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Assegnazione temporanea dei dipendenti degli Enti locali

Comando, distacco, avvalimento, mobilità compensativa
enti locali
enti locali

Assegnazione temporanea dei dipendenti degli Enti locali


Abstract

In un recente articolo titolato: “Assunzioni negli Enti locali: concorso pubblico, mobilità, scorrimento, utilizzo graduatorie di altri Enti, selezioni uniche” pubblicato da https://www.filodiritto.com/ accessibile cliccando il seguente link https://www.filodiritto.com/assunzioni-negli-enti-locali-concorso-pubblico-mobilita-scorrimento-utilizzo-graduatorie-di-altri-enti-selezioni-uniche, è stato trattato, tra l’altro, l’istituto della mobilità nel caso in cui l’Ente locale intenda procedere alla provvista di nuove unità lavorative.

Il presente lavoro analizza i vari istituti con i quali si attua la mobilità temporanea (c.d., trasferimento), del dipendente pubblico da un’Amministrazione all’altra.

La ratio di fondo è da cogliere nei benefici che la pubblica Amministrazione trae da una migliore distribuzione e/o ottimizzazione delle risorse umane e nell’efficienza che deriva dal rispondere con adeguata flessibilità alle esigenze istituzionali delle Amministrazioni.

Trattasi di strumenti che, originariamente sorti per arginare la rigidità della vecchia disciplina amministrativa in materia di assunzioni, carriere e ruoli organici, hanno subito nel corso del tempo una progressiva evoluzione che, se da un lato sembrano tendere a soddisfare le esigenze gestionali di una flessibile circolazione delle professionalità all’interno delle pubbliche Amministrazioni, rischiano di essere impiegati per assecondare aspirazioni individualistiche dei lavoratori.

Il quadro normativo generale attuale, anche prima dell’entrata in vigore del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80 convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2021, n. 113, non oggetto della presente trattazione, è caratterizzato da un particolare favore riservato agli istituti di mobilità quali strumenti diretti a conseguire una più efficiente distribuzione organizzativa delle risorse umane nell’ambito della pubblica Amministrazione, con significativi riflessi sia sul contenimento della spesa pubblica che sulla effettività del diritto al lavoro quale diritto costituzionalmente garantito.

 

Sommario

  1. Excursus storico
  2. Comando
  3. Situazioni di comando e PNRR
  4. Distacco
  5. Avvalimento
  6. Mobilità compensativa


1. Excursus storico

Un primo riferimento normativo degli istituti di mobilità temporanea si rinviene nella disciplina del comando e del collocamento fuori ruolo dei dipendenti pubblici di cui agli articoli 56-59 del Testo unico degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 e successive modificazioni.

Ambedue le fattispecie regolavano le ipotesi in cui fosse ammessa la mobilità temporanea del dipendente pubblico da ascrivere a particolari motivi (ad es. esigenze di servizio o necessità di una specifica competenza per il comando, disimpegno di funzioni dello Stato o di altri enti pubblici per il collocamento fuori ruolo) ed attivabile solo all’interno delle pubbliche Amministrazioni o di strutture analoghe.

L’elemento di distinzione tra collocamento fuori ruolo e comando sta nel fatto che, nel primo caso, il dipendente non occupa un posto nella qualifica del ruolo organico cui appartiene; nella qualifica iniziale del ruolo stesso è, in tal caso, lasciato scoperto un posto per ogni impiegato collocato fuori ruolo. Il lavoratore collocato fuori ruolo, fuoriesce dal ruolo organico dell’Amministrazione datrice di lavoro sicché il suo posto rimane libero e potrà essere coperto da un altro lavoratore per la durata del fuori ruolo. Il lavoratore viene collocato nella c.d., “posizione sovrannumeraria” e, per evitare che si determini un artificioso ampliamento dell'organico, l'amministrazione ha l’obbligo di lasciare scoperto un numero di posti corrispondente a quello degli impiegati collocati in posizione di fuori ruolo.

L’istituto del comando prevede, invece, che il lavoratore rimanga comunque in carico nell'organico dell’Amministrazione di provenienza, comportando che le prestazioni del lavoratore vengano espletate presso altra Amministrazione che si avvale, quindi, non solo della prestazione lavorativa ma subentra a quella di appartenenza anche nell’esercizio concreto del potere gerarchico cui l'impiegato è sottoposto. Non determina la creazione di un distinto rapporto di impiego, né l’affievolimento dì quello esistente o la temporanea e parziale novazione soggettiva del rapporto di impiego, lasciando inalterato il rapporto originario, alla cui regolamentazione giuridica il dipendente rimane sottoposto. Il lavoratore comandato continuerà ad essere computato nelle dotazioni organiche dell’Amministrazione di appartenenza e la sua originaria posizione non può essere ricoperta per concorso o per qualsiasi altra forma di mobilità.

