Impronte papillari: tra rilievi e accertamenti tecnici irripetibili
Abbiamo già avuto modo di parlare di impronte digitali, tra fisiologia, valore probatorio e contraddizioni in termini di giurisprudenza di merito e di legittimità.
In effetti, ancora oggi, nonostante siamo quotidianamente bombardati da più o meno esperiti del crimine, la giurisprudenza è altalenante tanto da non avere chiarito e convinto, quando ci si trova innanzi ad un mero rilievo di polizia giudiziaria o piuttosto ad un accertamento tecnico di natura irripetibile.
Il primo intervento della polizia giudiziaria, in un contesto dove si è consumato un crimine, posa le sue radici nell’articolo 354 del Codice di Procedura Penale il quale testualmente recita:
1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria curano che le tracce e le cose pertinenti al reato [253 1] siano conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell’intervento del pubblico ministero.
2. Se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi indicati nel comma 1 si alterino o si disperdano o comunque si modifichino e il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente, ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini, gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose. Se del caso, sequestrano il corpo del reato e le cose a questo pertinenti [att.113].
3. Se ricorrono i presupposti previsti dal comma 2, gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sulle persone diversi dalla ispezione personale [245].
Ma cosa si intende concretamente per rilievi e quali sono le metodiche utilizzate o da impiegare affinché si resti in quell’alveo, senza sforare in accertamenti tecnici che richiedano l’intervento e l’autorizzazione del Pubblico Ministero?
Rilevare vuol dire sollevare, alzare, verificare sul posto quali possano essere gli elementi utili all’attività di indagine e quali ritenuti opportuni per poter essere acquisiti e considerati reperti su cui, potenzialmente, applicare anche tecniche sofisticate da laboratorio, ovvero un accertamento tecnico anche di natura irripetibile, idoneo esso stesso a modificare il reperto.
Bene, è evidente che la ricerca di impronte digitali sulla scena del crimine con l’uso di sostanze chimiche quali il cioanoacrilato, la ninidrina o piuttosto il dfo non pare possano assurgere a funzione di rilievo, ma piuttosto di puro accertamento tecnico, peraltro irripetibile.
Non dello stesso avviso la Corte di Cassazione Penale, Sezione Sesta, Sentenza 6 marzo 2013, n. 10350, che ha ritenuto un’impronta latente, evidenziata con l’uso del cianoacrilato, un rilievo ex articolo 354 del Codice di Procedura Penale, e non un accertamento irripetibile, assoggettato all’istituto della consulenza tecnica e delle disposizioni contenute nell’articolo 360 del Codice di Procedura Penale il quale dispone:
1. Quando gli accertamenti previsti dall’ articolo 359 riguardano persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione, il pubblico ministero avvisa, senza ritardo, la persona sottoposta alle indagini [61], la persona offesa [90] dal reato e i difensori del giorno, dell’ora e del luogo fissati per il conferimento dell’incarico e della facoltà di nominare consulenti tecnici [225, 233].
2. Si applicano le disposizioni dell’articolo 364 comma 2.
3. I difensori nonché i consulenti tecnici eventualmente nominati hanno diritto di assistere al conferimento dell’incarico, di partecipare agli accertamenti e di formulare osservazioni e riserve.
4. Qualora, prima del conferimento dell’incarico, la persona sottoposta alle indagini formuli riserva di promuovere incidente probatorio 392, il pubblico ministero dispone che non si proceda agli accertamenti salvo che questi, se differiti, non possano più essere utilmente compiuti .
5. Se il pubblico ministero, malgrado l’espressa riserva formulata dalla persona sottoposta alle indagini e pur non sussistendo le condizioni indicate nell’ultima parte del comma 4, ha ugualmente disposto di procedere agli accertamenti, i relativi risultati non possono essere utilizzati nel dibattimento [191 431 1 lett. c,511]
Dunque, secondo quella Corte di Cassazione l’uso di sostanze chimiche quali il cianoacrilato o più semplicemente nel linguaggio comune la colla attak è da intendersi rilievo tecnico e non accertamento irripetibile.
Questa argomentazione, con il dovuto rispetto, non è condivisibile e si discosta dalla definizione di cui all’articolo 354 del Codice di Procedura Penale e neppure può sostenersi che, un necessario rilievo vada effettuato con l’utilizzo di sostanze chimiche che per loro stessa natura non solo alterino il reperto, ma di fatto in qualche occasione, quelle, producano effetti anche dopo lunghi periodi di esposizione.
Basti pensare, a titolo esemplificativo, all’evidenziazione di impronte digitali su cartone con l’uso della ninidrina, la cui reazione che avviene in ambiente buio per 24/48 ore di esposizione, in qualche occasione, tardivamente, rispetto al disciplinare ha consentito di far emergere un’impronta latente che giorni prima non era apparsa agli occhi dell’operatore, ribaltando e ponendo indubbio la consulenza tecnica che aveva escluso la presenza di impronte papillari sul reperto in esame.
