Dima Ciappa e il tavolino dell’impiccato
La sera del 18 marzo 1817, in via Magnocavallo, ai Quartieri Spagnoli, un giovane di bell'aspetto è seduto per strada, su una sedia: è Carlo Capecelatro, appartenente a un'antica famiglia nobile napoletana. Attorno a lui si accalca un capannello di persone: l'uomo è gravemente ferito al ventre. Morirà, infatti, un'ora dopo al posto di guardia, dopo aver dichiarato di non conoscere il suo attentatore.
Sentenza del processo contro Dima Ciappa, Francesco Miranda e Anna Polinino
Le indagini sul delitto partono subito. Si viene a sapere che Capecelatro frequentava una prostituta residente in zona, Fortunata Boccia, e che un orefice, tale Michele Pane, descritto come “giovane inquieto e facinoroso”, teneva costei “ai suoi piaceri”.
Pane, sospettato del delitto, viene immediatamente arrestato. Tuttavia, interrogato più volte, dà conto di tutti i suoi movimenti all’ora del delitto. Ha un alibi perfetto e dopo cinque mesi, in assenza di indizi, viene scarcerato.
Intanto la polizia segue una seconda pista. La sera successiva a quella del delitto, sono tradotte in arresto nel Commissariato di Montecalvario, due persone: Francesco Miranda, 30 anni, parrucchiere, e Anna Polinino, trentatreenne, marito e moglie, napoletani, domiciliati in Vico II Politi n. 25, dove gestiscono un lupanare, proprio nei pressi del luogo in cui Capecelatro era stato ritrovato moribondo.
Supplica di Michele Pane all'uscita dal carcere
I due negano di aver mai conosciuto l'assassinato, sia pure di vista. La sera del 20 marzo 1817, però, Miranda è condotto nelle prigioni di Santa Maria Apparente. Lo perquisiscono e gli trovano addosso due “involti” di monete d'oro: uno contiene sessantasei doppie e un pezzo di quattro ducati, l'altro trentadue doppie e due pezzi di quattro ducati. Gli trovano anche un terzo “involto” di nove ducati in monete d'argento.
Alla domanda circa la provenienza di quella somma cospicua, Miranda risponde che si tratta di denaro suo. La sua dichiarazione, però, non convince. Gli inquirenti stabiliscono che i beni di fortuna del parrucchiere, derivanti dalle attività di lenone e di prestatore di denaro, non sono tali da permettergli di disporre di una liquidità così abbondante.
Intanto un testimone smentisce la deposizione di Miranda: questi conosceva Capecelatro, come attesta uno dei domestici dell'assassinato, che ha visto il sospettato in casa del suo padrone, proprio la mattina del 18 marzo.
Miranda, messo alle strette, fa chiamare il Delegato delle prigioni, Pacifico, e afferma di voler rilasciare una confessione. Prima, però, chiede delle garanzie. Il 26 luglio il ministro di Grazia e Giustizia comunica al Procuratore generale presso la Gran Corte Criminale che il re ha accolto la domanda del detenuto: in cambio di informazioni utili alle indagini, questi potrà confidare nella clemenza sovrana.
Miranda allora parla e, rivela il nome del mandante dell'omicidio di Capecelatro. Si tratta addirittura di un sacerdote, Dima Ciappa, cavaliere cappellano onorario del Reale Ordine Costantiniano.
Di famiglia numerosa, Ciappa aveva fama di ecclesiastico probo e morigerato, il che gli aveva fatto guadagnare uffici e benefici, titoli abbaziali e cappellanie.
Era diventato anche “amico e procuratore di molte vergini religiose”, ossia gestore degli affari di molte monache, che lo stimavano e ne avevano fiducia.
Inoltre, in virtù della sua cultura letteraria, aveva ottenuto un impiego presso il Grande Archivio di Napoli.
Al tempo stesso, però, Ciappa era un usuraio, praticava lo strozzinaggio a danno dei “pensionisti”, religiosi o militari, prestando denaro con interessi che, in pochi giorni, fruttavano fino al cinquanta per cento.
Albero genealogico di Dima Ciappa
Nella sua deposizione Miranda rivela che il cavaliere abate si era invaghito di una prostituta, Peppina Pinto, la quale esercitava presso il bordello gestito da lui stesso e dalla moglie, Anna Polinino, al punto da promettere di tenerla a sue spese in un appartamento privato.
I due lenoni, però, avevano offerto la Pinto a un altro loro cliente, il nobile Carlo Capecelatro, che aveva fatto la medesima proposta di Dima.
Il doppio gioco, però, non era durato molto. Un giorno di metà marzo del 1817, a tarda sera, Capecelatro e Ciappa si erano ritrovati casualmente presso il bordello dove lavorava la Pinto. Avevano quindi cominciato a questionare fra loro, fino ad arrivare quasi alle mani.
In preda allo sdegno, Ciappa aveva giurato di vendicarsi col sangue, a qualsiasi costo, delle offese a lui rivolte da Capecelatro, e aveva chiesto a Miranda di passare da casa sua il giorno dopo.