Il comando, oltre ad essere oggetto della disciplina di cui all’articolo 56 del decreto del Presidente della Repubblica 3/1957 è regolato anche dall’articolo 30, comma 2-sexies, del decreto legislativo 165/2001, ai sensi del quale “Le pubbliche Amministrazioni, per motivate esigenze organizzative, risultanti dai documenti di programmazione previsti all’articolo 6, possono utilizzare in assegnazione temporanea, con le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a tre anni, fermo restando quanto già previsto da norme speciali sulla materia, nonché il regime di spesa eventualmente previsto da tali norme e dal presente decreto”.

Un cenno merita l’“assegnazione temporanea” di cui parla il citato articolo 30, comma 2-sexies, poco conosciuta e applicata nella pratica, che le pubbliche Amministrazioni possono utilizzare con le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, personale di altre Amministrazioni per un periodo non superiore a tre anni, fermo restando quanto già previsto da norme speciali sulla materia.

Cosa diversa parzialmente diversa è altro istituto, qualificato anch’esso come “assegnazione temporanea”, disciplinato dall’articolo 23-bis, comma 7, del decreto legislativo 165/2001, il quale prevede l’assegnazione di personale oltre che tra pubbliche Amministrazioni, anche presso imprese private, sulla base di appositi protocolli di intesa tra le parti.

Questa fattispecie di assegnazione temporanea è pur sempre un comando, visto che il dipendente transita da un’Amministrazione all’altra e, caso rilevante, addirittura verso un soggetto privato. Ma, a differenza del comando:

  1. occorre un protocollo di intesa tra le parti;
  2. richiede l’esistenza di specifici progetti di interesse specifico dell’amministrazione (comandante ma anche comandataria);
  3. l’onere economico è a carico del comandatario (come nel caso del comando tra PA), anche nel caso di assegnazione temporanea a imprese private (qualificate come “imprese destinatarie”).

Va osservato che, accanto ad una disciplina di base ancor oggi solida, il legislatore ha proceduto e continua a procedere, con tecnica normativa disorganica, alla creazione di un gran numero di comandi e fuori ruolo speciali che tracciano aspetti peculiari di utilizzazione in relazione alle singole ipotesi codificate.

Nell’ultimo periodo e di recente gli strumenti di mobilità temporanea sembrano, infatti, assolvere a ben più importanti funzioni che spiegano il confuso dilagare degli stessi, il cui utilizzo si pone sempre più come alternativo all’assunzione stabile e anche al ricorso a forme contrattuali flessibili e temporanee, pur ammesse dall’articolo 36, del decreto legislativo n. 165/2001.


2. Comando

L’istituto del comando, previsto e disciplinato dall’articolo 56 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3/1957, dispone che il pubblico impiegato, titolare di ruolo presso una pubblica Amministrazione, può essere assegnato, con accordo delle due Amministrazioni, temporaneamente ed in via eccezionale a prestare servizio presso altra Amministrazione/Ente pubblico e nell’interesse dell’Amministrazione di destinazione.

Se è vero che il comando è finalizzato al perseguimento dell’interesse dell’Amministrazione presso cui il dipendente comandato va a prestare servizio e che quindi rientra nei poteri di quest’ultima di attivarsi ai fini della cessazione degli effetti di detto provvedimento, è vero altresì che il dipendente comandato presso altra Amministrazione non acquisisce un nuovo rapporto di impiego né modifica quello originario restando sottoposto alla pregressa regolamentazione giuridica dell’Ente di provenienza con l’unica variante della prestazione di fatto del servizio a favore di un’Amministrazione diversa, sostituendosi, quest’ultima, solo nell’esercizio dei poteri di supremazia gerarchica.

Per quel che riguarda alla regolazione dei rapporti finanziari tra le pubbliche Amministrazioni interessate, l’articolo 70, comma 12, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, prevede che è a carico dell’Amministrazione che utilizza il personale in posizione di comando, di fuori ruolo, o in altra analoga posizione il corrispondente costo per il trattamento economico fondamentale, che dovrà essere rimborsato all’Amministrazione di appartenenza.

L’assegnazione è a termine e va riconosciuta in relazione a due distinte condizioni non cumulabili: e precisamente per esigenze di servizio, o quando sia richiesta una speciale competenza”.

L’accordo avviene, dunque esclusivamente tra due Amministrazioni pubbliche, senza che il dipendente esprima alcuna manifestazione di volontà negoziale, neppure sotto forma di semplice consenso.

