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Il Decreto Legislativo 170/2004 alla luce del pegno irregolare

Le disposizioni introdotte dal Decreto Legislativo 21.05.2004 n°170, che ha recepito la Direttiva CEE 2004/47 in tema di garanzie finanziarie, rappresentano per il nostro ordinamento una novità assoluta che ben difficilmente potrà essere limitata al solo ambito del diritto speciale che ha inteso regolamentare, ma che contribuirà ad un efficace ripensamento anche delle garanzie di diritto comune e tra queste, in particolare, del pegno irregolare. Tale istituto costituisce per noi, in questa sede, il punto di riferimento e la prospettiva di lettura delle garanzie finanziarie, anche perché, tra tutti gli strumenti di garanzia di diritto comune, proprio il pegno irregolare presenta le più vistose analogie con i contratti di garanzia finanziaria.

La principale ed assoluta novità è data dalla stessa nozione di garanzia finanziaria (art. 1 punto d) Decreto Legislativo 170), che riguarda, senza distinzioni, “il contratto di pegno o il contratto di cessione del credito o di trasferimento della proprietà di attività finanziarie con funzione di garanzia, ivi compreso il contratto di pronti contro termine e qualsiasi altro contratto di garanzia reale avente ad oggetto attività finanziarie e volto a garantire l’adempimento di obbligazioni finanziarie”.

Da un lato viene quindi fissato il principio della indistinzione e funzionalizzazione delle garanzie finanziarie, e dall’altro viene stravolto il principio della tipicità dei contratti che possono dar origine a cause di prelazione.

Parlando quindi di garanzie finanziarie, risulta per alcuni versi improprio continuare a riferirsi agli istituti di diritto comune quali pegno regolare, pegno irregolare, cessione di crediti con funzione di garanzia, ecc., ancorché sia la stessa Direttiva a distinguere due macrofamiglie, quella relativa ai contratti che realizzano la funzione di garanzia mediante il trasferimento della proprietà, e quella relativa ai contratti che creano un diritto di prelazione su beni che restano di proprietà del datore di garanzia.

La distinzione è relativa: infatti si può assistere, durante la vita della garanzia, a passaggi dall’una all’altra categoria.

Così, ad esempio, una garanzia può nascere come diritto in re aliena e trasformarsi poi in un diritto dominicale di garanzia, allorché il creditore garantito, conformemente alle previsioni contrattuali, si appropri o disponga dei beni dati in garanzia, salva poi la possibilità / doverosità di ricostruire una garanzia equivalente in sostituzione di quella originaria, in conformità con quanto previsto dal contratto.

Ciò che unifica i diversi istituti di diritto comune è il profilo funzionale, la sostanziale equiparazione delle formalità costitutive, dell’ambito oggettivo e soggettivo, delle condizioni di realizzo e degli effetti del fallimento del datore della garanzia.

Vengono dettate poche e ben precise regole comuni ad ogni tipo di garanzia finanziaria, che esamineremo in distinti capitoli, confrontando, ove possibile, le coincidenze e le divergenze rispetto al pegno irregolare di diritto comune.

Ambito soggettivo.

Le garanzie finanziarie possono essere ricevute solo da autorità pubbliche, banche centrali, banche, imprese di assicurazione, OICVM, controparti centrali, agenti di regolamento e stanze di compensazione e possono essere prestate, anche a garanzia di debiti altrui, da ogni entità giuridica, escluse le persone fisiche. Per contro, il pegno irregolare, ancorché nato con riferimento ai contratti bancari, non presenta limitazioni di carattere soggettivo e può dunque essere prestato e ricevuto da chiunque.

Le limitazioni soggettive fissate dal Decreto Legislativo 170/2004, pongono teoricamente un primo problema in ordine alla possibilità che dette garanzie, originariamente prestate in favore di soggetti ben individuati, possano, a seguito di cessione del credito garantito o di pagamento da parte di coobbligati, radicarsi nel patrimonio di soggetti non rientranti nelle categorie previste dall’art.1 punto D.

Mentre la vicenda surrogatoria appare decisamente poco probabile in quanto i meccanismi di soddisfacimento del credito garantito da garanzia finanziaria sono così semplificati, come vedremo, da rendere improbabile che il creditore garantito preferisca o possa procedere all’escussione di una fideiussione prima di aver escusso la garanzia finanziaria, non può invece escludersi che il credito garantito sia esso stesso oggetto di cessione.

In questo caso, ci parrebbe costituire una grave limitazione il fatto che il credito, garantito da una garanzia finanziaria, possa circolare esclusivamente all’interno dell’ambito soggettivo previsto dalla direttiva (art.2) e dal decreto legislativo, ambito comunque ristretto.

Ambito oggettivo.

Oggetto della garanzia finanziaria possono essere la moneta scritturale (“contante”) e/o gli strumenti finanziari, per tali dovendosi intendere quelli elencati all’art.1, comma 2, lettere da a) ad e) del TUF, nonché quelli individuati con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze su proposta della Banca d’Italia e della Consob (questa previsione residuale risponde alla precisa esigenza di consentire un costante adeguamento, per mezzo della più rapida normazione secondaria, alle necessità del mercato finanziario, in costante evoluzione).

La limitazione della garanzia finanziaria ad un certo tipo di beni introduce una prima caratteristica comune al pegno irregolare, disciplinato dall’art.1851 c.c., che, come noto, può avere ad oggetto esclusivamente “depositi di denaro, merci o titoli che non siano stati individuati e di cui il creditore garantito abbia la facoltà di disporre”.

Vi è un’identica ratio nel pegno irregolare (ex art.1851c.c). e nelle garanzie finanziarie quanto al fatto che tali garanzie possano riguardare solo beni predeterminati, essenzialmente fungibili, in quanto in entrambi i casi è data la possibilità per il creditore garantito (solo in caso di inadempimento per il pegno irregolare, in tutti i casi previsti dal contratto di garanzia, per le garanzie finanziarie) di appropriarsi definitivamente/vendere le cose ricevute in garanzia fino alla concorrenza del proprio credito, con l’obbligo di restituire l’eccedenza.

La via di consentire il soddisfacimento del creditore mediante l’esercizio del diritto all’autotutela, caratteristica di ogni forma di garanzia attuata mediante il trasferimento della proprietà, e la possibilità di realizzare la garanzia al di fuori di qualsiasi concorso del datore della stessa o di altra autorità, presuppone, anche a tutela dei terzi creditori, che i beni oggetto della garanzia siano beni fungibili e che abbiano delle quotazioni di mercato.

Secondo l’art. 4 della Direttiva 2002/47, il realizzo della garanzia può attuarsi mediante la vendita, l’appropriazione o la compensazione, a condizione che vi sia un’esplicita previsione contrattuale in tal senso, ed in ogni caso non può essere condizionato dall’obbligo di una preventiva comunicazione o autorizzazione da parte di un’autorità.

Le condizioni di realizzo ed i criteri di valutazione dei beni oggetto di garanzia finanziaria “devono essere ragionevoli sotto il profilo commerciale” e tale ragionevolezza può essere sindacata solo a posteriori, nel ristretto termine di tre mesi dalla comunicazione.

Per contro, gli organi di un’eventuale procedura di liquidazione cui fosse stato ammesso il datore di garanzia, hanno sei mesi di tempo dall’apertura della procedura per far verificare la ragionevolezza commerciale del realizzo della garanzia e dei criteri di valutazione (purché gli stessi non fossero stati previamente concordati tra gli interessati); in tutti e due i casi lo scopo del giudizio di ragionevolezza è solo quello di rideterminare quanto sia dovuto in restituzione al datore di garanzia.

Significativo è poi il fatto che, non diversamente da quel che accade (secondo una parte della dottrina) per il pegno irregolare, anche nel caso di realizzo delle garanzie finanziarie, in costanza di procedure concorsuali del datore di garanzia, questo realizzo avviene al di fuori del concorso, dando una semplice comunicazione scritta agli organi della procedura circa le modalità di escussione adottate. In quella sede dovrà esser precisato l’importo ricavato e quanto eventualmente dovuto in restituzione.

Il realizzo al di fuori delle regole del concorso comporta poi la possibilità di un’integrale soddisfacimento del credito garantito, senza quelle limitazioni previste per il pegno (regolare) dall’art.54 l.f., che, come noto, limita il concorso, per quanto concerne il credito relativo agli interessi, alla sola annualità maturata prima della dichiarazione di fallimento ed a quella in corso.

Uno dei meriti della normativa relativa alle garanzie finanziarie è quello di consentire la definitiva acquisizione di categorie interpretative che, seppur già implicite, almeno in parte, nel nostro ordinamento giuridico, stentavano ad emergere in presenza di una dogmatica formalistica.

Nel nostro ordinamento, il pegno irregolare era in pratica l’unica garanzia dominicale in cui il creditore garantito acquisiva la proprietà dei beni dati in garanzia, potevano quindi disporre. Ciò ha rappresentato una vera e propria anomalia, che ha affaticato a lungo la dottrina, molto incerta e divisa nel ricostruire la logica e la struttura di quest’istituto, che si caratterizza per il trasferimento della proprietà di determinati beni in funzione di garanzia. Prima del Decreto Legislativo 170/2004 il trasferimento della proprietà in funzione di garanzia era concetto che stentava ad esser accolto in quanto, fatta eccezione per il pegno irregolare, era ritenuto ai limiti del lecito, avuto riguardo all’onnipresente divieto di patto commissorio.

