Il ruolo dei senatori a vita nella votazione della fiducia al governo
Prendendo a prestito quanto scritto in un manuale universitario di diritto costituzionale (Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, IV ediz., Torino 1979, pag. 758 e ss.) in riferimento ai criteri che il Presidente della Repubblica deve utilizzare nel conferimento dell’incarico di Presidente del Consiglio, leggiamo che obiettivo del Capo delle Stato è la costituzione di un Governo che dia la più probabile sicurezza di godere della fiducia parlamentare: in altre parole, un Esecutivo stabile, duraturo e funzionale.
Quando l’autore scrisse tali affermazioni, il sistema elettorale italiano era retto dai principi del "proporzionale con quoziente corretto" alla Camera dei deputati e "misto maggioritario (peraltro temperato dalla pluricollegialità uninominale) e proporzionale" al Senato della Repubblica, disciplinati rispettivamente dal testo originario del T.U. 30.3.1957, n. 361 e dalla legge 6.2.1948, n. 29.
Il principio in buona sostanza proporzionale di tale leggi (tale da rendere estremamente difficile l’attribuzione della maggioranza assoluta a qualunque coalizione di partiti) costringeva il Presidente della Repubblica ad una scelta fra diverse possibili maggioranze e formule di governo affidandosi - citiamo ancora il Lavagna - a "quella formula che assicuri l’idem sentire de Republica, cioè l’armonia delle varie componenti della maggioranza di appoggio sui punti essenziali di un programma, aperto, se possibile, anche alle opposizioni democratiche."
(L’Autore proseguiva affermando anche un altro criterio di valutazione, denominato "delle finalità costituzionali", in virtù del quale "fra un Governo appoggiato da monarchici e neofascisti ed un Governo sostenuto da forze esclusivamente democratiche e repubblicane è indiscutibile che, secondo lo spirito della Costituzione, si debba scegliere il secondo. Così pure, fra un Governo estremamente conservatore e un Governo aperto alle riforme volute dalla Costituzione si dovrebbe ugualmente scegliere il secondo...". Ma questa, più che giuridica, era una valutazione di carattere politico).
Vigente tale sistema, si potrebbe pensare che il ruolo dei senatori a vita fosse decisivo nel caso di una votazione di fiducia ad un Governo avente la maggioranza risicata. Ma se così fosse capitato, per quanto sopra esposto le responsabilità si sarebbero allora dovute cercare altrove: o in capo al Presidente della Repubblica (il quale avrebbe allora sbagliato nella sua valutazione numerica più che politica) o, invece, al Presidente incaricato (il quale, "affondato" dai franchi tiratori o abbandonato da qualche alleato prima ancora di iniziare il proprio cammino, avrebbe allora sbagliato nella sua valutazione politica più che numerica).
2. L’attuale sistema elettorale
L’evoluzione della normativa elettorale italiana giunse poi all’introduzione del bipolarismo nel sistema politico, prevedendo l’elezione di tre quarti delle due Assemblee mediante il criterio maggioritario (leggi nn. 276 e 277 del 4.8.1993). Tale sistema, però, è stato recentemente messo in crisi dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270 la quale ha creato un ibrido di elementi (previsione di collegi plurinominali con liste bloccate – tipica di un sistema maggioritario – unita alla successiva ripartizione dei seggi con criterio proporzionale accompagnata dalla previsione di soglie di sbarramento e di premi di maggioranza) tra loro incoerenti e difficilmente gestibili.
L’ultima novella legislativa ha però introdotto il principio - senza alcun dubbio maggioritario - di attribuire direttamente al Corpo elettorale l’onere di individuare la coalizione meritevole di guidare il Paese per il corso della legislatura (divenendo così il primo e più importante soggetto consultato dal Capo dello Stato, prima ancora del giro di consultazioni che egli effettuerà con le forze politiche per il conferimento dell’incarico di Presidente del Consiglio).
Tale novella, infatti, mediante l’inserimento dell’art. 14-bis nel corpo del testo unico delle leggi elettorali della Camera ha previsto che - prima dell’avvio della campagna elettorale - i partiti o i gruppi politici organizzati che si candidano a governare depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica e parimenti i partiti o i gruppi politici organizzati tra loro collegati in coalizione che si candidano a governare depositano un unico programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come unico capo della coalizione.