Da ciò si ricava che il comando (o il distacco “pubblico”) del dipendente presso altra Amministrazione non incide sullo stato giuridico del pubblico dipendente, né comporta il sorgere di un nuovo rapporto di impiego con l’Ente di destinazione, ma lascia inalterato quello originario alla cui disciplina il dipendente rimane sottoposto, con la sola evidente eccezione concernente il rapporto gerarchico nel quale, all’Ente di appartenenza, si sostituisce quello di destinazione.

La posizione del soggetto comandato, pur non comportando alcuna alterazione del rapporto di impiego, tuttavia implica una rilevante modificazione in senso oggettivo, giacché l’impiegato viene destinato a prestare servizio, in via ordinaria e abituale, presso un’Amministrazione diversa da quella di appartenenza, rilevando che il c.d., “rapporto organico” continua ad intercorrere tra il dipendente e l’Ente di appartenenza o di titolarità, mentre si modifica il c.d., “rapporto di servizio”, atteso che il dipendente è inserito, sia sotto il profilo organizzativo-funzionale, sia sotto quello gerarchico e disciplinare, nella nuova Amministrazione di destinazione, a favore della quale egli presta esclusivamente la sua opera per il periodo di tempo considerato.

Nel comando, fermo restando il rapporto organico che continua ad intercorrere tra il dipendente e l’Ente di appartenenza, si modifica il rapporto di servizio atteso che il dipendente pubblico è inserito, sia sotto il profilo organizzativo-funzionale che gerarchico-disciplinare, nell’Amministrazione di destinazione, a favore della quale presta la propria opera.

Contrariamente al trasferimento per mobilità definitiva che comporta la cessione del contratto di lavoro in essere con l’originaria amministrazione di appartenenza, integrando una modificazione soggettiva del rapporto di lavoro, con il consenso di tutte le parti, alla posizione di comando del dipendente presso una nuova Amministrazione non si accompagna la corrispondente soppressione del posto in organico presso l’Amministrazione di provenienza.

Caratteristica del rapporto è la sua collocazione a termine nell’Amministrazione di destinazione, che impone l’esigenza di individuare un momento di inizio del rapporto e un momento di conclusione dello stesso, dimostrando la reversibilità del meccanismo che non può comportare un trasferimento definitivo del dipendente presso l’Amministrazione richiedente (trattasi di una mobilità temporanea), impedendo che l’Amministrazione cedente” possa sopprimere il posto in organico.

Nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, il “comando” del dipendente pubblico si differenzia dal “distacco” del dipendente privato per la natura provvedimentale dell’atto che dispone il comando, adottato dal soggetto nella cui organizzazione il dipendente viene inserito, e non dal suo originario datore di lavoro, per cui, diversamente dal distacco, il comando non realizza un interesse del datore di lavoro ma dell’Amministrazione che lo dispone, e non costituisce un atto organizzativo riconducibile al datore di lavoro.

La giurisprudenza amministrativa ha ritenuto legittimo, in quanto di natura ampiamente discrezionale, il provvedimento con il quale l’Amministrazione dispone la cessazione del dipendente dalla posizione di comando” per sopraggiunte esigenze di servizio (Consiglio Stato, sez. VI, 08 gennaio 2003, n. 2).

Da quanto delineato è agevolmente desumibile che l’istituto in esame, originariamente sorto “per rispondere all’oggettiva rigidità della vecchia disciplina amministrativa in materia di assunzioni, carriere e ruoli organici”, ha subito nel corso del tempo una progressiva evoluzione e, oltre che per soddisfare le oggettive esigenze gestionali di una circolazione più efficiente e flessibile delle professionalità all’interno delle amministrazioni pubbliche, è spesso impiegato per assecondare aspirazioni individualistiche dei lavoratori.


3. Situazioni di comando e PNRR

Per le Amministrazioni pubbliche titolari di interventi previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza ovvero nel Piano nazionale per gli investimenti complementari il comma 1-bis dell’art. 12 del decreto-legge n. 146/2021, convertito in legge n. 215/2021, ha disciplinato i collocamenti fuori ruolo e i comandi di personale che, in tali posizioni, presti servizio.

Mediante il richiamo dell’articolo 9, comma 5-bis, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, è stato previsto che, fino al 31 dicembre 2026:

  • i collocamenti fuori ruolo siano obbligatori e vengano disposti, secondo le procedure degli ordinamenti di appartenenza, anche in deroga ai limiti temporali, numerici e di ogni altra natura eventualmente previsti dai medesimi ordinamenti;
  • il servizio prestato in posizione di comando, fuori ruolo o altra analoga posizione, prevista dagli ordinamenti di appartenenza, sia equiparato a tutti gli effetti, anche giuridici e di carriera, al servizio prestato presso le amministrazioni di appartenenza;
  • in deroga a quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, il conferimento al personale in parola di qualifiche superiori o posizioni diverse, da parte delle Amministrazioni di appartenenza, anche quando comportino l’attribuzione di specifici incarichi direttivi, dirigenziali o valutazioni di idoneità, non richieda l’effettivo esercizio delle relative funzioni, ovvero la cessazione dal comando, fuori ruolo o altra analoga posizione, che proseguono senza soluzione di continuità;
  • il predetto personale, durante il periodo di servizio prestato presso l’Amministrazione di destinazione, sia collocato in posizione soprannumeraria nella qualifica, grado o posizione ad esso conferiti, senza pregiudizio per l’ordine di ruolo.