Paradossalmente ora il pegno irregolare, quale garanzia dominicale, risulta invece, fra tutti i tipi di garanzia, quello più in sintonia con i principi di diritto speciale di matrice comunitaria.

Le anomalie civilistiche tipiche del pegno irregolare, quali il fatto che il creditore garantito potesse disporre dei beni dati in pegno e dei quali acquistava la proprietà, l’obbligo per il creditore garantito di restituire, alla scadenza dell’obbligazione garantita ed in caso di mancato adempimento, solo la somma o la parte delle merci o dei titoli che eccedessero il credito garantito, sono elementi che, in qualche modo, prefigurano alcune delle caratteristiche delle garanzie finanziarie.

La ricostruzione dogmatica del pegno irregolare di diritto comune risultava incerta sotto molti profili.

Di difficile soluzione risultava il preciso inquadramento della causa giuridica del trasferimento della proprietà e l’individuazione del meccanismo che veniva ad operare, in caso di inadempimento del debitore, quando il creditore otteneva, per mezzo della garanzia, il soddisfacimento del proprio credito. Come noto, parte della dottrina (Dalmartello) ricostruì il pegno irregolare riconducendolo all’istituto della datio in solutum risolutivamente condizionata dall’adempimento.

L’attribuzione patrimoniale sarebbe dunque sorretta dalla causa solvendi. I limiti di tale ipotesi ricostruttiva sono piuttosto evidenti in quanto, così procedendo, si smarrisce la distinzione tra garanzia ed adempimento. Il configurare poi la dazione di un pegno irregolare quale anticipata datio in solutum rendeva problematica la figura del terzo datore di garanzia, come tale non obbligato.

Si doveva infine escludere la possibilità di prestare, dopo l’inadempimento, un pegno irregolare in quanto, in questo caso, la funzione di garanzia sarebbe stata prevaricata ed assorbita da quella solutoria.

Secondo altro indirizzo della dottrina (Martorano, Simonetto, Luminoso), il trasferimento della proprietà sarebbe stato invece sorretto da una causa credendi. Secondo tale prospettiva, la prestazione di un pegno irregolare valeva a creare “artificiosamente” un rapporto di mutuo, preordinato ad una futura possibile compensazione tra il credito garantito ed il debito di restituzione dei valori ricevuti in pegno irregolare.

Muovendo da tali premesse, la Cassazione, con sentenza 02.08.1956 n.3020, ha ritenuto che il pegno irregolare si configuri come“ uno speciale rapporto che ha la struttura del mutuo e la funzione di garanzia, in quanto esso si concreta nella dazione di una somma di denaro, con facoltà del creditore di disporne e quindi trasferita in sua proprietà, e con l’obbligo correlativo di restituire il tantundem solo al momento in cui il credito,a garanzia del quale il pegno è stato costituito, verrà soddisfatto e si estingue per qualsiasi causa”.

Questo indirizzo, sia pur nella sua artificialità, coglie certamente almeno un profilo importante del pegno irregolare, che è al contempo strumento di garanzia e di attuazione e realizzazione della stessa. In tempi più recenti, anche alla luce delle diverse tipologie di garanzia ricavabili in altri ordinamenti, si è sempre più affermato un indirizzo (Giorgianni, Vittoria, Gualandi) volto a ritenere la causa di garanzia idonea a giustificare il trasferimento della proprietà.

Allorché fu formulata questa ipotesi, ricostruttiva dell’istituto, essa aveva ben pochi appigli nel nostro ordinamento; oggi questa impostazione risulta decisamente lungimirante e costituisce un’importante chiave di lettura del Decreto Legislativo 170/2004.

Il punto di forza della ricostruzione del pegno irregolare in termini di trasferimento della proprietà in funzione di garanzia è nell’aver individuato la funzione di tale istituto non già nel venir meno dell’interesse del creditore all’adempimento, quanto piuttosto nell’interesse che ha il creditore di evitare le lungaggini ed i costi delle procedure esecutive per conseguire l’equivalente economico della prestazione rimasta inadempiuta.

La forza e l’attualità del pegno irregolare è tutta nella circostanza che il creditore ha a disposizione, in caso di inadempimento, in via autonoma, senza il concorso del debitore ed al di fuori del concorso di altri creditori, un mezzo di soddisfacimento del credito diverso dall’adempimento, potendo semplicemente trattenere in via definitiva la proprietà delle cose ricevute in pegno, limitandosi a restituire solo l’importo o la parte di merci o di titoli che eccede l’ammontare dei crediti garantiti in relazione al valore degli stessi al tempo della scadenza del credito garantito.

Se si riflette sul meccanismo satisfattivo del pegno irregolare, emerge con chiarezza come si sia in presenza di uno strumento estremamente agile, nato dall’operatività bancaria e finanziaria ma ben presto utilizzato anche in ambiti diversi.

Il trasferimento della proprietà in funzione di garanzia non risultava, anche prima del Decreto Legislativo 170/04, compromesso dal divieto di patto commissorio (art.2744 c.c.), il quale ha costituito tuttavia un formidabile ostacolo al diffondersi delle garanzie c.d. dominicali, condizionando così fortemente, come vedremo, lo stesso inquadramento giuridico del pegno irregolare.

A conferma di ciò, con l’art.6 comma 2 del Decreto Legislativo 170/04 è stata esplicitata, puramente e semplicemente, l’inapplicabilità di detta norma ai contratti di garanzia finanziaria che prevedano il trasferimento della proprietà in funzione di garanzia, e ciò nonostante la circostanza che l’obbligo di restituire l’eccedenza del valore della garanzia e la presenza del parametro di ragionevolezza commerciale dei modi e dei valori di realizzo, fossero di per sé sufficienti ad escludere la violazione del patto commissorio.

La ricostruzione giuridica dell’istituto del pegno irregolare, come lecito strumento di autotutela, era l’unica che consentisse di superare le gravi incongruenze che scaturivano dalla tesi della datio in solutum o dell’atto preordinato ad una futura compensazione, che mal tolleravano la figura, da tutti ammessa, del terzo datore di pegno irregolare, pacificamente non obbligato ad alcuna prestazione ma solo tenuto a patire che il creditore garantito trovasse soddisfacimento al proprio credito, trattenendo definitivamente in proprietà i beni ricevuti, nella sola misura sufficiente a soddisfare il proprio credito.

Negli ultimi anni si è acceso un fitto dibattito sul pegno irregolare e si sono fronteggiate, con alterne vicende e con clamorosi colpi di scena giurisprudenziali, due tesi tra loro irriducibili: da un lato quella che, qualificando il pegno irregolare quale garanzia senza prelazione, ne escludeva in radice la concorsualità e, conseguentemente, escludeva l’applicabilità del disposto dell’art. 2787 c.c. e dell’art.53 L.F., e dall’altro quella che riteneva necessario che tale garanzia fosse fatta valere nell’ambito del fallimento.

Il pegno irregolare, quale garanzia dominicale mediante la quale il creditore si garantiva prescindendo dalla prelazione, purché opponibile al fallimento, poteva consentire le finalità proprie senza la necessità di far verificare il proprio credito. Diversamente opinando il pegno irregolare veniva a perdere la propria autonomia concettuale.

La Cass., con sent. 24.1.1997 n° 745, (in Foro It,1997, I, 217) ha escluso che il creditore di una somma di denaro garantito da un pegno irregolare avesse l’onere di insinuarsi al passivo del fallimento del proprio debitore, datore della garanzia, potendo soddisfare autonomamente il proprio credito sulla somma ricevuta in pegno, non attraverso il meccanismo della compensazione e nel rispetto dei limiti fissati dall’art.56 L.F., ma piuttosto mediante un mero conguaglio contabile tra il proprio dare ed avere.

Per contro, secondo la Cass. 1997 n° 8164, il creditore pignoratizio avrebbe dovuto esercitare la prelazione previa insinuazione al passivo, e tale prelazione avrebbe avuto come oggetto non già i beni a suo tempo ricevuti in pegno e divenuti di proprietà del creditore garantito bensì i beni e le somme che il debitore avrebbe avuto diritto a vedersi restituiti in caso di adempimento.

Tale assunto lasciava fortemente perplessi: se il debito di restituzione di quanto ricevuto in garanzia sorge solo in caso di adempimento, dovendo, in caso di inadempimento, essere restituiti solo i beni eccedenti, è del tutto evidente che, in caso di fallimento, non sorge mai in capo al creditore garantito un obbligo di restituzione di quanto ricevuto in pegno irregolare, e dunque, nulla avendo ricevuto il creditore garantito, questi poteva definitivamente far propri i beni ricevuti in pegno, restituendo l’eventuale eccedenza.

Secondo la Cass., sent. 1997 n° 8164, anche per il pegno irregolare dovrebbe trovare attuazione un diritto di prelazione, e tale diritto, in caso di fallimento, sarebbe condizionato, in base al disposto dell’art.53 L.F., alla preventiva ammissione al passivo del credito garantito ed alla verifica del credito e del diritto di prelazione stessi. Il contrasto giurisprudenziale venne poi composto dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 14.5.2001 n°202, (in Foro It., 2001, I, 2511), cui aderisce anche la Cass.03.04.2003 n°5111, che hanno escluso, avuto riguardo alla specificità del pegno irregolare, la necessità per il creditore di soggiacere alla verifica del proprio credito.

