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Il piano di zonizzazione acustica del Comune

ragionevolezza e proporzionalità non devono mai mancare
inquinamento acustico
inquinamento acustico

Il TAR Lombardia – sezione distaccata Brescia – nella recentissima pronuncia del 24 febbraio 2020 n. 155 ha trattato il tema della zonizzazione acustica comunale rimarcando i criteri di ragionevolezza e proporzionalità quali principi cardine dell’azione amministrativa.

Nel caso di specie una Società, da tempo impegnata nella lavorazione siderurgica, impugna e contesta la delibera comunale di adozione del Piano di governo con allegata zonizzazione acustica censurando due profili:

  • la delibera apporta una significativa modifica al precedente piano, includendo l’area su cui insiste l’attività tra quelle appartenenti alla "Classe IV- Aree di intensa attività umana" previste dalla tabella A allegata al D.P.C.M. 14 novembre 1997, mentre le aree immediatamente a ridosso dei confini dello stabilimento sono qualificate tra quelle appartenenti alla "Classe III - Aree di tipo misto";
  • modificando la destinazione urbanistica di parte delle aree di proprietà della Società, il Piano le indica come "zone bianche" anziché inserirle, al pari della restante area occupata dal laminatoio della Società stessa, in zona "A.1.5. Tessuto produttivo industriale - artigianale".

In punto di fatto la Società sottolinea che l’attività dalla stessa svolta è insediata nell’area sin dagli anni ‘50, mentre le abitazioni sono iniziate negli anni ’90; il tessuto industriale è ben più ampio ed esteso di quello abitativo ed il precedente Piano comunale, attesa tale consistenza, aveva classificato l’area come appartenente alla classe “V - aree prevalentemente industriali”. 

A fronte di tale classificazione, vista comunque la netta prevalenza della parte industriale rispetto a quella abitativa, la Società aveva impugnato il precedente Piano con due distinti ricorsi da cui non emersero, però, effetti apprezzabili in quanto entrambi vennero dichiarati perenti.

Nel tempo la ricorrente aveva applicato misure contenitive delle emissioni calmierando l’impatto acustico, sostenendo tutto gli oneri relativi ai vari interventi.

La delibera di Consiglio Comunale n. 5/2009 veniva, quindi, a “travolgere” il programma sino a quel momento realizzato perché di fatto, classificando l’area tra quelle ad intensa attività umana, l’impatto sonoro prodotto dall’industria, sebbene mitigato, non sarebbe mai risultato compatibile con quello previsto per gli insediamenti abitati (60 dB diurni e 50 dB notturni).

Da qui il gravame.

Il Tribunale Amministrativo Regionale, nel riprendere la normativa di settore, dopo aver ribadito che l’inquinamento acustico è materia a legislazione concorrente, muove le seguenti osservazioni in accoglimento al ricorso proposto.

Secondo il Collegio, il “punto” essenziale della legge statale n. 447/95, evincibile dall’articolo 4, è che le Regioni debbono, con legge propria, stabilire i criteri-guida in base ai quali i Comuni operano la classificazione del proprio territorio tenuto conto delle preesistenti destinazioni d'uso del territorio stesso e delle aree da destinarsi a spettacolo a carattere temporaneo, ovvero mobile, ovvero all'aperto.

La disciplina attuativa per la Regione Lombardia è recata dalla legge regionale 10 agosto 2001, n. 13 che prevede alcuni criteri ai fini della zonizzazione acustica, criteri che debbono essere seguiti dai Comuni nell’ambito delle proprie scelte pianificatorie.

Tali criteri prevedono che la classificazione acustica debba avvenire sulla base delle destinazioni d’uso esistenti (sia quelle esistenti che quelle previste negli strumenti di pianificazione), e che è vietato il contatto diretto tra aree (anche di Comuni vicini) i cui valori si discostino in misura superiore a 5dB. Laddove, però, le aree siano già urbanizzate e siano a contatto tra loro, in deroga al predetto limite le stesse possono discostarsi sino a 10 dB.

Il Tar pone in evidenza come, in termini ampi e generali, e secondo giurisprudenza consolidata (T.A.R. Milano, sez. III, 27 marzo 2018, n. 829; T.A.R. L'Aquila, sez. I, 10 luglio 2014, n. 597; T.A.R. Firenze, sez. II, 11 dicembre 2010, n. 6724; T.A.R. Venezia, sez. III, 24 gennaio 2007, n. 187), il potere in capo all’Ente è un vero e proprio potere discrezionale sia quanto all’individuazione delle aree sia quanto alla loro classificazione, ma il limite di “ragionevolezza” che si prefigura è quello della tutela delle attività già insediate e inserite nel contesto pianificatorio esistente

Occorre, quindi, che le scelte non eccedano quanto è opportuno e necessario per il raggiungimento dello scopo, tenuto conto delle attività e degli interessi dei privati coinvolti.

Fatta questa premessa, la condotta del Comune è ritenuta in contrasto con i predetti principi per avere, l’Ente, inserito le attività industriali all’interno del perimetro di aree legalmente classificate come destinate a insediamenti umani, per inciso come “aree ad intensa attività umana”. Tali aree, secondo il DPCM, sono le “aree urbane interessate da intenso traffico veicolare, con alta densità di popolazione, con elevata presenza di attività commerciali e uffici, con presenza di attività artigianali; le aree in prossimità di strade di grande comunicazione e di linee ferroviarie; le aree portuali, le aree con limitata presenza di piccole industrie", e dunque un’area contraddistinta dalla sola presenza di industrie non risulta compatibile con lo schema tipizzato dal legislatore.

Peraltro, aggiunge il Collegio, non solo la zona non può contraddistinguersi come area IV ma nemmeno come area V in quanto ciò disattende "acriticamente le caratteristiche morfologiche dell'area interessata, quali consolidatesi nel tempo, mortificando l'affidamento di quanti abbiano legittimamente confidato in una tutela corrispondente a quell'assetto del territorio, laddove assoggetta quella zona a limiti di emissione acustica minori, pregiudicando le esigenze dei soggetti che operano nel settore industriale ove lo stesso legislatore ha consentito più elevati livelli di rumorosità in considerazione delle esigenze scaturenti dalla natura dell'attività svolta".

Dunque, le attività, e gli interessi sottesi, assurgono a baluardo di contenimento della discrezionalità tecnica, pure ampia, che connota l’esercizio del potere pubblico inerente la zonizzazione acustica.

È pur vero che il piano di zonizzazione può introdurre misure atte a migliorare la qualità acustica ambientale, ma ciò deve sempre avvenire nel contemperamento degli interessi; l’eventuale innalzamento dei valori di qualità del rumore rispetto alla situazione preesistente, teoricamente possibile, deve, in pratica, “confrontarsi” con il preuso del territorio e con le attività già insediate nella zona.

L’eventuale Piano adottato in spregio ad una attenta ponderazione degli interessi in gioco rischia, dunque, di essere stralciato, essendo la discrezionalità tecnica comunque soggetta a proporzionalità e ragionevolezza quali principi cardine dell’azione amministrativa, espressione del buon andamento dell’attività pubblica.