L’articolo 6 del decreto-legge n. 36 del 30 Aprile 2022, nel modificare l’articolo 30 del decreto legislativo n. 165/2001, ha altresì introdotto alcune misure in materia di comando e distacco dei dipendenti pubblici.

In particolare, è stato stabilito che per il personale non dirigenziale delle Amministrazioni, i comandi o distacchi, sono consentiti esclusivamente nel limite del 25 per cento dei posti non coperti all’esito delle procedure di mobilità di cui all’articolo 30 del decreto legislativo n. 165/2001. Tale disposizione non si applica ai comandi o distacchi obbligatori, previsti da disposizioni di legge, ivi inclusi quelli relativi agli uffici di diretta collaborazione, nonché a quelli relativi alla partecipazione ad organi, comunque denominati, istituiti da disposizioni legislative o regolamentari che prevedono la partecipazione di personale di amministrazioni diverse, nonché ai comandi presso le sedi territoriali dei ministeri, o presso le Unioni di comuni per i Comuni che ne fanno parte.

Il secondo comma dell’articolo 6 prevede, invece, che i comandi o distacchi in corso alla data di entrata in vigore del nuovo decreto-legge cessano alla data del 31 dicembre 2022 o alla naturale scadenza se successiva alla predetta data, qualora le Amministrazioni non abbiano già attivato procedure straordinarie di inquadramento di cui al comma successivo, a mente del quale le amministrazioni interessate possono attivare, fino al 31 dicembre 2022, a favore del personale che alla data del 31 gennaio 2022 si trovava in posizione di comando o distacco, nel limite del 50 per cento delle facoltà assunzionali e nell’ambito della dotazione organica, procedure straordinarie di inquadramento in ruolo per il personale non dirigenziale, in deroga alle disposizioni di cui all’articolo 30 del decreto legislativo n. 165/25001.

La norma prevede che per tali procedure straordinarie non sia necessario richieder il nulla osta dell’amministrazione di provenienza e che si tenga conto:

  • della anzianità maturata in comando o distacco;
  • del rendimento conseguito e della idoneità alla specifica posizione da ricoprire.

Giova evidenziare che in merito a tali disposizioni, l’ANCI ha evidenziato alcune rilevanti criticità per gli Enti locali ascritte al fatto che il ricorso agli istituti del comando e del distacco da parte delle Amministrazioni locali è motivato da esigenze di flessibilità organizzativa, che assumono di frequente una connotazione emergenziale, legata alla carenza di personale in organico.

Di conseguenza le nuove misure introdotte dall’articolo 6, comma 1, del decreto, sono destinate a produrre difficoltà organizzative agli Enti locali.

La scarsa attrattività di Amministrazioni locali situate in aree geografiche marginali e delle sedi di minori dimensioni rende già oggi quasi sempre infruttuose le procedure di mobilità volontaria. Per tali enti la nuova norma rischia, quindi, di determinare un appesantimento procedurale.

Siffatte criticità interessano anche tutte le ipotesi di convenzionamento tra Enti e le forme di gestione associata di servizi e funzioni, ove è diffuso l’utilizzo condiviso di personale mediante gli istituti del comando o del distacco.

Si auspica, pertanto, che in sede di conversione del decreto-legge n. 36/2022 in adesione alle esigenze rappresentate dall’ANCI l’intero comparto delle autonomie locali sia escluso dal campo di applicazione della norma.

Per quanto riguarda i piccoli comuni, che hanno organici di poche unità di personale (e per i quali quindi è del tutto inapplicabile il margine del 25% dei posti oggetto di mobilità, previsto dalla nuova norma), le limitazioni individuate dal decreto rischiano di determinare la impossibilità di utilizzare gli istituti del comando e del distacco, anche solo parziale, per sopperire ad esempio alla carenza di figure fondamentali e infungibili quali il responsabile dell’ufficio tecnico o ragioneria.