Le incertezze che nascevano da questo contesto giurisprudenziale possono ora dirsi radicalmente superate in quanto l’introduzione nel nostro ordinamento delle garanzie finanziarie, ancorché diritto speciale e di settore, comporta comunque la definitiva acquisizione di alcuni assunti, quali la circostanza che la tipicità delle garanzie non costituisce un limite di ordine pubblico e che è del tutto lecito e compatibile con l’autonomia negoziale il trasferimento della proprietà in funzione di garanzia ,con il solo limite per le garanzie di diritto comune del divieto di patto commissorio.

Non può più dubitarsi oggi che la radicale diversità del pegno regolare rispetto al pegno irregolare abbia come corollario la non applicabilità del disposto dell’art.2787 c.c. 3° comma, e che per il pegno irregolare non sia operante il meccanismo di cui agli artt. 2796/2798 c.c. (Cass 3.4.2003, n°5111 in Rep. Foro It.).

Non vi è per il pegno irregolare la necessità che l’atto scritto, munito di data certa, contenga anche una sufficiente indicazione del credito e della cosa data in pegno, in quanto a tutelare i diritti degli altri creditori e ad evitare sempre possibili frodi in loro danno ben valgono i principi dettati dall’art. 2914 n°4 c.c. che, per quanto concerne i beni mobili non registrati, prevede l’opponibilità al creditore pignorante degli atti di alienazione anteriori al pignoramento, purché il possesso sia stato trasmesso anteriormente, o anche successivamente, a condizione che l’alienazione risulti da atto munito di data certa.

Nel nostro caso dunque, ove per ipotesi il denaro sia stato trasferito a titolo di pegno irregolare prima del pignoramento/fallimento del datore della garanzia, per effetto della sola trasmissione del denaro lo stesso risulta non compreso nell’attivo fallimentare e su di esso non si apre il concorso dei creditori.

Obbligazione garantita

Le garanzie finanziarie possono garantire obbligazioni, anche future e condizionali, al pagamento di una somma di denaro ovvero alla consegna di strumenti finanziari. La Direttiva 2002/47 parrebbe avere sul punto (cfr art.2) una portata più ampia rispetto al recepimento operato dal Decreto Legislativo 170/04, in quanto ricomprende anche le obbligazioni “potenziali”, comprese quelle derivanti da un accordo quadro o da pattuizione analoga.

Occorrerà attendere le prime applicazioni della giurisprudenza per appurare se la garanzia finanziaria possa garantire (cosa oggi non concessa, avuto riguardo al disposto del 3° comma dell’art.2787 c.c.), ad esempio, tutti i crediti che possano sorgere in relazione all’utilizzo di un castelletto di sconto, o tutti i crediti di rivalsa che possano sorgere in relazione al rilascio, da parte di una banca, di una serie indeterminata di fideiussioni o di altre garanzie, concesse a valere su di un plafond predeterminato di fido per crediti di firma.

Sotto il profilo dell’obbligazione garantita il pegno irregolare di diritto comune non ha limiti in ordine alla tipologia di crediti garantiti, che possono dunque avere ad oggetto anche la prestazione di cose diverse dal denaro, ovvero la consegna di strumenti finanziari.

Forma del contratto /formalità costitutive/prestazione della garanzia.

Al fine di consentire l’integrazione e l’efficienza del mercato finanziario, di migliorare la certezza giuridica dei contratti di garanzia (in particolare di quelli transfrontalieri), la Direttiva ha imposto alle legislazioni nazionali una drastica semplificazione ed uniformazione delle formalità necessarie per avere una garanzia finanziaria valida, efficace ed opponibile a chiunque.

Viene mantenuta (ma ridotta al minimo) la distinzione tra formalità del contratto e formalità relative alla costituzione/prestazione della garanzia. In base all’art 2 del Decreto Legislativo 170, il contratto di garanzia finanziaria deve essere provato per iscritto; non è richiesta però la data certa, in quanto, in base all’art 3, la nascita della garanzia finanziaria e la sua opponibilità a terzi non richiedono requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti dall’art. 2, anche se contemplati da vigenti disposizioni di legge.

Per quanto concerne le formalità costitutive, esse sono: prova scritta, a seconda dei casi, della consegna, del trasferimento, ovvero della registrazione delle attività finanziarie in favore del creditore garantito, notifica al debitor debitoris o accettazione da parte di quest’ultimo della cessione o della costituzione in pegno.

La prova dell’avvenuta costituzione della garanzia finanziaria deve consentire (cfr art. 2) l’individuazione della data di costituzione e delle attività finanziarie oggetto della garanzia. La registrazione degli strumenti finanziari sui conti degli intermediari e l’annotazione del contante sul conto di pertinenza sono comunque sufficienti a tal fine.

Se ne deve pertanto dedurre la non applicabilità del disposto dell’art.2787 c.c. che, al 3° comma, condiziona il diritto di prelazione alla formazione di una scrittura privata munita di data certa, “la quale contenga una sufficiente indicazione del credito e della cosa” data in garanzia.

Questo requisito formale, dettato da esigenze di protezione dei terzi e di ostacolo a possibili frodi, ha rappresentato tuttavia un elemento di appesantimento e di inefficienza delle garanzie reali, entrate in crisi in presenza di sostanziali modifiche ed ammodernamenti della realtà economica. Per questo non può dunque che approvarsi la riforma, la quale, in considerazione della particolare situazione dei creditori garantiti, pubbliche autorità o soggetti vigilati, ha ritenuto di poter fare affidamento sull’attendibilità e genuinità delle scritturazioni contabili e delle altre registrazioni sui conti sui quali vengono valorizzati gli strumenti finanziari.

L’art.10 del Decreto Legislativo170 fissa, quale inderogabile legge applicabile alle garanzie finanziarie aventi ad oggetto strumenti finanziari, la legge dello Stato in cui è situato il libro contabile, il conto o il sistema di gestione o di deposito accentrato in cui vengono effettuate le registrazioni a favore del titolare del diritto, escludendo espressamente il rinvio alla legge di qualsiasi altro Stato.

Si raggiunge così l’auspicata semplificazione nell’individuare la normativa applicabile alle formalità costitutive del diritto di pegno su strumenti finanziari dematerializzati o anche solo in gestione accentrata quando, in concreto, potrebbero rinvenirsi una pluralità di criteri di collegamento ad altri ordinamenti giuridici, come ad esempio nel caso in cui siano diverse le nazionalità dell’emittente, della società di gestione accentrata, e dell’intermediario che tiene il conto in strumenti finanziari.

La registrazione degli strumenti finanziari, elemento costitutivo della garanzia, diviene anche legge regolatrice dei diritti sugli strumenti finanziari.

Significativamente, ove non entrano in gioco gli apparati contabili delle autorità o dei soggetti vigilati, come è appunto nel caso di cessione, sarà pur sempre necessaria la formalità della notificazione o dell’accettazione da parte del debitore ceduto, da provarsi per iscritto e tale da consentire l’individuazione della data dell’avvenuta costituzione della garanzia.

Occorre in primo luogo ricordare che il pegno irregolare, quale garanzia finanziaria, può essere stipulato esclusivamente a garanzia di un’obbligazione finanziaria (art.1 punto o) Decreto Legislativo 170/2004) e cioè di un’obbligazione, anche futura o condizionale, che abbia comunque ad oggetto esclusivamente il pagamento di una somma di denaro ovvero la consegna di strumenti finanziari, solo in favore di ben individuati soggetti istituzionali (autorità pubbliche, banche centrali, banche, enti finanziari, ecc.), solo da parte di soggetti ed altre entità diverse dalle persone fisiche, ancorché terzi rispetto al debitore principale.

Per quanto concerne il pegno irregolare di diritto comune continuerà ad esser necessario, ai fini dell’opponibilità, il contratto scritto munito di data certa, sia che si intenda richiamato per il pegno irregolare il disposto dell’art. 2787.3 c.c., sia che, con maggior fondamento attesa la natura dominicale del pegno irregolare, non si ritenga operante il disposto dell’art.2914 c.c.

È da ritenere tuttavia che, anche per il pegno irregolare di diritto comune, il Decreto Legislativo 170/2004 possa costituire l’occasione per una riflessione, già in parte avviata dalla Cass. 09.05.2000, n°5845 (in Il Fallimento 2001,

pag. 541 e ss.). Come noto, ove si scorra un repertorio di giurisprudenza in tema di pegno irregolare, la situazione più ricorrente è quella della banca, presso la quale siano depositate su di un c/c o su di un libretto somme di denaro, la quale acquisisce in pegno tali somme.

I comportamenti e le conseguenti valutazioni della giurisprudenza risultano piuttosto sbrigativi. Le banche, nei fatti, si comportano come se si fosse in presenza di un pegno regolare avente ad oggetto il credito vantato nei loro confronti dal datore della garanzia, ponendo in essere un contratto, generalmente munito di data certa e conforme alle altre previsioni del terzo comma dell’art.2787 c.c., che non prevede mai espressamente la possibilità di disporre delle somme accreditate al cliente, avendone essa già la piena e libera disponibilità, per averle ricevute in deposito irregolare.

Normalmente il rapporto di c/c o di deposito irregolare di denaro non subisce alcuna modifica per effetto della costituzione in pegno, continuando ad essere addebitati i costi di tenuta conto e ad essere accreditati gli interessi.

Ove intervenga poi un pignoramento presso terzi a carico del datore della garanzia, solitamente vengono dichiarate, tra le attività del debitore pignorato, anche le somme costituite in pegno.

La Cass.n°5845/2000 ritiene che, per aversi pegno irregolare, è necessario che vi sia la mancata individuazione del denaro o dei titoli depositati, e che la banca abbia espressamente la facoltà di disporne. Ove tale facoltà non sia prevista, si è in presenza di un pegno regolare, con la conseguente necessità, in caso di fallimento, di far valere il proprio diritto di prelazione per mezzo dell’insinuazione.