Ecco che allora il corpo elettorale è chiamata ad individuare la coalizione la quale, in quanto vincente, avrà il diritto e l’onere di governare l’Italia, così come il leader di essa, non a caso definito "unico": da tale disposto consegue per il Capo dello Stato il vincolo, se non giuridico certamente politico, di attenersi a tale indicazione in sede di conferimento dell’incarico per Palazzo Chigi. La legge n. 270/2005 afferma così l’assoluta non distinzione tra la figura del capo del Governo e quella del leader della maggioranza: il futuro ci dirà se tale disposto normativo manterrà tale interpretazione oppure se si cederà alle lusinghe di una politica di governo giocata non solo nei saloni di Palazzo Chigi ma anche nelle stanze delle segreterie di partito.
3. Il voto di fiducia del 19 maggio 2006
Il 9 e 10 aprile 2006 il corpo elettorale italiano ha conferito, nel rispetto della legge 270/2005, alla coalizione guidata dall’on. Prodi il mandato di guidare l’Italia; il Presidente della Repubblica - dopo le consultazioni di rito - ha verificato la volontà dell’<unico capo della coalizione> e dei suoi alleati di far fronte a tale impegno. Con tale normativa vigente, quale il ruolo giocato dai senatori a vita in occasione della votazione per la fiducia al nuovo Governo?
Il plenum del Senato è di 322 senatori (315 eletti e 7 a vita) mentre la maggioranza dei voti viene computata in base ai presenti (e non in base ai votanti, come invece alla camera dei Deputati).
Quel 19 maggio 2006 i senatori presenti sono stati 321, con conseguente maggioranza di 161 voti. E’ ben vero che grazie ai senatori a vita il Governo Prodi di voti ne ha ricevuti 165 (anziché 158 se detti senatori fossero usciti dall’Aula prima del voto), ma è altrettanto vero che l’opposizione di voti ne ha raccolti solo 155. Diverso sarebbe stato se i senatori a vita, rimanendo nell’Aula, si fossero astenuti: il quorum sarebbe rimasto comunque fermo a 161 voti, ma i voti di fiducia al Governo, pur se superiori a quelli dell’opposizione (158 contro 155), non sarebbero bastati (158 contro 161) per passare l’esame del Senato.
Ecco che allora i senatori a vita - proprio per non giocare un ruolo politico a loro non consentito dalla mancata investitura popolare - non si sono astenuti ma hanno votato a favore della coalizione già designata dal corpo elettorale. Lo hanno fatto tutti e sette (compreso chi pochi giorni prima era stato il campione dell’opposizione per la carica di Presidente del Senato) proprio per rispetto della volontà espressa dalla maggioranza degli elettori. Quello che hanno fatto i senatori a vita è stata molto saggio: di tale saggezza e del rispetto da essi dimostrato dobbiamo essere grati.
Prendendo a prestito quanto scritto in un manuale universitario di diritto costituzionale (Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, IV ediz., Torino 1979, pag. 758 e ss.) in riferimento ai criteri che il Presidente della Repubblica deve utilizzare nel conferimento dell’incarico di Presidente del Consiglio, leggiamo che obiettivo del Capo delle Stato è la costituzione di un Governo che dia la più probabile sicurezza di godere della fiducia parlamentare: in altre parole, un Esecutivo stabile, duraturo e funzionale.
Quando l’autore scrisse tali affermazioni, il sistema elettorale italiano era retto dai principi del "proporzionale con quoziente corretto" alla Camera dei deputati e "misto maggioritario (peraltro temperato dalla pluricollegialità uninominale) e proporzionale" al Senato della Repubblica, disciplinati rispettivamente dal testo originario del T.U. 30.3.1957, n. 361 e dalla legge 6.2.1948, n. 29.
Il principio in buona sostanza proporzionale di tale leggi (tale da rendere estremamente difficile l’attribuzione della maggioranza assoluta a qualunque coalizione di partiti) costringeva il Presidente della Repubblica ad una scelta fra diverse possibili maggioranze e formule di governo affidandosi - citiamo ancora il Lavagna - a "quella formula che assicuri l’idem sentire de Republica, cioè l’armonia delle varie componenti della maggioranza di appoggio sui punti essenziali di un programma, aperto, se possibile, anche alle opposizioni democratiche."
(L’Autore proseguiva affermando anche un altro criterio di valutazione, denominato "delle finalità costituzionali", in virtù del quale "fra un Governo appoggiato da monarchici e neofascisti ed un Governo sostenuto da forze esclusivamente democratiche e repubblicane è indiscutibile che, secondo lo spirito della Costituzione, si debba scegliere il secondo. Così pure, fra un Governo estremamente conservatore e un Governo aperto alle riforme volute dalla Costituzione si dovrebbe ugualmente scegliere il secondo...". Ma questa, più che giuridica, era una valutazione di carattere politico).
