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Il rapporto Stato-Regioni-Enti locali impone una contro-riforma del Titolo V della Costituzione

Nota a Corte Costituzionale, Sentenza 10 ottobre 2012, n. 234

Nel contesto dei tumultuosi cambiamenti che interessano tutti i sotto-sistemi della società, le Istituzioni private e pubbliche non possono che subire il medesimo travaglio. Le esigenze di contrazione frettolosa della spesa pubblica, mentre hanno contribuito ad impoverire i contribuenti non solo italiani, hanno fatto emergere, con traumatica evidenza, le patologie di cui è affetto il nostro sistema pubblico. Tra i tanti "acciacchi" individuati, vi è anche quello del modello statale fin qui costruito dall’unità d’Italia a oggi, con particolare riferimento al cosiddetto “pulviscolo istituzionale” generato dall’esasperato "policentrismo italiano". Troppi centri decisionali e troppe occasioni di spesa pubblica hanno ingessato un sistema che, al contrario, avrebbe dovuto rappresentare il vantaggio competitivo di un Paese che ha l’ambizione di mantenere la propria posizione tra le grandi economie del mondo.

E poiché tra i neo istituzionalisti è noto che la complessità delle regole democratiche interagisce negativamente sui processi di sviluppo di un Paese, causando ingiustificati costi di transazione, diseconomie ed esternalità negative, anche se tardivamente, la nostra classe politica e di governo si è resa conto che nell’agenda politica vanno inserite in fretta proposte di modifica del sistema pubblico, a cominciare dalla riforma della riforma (rectius, controriforma) del Titolo V della Costituzione.

Il contenzioso che ha curato con puntualità ed instancabile senso dello Stato la Corte Costituzionale in questo decennio di vita del nuovo Titolo V è sotto gli occhi di tutti. Tra Regioni e Stato i conflitti sono costanti e non sempre riconducibili a cause più propriamente politiche. Numerosi sono i casi di contenziosi promossi da governi di Regioni e Stato aventi la medesima collocazione politica. Da qui la convinzione che i problemi generati da quest’ultima riforma della Costituzione in senso federale sono tutt’altro che infondati.

Non sono immuni da questo perenne contenzioso le Regioni ad autonomia differenziata i cui Statuti andrebbero aggiornati e resi coerenti sia con le nuove esigenze di coordinamento della spesa pubblica derivanti dagli impegni assunti dallo Stato con l’Unione Europea che con le nuove disposizioni costituzionali in materia di pareggio del bilancio.

In attesa di conoscere i contenuti dell’annunciata contro-riforma del Titolo V della Costituzione, che coinvolge anche le Regioni a Statuto speciale, il Giudice delle leggi continua a dirimere controversie tra Stato e Regioni. L’ultima sentenza in ordine di tempo, la n. 234 del 10/10/2012, è stata emessa dalla Corte su specifica richiesta della Regione Siciliana, ritenutasi lesa nelle sue prerogative statutarie dal D.lgs. n. 159/2011 recante norme in materia di antimafia e misure di prevenzione.

Le disposizioni impugnate dalla Regione Siciliana concernono il procedimento di assegnazione dei beni di confisca definitiva di prevenzione. L’art. 45, comma 1, del citato D.lgs. n. 159/2011 stabilisce che i beni assoggettati a confisca sono acquisiti al patrimonio dello Stato ed ivi mantenuti, ovvero trasferiti al patrimonio del Comune, della Provincia o della Regione (art. 48, comma 3), con provvedimento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. La Regione Siciliana si duole del fatto che tali beni, ai sensi dell’art. 33, comma 2, dello Statuto, dovrebbero essere annoverati tra quelli riservati al patrimonio indisponibile regionale alla stregua dei beni culturali, delle miniere, delle cave e delle torbiere.

La Corte Costituzionale ritiene invece infondata la tesi della Regione Siciliana, richiamando il principio secondo cui l’assegnazione di una categoria di beni al patrimonio regionale viene compiuta “in relazione alle funzioni pubbliche attribuite dalle norme costituzionali alla Regione”, così da costituire un “legame beni-funzioni”, che ponga i primi in rapporto di strumentalità con le seconde. Le funzioni pubbliche sottese alla cura di tali interessi non risultano essere di competenza della Regione né tale attribuzione è ricavabile dalla lettura dell’art. 33 dello Statuto. Su questo piano, la Corte ha già avuto modo di affermare che la normativa concernente gli effetti della confisca definitiva a titolo di misura di prevenzione attiene alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, anche con riferimento all’assegnazione dei beni e alle funzioni di vigilanza sulla corretta utilizzazione di essi da parte degli enti assegnatari.