4. Distacco

L’istituto del distacco, ideato dalla prassi amministrativa e da sempre privo di una disciplina organica analoga a quella del comando e del collocamento fuori ruolo, non crea una vacanza di posto nell'amministrazione di appartenenza giacché quella posizione deve restare a disposizione del dipendente distaccato. Il tratto caratterizzante il distacco è da ricercarsi proprio nella mancanza di disciplina giuridica, per cui, se il comando è utilizzabile solo entro vicende normative tipizzate e precodificate, il distacco si pone come “mera situazione di fatto, concretata dallo svolgimento delle proprie funzioni di istituto presso uffici dipendenti da altra amministrazione”.

Il distacco comporta unicamente l’utilizzazione temporanea del dipendente pubblico, che è diverso da quello che costituisce la sua sede di servizio, e che rientra comunque nella medesima amministrazione.

Si distingue dalla trasferta in quanto risponde ad esigenze di entrambe le parti del rapporto mentre quest’ultima è disposta unilateralmente dal datore di lavoro, nell’esclusivo suo interesse. Un esempio diffuso di distacco che interessa i dipendenti comunali è quello disposto presso gli uffici giudiziari con particolare riferimento al personale utilizzato dai Giudici di Pace per il funzionamento di tali strutture.

Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro 22.1.2004 del comparto Funzioni Locali all’articolo 19, comma 2, implicitamente contiene un’ipotesi di regolazione del distacco di matrice privatistica: “Le parti concordano nel ritenere che gli oneri relativi al trattamento economico fondamentale e accessorio del personale «distaccato» a prestare servizio presso altri Enti, Amministrazioni o Aziende, nell’interesse dell’ente titolare del rapporto di lavoro, restano a carico dell’ente medesimo”. Questa ipotesi ha in comune col distacco di cui all’articolo 30 del decreto legislativo n. 276/2003 e successive modifiche l’interesse dell’Ente distaccante e, quindi, il mantenimento del rapporto di servizio con esso. Tanto è vero che a differenza del comando, non si prevede il rimborso del trattamento economico del distaccato al datore di lavoro, che rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore.

Il distacco non comporta l’istituzione di un nuovo rapporto di impiego con la pubblica Amministrazione presso la quale il lavoratore è distaccato, né varia lo stato giuridico del dipendente (C.d., Stato sez. IV 20.12.2002 n. 7243). È illegittima la revoca di un distacco disposta non per il sopravvenire di ragioni organizzative, ma per valutazioni attinenti alla legittimità dell'operato del dipendente che possono al più sfociare nell'irrogazione di una sanzione disciplinare (Tribunale di Reggio Calabria 16.2.2004).


5. Avvalimento

L’avvalimento, istituto scarsamente utilizzato, si verifica quando l’Amministrazione, anziché dotarsi di una struttura propria per lo svolgimento della funzione ad essa assegnata, si avvale degli uffici di altro Ente, al quale non viene, però, delegata la funzione stessa. In tal caso non si determina alcuna modifica del rapporto di impiego, perché il personale dell’Ente che fornisce la struttura necessaria allo svolgimento del compito resta incardinato in quest’ultimo a tutti gli effetti, e non si verifica la scissione fra rapporto di impiego e rapporto di servizio.

Al fine di soddisfare la migliore realizzazione dei servizi istituzionali e di conseguire una economica gestione delle risorse, gli Enti locali possono utilizzare, con il consenso dei lavoratori interessati, personale assegnato da altri Enti cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto funzioni locali per periodi predeterminati e per una parte del tempo di lavoro d’obbligo, mediante convenzione e previo assenso dell’Ente di appartenenza. Nell’ambito dell’avvalimento si colloca il c.d., “scavalco condiviso” istituto previsto dall’articolo 1, comma 124, della legge n. 145/2018, secondo cui gli Enti locali possono utilizzare, con il consenso dei lavoratori interessati, personale assegnato da altri Enti, cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto funzioni locali, mediante convenzione in cui siano disciplinati, tra l’altro, il tempo di lavoro in assegnazione (periodo predeterminato), il rispetto del vincolo dell’orario settimanale d’obbligo, la ripartizione degli oneri finanziari e tutti gli altri aspetti utili per regolare il corretto utilizzo del lavoratore. Si applicano, ove compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 14 del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto delle regioni e delle autonomie locali del 22 gennaio 2004.

Nello “scavalco condiviso” il lavoratore mantiene, quindi, il rapporto d’impiego con l’Amministrazione originaria, rivolgendo solo parzialmente le proprie prestazioni in favore di un altro Ente, nell’ambito dell’unico rapporto alle dipendenze del soggetto pubblico principale. L’approvazione dello schema di Convenzione è di competenza della Giunta Comunale ai sensi di quanto prevede l’articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001 e successive modifiche, che, al comma 7, stabilisce che gli Enti Locali disciplinino le modalità di assunzione agli impieghi, i requisiti di accesso e le procedure concorsuali, mediante il Regolamento degli Uffici e dei Servizi la cui competenza all’adozione, come è noto, spetta alla Giunta Comunale ai sensi dell’articolo 48, comma 3, del Tuel 267/2000.