Vigente tale sistema, si potrebbe pensare che il ruolo dei senatori a vita fosse decisivo nel caso di una votazione di fiducia ad un Governo avente la maggioranza risicata. Ma se così fosse capitato, per quanto sopra esposto le responsabilità si sarebbero allora dovute cercare altrove: o in capo al Presidente della Repubblica (il quale avrebbe allora sbagliato nella sua valutazione numerica più che politica) o, invece, al Presidente incaricato (il quale, "affondato" dai franchi tiratori o abbandonato da qualche alleato prima ancora di iniziare il proprio cammino, avrebbe allora sbagliato nella sua valutazione politica più che numerica).
2. L’attuale sistema elettorale
L’evoluzione della normativa elettorale italiana giunse poi all’introduzione del bipolarismo nel sistema politico, prevedendo l’elezione di tre quarti delle due Assemblee mediante il criterio maggioritario (leggi nn. 276 e 277 del 4.8.1993). Tale sistema, però, è stato recentemente messo in crisi dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270 la quale ha creato un ibrido di elementi (previsione di collegi plurinominali con liste bloccate – tipica di un sistema maggioritario – unita alla successiva ripartizione dei seggi con criterio proporzionale accompagnata dalla previsione di soglie di sbarramento e di premi di maggioranza) tra loro incoerenti e difficilmente gestibili.
L’ultima novella legislativa ha però introdotto il principio - senza alcun dubbio maggioritario - di attribuire direttamente al Corpo elettorale l’onere di individuare la coalizione meritevole di guidare il Paese per il corso della legislatura (divenendo così il primo e più importante soggetto consultato dal Capo dello Stato, prima ancora del giro di consultazioni che egli effettuerà con le forze politiche per il conferimento dell’incarico di Presidente del Consiglio). >1. La normativa elettorale previgente
Prendendo a prestito quanto scritto in un manuale universitario di diritto costituzionale (Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, IV ediz., Torino 1979, pag. 758 e ss.) in riferimento ai criteri che il Presidente della Repubblica deve utilizzare nel conferimento dell’incarico di Presidente del Consiglio, leggiamo che obiettivo del Capo delle Stato è la costituzione di un Governo che dia la più probabile sicurezza di godere della fiducia parlamentare: in altre parole, un Esecutivo stabile, duraturo e funzionale.
Quando l’autore scrisse tali affermazioni, il sistema elettorale italiano era retto dai principi del "proporzionale con quoziente corretto" alla Camera dei deputati e "misto maggioritario (peraltro temperato dalla pluricollegialità uninominale) e proporzionale" al Senato della Repubblica, disciplinati rispettivamente dal testo originario del T.U. 30.3.1957, n. 361 e dalla legge 6.2.1948, n. 29.
Il principio in buona sostanza proporzionale di tale leggi (tale da rendere estremamente difficile l’attribuzione della maggioranza assoluta a qualunque coalizione di partiti) costringeva il Presidente della Repubblica ad una scelta fra diverse possibili maggioranze e formule di governo affidandosi - citiamo ancora il Lavagna - a "quella formula che assicuri l’idem sentire de Republica, cioè l’armonia delle varie componenti della maggioranza di appoggio sui punti essenziali di un programma, aperto, se possibile, anche alle opposizioni democratiche."
(L’Autore proseguiva affermando anche un altro criterio di valutazione, denominato "delle finalità costituzionali", in virtù del quale "fra un Governo appoggiato da monarchici e neofascisti ed un Governo sostenuto da forze esclusivamente democratiche e repubblicane è indiscutibile che, secondo lo spirito della Costituzione, si debba scegliere il secondo. Così pure, fra un Governo estremamente conservatore e un Governo aperto alle riforme volute dalla Costituzione si dovrebbe ugualmente scegliere il secondo...". Ma questa, più che giuridica, era una valutazione di carattere politico).
Vigente tale sistema, si potrebbe pensare che il ruolo dei senatori a vita fosse decisivo nel caso di una votazione di fiducia ad un Governo avente la maggioranza risicata. Ma se così fosse capitato, per quanto sopra esposto le responsabilità si sarebbero allora dovute cercare altrove: o in capo al Presidente della Repubblica (il quale avrebbe allora sbagliato nella sua valutazione numerica più che politica) o, invece, al Presidente incaricato (il quale, "affondato" dai franchi tiratori o abbandonato da qualche alleato prima ancora di iniziare il proprio cammino, avrebbe allora sbagliato nella sua valutazione politica più che numerica).