È dunque probabile che debba essere modificata la formalizzazione dei contratti di pegno aventi ad oggetto il saldo di un c/c; in quanto, ove si intenda percorrere la via del pegno irregolare, occorrerà che la banca acquisisca la facoltà di disporre anche della moneta scritturale e dunque potrà venir meno l’impianto del c/c; la banca potrà allora azzerare il c/c o il libretto e contabilizzare tali somme su un conto di evidenza infruttifero.

La possibilità che oggi ci viene offerta dalle garanzie finanziarie, di contrattualizzare, anche in modo atipico, la garanzia e la sua dinamica,contribuirà certamente a modificare le prassi attuali.

RICOSTRUZIONE DI GARANZIA EQUIVALENTE E REVOCATORIA.

L’art. 5 del Decreto Legislativo. 170 prevede che il creditore pignoratizio, per tale dovendosi intendere anche il creditore garantito da una cessione di credito, possa disporre, ad esempio mediante alienazione, dazione in pegno o in comodato, di quanto ricevuto in garanzia, se ciò è previsto nel contratto di garanzia stesso. In ogni caso, il creditore che abbia disposto dei beni dati in garanzia, ha l’obbligo di ricostituire una garanzia equivalente a quella originaria, entro la data di scadenza dell’obbligazione finanziaria garantita.

Per garanzia equivalente si deve intendere un ammontare dello stesso importo ed espresso nella stessa valuta, quando la garanzia ha ad oggetto il contante; se invece ha ad oggetto strumenti finanziari, l’obbligo di ricostituzione riguarda strumenti finanziari dello stesso emittente o debitore, appartenenti alla medesima emissione o classe, con stesso importo nominale e stessa valuta. La ricostituzione della garanzia equivalente non deve in nessun caso penalizzare il creditore né rendere più problematica la realizzazione dei diritti di garanzia. La costituzione della garanzia equivalente non integra, anche a fini fallimentari, la creazione di una nuova garanzia, e pertanto essa si considera effettuata alla data di prestazione di quella originaria.

Tale previsione potrebbe esser considerata la mera estensione del principio della irrilevanza fallimentare dell’integrazione o della sostituzione dei beni dati in garanzia, fissata dall’art.9.

Tuttavia questa prospettiva, in sé corretta, non rende da sola pieno conto del fatto che l’obbligo di ricostituire una garanzia equivalente è, a differenza di quel che accade in caso di sostituzione o integrazione, obbligo ed atto proprio del solo creditore garantito che si sia appropriato dei beni. Il contratto di garanzia finanziaria può infatti determinare, anche prima dell’inadempimento, il venir meno del diritto di proprietà sui beni dati in garanzia e la sostituzione di tali diritti reali con un diritto personale nei confronti del creditore garantito, obbligato, alla scadenza dell’obbligazione garantita, a ricostituire la situazione di partenza. Ciò comporterà, nei fatti, un rischio per il datore della garanzia: che il creditore si trovi nell’impossibilità di disporre il riaccredito, in suo favore, di moneta scritturale o di strumenti finanziari.

È del tutto logico che tale accredito, quale atto del creditore garantito, non possa comportare pregiudizi per il creditore e dunque, ove su tale garanzia ricostituita venga disposta l’escussione, non si potrà obbiettare, da parte del fallimento del datore della garanzia, che la garanzia stessa sia, ai fini della revocatoria fallimentare, una nuova garanzia.

È tuttavia eventualità teorica che si proceda alla ricostituzione della garanzia dopo il fallimento del datore della stessa; infatti il fallimento comporterà l’escussione e dunque ben potrà il creditore trattenere quanto necessario al proprio soddisfacimento, rimettendo l’eccedenza alla curatela.

Per quanto sopra detto, il considerare la costituzione della garanzia equivalente come se effettuata alla data di prestazione della garanzia originaria acquista un ben più pregnante significato se ci si pone dal punto di vista di una possibile procedura concorsuale, cui venga ammesso l’intermediario che tale garanzia abbia ricostituito quando ormai versava in stato di decozione.

La ricostituzione della garanzia, infatti, sarebbe in astratto revocabile, come ogni altro adempimento avvenuto in epoca sospetta; è dunque di notevole importanza, ai fini della revocatoria fallimentare, la fictio in forza della quale la ricostituzione della garanzia si consideri effettuata alla data della prestazione dell’originaria garanzia.

CLAUSOLA DI CLOSE-OUT NETTING.

In base all’art.7 del Decreto Legislativo.170, la clausola in questione (detta anche di interruzione dei rapporti e pagamento del saldo netto), è valida ed ha effetto anche in caso di apertura di una procedura concorsuale nei confronti di una delle parti interessate.

La clausola, che può esser presente tanto in una garanzia finanziaria quanto in altro contratto che comprenda una garanzia finanziaria, comporta che, al verificarsi di un evento che legittimi l’escussione della garanzia, si determini l’anticipata scadenza di tutte le obbligazioni in essere tra le parti, divenendo così attuali, esigibili ed omogenei i rispettivi e complessivi crediti e debiti, al fine di giungere ad un loro soddisfacimento per elisione, salvo l’eventuale regolamento della sola eccedenza a carico dell’una o dell’altra parte.

Questa clausola, largamente utilizzata nella contrattualistica internazionale, risulta dalla combinazione tra una clausola di decadenza dal termine (per le obbligazioni non scadute) ed un patto di futura compensazione, avente per oggetto tutti i crediti, anche futuri, che dovessero sussistere tra due soggetti.

L’utilità della clausola è evidente in quanto si riducono significativamente i rischi di inadempimento; la pattuita possibile futura compensazione viene quindi a svolgere essa stessa una funzione di”garanzia”, in quanto i rischi, a ben considerare, per effetto della clausola risultano limitati al solo mancato pagamento dello sbilancio tra il dare ed avere complessivi.

Il meccanismo dell’elisione di una pluralità di crediti, quale risultato della compensazione, non è istituto del tutto sconosciuto nel nostro ordinamento, in quanto costituisce uno dei fondamenti del c/c ordinario; sotto questo profilo il meccanismo ideale di elisione delle contrapposte partite in attuazione della clausola di out-netting non è dissimile da ciò che accade allorché si proceda alla chiusura del c/c ordinario, per le partite in esso annotate.

Ciò che invece rappresenta sicuramente una innovazione per il nostro ordinamento giuridico è la possibilità, attraverso la clausola che qui ci occupa, di superare alcune limitazioni all’operatività della compensazione, previste dall’art.56 L.F. La dottrina fallimentare ha sempre avuto un atteggiamento critico in ordine alla previsione che un creditore potesse, avvalendosi della compensazione, sottrarsi alla falcidia fallimentare.

La relazione alla legge fallimentare, nell’illustrare la norma -che rappresentava una assoluta novità rispetto al codice del 1882-, poneva in luce i profili equitativi sottesi alla soluzione adottata. L’interpretazione e la prassi per lungo tempo ne hanno tuttavia dato un’interpretazione restrittiva, per privilegiare il principio della par condicio; in tale prospettiva si è giunti a ritenere inefficace la compensazione operata in presenza di revoca degli atti ad essa preordinati.

L’orientamento prevalente assume la necessità che i crediti contrapposti abbiano, alla data della dichiarazione di fallimento, già compiuti tutti i requisiti previsti dall’art.1243 c.c.

Si è lentamente fatto strada un orientamento più liberale, ad esempio per quanto concerne i crediti non scaduti del fallito (cfr. Cass 20.03.1991 n°3006, in Il Fallimento 1991,1042 consolidatosi poi con Sez. Un. 16.11.1999 n°775), ponendo esso, quale unica condizione, che i contrapposti debiti e crediti, indipendentemente dal momento della scadenza, traggano comunque origine da un titolo esistente prima della dichiarazione di fallimento.

Il secondo comma dell’art. 56 LF esclude poi la deducibilità in compensazione dei crediti non scaduti, ove il creditore li abbia acquistati nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento o dopo di essa.

Un’ulteriore limitazione alla piena operatività della compensazione nel fallimento è poi legata al fatto che i crediti deducibili devono esser sorti prima della dichiarazione di fallimento e dunque non sono mai tra loro compensabili crediti ante fallimento con debiti sorti dopo il fallimento (ad es. debito di restituzione di somme per pagamenti revocati ). In tale contesto non poteva ovviamente operare la clausola di close out netting con quella latitudine che abbiamo esaminato.

La scarsa giurisprudenza che si rinviene in tema di patti di futura compensazione e fallimento (cfr. Cass. 16.9.1986 n°5621 in Giur1987,I,1,1226) assume che oggetto di revoca (ex art 67.2°comma L.F.) non può essere la compensazione in quanto tale, ma solo l’accordo volto a regolamentare la futura compensazione.

Revocato l’accordo viene meno anche la compensazione. Lentamente si è fatto strada, anche in giurisprudenza, un orientamento volto comunque ad ampliare l’operatività della compensazione in sede fallimentare, fino a ricomprendere tra i crediti compensabili quei crediti che scadono ex lege alla data di dichiarazione di fallimento.

È tuttavia evidente come vi sia un’effettiva discontinuità tra la normativa di diritto comune e la previsione di una piena operatività della clausola di close out netting e sarà dunque interessante vedere se, come spesso è accaduto, il diritto speciale verrà a condizionare in senso evolutivo le interpretazioni del diritto comune anche per quanto concerne l’operatività della compensazione in sede fallimentare.