Corre l’obbligo ricordare in questa sede che sull’argomento è recentemente intervenuta la Corte dei Conti, Sezione delle Autonomie, con la deliberazione n. 10 del 19 maggio 2020, fornendo una serie di chiarimenti, utili a meglio definire i contorni di uno strumento che coniuga temporaneità della condivisione del dipendente fra più enti, flessibilità operativa ed economicità nella gestione delle risorse. In sintesi, è stato precisato che nella fattispecie di avvalimento parziale del dipendente in servizio presso un altro Ente non si è al cospetto di una prestazione lavorativa totalmente trasferita, come nell’ipotesi del “comando”, ma di fronte ad una più duttile utilizzazione convenzionale; il legislatore, infatti, ha stabilito che, in sede di convenzione, debba essere definita la modalità di ripartizione del carico finanziario. Pertanto, quand’anche la convenzione sottoscritta fra le Amministrazioni preveda una ripartizione del carico finanziario della spesa complessiva, già in essere per il dipendente, attribuendone una quota parte in capo all’Ente utilizzatore, la fattispecie in esame non può mai integrare la costituzione di un nuovo rapporto di impiego per la mancanza di un vincolo contrattuale diretto tra l’Ente che si avvale delle prestazioni “a scavalco” ed il lavoratore, trattandosi di un modulo organizzativo di condivisione del personale fra Amministrazioni pubbliche.


6. Mobilità compensativa

La mobilità compensativa, o per interscambio, trova disciplina nell’articolo 7 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 agosto 1988, n. 325 il quale prevede che i dipendenti pubblici possano scambiarsi tra loro, pur appartenendo a diversi settori. Quello che manca in tale tipologia è infatti la condizione della parità di qualifica, essendo invece richiesta la parità di profilo professionale, come ad esempio infermiere, operatore sociosanitario, ma non necessariamente devono appartenere alla stessa fascia economica. Normalmente, però, per effettuare una mobilità compensativa entrambi i dipendenti fanno richiesta alla rispettiva Amministrazione di appartenenza in base a problematiche gestionali.

Questo istituto permane nel nostro ordinamento giuridico, considerato che in base al principio generale contenuto nell’articolo del decreto legislativo n. 165/2001, le Amministrazioni pubbliche sono tenute a curare  l’ottimale distribuzione delle risorse umane attraverso la coordinata attuazione dei processi di mobilità e di reclutamento del personale (ex multis, Sezione regionale Veneto, deliberazione n. 65/2013; Corte Conti Sezione Controllo Veneto, deliberazione 4 febbraio 2013; Sezione Controllo Friuli Venezia Giulia, deliberazione del 3.6.2014).

Tuttavia, il ricorso a detta procedura deve essere accompagnato da una serie di cautele tese ad evitare che possano essere elusi i rigidi vincoli imposti dal legislatore in materia di riduzione della spesa per il personale delle amministrazioni pubbliche e di turn over. In tal senso, abbiamo un orientamento giurisprudenziale consolidato che assume rilievo per gli Enti locali in materia di mobilità per interscambio, affermando che tale tipologia di mobilità, così come previsto dall’art. 7 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 agosto 1988, n. 325, può essere consentita, purché venga rispettato il principio della neutralità finanziaria, solo tra due dipendenti appartenenti a “profili professionali corrispondenti”. (Cfr Corte dei conti – Sezioni Riunite n. 59/CONTR/2010; Sezione regionale di controllo per l’Umbria, deliberazione n. 71/2016/PAR dell’8 giugno 2016).

Presupposto fondamentale per la legittimità dell’operazione è l’osservanza dei limiti di spesa cui gli enti coinvolti sono soggetti. L’articolo 1, comma 47, della legge 311/2004 precisa, infatti, che “in vigenza di disposizioni che stabiliscono un regime di limitazione delle assunzioni di personale a tempo indeterminato, sono consentiti trasferimenti per mobilità, anche intercompartimentale, tra amministrazioni sottoposte al regime di limitazione, nel rispetto delle disposizioni sulle dotazioni organiche e, per gli enti locali, purché abbiano rispettato il patto di stabilità interno per l’anno precedente”. L’operazione deve, pertanto, garantire il rispetto dei vincoli di spesa con riferimento a tutti gli enti coinvolti, in quanto solo se la mobilità si traduce in un mero “spostamento di personale da un’amministrazione ad un’altra ... non ha incidenza sulle capacità assunzionali degli Enti”. Dunque, la mobilità in compensazione, al pari della mobilità volontaria, deve garantire la necessaria neutralità ai fini delle assunzioni ai sensi dell’articolo 1, comma 47, della legge 311/2004 e può avvenire solo tra dipendenti appartenenti al medesimo profilo professionale (da intendersi con riferimento al sistema di classificazione di cui all’art 3 Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro 31.03.1999). La neutralità finanziaria dell’operazione di mobilità si può realizzare solo se entrambi “gli enti locali sono soggetti a vincoli di assunzione” (o, meglio ancora, sono in regola con le prescrizioni del patto)”.