Il ricorso a tecniche sofisticate, pur importanti e necessarie per l’identificazione dell’autore di un reato, non devono, né possono essere poste in essere senza quelle garanzie difensive previste dal citato articolo 360 Codice di Procedura Penale e dall’articolo 117 delle disposizioni di attuazione.
Il rilievo tecnico, è fondamentale per cristallizzare un fatto reato; la ricerca di elementi utili all’attività scientifica deve essere effettuata con cognizione di causa, raccogliendo quei reperti che secondo l’esperienza dell’operatore, le circostanze di tempo e di luogo, possano essere utili per esami di laboratorio più importanti e che gioco forza, alterino lo stato del reperto proprio dall’uso di elementi chimici che per loro stessa natura, ne modificano anche la forma.
Ancorché, il prevalente orientamento giurisprudenziale, reiteri sull’assunto che anche l’uso di metodiche lontane dall’utilizzo delle polveri per evidenziare impronte papillari altrimenti visibili, sia configurabile come rilievo. Questa tesi, ad avviso dello scrivente, deve essere rivisitata sotto il profilo della legislazione, laddove, si possa definitivamente distinguere l’attività prodromica, ovvero il rilievo sulla scena del crimine dagli accertamenti di laboratorio così da indicare la via maestra per una corretta interpretazione delle attività poste in essere dalla Polizia Giudiziaria, prima, durante e dopo l’intervento del titolare dell’indagine sulla scena di un delitto.
Di accertamento ripetibile, può parlarsi esclusivamente, per quanto attiene alle impronte digitali, di attività tesa alla comparazione tra l’impronta in reperto già fissata e il cartellino fotosegnaletico di confronto.
Tutto quanto attiene, ad avviso dello scrivente, a attività di esaltazione con l’uso di prodotti chimici, trova un limite di fronte all’impossibilità di ripetere l’operazione, vanificando così quel determinato dato contenuto e custodito, pur se latente su di un dato reperto.
Come già ribadito, in altrettanti interventi di questo relatore, la scienza deve supportare il diritto, ma quest’ultimo non può non considerare gli effetti anche nocivi di un uso indiscriminato di agenti chimici che possano distruggere un elemento di prova e contestualmente minare il sacro santo principio costituzionale di cui agli articoli 24 e 111.
Ogni esame, dello stato e dei luoghi che possa determinare una modificazione non può prescindere dall'intervento del Pubblico Ministero che deve preoccuparsi di autorizzare gli accertamenti tecnici irripetibili, così da salvaguardare il legittimo contradditorio tra le parti.
Abbiamo già avuto modo di parlare di impronte digitali, tra fisiologia, valore probatorio e contraddizioni in termini di giurisprudenza di merito e di legittimità.
In effetti, ancora oggi, nonostante siamo quotidianamente bombardati da più o meno esperiti del crimine, la giurisprudenza è altalenante tanto da non avere chiarito e convinto, quando ci si trova innanzi ad un mero rilievo di polizia giudiziaria o piuttosto ad un accertamento tecnico di natura irripetibile.
Il primo intervento della polizia giudiziaria, in un contesto dove si è consumato un crimine, posa le sue radici nell’articolo 354 del Codice di Procedura Penale il quale testualmente recita:
1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria curano che le tracce e le cose pertinenti al reato [253 1] siano conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell’intervento del pubblico ministero.
2. Se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi indicati nel comma 1 si alterino o si disperdano o comunque si modifichino e il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente, ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini, gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose. Se del caso, sequestrano il corpo del reato e le cose a questo pertinenti [att.113].
3. Se ricorrono i presupposti previsti dal comma 2, gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sulle persone diversi dalla ispezione personale [245].
Ma cosa si intende concretamente per rilievi e quali sono le metodiche utilizzate o da impiegare affinché si resti in quell’alveo, senza sforare in accertamenti tecnici che richiedano l’intervento e l’autorizzazione del Pubblico Ministero?
Rilevare vuol dire sollevare, alzare, verificare sul posto quali possano essere gli elementi utili all’attività di indagine e quali ritenuti opportuni per poter essere acquisiti e considerati reperti su cui, potenzialmente, applicare anche tecniche sofisticate da laboratorio, ovvero un accertamento tecnico anche di natura irripetibile, idoneo esso stesso a modificare il reperto.
Bene, è evidente che la ricerca di impronte digitali sulla scena del crimine con l’uso di sostanze chimiche quali il cioanoacrilato, la ninidrina o piuttosto il dfo non pare possano assurgere a funzione di rilievo, ma piuttosto di puro accertamento tecnico, peraltro irripetibile.