Le disposizioni introdotte dal Decreto Legislativo 21.05.2004 n°170, che ha recepito la Direttiva CEE 2004/47 in tema di garanzie finanziarie, rappresentano per il nostro ordinamento una novità assoluta che ben difficilmente potrà essere limitata al solo ambito del diritto speciale che ha inteso regolamentare, ma che contribuirà ad un efficace ripensamento anche delle garanzie di diritto comune e tra queste, in particolare, del pegno irregolare. Tale istituto costituisce per noi, in questa sede, il punto di riferimento e la prospettiva di lettura delle garanzie finanziarie, anche perché, tra tutti gli strumenti di garanzia di diritto comune, proprio il pegno irregolare presenta le più vistose analogie con i contratti di garanzia finanziaria.

La principale ed assoluta novità è data dalla stessa nozione di garanzia finanziaria (art. 1 punto d) Decreto Legislativo 170), che riguarda, senza distinzioni, “il contratto di pegno o il contratto di cessione del credito o di trasferimento della proprietà di attività finanziarie con funzione di garanzia, ivi compreso il contratto di pronti contro termine e qualsiasi altro contratto di garanzia reale avente ad oggetto attività finanziarie e volto a garantire l’adempimento di obbligazioni finanziarie”.

Da un lato viene quindi fissato il principio della indistinzione e funzionalizzazione delle garanzie finanziarie, e dall’altro viene stravolto il principio della tipicità dei contratti che possono dar origine a cause di prelazione.

Parlando quindi di garanzie finanziarie, risulta per alcuni versi improprio continuare a riferirsi agli istituti di diritto comune quali pegno regolare, pegno irregolare, cessione di crediti con funzione di garanzia, ecc., ancorché sia la stessa Direttiva a distinguere due macrofamiglie, quella relativa ai contratti che realizzano la funzione di garanzia mediante il trasferimento della proprietà, e quella relativa ai contratti che creano un diritto di prelazione su beni che restano di proprietà del datore di garanzia.

La distinzione è relativa: infatti si può assistere, durante la vita della garanzia, a passaggi dall’una all’altra categoria.

Così, ad esempio, una garanzia può nascere come diritto in re aliena e trasformarsi poi in un diritto dominicale di garanzia, allorché il creditore garantito, conformemente alle previsioni contrattuali, si appropri o disponga dei beni dati in garanzia, salva poi la possibilità / doverosità di ricostruire una garanzia equivalente in sostituzione di quella originaria, in conformità con quanto previsto dal contratto.

Ciò che unifica i diversi istituti di diritto comune è il profilo funzionale, la sostanziale equiparazione delle formalità costitutive, dell’ambito oggettivo e soggettivo, delle condizioni di realizzo e degli effetti del fallimento del datore della garanzia.

Vengono dettate poche e ben precise regole comuni ad ogni tipo di garanzia finanziaria, che esamineremo in distinti capitoli, confrontando, ove possibile, le coincidenze e le divergenze rispetto al pegno irregolare di diritto comune.

Ambito soggettivo.

Le garanzie finanziarie possono essere ricevute solo da autorità pubbliche, banche centrali, banche, imprese di assicurazione, OICVM, controparti centrali, agenti di regolamento e stanze di compensazione e possono essere prestate, anche a garanzia di debiti altrui, da ogni entità giuridica, escluse le persone fisiche. Per contro, il pegno irregolare, ancorché nato con riferimento ai contratti bancari, non presenta limitazioni di carattere soggettivo e può dunque essere prestato e ricevuto da chiunque.

Le limitazioni soggettive fissate dal Decreto Legislativo 170/2004, pongono teoricamente un primo problema in ordine alla possibilità che dette garanzie, originariamente prestate in favore di soggetti ben individuati, possano, a seguito di cessione del credito garantito o di pagamento da parte di coobbligati, radicarsi nel patrimonio di soggetti non rientranti nelle categorie previste dall’art.1 punto D.

Mentre la vicenda surrogatoria appare decisamente poco probabile in quanto i meccanismi di soddisfacimento del credito garantito da garanzia finanziaria sono così semplificati, come vedremo, da rendere improbabile che il creditore garantito preferisca o possa procedere all’escussione di una fideiussione prima di aver escusso la garanzia finanziaria, non può invece escludersi che il credito garantito sia esso stesso oggetto di cessione.

In questo caso, ci parrebbe costituire una grave limitazione il fatto che il credito, garantito da una garanzia finanziaria, possa circolare esclusivamente all’interno dell’ambito soggettivo previsto dalla direttiva (art.2) e dal decreto legislativo, ambito comunque ristretto.

Ambito oggettivo.

Oggetto della garanzia finanziaria possono essere la moneta scritturale (“contante”) e/o gli strumenti finanziari, per tali dovendosi intendere quelli elencati all’art.1, comma 2, lettere da a) ad e) del TUF, nonché quelli individuati con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze su proposta della Banca d’Italia e della Consob (questa previsione residuale risponde alla precisa esigenza di consentire un costante adeguamento, per mezzo della più rapida normazione secondaria, alle necessità del mercato finanziario, in costante evoluzione).

La limitazione della garanzia finanziaria ad un certo tipo di beni introduce una prima caratteristica comune al pegno irregolare, disciplinato dall’art.1851 c.c., che, come noto, può avere ad oggetto esclusivamente “depositi di denaro, merci o titoli che non siano stati individuati e di cui il creditore garantito abbia la facoltà di disporre”.

Vi è un’identica ratio nel pegno irregolare (ex art.1851c.c). e nelle garanzie finanziarie quanto al fatto che tali garanzie possano riguardare solo beni predeterminati, essenzialmente fungibili, in quanto in entrambi i casi è data la possibilità per il creditore garantito (solo in caso di inadempimento per il pegno irregolare, in tutti i casi previsti dal contratto di garanzia, per le garanzie finanziarie) di appropriarsi definitivamente/vendere le cose ricevute in garanzia fino alla concorrenza del proprio credito, con l’obbligo di restituire l’eccedenza.

La via di consentire il soddisfacimento del creditore mediante l’esercizio del diritto all’autotutela, caratteristica di ogni forma di garanzia attuata mediante il trasferimento della proprietà, e la possibilità di realizzare la garanzia al di fuori di qualsiasi concorso del datore della stessa o di altra autorità, presuppone, anche a tutela dei terzi creditori, che i beni oggetto della garanzia siano beni fungibili e che abbiano delle quotazioni di mercato.

Secondo l’art. 4 della Direttiva 2002/47, il realizzo della garanzia può attuarsi mediante la vendita, l’appropriazione o la compensazione, a condizione che vi sia un’esplicita previsione contrattuale in tal senso, ed in ogni caso non può essere condizionato dall’obbligo di una preventiva comunicazione o autorizzazione da parte di un’autorità.

Le condizioni di realizzo ed i criteri di valutazione dei beni oggetto di garanzia finanziaria “devono essere ragionevoli sotto il profilo commerciale” e tale ragionevolezza può essere sindacata solo a posteriori, nel ristretto termine di tre mesi dalla comunicazione.

Per contro, gli organi di un’eventuale procedura di liquidazione cui fosse stato ammesso il datore di garanzia, hanno sei mesi di tempo dall’apertura della procedura per far verificare la ragionevolezza commerciale del realizzo della garanzia e dei criteri di valutazione (purché gli stessi non fossero stati previamente concordati tra gli interessati); in tutti e due i casi lo scopo del giudizio di ragionevolezza è solo quello di rideterminare quanto sia dovuto in restituzione al datore di garanzia.

Significativo è poi il fatto che, non diversamente da quel che accade (secondo una parte della dottrina) per il pegno irregolare, anche nel caso di realizzo delle garanzie finanziarie, in costanza di procedure concorsuali del datore di garanzia, questo realizzo avviene al di fuori del concorso, dando una semplice comunicazione scritta agli organi della procedura circa le modalità di escussione adottate. In quella sede dovrà esser precisato l’importo ricavato e quanto eventualmente dovuto in restituzione.

Il realizzo al di fuori delle regole del concorso comporta poi la possibilità di un’integrale soddisfacimento del credito garantito, senza quelle limitazioni previste per il pegno (regolare) dall’art.54 l.f., che, come noto, limita il concorso, per quanto concerne il credito relativo agli interessi, alla sola annualità maturata prima della dichiarazione di fallimento ed a quella in corso.

Uno dei meriti della normativa relativa alle garanzie finanziarie è quello di consentire la definitiva acquisizione di categorie interpretative che, seppur già implicite, almeno in parte, nel nostro ordinamento giuridico, stentavano ad emergere in presenza di una dogmatica formalistica.

Nel nostro ordinamento, il pegno irregolare era in pratica l’unica garanzia dominicale in cui il creditore garantito acquisiva la proprietà dei beni dati in garanzia, potevano quindi disporre. Ciò ha rappresentato una vera e propria anomalia, che ha affaticato a lungo la dottrina, molto incerta e divisa nel ricostruire la logica e la struttura di quest’istituto, che si caratterizza per il trasferimento della proprietà di determinati beni in funzione di garanzia. Prima del Decreto Legislativo 170/2004 il trasferimento della proprietà in funzione di garanzia era concetto che stentava ad esser accolto in quanto, fatta eccezione per il pegno irregolare, era ritenuto ai limiti del lecito, avuto riguardo all’onnipresente divieto di patto commissorio.

Paradossalmente ora il pegno irregolare, quale garanzia dominicale, risulta invece, fra tutti i tipi di garanzia, quello più in sintonia con i principi di diritto speciale di matrice comunitaria.