2. L’attuale sistema elettorale
L’evoluzione della normativa elettorale italiana giunse poi all’introduzione del bipolarismo nel sistema politico, prevedendo l’elezione di tre quarti delle due Assemblee mediante il criterio maggioritario (leggi nn. 276 e 277 del 4.8.1993). Tale sistema, però, è stato recentemente messo in crisi dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270 la quale ha creato un ibrido di elementi (previsione di collegi plurinominali con liste bloccate – tipica di un sistema maggioritario – unita alla successiva ripartizione dei seggi con criterio proporzionale accompagnata dalla previsione di soglie di sbarramento e di premi di maggioranza) tra loro incoerenti e difficilmente gestibili.
L’ultima novella legislativa ha però introdotto il principio - senza alcun dubbio maggioritario - di attribuire direttamente al Corpo elettorale l’onere di individuare la coalizione meritevole di guidare il Paese per il corso della legislatura (divenendo così il primo e più importante soggetto consultato dal Capo dello Stato, prima ancora del giro di consultazioni che egli effettuerà con le forze politiche per il conferimento dell’incarico di Presidente del Consiglio).
Tale novella, infatti, mediante l’inserimento dell’art. 14-bis nel corpo del testo unico delle leggi elettorali della Camera ha previsto che - prima dell’avvio della campagna elettorale - i partiti o i gruppi politici organizzati che si candidano a governare depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica e parimenti i partiti o i gruppi politici organizzati tra loro collegati in coalizione che si candidano a governare depositano un unico programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come unico capo della coalizione.
Ecco che allora il corpo elettorale è chiamata ad individuare la coalizione la quale, in quanto vincente, avrà il diritto e l’onere di governare l’Italia, così come il leader di essa, non a caso definito "unico": da tale disposto consegue per il Capo dello Stato il vincolo, se non giuridico certamente politico, di attenersi a tale indicazione in sede di conferimento dell’incarico per Palazzo Chigi. La legge n. 270/2005 afferma così l’assoluta non distinzione tra la figura del capo del Governo e quella del leader della maggioranza: il futuro ci dirà se tale disposto normativo manterrà tale interpretazione oppure se si cederà alle lusinghe di una politica di governo giocata non solo nei saloni di Palazzo Chigi ma anche nelle stanze delle segreterie di partito.
3. Il voto di fiducia del 19 maggio 2006
Il 9 e 10 aprile 2006 il corpo elettorale italiano ha conferito, nel rispetto della legge 270/2005, alla coalizione guidata dall’on. Prodi il mandato di guidare l’Italia; il Presidente della Repubblica - dopo le consultazioni di rito - ha verificato la volontà dell’<unico capo della coalizione> e dei suoi alleati di far fronte a tale impegno. Con tale normativa vigente, quale il ruolo giocato dai senatori a vita in occasione della votazione per la fiducia al nuovo Governo?
Il plenum del Senato è di 322 senatori (315 eletti e 7 a vita) mentre la maggioranza dei voti viene computata in base ai presenti (e non in base ai votanti, come invece alla camera dei Deputati).
Quel 19 maggio 2006 i senatori presenti sono stati 321, con conseguente maggioranza di 161 voti. E’ ben vero che grazie ai senatori a vita il Governo Prodi di voti ne ha ricevuti 165 (anziché 158 se detti senatori fossero usciti dall’Aula prima del voto), ma è altrettanto vero che l’opposizione di voti ne ha raccolti solo 155. Diverso sarebbe stato se i senatori a vita, rimanendo nell’Aula, si fossero astenuti: il quorum sarebbe rimasto comunque fermo a 161 voti, ma i voti di fiducia al Governo, pur se superiori a quelli dell’opposizione (158 contro 155), non sarebbero bastati (158 contro 161) per passare l’esame del Senato.
Ecco che allora i senatori a vita - proprio per non giocare un ruolo politico a loro non consentito dalla mancata investitura popolare - non si sono astenuti ma hanno votato a favore della coalizione già designata dal corpo elettorale. Lo hanno fatto tutti e sette (compreso chi pochi giorni prima era stato il campione dell’opposizione per la carica di Presidente del Senato) proprio per rispetto della volontà espressa dalla maggioranza degli elettori. Quello che hanno fatto i senatori a vita è stata molto saggio: di tale saggezza e del rispetto da essi dimostrato dobbiamo essere grati.