Non dello stesso avviso la Corte di Cassazione Penale, Sezione Sesta, Sentenza 6 marzo 2013, n. 10350, che ha ritenuto un’impronta latente, evidenziata con l’uso del cianoacrilato, un rilievo ex articolo 354 del Codice di Procedura Penale, e non un accertamento irripetibile, assoggettato all’istituto della consulenza tecnica e delle disposizioni contenute nell’articolo 360 del Codice di Procedura Penale il quale dispone:
1. Quando gli accertamenti previsti dall’ articolo 359 riguardano persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione, il pubblico ministero avvisa, senza ritardo, la persona sottoposta alle indagini [61], la persona offesa [90] dal reato e i difensori del giorno, dell’ora e del luogo fissati per il conferimento dell’incarico e della facoltà di nominare consulenti tecnici [225, 233].
2. Si applicano le disposizioni dell’articolo 364 comma 2.
3. I difensori nonché i consulenti tecnici eventualmente nominati hanno diritto di assistere al conferimento dell’incarico, di partecipare agli accertamenti e di formulare osservazioni e riserve.
4. Qualora, prima del conferimento dell’incarico, la persona sottoposta alle indagini formuli riserva di promuovere incidente probatorio 392, il pubblico ministero dispone che non si proceda agli accertamenti salvo che questi, se differiti, non possano più essere utilmente compiuti .
5. Se il pubblico ministero, malgrado l’espressa riserva formulata dalla persona sottoposta alle indagini e pur non sussistendo le condizioni indicate nell’ultima parte del comma 4, ha ugualmente disposto di procedere agli accertamenti, i relativi risultati non possono essere utilizzati nel dibattimento [191 431 1 lett. c,511]
Dunque, secondo quella Corte di Cassazione l’uso di sostanze chimiche quali il cianoacrilato o più semplicemente nel linguaggio comune la colla attak è da intendersi rilievo tecnico e non accertamento irripetibile.
Questa argomentazione, con il dovuto rispetto, non è condivisibile e si discosta dalla definizione di cui all’articolo 354 del Codice di Procedura Penale e neppure può sostenersi che, un necessario rilievo vada effettuato con l’utilizzo di sostanze chimiche che per loro stessa natura non solo alterino il reperto, ma di fatto in qualche occasione, quelle, producano effetti anche dopo lunghi periodi di esposizione.
Basti pensare, a titolo esemplificativo, all’evidenziazione di impronte digitali su cartone con l’uso della ninidrina, la cui reazione che avviene in ambiente buio per 24/48 ore di esposizione, in qualche occasione, tardivamente, rispetto al disciplinare ha consentito di far emergere un’impronta latente che giorni prima non era apparsa agli occhi dell’operatore, ribaltando e ponendo indubbio la consulenza tecnica che aveva escluso la presenza di impronte papillari sul reperto in esame.
Il ricorso a tecniche sofisticate, pur importanti e necessarie per l’identificazione dell’autore di un reato, non devono, né possono essere poste in essere senza quelle garanzie difensive previste dal citato articolo 360 Codice di Procedura Penale e dall’articolo 117 delle disposizioni di attuazione.
Il rilievo tecnico, è fondamentale per cristallizzare un fatto reato; la ricerca di elementi utili all’attività scientifica deve essere effettuata con cognizione di causa, raccogliendo quei reperti che secondo l’esperienza dell’operatore, le circostanze di tempo e di luogo, possano essere utili per esami di laboratorio più importanti e che gioco forza, alterino lo stato del reperto proprio dall’uso di elementi chimici che per loro stessa natura, ne modificano anche la forma.
Ancorché, il prevalente orientamento giurisprudenziale, reiteri sull’assunto che anche l’uso di metodiche lontane dall’utilizzo delle polveri per evidenziare impronte papillari altrimenti visibili, sia configurabile come rilievo. Questa tesi, ad avviso dello scrivente, deve essere rivisitata sotto il profilo della legislazione, laddove, si possa definitivamente distinguere l’attività prodromica, ovvero il rilievo sulla scena del crimine dagli accertamenti di laboratorio così da indicare la via maestra per una corretta interpretazione delle attività poste in essere dalla Polizia Giudiziaria, prima, durante e dopo l’intervento del titolare dell’indagine sulla scena di un delitto.
Di accertamento ripetibile, può parlarsi esclusivamente, per quanto attiene alle impronte digitali, di attività tesa alla comparazione tra l’impronta in reperto già fissata e il cartellino fotosegnaletico di confronto.
Tutto quanto attiene, ad avviso dello scrivente, a attività di esaltazione con l’uso di prodotti chimici, trova un limite di fronte all’impossibilità di ripetere l’operazione, vanificando così quel determinato dato contenuto e custodito, pur se latente su di un dato reperto.
Come già ribadito, in altrettanti interventi di questo relatore, la scienza deve supportare il diritto, ma quest’ultimo non può non considerare gli effetti anche nocivi di un uso indiscriminato di agenti chimici che possano distruggere un elemento di prova e contestualmente minare il sacro santo principio costituzionale di cui agli articoli 24 e 111.
Ogni esame, dello stato e dei luoghi che possa determinare una modificazione non può prescindere dall'intervento del Pubblico Ministero che deve preoccuparsi di autorizzare gli accertamenti tecnici irripetibili, così da salvaguardare il legittimo contradditorio tra le parti.