Le anomalie civilistiche tipiche del pegno irregolare, quali il fatto che il creditore garantito potesse disporre dei beni dati in pegno e dei quali acquistava la proprietà, l’obbligo per il creditore garantito di restituire, alla scadenza dell’obbligazione garantita ed in caso di mancato adempimento, solo la somma o la parte delle merci o dei titoli che eccedessero il credito garantito, sono elementi che, in qualche modo, prefigurano alcune delle caratteristiche delle garanzie finanziarie.

La ricostruzione dogmatica del pegno irregolare di diritto comune risultava incerta sotto molti profili.

Di difficile soluzione risultava il preciso inquadramento della causa giuridica del trasferimento della proprietà e l’individuazione del meccanismo che veniva ad operare, in caso di inadempimento del debitore, quando il creditore otteneva, per mezzo della garanzia, il soddisfacimento del proprio credito. Come noto, parte della dottrina (Dalmartello) ricostruì il pegno irregolare riconducendolo all’istituto della datio in solutum risolutivamente condizionata dall’adempimento.

L’attribuzione patrimoniale sarebbe dunque sorretta dalla causa solvendi. I limiti di tale ipotesi ricostruttiva sono piuttosto evidenti in quanto, così procedendo, si smarrisce la distinzione tra garanzia ed adempimento. Il configurare poi la dazione di un pegno irregolare quale anticipata datio in solutum rendeva problematica la figura del terzo datore di garanzia, come tale non obbligato.

Si doveva infine escludere la possibilità di prestare, dopo l’inadempimento, un pegno irregolare in quanto, in questo caso, la funzione di garanzia sarebbe stata prevaricata ed assorbita da quella solutoria.

Secondo altro indirizzo della dottrina (Martorano, Simonetto, Luminoso), il trasferimento della proprietà sarebbe stato invece sorretto da una causa credendi. Secondo tale prospettiva, la prestazione di un pegno irregolare valeva a creare “artificiosamente” un rapporto di mutuo, preordinato ad una futura possibile compensazione tra il credito garantito ed il debito di restituzione dei valori ricevuti in pegno irregolare.

Muovendo da tali premesse, la Cassazione, con sentenza 02.08.1956 n.3020, ha ritenuto che il pegno irregolare si configuri come“ uno speciale rapporto che ha la struttura del mutuo e la funzione di garanzia, in quanto esso si concreta nella dazione di una somma di denaro, con facoltà del creditore di disporne e quindi trasferita in sua proprietà, e con l’obbligo correlativo di restituire il tantundem solo al momento in cui il credito,a garanzia del quale il pegno è stato costituito, verrà soddisfatto e si estingue per qualsiasi causa”.

Questo indirizzo, sia pur nella sua artificialità, coglie certamente almeno un profilo importante del pegno irregolare, che è al contempo strumento di garanzia e di attuazione e realizzazione della stessa. In tempi più recenti, anche alla luce delle diverse tipologie di garanzia ricavabili in altri ordinamenti, si è sempre più affermato un indirizzo (Giorgianni, Vittoria, Gualandi) volto a ritenere la causa di garanzia idonea a giustificare il trasferimento della proprietà.

Allorché fu formulata questa ipotesi, ricostruttiva dell’istituto, essa aveva ben pochi appigli nel nostro ordinamento; oggi questa impostazione risulta decisamente lungimirante e costituisce un’importante chiave di lettura del Decreto Legislativo 170/2004.

Il punto di forza della ricostruzione del pegno irregolare in termini di trasferimento della proprietà in funzione di garanzia è nell’aver individuato la funzione di tale istituto non già nel venir meno dell’interesse del creditore all’adempimento, quanto piuttosto nell’interesse che ha il creditore di evitare le lungaggini ed i costi delle procedure esecutive per conseguire l’equivalente economico della prestazione rimasta inadempiuta.

La forza e l’attualità del pegno irregolare è tutta nella circostanza che il creditore ha a disposizione, in caso di inadempimento, in via autonoma, senza il concorso del debitore ed al di fuori del concorso di altri creditori, un mezzo di soddisfacimento del credito diverso dall’adempimento, potendo semplicemente trattenere in via definitiva la proprietà delle cose ricevute in pegno, limitandosi a restituire solo l’importo o la parte di merci o di titoli che eccede l’ammontare dei crediti garantiti in relazione al valore degli stessi al tempo della scadenza del credito garantito.

Se si riflette sul meccanismo satisfattivo del pegno irregolare, emerge con chiarezza come si sia in presenza di uno strumento estremamente agile, nato dall’operatività bancaria e finanziaria ma ben presto utilizzato anche in ambiti diversi.

Il trasferimento della proprietà in funzione di garanzia non risultava, anche prima del Decreto Legislativo 170/04, compromesso dal divieto di patto commissorio (art.2744 c.c.), il quale ha costituito tuttavia un formidabile ostacolo al diffondersi delle garanzie c.d. dominicali, condizionando così fortemente, come vedremo, lo stesso inquadramento giuridico del pegno irregolare.

A conferma di ciò, con l’art.6 comma 2 del Decreto Legislativo 170/04 è stata esplicitata, puramente e semplicemente, l’inapplicabilità di detta norma ai contratti di garanzia finanziaria che prevedano il trasferimento della proprietà in funzione di garanzia, e ciò nonostante la circostanza che l’obbligo di restituire l’eccedenza del valore della garanzia e la presenza del parametro di ragionevolezza commerciale dei modi e dei valori di realizzo, fossero di per sé sufficienti ad escludere la violazione del patto commissorio.

La ricostruzione giuridica dell’istituto del pegno irregolare, come lecito strumento di autotutela, era l’unica che consentisse di superare le gravi incongruenze che scaturivano dalla tesi della datio in solutum o dell’atto preordinato ad una futura compensazione, che mal tolleravano la figura, da tutti ammessa, del terzo datore di pegno irregolare, pacificamente non obbligato ad alcuna prestazione ma solo tenuto a patire che il creditore garantito trovasse soddisfacimento al proprio credito, trattenendo definitivamente in proprietà i beni ricevuti, nella sola misura sufficiente a soddisfare il proprio credito.

Negli ultimi anni si è acceso un fitto dibattito sul pegno irregolare e si sono fronteggiate, con alterne vicende e con clamorosi colpi di scena giurisprudenziali, due tesi tra loro irriducibili: da un lato quella che, qualificando il pegno irregolare quale garanzia senza prelazione, ne escludeva in radice la concorsualità e, conseguentemente, escludeva l’applicabilità del disposto dell’art. 2787 c.c. e dell’art.53 L.F., e dall’altro quella che riteneva necessario che tale garanzia fosse fatta valere nell’ambito del fallimento.

Il pegno irregolare, quale garanzia dominicale mediante la quale il creditore si garantiva prescindendo dalla prelazione, purché opponibile al fallimento, poteva consentire le finalità proprie senza la necessità di far verificare il proprio credito. Diversamente opinando il pegno irregolare veniva a perdere la propria autonomia concettuale.

La Cass., con sent. 24.1.1997 n° 745, (in Foro It,1997, I, 217) ha escluso che il creditore di una somma di denaro garantito da un pegno irregolare avesse l’onere di insinuarsi al passivo del fallimento del proprio debitore, datore della garanzia, potendo soddisfare autonomamente il proprio credito sulla somma ricevuta in pegno, non attraverso il meccanismo della compensazione e nel rispetto dei limiti fissati dall’art.56 L.F., ma piuttosto mediante un mero conguaglio contabile tra il proprio dare ed avere.

Per contro, secondo la Cass. 1997 n° 8164, il creditore pignoratizio avrebbe dovuto esercitare la prelazione previa insinuazione al passivo, e tale prelazione avrebbe avuto come oggetto non già i beni a suo tempo ricevuti in pegno e divenuti di proprietà del creditore garantito bensì i beni e le somme che il debitore avrebbe avuto diritto a vedersi restituiti in caso di adempimento.

Tale assunto lasciava fortemente perplessi: se il debito di restituzione di quanto ricevuto in garanzia sorge solo in caso di adempimento, dovendo, in caso di inadempimento, essere restituiti solo i beni eccedenti, è del tutto evidente che, in caso di fallimento, non sorge mai in capo al creditore garantito un obbligo di restituzione di quanto ricevuto in pegno irregolare, e dunque, nulla avendo ricevuto il creditore garantito, questi poteva definitivamente far propri i beni ricevuti in pegno, restituendo l’eventuale eccedenza.

Secondo la Cass., sent. 1997 n° 8164, anche per il pegno irregolare dovrebbe trovare attuazione un diritto di prelazione, e tale diritto, in caso di fallimento, sarebbe condizionato, in base al disposto dell’art.53 L.F., alla preventiva ammissione al passivo del credito garantito ed alla verifica del credito e del diritto di prelazione stessi. Il contrasto giurisprudenziale venne poi composto dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 14.5.2001 n°202, (in Foro It., 2001, I, 2511), cui aderisce anche la Cass.03.04.2003 n°5111, che hanno escluso, avuto riguardo alla specificità del pegno irregolare, la necessità per il creditore di soggiacere alla verifica del proprio credito.

Le incertezze che nascevano da questo contesto giurisprudenziale possono ora dirsi radicalmente superate in quanto l’introduzione nel nostro ordinamento delle garanzie finanziarie, ancorché diritto speciale e di settore, comporta comunque la definitiva acquisizione di alcuni assunti, quali la circostanza che la tipicità delle garanzie non costituisce un limite di ordine pubblico e che è del tutto lecito e compatibile con l’autonomia negoziale il trasferimento della proprietà in funzione di garanzia ,con il solo limite per le garanzie di diritto comune del divieto di patto commissorio.

