2020 (Rv. 659327 - 01) - Chiunque abbia la disponibilità di fatto di una cosa, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederla in comodato e, quando il rapporto viene a cessare, è legittimato a richiederla in restituzione, senza dover dimostrare di esserne proprietario. Egli ha soltanto l'onere di provare la consegna del bene e il rifiuto della restituzione, spettando eventualmente al convenuto far valere il possesso di un diverso titolo per il suo godimento.

[4]  Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 25887 del 16/10/2018 (Rv. 650778 - 01) - In caso di cessazione del contratto di comodato per morte del comodante o del comodatario e di mantenimento del potere di fatto sulla cosa da parte di quest'ultimo o dei suoi eredi, il rapporto, in assenza di richiesta di rilascio da parte del comodante o dei suoi eredi, si intende proseguito con le caratteristiche e gli obblighi iniziali anche rispetto ai medesimi successori. (Nella specie, la S.C. ha rigettato la domanda di usucapione proposta dagli eredi del comodatario, sostenendo che il mantenimento, da parte loro, del potere di fatto sul bene successivamente al decesso del proprio dante causa e del comodante, non avesse mutato la detenzione "nomine alieno" in possesso utile ai fini dell'usucapione).

[5]  Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8548 del 03/04/2008 (Rv. 602509 - 01) - La concessione in comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario è un contratto a termine di natura obbligatoria, di cui è certo l' "an" ed incerto il "quando", con la conseguenza che, con riferimento ad esso, gli eredi del comodante sono tenuti a rispettare il termine di durata del contratto in pendenza del quale si sia verificata la morte del comodante.

[6] La diligenza rappresenta un concetto diverso da correttezza o buona fede, in quanto queste ultime impongono alle parti di tenere un comportamento corretto nell'eseguire la propria prestazione, ma non riguardano interessi specificamente predeterminati, bensì il rapporto obbligatorio nel suo complesso. La diligenza, invece, indica le modalità di esecuzione della prestazione e impone al debitore di fare tutto quanto necessario a soddisfare l'interesse del creditore all'esatto adempimento.

[7] Cass. Sez. 1 - , Sentenza n. 26327 del 20/12/2016 (Rv. 642763 - 01) -L'interversione nel possesso non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore – rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi possa rendersi conto dell'avvenuto mutamento – dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato d'esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui ed abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione al precedente "animus detinendi" dell'"animus rem sibi habendi". Non rilevano, a tal fine, l'inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, verificandosi, in questo caso, un'ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale, né meri atti di esercizio del possesso, traducendosi gli stessi in un'ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene. (Nella specie, la S.C. ha escluso l'interversione nel possesso, da parte del conduttore ed ex proprietario del bene poi espropriato, osservando, da un lato, che la stipula di contratti di locazione e la percezione dei relativi canoni, lo svolgimento di opere di manutenzione e la gestione delle utenze, erano tutte condotte non rivolte nei confronti del soggetto espropriante, e, dall’altro, che la proposizione del giudizio di opposizione alla stima e della domanda di retrocessione dell’immobile erano atti comportanti il riconoscimento del diritto di quest’ultimo).

[8] Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8213 del 22/04/2016 (Rv. 639669 - 01) - La mera mancata riconsegna del bene al comodante, nonostante le reiterate richieste di questi, a seguito di estinzione del comodato è inidonea a determinare l'interversione della detenzione in possesso, traducendosi nell'inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, suscettibile, in sé, di integrare un'ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale all'obbligo restitutorio gravante per legge sul comodatario.