In sostanza, la Regione Siciliana può pretendere di governare le vicende acquisitive dei beni i cui interessi pubblici sono espressamente assegnati da norme di rango costituzionale alla propria cura e non anche quelli la cui particolare vicenda traslativa attiene l’esercizio di funzioni proprie del sistema statale. Di conseguenza, anche l’eccepita violazione del principio di leale collaborazione fra le Istituzione di cui all’art. 120 della Costituzione è infondato, atteso che ricadendo la disposizione impugnata in un ambito materiale riservato alla potestà legislativa esclusiva statale, viene meno l’obbligo di istituire meccanismi concertativi tra Stato e Regione, “giacché, essi vanno, in linea di principio, necessariamente previsti solo quando via sia concorrenza di competenze nazionali e regionali, ove non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri” (Corte Cost. sentenze nn. 88/2009 e 219/2005).

Strettamente connessa è infine la questione dell’ipotesi di esercizio del potere sostitutivo dello Stato nei confronti degli enti assegnatari del beni confiscati, infatti essendo lo Stato competente esclusivo in detta materia, ben può attivare il potere sostitutivo, certamente estraneo all’ambito applicativo dell’art. 120, comma 2, Cost., “al fine di evitare che l’esercizio di tale funzione possa venire paralizzato dall’inerzia di quest’ultimo, così compromettendo un interesse assegnato alla sfera di competenza statale”.

In disparte la questione giuridica, risolta facilmente dalla Corte Costituzionale, non si può non evidenziare in questa sede l’inopportunità del ricorso avanzato dalla Regione Siciliana in una materia in cui la medesima Amministrazione non sembra avere la coscienza a posto. Numerosi sono stati infatti i servizi del TG satirico “Striscia la notizia” in cui sono stati evidenziati casi di maladministration nelle assegnazioni dei beni confiscati alla mafia.

L’autonomia, prima ancora di essere rivendicata giuridicamente, andrebbe praticata attraverso comportamenti inequivocabilmente protesi al trasparente raggiungimento dell’interesse pubblico delle comunità locali.

Nel contesto dei tumultuosi cambiamenti che interessano tutti i sotto-sistemi della società, le Istituzioni private e pubbliche non possono che subire il medesimo travaglio. Le esigenze di contrazione frettolosa della spesa pubblica, mentre hanno contribuito ad impoverire i contribuenti non solo italiani, hanno fatto emergere, con traumatica evidenza, le patologie di cui è affetto il nostro sistema pubblico. Tra i tanti "acciacchi" individuati, vi è anche quello del modello statale fin qui costruito dall’unità d’Italia a oggi, con particolare riferimento al cosiddetto “pulviscolo istituzionale” generato dall’esasperato "policentrismo italiano". Troppi centri decisionali e troppe occasioni di spesa pubblica hanno ingessato un sistema che, al contrario, avrebbe dovuto rappresentare il vantaggio competitivo di un Paese che ha l’ambizione di mantenere la propria posizione tra le grandi economie del mondo.

E poiché tra i neo istituzionalisti è noto che la complessità delle regole democratiche interagisce negativamente sui processi di sviluppo di un Paese, causando ingiustificati costi di transazione, diseconomie ed esternalità negative, anche se tardivamente, la nostra classe politica e di governo si è resa conto che nell’agenda politica vanno inserite in fretta proposte di modifica del sistema pubblico, a cominciare dalla riforma della riforma (rectius, controriforma) del Titolo V della Costituzione.

Il contenzioso che ha curato con puntualità ed instancabile senso dello Stato la Corte Costituzionale in questo decennio di vita del nuovo Titolo V è sotto gli occhi di tutti. Tra Regioni e Stato i conflitti sono costanti e non sempre riconducibili a cause più propriamente politiche. Numerosi sono i casi di contenziosi promossi da governi di Regioni e Stato aventi la medesima collocazione politica. Da qui la convinzione che i problemi generati da quest’ultima riforma della Costituzione in senso federale sono tutt’altro che infondati.