Solitamente il profilo professionale è il risultato di un’analisi di tutti i requisiti richiesti in base alle caratteristiche degli esercizi da far svolgere. Può prendersi conoscenza degli interscambi dalle piattaforme ufficiali sulle quali sarà possibile visualizzare tutti gli annunci per interscambio nel pubblico impiego. Sul piano normativo, l’articolo 30, comma 1, del decreto legislativo 165/2001 richiede, ai fini della mobilità volontaria, che l’operazione avvenga tra “dipendenti appartenenti ad una qualifica corrispondente”. Con specifico riferimento alla mobilità cd. compensativa, o per interscambio, che fa seguito alla domanda congiunta di trasferimento di due dipendenti, l’articolo 7 del decreto del Presidente del Consiglio 325/1988, sancisce la necessaria identità di profilo professionale. Il riferimento all’identità del profilo professionale deve essere interpretato, per gli Enti locali, alla luce del sistema di classificazione contenuto nell’articolo 3 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro 31.03.1999, sulla base del quale il personale degli Enti locali viene suddiviso in quattro categorie, denominate rispettivamente A,B,C,D.

Volendo quindi riassumere le due condizioni fondamentali, bisogna considerare l’accordo tra le amministrazioni delle quali i richiedenti fanno parte, che acconsentano perciò allo scambio, e il presupposto che i dipendenti appartengano alla stessa categoria e/o stesso profilo o svolgano uguali mansioni che tenga conto delle competenze e capacità essenziali richieste ad un lavoratore in base alle prestazioni affidategli.

La procedura in esame, conosciuta anche come scambio alla pari o cambio compensativo, può rappresentare una buona opportunità per tutti coloro che si trovano costretti a dover pubblicare un annuncio di interscambio, a causa della necessità di mutare città di lavoro per motivi personali o no. Si tratta a tutti gli effetti di un fenomeno di emigrazione ma interno, che sia nella regione, provincia o comune.

Le problematiche che possono essere contrastate con questa opzione sono svariate, il tutto può tornare utile a chi, per esempio, debba fare molti chilometri al giorno per arrivare nella propria sede di lavoro, a chi abbia la necessità di trovare un nuovo posto dove stare, a chi voglia cambiare Ente o che voglia semplicemente sperimentare nuovi orizzonti lavorativi. Anche tale procedura, tuttavia, non interrompe mai il rapporto lavorativo.

Sotto l’aspetto pratico, è possibile compendiare tale tipo di procedura nelle seguenti fasi:

  • individuazione delle persone interessate all’interscambio appartenenti allo stesso profilo;
  • entrambi i soggetti richiedenti devono contemporaneamente presentare istanza alle rispettive pubbliche Amministrazioni dichiarando di essere a conoscenza che anche l’altro abbia proceduto alla presentazione di una speculare istanza e si inserisce in cc il proprio Ente;
  • segue una eventuale fase che può prevedere un colloquio con l’Ente presso il quale ci si vuole trasferire. Possono essere chiamati a sostenere un colloquio entrambi o uno solo dei lavoratori coinvolti, che dovranno sperare di aver fatto buona impressione, in modo da ottenere il via libera dell’Ente per cui lavorano. Di solito questo penultimo passaggio viene utilizzato per verificare che il dipendente sia in grado di svolgere quanto richiesto;
  • in ultimo, la procedura potrà intendersi conclusa solo nel momento in cui l’Amministrazione di provenienza rilascia atto di assenso all’interscambio, elemento proprio senza il quale l’intero procedimento si blocca.

Va evidenziato che il nulla osta, pur non potendosi configurare un diritto del dipendente alla predetta mobilità, laddove ci fosse il rigetto è senz’altro possibile ricorre al giudice per sindacarne il consenso negato. In merito è intervenuta la giurisprudenza ha affermato: “In assenza di validi motivi ostativi alla base del consenso negato si deve ritenere che il dipendente abbia diritto al trasferimento” (in tal senso, Tribunale di Agrigento, 26 marzo 2004).