Non può più dubitarsi oggi che la radicale diversità del pegno regolare rispetto al pegno irregolare abbia come corollario la non applicabilità del disposto dell’art.2787 c.c. 3° comma, e che per il pegno irregolare non sia operante il meccanismo di cui agli artt. 2796/2798 c.c. (Cass 3.4.2003, n°5111 in Rep. Foro It.).

Non vi è per il pegno irregolare la necessità che l’atto scritto, munito di data certa, contenga anche una sufficiente indicazione del credito e della cosa data in pegno, in quanto a tutelare i diritti degli altri creditori e ad evitare sempre possibili frodi in loro danno ben valgono i principi dettati dall’art. 2914 n°4 c.c. che, per quanto concerne i beni mobili non registrati, prevede l’opponibilità al creditore pignorante degli atti di alienazione anteriori al pignoramento, purché il possesso sia stato trasmesso anteriormente, o anche successivamente, a condizione che l’alienazione risulti da atto munito di data certa.

Nel nostro caso dunque, ove per ipotesi il denaro sia stato trasferito a titolo di pegno irregolare prima del pignoramento/fallimento del datore della garanzia, per effetto della sola trasmissione del denaro lo stesso risulta non compreso nell’attivo fallimentare e su di esso non si apre il concorso dei creditori.

Obbligazione garantita

Le garanzie finanziarie possono garantire obbligazioni, anche future e condizionali, al pagamento di una somma di denaro ovvero alla consegna di strumenti finanziari. La Direttiva 2002/47 parrebbe avere sul punto (cfr art.2) una portata più ampia rispetto al recepimento operato dal Decreto Legislativo 170/04, in quanto ricomprende anche le obbligazioni “potenziali”, comprese quelle derivanti da un accordo quadro o da pattuizione analoga.

Occorrerà attendere le prime applicazioni della giurisprudenza per appurare se la garanzia finanziaria possa garantire (cosa oggi non concessa, avuto riguardo al disposto del 3° comma dell’art.2787 c.c.), ad esempio, tutti i crediti che possano sorgere in relazione all’utilizzo di un castelletto di sconto, o tutti i crediti di rivalsa che possano sorgere in relazione al rilascio, da parte di una banca, di una serie indeterminata di fideiussioni o di altre garanzie, concesse a valere su di un plafond predeterminato di fido per crediti di firma.

Sotto il profilo dell’obbligazione garantita il pegno irregolare di diritto comune non ha limiti in ordine alla tipologia di crediti garantiti, che possono dunque avere ad oggetto anche la prestazione di cose diverse dal denaro, ovvero la consegna di strumenti finanziari.

Forma del contratto /formalità costitutive/prestazione della garanzia.

Al fine di consentire l’integrazione e l’efficienza del mercato finanziario, di migliorare la certezza giuridica dei contratti di garanzia (in particolare di quelli transfrontalieri), la Direttiva ha imposto alle legislazioni nazionali una drastica semplificazione ed uniformazione delle formalità necessarie per avere una garanzia finanziaria valida, efficace ed opponibile a chiunque.

Viene mantenuta (ma ridotta al minimo) la distinzione tra formalità del contratto e formalità relative alla costituzione/prestazione della garanzia. In base all’art 2 del Decreto Legislativo 170, il contratto di garanzia finanziaria deve essere provato per iscritto; non è richiesta però la data certa, in quanto, in base all’art 3, la nascita della garanzia finanziaria e la sua opponibilità a terzi non richiedono requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti dall’art. 2, anche se contemplati da vigenti disposizioni di legge.

Per quanto concerne le formalità costitutive, esse sono: prova scritta, a seconda dei casi, della consegna, del trasferimento, ovvero della registrazione delle attività finanziarie in favore del creditore garantito, notifica al debitor debitoris o accettazione da parte di quest’ultimo della cessione o della costituzione in pegno.

La prova dell’avvenuta costituzione della garanzia finanziaria deve consentire (cfr art. 2) l’individuazione della data di costituzione e delle attività finanziarie oggetto della garanzia. La registrazione degli strumenti finanziari sui conti degli intermediari e l’annotazione del contante sul conto di pertinenza sono comunque sufficienti a tal fine.

Se ne deve pertanto dedurre la non applicabilità del disposto dell’art.2787 c.c. che, al 3° comma, condiziona il diritto di prelazione alla formazione di una scrittura privata munita di data certa, “la quale contenga una sufficiente indicazione del credito e della cosa” data in garanzia.

Questo requisito formale, dettato da esigenze di protezione dei terzi e di ostacolo a possibili frodi, ha rappresentato tuttavia un elemento di appesantimento e di inefficienza delle garanzie reali, entrate in crisi in presenza di sostanziali modifiche ed ammodernamenti della realtà economica. Per questo non può dunque che approvarsi la riforma, la quale, in considerazione della particolare situazione dei creditori garantiti, pubbliche autorità o soggetti vigilati, ha ritenuto di poter fare affidamento sull’attendibilità e genuinità delle scritturazioni contabili e delle altre registrazioni sui conti sui quali vengono valorizzati gli strumenti finanziari.

L’art.10 del Decreto Legislativo170 fissa, quale inderogabile legge applicabile alle garanzie finanziarie aventi ad oggetto strumenti finanziari, la legge dello Stato in cui è situato il libro contabile, il conto o il sistema di gestione o di deposito accentrato in cui vengono effettuate le registrazioni a favore del titolare del diritto, escludendo espressamente il rinvio alla legge di qualsiasi altro Stato.

Si raggiunge così l’auspicata semplificazione nell’individuare la normativa applicabile alle formalità costitutive del diritto di pegno su strumenti finanziari dematerializzati o anche solo in gestione accentrata quando, in concreto, potrebbero rinvenirsi una pluralità di criteri di collegamento ad altri ordinamenti giuridici, come ad esempio nel caso in cui siano diverse le nazionalità dell’emittente, della società di gestione accentrata, e dell’intermediario che tiene il conto in strumenti finanziari.

La registrazione degli strumenti finanziari, elemento costitutivo della garanzia, diviene anche legge regolatrice dei diritti sugli strumenti finanziari.

Significativamente, ove non entrano in gioco gli apparati contabili delle autorità o dei soggetti vigilati, come è appunto nel caso di cessione, sarà pur sempre necessaria la formalità della notificazione o dell’accettazione da parte del debitore ceduto, da provarsi per iscritto e tale da consentire l’individuazione della data dell’avvenuta costituzione della garanzia.

Occorre in primo luogo ricordare che il pegno irregolare, quale garanzia finanziaria, può essere stipulato esclusivamente a garanzia di un’obbligazione finanziaria (art.1 punto o) Decreto Legislativo 170/2004) e cioè di un’obbligazione, anche futura o condizionale, che abbia comunque ad oggetto esclusivamente il pagamento di una somma di denaro ovvero la consegna di strumenti finanziari, solo in favore di ben individuati soggetti istituzionali (autorità pubbliche, banche centrali, banche, enti finanziari, ecc.), solo da parte di soggetti ed altre entità diverse dalle persone fisiche, ancorché terzi rispetto al debitore principale.

Per quanto concerne il pegno irregolare di diritto comune continuerà ad esser necessario, ai fini dell’opponibilità, il contratto scritto munito di data certa, sia che si intenda richiamato per il pegno irregolare il disposto dell’art. 2787.3 c.c., sia che, con maggior fondamento attesa la natura dominicale del pegno irregolare, non si ritenga operante il disposto dell’art.2914 c.c.

È da ritenere tuttavia che, anche per il pegno irregolare di diritto comune, il Decreto Legislativo 170/2004 possa costituire l’occasione per una riflessione, già in parte avviata dalla Cass. 09.05.2000, n°5845 (in Il Fallimento 2001,

pag. 541 e ss.). Come noto, ove si scorra un repertorio di giurisprudenza in tema di pegno irregolare, la situazione più ricorrente è quella della banca, presso la quale siano depositate su di un c/c o su di un libretto somme di denaro, la quale acquisisce in pegno tali somme.

I comportamenti e le conseguenti valutazioni della giurisprudenza risultano piuttosto sbrigativi. Le banche, nei fatti, si comportano come se si fosse in presenza di un pegno regolare avente ad oggetto il credito vantato nei loro confronti dal datore della garanzia, ponendo in essere un contratto, generalmente munito di data certa e conforme alle altre previsioni del terzo comma dell’art.2787 c.c., che non prevede mai espressamente la possibilità di disporre delle somme accreditate al cliente, avendone essa già la piena e libera disponibilità, per averle ricevute in deposito irregolare.

Normalmente il rapporto di c/c o di deposito irregolare di denaro non subisce alcuna modifica per effetto della costituzione in pegno, continuando ad essere addebitati i costi di tenuta conto e ad essere accreditati gli interessi.

Ove intervenga poi un pignoramento presso terzi a carico del datore della garanzia, solitamente vengono dichiarate, tra le attività del debitore pignorato, anche le somme costituite in pegno.

La Cass.n°5845/2000 ritiene che, per aversi pegno irregolare, è necessario che vi sia la mancata individuazione del denaro o dei titoli depositati, e che la banca abbia espressamente la facoltà di disporne. Ove tale facoltà non sia prevista, si è in presenza di un pegno regolare, con la conseguente necessità, in caso di fallimento, di far valere il proprio diritto di prelazione per mezzo dell’insinuazione.