Non sono immuni da questo perenne contenzioso le Regioni ad autonomia differenziata i cui Statuti andrebbero aggiornati e resi coerenti sia con le nuove esigenze di coordinamento della spesa pubblica derivanti dagli impegni assunti dallo Stato con l’Unione Europea che con le nuove disposizioni costituzionali in materia di pareggio del bilancio.

In attesa di conoscere i contenuti dell’annunciata contro-riforma del Titolo V della Costituzione, che coinvolge anche le Regioni a Statuto speciale, il Giudice delle leggi continua a dirimere controversie tra Stato e Regioni. L’ultima sentenza in ordine di tempo, la n. 234 del 10/10/2012, è stata emessa dalla Corte su specifica richiesta della Regione Siciliana, ritenutasi lesa nelle sue prerogative statutarie dal D.lgs. n. 159/2011 recante norme in materia di antimafia e misure di prevenzione.

Le disposizioni impugnate dalla Regione Siciliana concernono il procedimento di assegnazione dei beni di confisca definitiva di prevenzione. L’art. 45, comma 1, del citato D.lgs. n. 159/2011 stabilisce che i beni assoggettati a confisca sono acquisiti al patrimonio dello Stato ed ivi mantenuti, ovvero trasferiti al patrimonio del Comune, della Provincia o della Regione (art. 48, comma 3), con provvedimento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. La Regione Siciliana si duole del fatto che tali beni, ai sensi dell’art. 33, comma 2, dello Statuto, dovrebbero essere annoverati tra quelli riservati al patrimonio indisponibile regionale alla stregua dei beni culturali, delle miniere, delle cave e delle torbiere.

La Corte Costituzionale ritiene invece infondata la tesi della Regione Siciliana, richiamando il principio secondo cui l’assegnazione di una categoria di beni al patrimonio regionale viene compiuta “in relazione alle funzioni pubbliche attribuite dalle norme costituzionali alla Regione”, così da costituire un “legame beni-funzioni”, che ponga i primi in rapporto di strumentalità con le seconde. Le funzioni pubbliche sottese alla cura di tali interessi non risultano essere di competenza della Regione né tale attribuzione è ricavabile dalla lettura dell’art. 33 dello Statuto. Su questo piano, la Corte ha già avuto modo di affermare che la normativa concernente gli effetti della confisca definitiva a titolo di misura di prevenzione attiene alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, anche con riferimento all’assegnazione dei beni e alle funzioni di vigilanza sulla corretta utilizzazione di essi da parte degli enti assegnatari.

In sostanza, la Regione Siciliana può pretendere di governare le vicende acquisitive dei beni i cui interessi pubblici sono espressamente assegnati da norme di rango costituzionale alla propria cura e non anche quelli la cui particolare vicenda traslativa attiene l’esercizio di funzioni proprie del sistema statale. Di conseguenza, anche l’eccepita violazione del principio di leale collaborazione fra le Istituzione di cui all’art. 120 della Costituzione è infondato, atteso che ricadendo la disposizione impugnata in un ambito materiale riservato alla potestà legislativa esclusiva statale, viene meno l’obbligo di istituire meccanismi concertativi tra Stato e Regione, “giacché, essi vanno, in linea di principio, necessariamente previsti solo quando via sia concorrenza di competenze nazionali e regionali, ove non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri” (Corte Cost. sentenze nn. 88/2009 e 219/2005).

Strettamente connessa è infine la questione dell’ipotesi di esercizio del potere sostitutivo dello Stato nei confronti degli enti assegnatari del beni confiscati, infatti essendo lo Stato competente esclusivo in detta materia, ben può attivare il potere sostitutivo, certamente estraneo all’ambito applicativo dell’art. 120, comma 2, Cost., “al fine di evitare che l’esercizio di tale funzione possa venire paralizzato dall’inerzia di quest’ultimo, così compromettendo un interesse assegnato alla sfera di competenza statale”.

In disparte la questione giuridica, risolta facilmente dalla Corte Costituzionale, non si può non evidenziare in questa sede l’inopportunità del ricorso avanzato dalla Regione Siciliana in una materia in cui la medesima Amministrazione non sembra avere la coscienza a posto. Numerosi sono stati infatti i servizi del TG satirico “Striscia la notizia” in cui sono stati evidenziati casi di maladministration nelle assegnazioni dei beni confiscati alla mafia.

L’autonomia, prima ancora di essere rivendicata giuridicamente, andrebbe praticata attraverso comportamenti inequivocabilmente protesi al trasparente raggiungimento dell’interesse pubblico delle comunità locali.