Nel ricorso all’istituto in esame è, inoltre, utile ed opportuno che le Amministrazioni coinvolte accertino che non vi siano controinteressati al passaggio, nel rispetto dei principi di imparzialità e trasparenza, ricorrendo, a seconda della dimensione organizzativa e del numero di dipendenti, ad un interpello interno finalizzato a verificare l’eventuale contestuale interesse alla mobilità di altri dipendenti da sottoporre a valutazione (può essere semplicemente un’email destinata ai lavoratori appartenenti alla medesima categoria e profilo professionale oggetto della mobilità in parola).

Non è necessario che l’ente si doti di apposita regolamentazione in materia, potendo far riferimento ai comportamenti e/o regole già in uso per la mobilità, dato che l’esigenza rimane quella di individuare, nell’ambito del personale delle pubbliche Amministrazioni, il soggetto più idoneo per titoli e competenze possedute (non è mai una graduatoria), alla copertura della posizione di lavoro interessata, in risposta comunque al criterio di buon andamento dell’azione amministrativa. In tale direzione si pone la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica n. 002506P - 4.17.1.7.4 del 27.03.2015 che, in relazione alla mobilità per interscambio, ha affermato che la mobilità di che trattasi vada ricondotta nel contesto dell’articolo 30 del decreto legislativo 165/2001, ribadendo la possibilità di prescindere dall’adozione di pubblici avvisi.

L’articolo 30 del citato decreto legislativo 165/2001, novellato dall’articolo 4 del decreto-legge n. 90 del 24/06/2014, convertito in Legge 114/2014, prevede, tra l’altro che le Amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti di cui all’articolo 2, comma 2, appartenenti ad una qualifica corrispondente ed in servizio presso altra Amministrazione che facciano domanda di trasferimento, previo assenso dell'Amministrazione di appartenenza. Il Dipartimento della Funzione Pubblica ha quindi confermato la compatibilità di tale norma con la nuova disciplina dell’articolo 30 del decreto legislativo 165/2001 richiamando solamente le Amministrazioni ai principi di imparzialità e trasparenza verso eventuali contro interessati.

A conclusione della trattazione di questo istituto si ritiene opportuno evidenziare l’utilità della mobilità per interscambio, in quanto tale strumento si pone nell’ottica di migliorare la razionalizzazione delle risorse ed il miglioramento dell’efficienza, principi previsti proprio dal testo unico del pubblico impiego. L’interscambio rappresenta, infatti, un ottimo sistema per coniugare le proprie esigenze personali e professionali con quelle dell’Amministrazione che non viene privata di alcuna unità lavorativa. Questo è uno dei motivi cardini per cui una pratica di mobilità compensativa ha maggiori probabilità di successo rispetto alla mobilità volontaria, proprio perché non si pone in antinomia né con l’articolo 14 della legge n. 26/2019 di conversione del decreto-legge 4/2019 (su reddito di cittadinanza e quota 100) che ha introdotto una novità rilevante per la gestione del personale alle dipendenze di Regioni ed Enti locali ai sensi del quale “i vincitori dei concorsi banditi dalle regioni e dagli enti locali, anche se sprovvisti di articolazione territoriale, sono tenuti a permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni”.

Tale disposizione che costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi è di evidente stretta somiglianza con quella contenuta, da ben prima, nel comma 5-bis, dell’articolo 35 del decreto legislativo 165/2001: “I vincitori dei concorsi devono permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni”.

Non può, infine, sottacersi che dallo scambio di sedi lavorative tra i lavoratori a trarne benefici sono sia l’Amministrazione, che acquisisce risorse lavorative vicine al suo territorio conseguendo il miglioramento della perfomance organizzativa, che i dipendenti stessi i quali riducono i tempi di attesa per raggiungere il posto di lavoro.

  1. Il personale, in Sabino Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, I, Milano, 2003, p. 520 ss.
  2. N. Falcone – Il nuovo contratto dei dipendenti degli Enti locali – Halley Informatica – Marzo 2004
  3. M. Garattoni – Comando, distacco e altri strumenti di mobilità temporanea nel pubblico impiego tra organizzazione ed esigenze di flessibilità, in Lav. pubbl. amm., 2006, p. 845 ss.
  4. A. Bianco – Contrattazione, controlli, responsabilità – Maggioli Editore – Novembre 2016.
  5. L. Cosco – Guida Normativa 2022 – Parte Dodicesima Personale degli enti locali: ordinamento giuridico ed economico.
  6. Stefania Piras – La mobilità del personale alla luce delle recenti evoluzioni normative.
  7. S. Dota – A. Bultrini – Quaderno ANCI n. 34, Maggio2022 – Il Reclutamento del Personale e gli Incarichi Professionali. Procedure Ordinarie e Speciali per l’attuazione del PNRR.