È dunque probabile che debba essere modificata la formalizzazione dei contratti di pegno aventi ad oggetto il saldo di un c/c; in quanto, ove si intenda percorrere la via del pegno irregolare, occorrerà che la banca acquisisca la facoltà di disporre anche della moneta scritturale e dunque potrà venir meno l’impianto del c/c; la banca potrà allora azzerare il c/c o il libretto e contabilizzare tali somme su un conto di evidenza infruttifero.

La possibilità che oggi ci viene offerta dalle garanzie finanziarie, di contrattualizzare, anche in modo atipico, la garanzia e la sua dinamica,contribuirà certamente a modificare le prassi attuali.

RICOSTRUZIONE DI GARANZIA EQUIVALENTE E REVOCATORIA.

L’art. 5 del Decreto Legislativo. 170 prevede che il creditore pignoratizio, per tale dovendosi intendere anche il creditore garantito da una cessione di credito, possa disporre, ad esempio mediante alienazione, dazione in pegno o in comodato, di quanto ricevuto in garanzia, se ciò è previsto nel contratto di garanzia stesso. In ogni caso, il creditore che abbia disposto dei beni dati in garanzia, ha l’obbligo di ricostituire una garanzia equivalente a quella originaria, entro la data di scadenza dell’obbligazione finanziaria garantita.

Per garanzia equivalente si deve intendere un ammontare dello stesso importo ed espresso nella stessa valuta, quando la garanzia ha ad oggetto il contante; se invece ha ad oggetto strumenti finanziari, l’obbligo di ricostituzione riguarda strumenti finanziari dello stesso emittente o debitore, appartenenti alla medesima emissione o classe, con stesso importo nominale e stessa valuta. La ricostituzione della garanzia equivalente non deve in nessun caso penalizzare il creditore né rendere più problematica la realizzazione dei diritti di garanzia. La costituzione della garanzia equivalente non integra, anche a fini fallimentari, la creazione di una nuova garanzia, e pertanto essa si considera effettuata alla data di prestazione di quella originaria.

Tale previsione potrebbe esser considerata la mera estensione del principio della irrilevanza fallimentare dell’integrazione o della sostituzione dei beni dati in garanzia, fissata dall’art.9.

Tuttavia questa prospettiva, in sé corretta, non rende da sola pieno conto del fatto che l’obbligo di ricostituire una garanzia equivalente è, a differenza di quel che accade in caso di sostituzione o integrazione, obbligo ed atto proprio del solo creditore garantito che si sia appropriato dei beni. Il contratto di garanzia finanziaria può infatti determinare, anche prima dell’inadempimento, il venir meno del diritto di proprietà sui beni dati in garanzia e la sostituzione di tali diritti reali con un diritto personale nei confronti del creditore garantito, obbligato, alla scadenza dell’obbligazione garantita, a ricostituire la situazione di partenza. Ciò comporterà, nei fatti, un rischio per il datore della garanzia: che il creditore si trovi nell’impossibilità di disporre il riaccredito, in suo favore, di moneta scritturale o di strumenti finanziari.

È del tutto logico che tale accredito, quale atto del creditore garantito, non possa comportare pregiudizi per il creditore e dunque, ove su tale garanzia ricostituita venga disposta l’escussione, non si potrà obbiettare, da parte del fallimento del datore della garanzia, che la garanzia stessa sia, ai fini della revocatoria fallimentare, una nuova garanzia.

È tuttavia eventualità teorica che si proceda alla ricostituzione della garanzia dopo il fallimento del datore della stessa; infatti il fallimento comporterà l’escussione e dunque ben potrà il creditore trattenere quanto necessario al proprio soddisfacimento, rimettendo l’eccedenza alla curatela.

Per quanto sopra detto, il considerare la costituzione della garanzia equivalente come se effettuata alla data di prestazione della garanzia originaria acquista un ben più pregnante significato se ci si pone dal punto di vista di una possibile procedura concorsuale, cui venga ammesso l’intermediario che tale garanzia abbia ricostituito quando ormai versava in stato di decozione.

La ricostituzione della garanzia, infatti, sarebbe in astratto revocabile, come ogni altro adempimento avvenuto in epoca sospetta; è dunque di notevole importanza, ai fini della revocatoria fallimentare, la fictio in forza della quale la ricostituzione della garanzia si consideri effettuata alla data della prestazione dell’originaria garanzia.

CLAUSOLA DI CLOSE-OUT NETTING.

In base all’art.7 del Decreto Legislativo.170, la clausola in questione (detta anche di interruzione dei rapporti e pagamento del saldo netto), è valida ed ha effetto anche in caso di apertura di una procedura concorsuale nei confronti di una delle parti interessate.

La clausola, che può esser presente tanto in una garanzia finanziaria quanto in altro contratto che comprenda una garanzia finanziaria, comporta che, al verificarsi di un evento che legittimi l’escussione della garanzia, si determini l’anticipata scadenza di tutte le obbligazioni in essere tra le parti, divenendo così attuali, esigibili ed omogenei i rispettivi e complessivi crediti e debiti, al fine di giungere ad un loro soddisfacimento per elisione, salvo l’eventuale regolamento della sola eccedenza a carico dell’una o dell’altra parte.

Questa clausola, largamente utilizzata nella contrattualistica internazionale, risulta dalla combinazione tra una clausola di decadenza dal termine (per le obbligazioni non scadute) ed un patto di futura compensazione, avente per oggetto tutti i crediti, anche futuri, che dovessero sussistere tra due soggetti.

L’utilità della clausola è evidente in quanto si riducono significativamente i rischi di inadempimento; la pattuita possibile futura compensazione viene quindi a svolgere essa stessa una funzione di”garanzia”, in quanto i rischi, a ben considerare, per effetto della clausola risultano limitati al solo mancato pagamento dello sbilancio tra il dare ed avere complessivi.

Il meccanismo dell’elisione di una pluralità di crediti, quale risultato della compensazione, non è istituto del tutto sconosciuto nel nostro ordinamento, in quanto costituisce uno dei fondamenti del c/c ordinario; sotto questo profilo il meccanismo ideale di elisione delle contrapposte partite in attuazione della clausola di out-netting non è dissimile da ciò che accade allorché si proceda alla chiusura del c/c ordinario, per le partite in esso annotate.

Ciò che invece rappresenta sicuramente una innovazione per il nostro ordinamento giuridico è la possibilità, attraverso la clausola che qui ci occupa, di superare alcune limitazioni all’operatività della compensazione, previste dall’art.56 L.F. La dottrina fallimentare ha sempre avuto un atteggiamento critico in ordine alla previsione che un creditore potesse, avvalendosi della compensazione, sottrarsi alla falcidia fallimentare.

La relazione alla legge fallimentare, nell’illustrare la norma -che rappresentava una assoluta novità rispetto al codice del 1882-, poneva in luce i profili equitativi sottesi alla soluzione adottata. L’interpretazione e la prassi per lungo tempo ne hanno tuttavia dato un’interpretazione restrittiva, per privilegiare il principio della par condicio; in tale prospettiva si è giunti a ritenere inefficace la compensazione operata in presenza di revoca degli atti ad essa preordinati.

L’orientamento prevalente assume la necessità che i crediti contrapposti abbiano, alla data della dichiarazione di fallimento, già compiuti tutti i requisiti previsti dall’art.1243 c.c.

Si è lentamente fatto strada un orientamento più liberale, ad esempio per quanto concerne i crediti non scaduti del fallito (cfr. Cass 20.03.1991 n°3006, in Il Fallimento 1991,1042 consolidatosi poi con Sez. Un. 16.11.1999 n°775), ponendo esso, quale unica condizione, che i contrapposti debiti e crediti, indipendentemente dal momento della scadenza, traggano comunque origine da un titolo esistente prima della dichiarazione di fallimento.

Il secondo comma dell’art. 56 LF esclude poi la deducibilità in compensazione dei crediti non scaduti, ove il creditore li abbia acquistati nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento o dopo di essa.

Un’ulteriore limitazione alla piena operatività della compensazione nel fallimento è poi legata al fatto che i crediti deducibili devono esser sorti prima della dichiarazione di fallimento e dunque non sono mai tra loro compensabili crediti ante fallimento con debiti sorti dopo il fallimento (ad es. debito di restituzione di somme per pagamenti revocati ). In tale contesto non poteva ovviamente operare la clausola di close out netting con quella latitudine che abbiamo esaminato.

La scarsa giurisprudenza che si rinviene in tema di patti di futura compensazione e fallimento (cfr. Cass. 16.9.1986 n°5621 in Giur1987,I,1,1226) assume che oggetto di revoca (ex art 67.2°comma L.F.) non può essere la compensazione in quanto tale, ma solo l’accordo volto a regolamentare la futura compensazione.

Revocato l’accordo viene meno anche la compensazione. Lentamente si è fatto strada, anche in giurisprudenza, un orientamento volto comunque ad ampliare l’operatività della compensazione in sede fallimentare, fino a ricomprendere tra i crediti compensabili quei crediti che scadono ex lege alla data di dichiarazione di fallimento.

È tuttavia evidente come vi sia un’effettiva discontinuità tra la normativa di diritto comune e la previsione di una piena operatività della clausola di close out netting e sarà dunque interessante vedere se, come spesso è accaduto, il diritto speciale verrà a condizionare in senso evolutivo le interpretazioni del diritto comune anche per quanto concerne l’operatività della compensazione in sede fallimentare.