L'indomani, recatosi da Ciappa, il lenone si era sentito proporre di uccidere Capecelatro in cambio di una forte somma di denaro. L'offerta, in un primo momento rifiutata, era stata accolta il giorno dopo da Miranda, che aveva ricevuto da Ciappa in anticipo il suo compenso per il misfatto, ovvero il denaro che gli era stato trovato addosso.
Così, con la complicità della moglie, il futuro sicario aveva teso una trappola al giovane cavaliere napoletano.
La mattina del 18 marzo 1817 era andato a casa del Capecelatro per invitarlo quella sera stessa presso il bordello, dove lo avrebbe atteso Peppina Pinto.
A tarda sera, Miranda si era posizionato in agguato, in attesa del momento propizio per colpire.
Capecelatro, giunto sulla soglia del lupanare, aveva cominciato tranquillamente a discorrere con la Polinino, partecipe dell'inganno e del delitto. Il marito, piombando all'improvviso alle spalle del giovane aristocratico, gli aveva inferto una prima stilettata all'inguine destro e poi era fuggito.
Capecelatro, barcollante, si era allora avviato con grande sforzo per via Magnocavallo, pregando la Polinino di non abbandonarlo; ma la donna lo aveva seguito, in silenzio, fino all'incrocio con via Santa Maria Ognibene, dove aveva svoltato lasciandolo solo. Proseguendo, la Polinino aveva incontrato il marito, proveniente da vico Congregazione Sette Dolori e lo aveva esortato a portare a termine la terribile impresa. Miranda, infatti, si era acquattato nuovamente nell'oscurità e, quando il malcapitato gli era arrivato vicino, d'un balzo gli aveva inflitto la seconda ferita, mortale.
Il 29 luglio 1817 Dima Ciappa viene arrestato.
Il processo si celebra presso la Gran Corte Criminale di Napoli e, naturalmente, suscita grande scalpore e scandalo.
Le prove raccolte e i testimoni ascoltati confermano la veridicità della deposizione di Miranda, aggiungendo altri particolari scabrosi.
Il 22 maggio 1818 la Corte emette la sentenza: morte per Francesco Miranda, Dima Ciappa e Anna Polinino. I tre vengono anche condannati al pagamento delle spese di giudizio, 76 ducati e 33 grana. Si dispone, poi, la confisca del denaro servito per commettere il misfatto.
I condannati Ciappa e Polinino si avvalgono del ricorso per annullamento, che però viene rigettato dalla Suprema Corte di Giustizia con decisione del 29 luglio 1818.
Con lettera di Giustizia del 9 agosto 1818 la pena di Francesco Miranda è commutata in quella dei ferri perpetui, da espiare in un carcere chiuso nel Forte marittimo.
L'avvocato della Polinino e Dima Ciappa in prima persona inoltrano domanda di grazia. Ma è tutto inutile. I due vengono giustiziati in Castel Capuano l'undici agosto 1818.
Il “tavolino dell'impiccato”
Presso l'Archivio di Stato di Napoli si conserva una dettagliata documentazione sulla vita e sui misfatti del cavaliere abate. Ma si conserva anche il tavolino da lavoro di Dima Ciappa: “Il tavolino dell'impiccato”, additato e tramandato, scrive Benedetto Croce nell'omonimo saggio del 1902, “dall'una all'altra delle tre generazioni di archivisti che si sono succedute da quel tempo nell'ex monastero di Sanseverino”. Croce racconta di aver assistito al battibecco, scherzoso, di due impiegati dell'Archivio che si contendevano quella scrivania: si diceva, infatti, che portasse fortuna.
Per saperne di più:
Documenti
- ASNa, Real Camera di Santa Chiara, Consulte di Stato, b. 330
- ASNa, Real Camera di Santa Chiara, Bozze di consulte, b. 952
- ASNa, Segreteria degli affari ecclesiastici, b. 455, cc. 41r-43r, 215r e v; b. 456, cc. 195v-196r; b. 459, cc. 179v, 239r e v; b. 480, c. 262v; b. 516, c. 292v; b. 523, c. 155v; b. 525, cc. 226v-227r; b. 529, cc. 164v-165r; b. 531, c. 100v; b. 1376, c. 83v; b. 1382, c. 102r; b. 1383, cc. 17v, 271r e v; b. 1416, c. 217v; b. 1120 I, b. 1123 I, b. 1301b. 1548, b. 1581, b. 1588, b. 1595, b. 1901
- ASNa, Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, b. 102, fs. 4
- ASNa, Commissione liquidatrice del debito pubblico, Pensioni francesi, b. 5116, fs. 26
- ASNa, Archivio storico dell'Archivio di Stato di Napoli, Prima serie, fascicolo 4, n. 1
- ASNa, Ministero degli affari interni, I inventario, Grande Archivio, b. 638, f. 20; b. 642, f. 25
- ASNa, Gran Corte Criminale, Sentenze, maggio 1818, b. 64 II
- ASNa, Ministero Grazia e Giustizia, b. 4046
- ASNa Registro Stato Civile Vicaria, Morti, 1818, b. 6614, cc. 488r e v (numeri d’ordine 975 e 976)
Libri
- Conclusioni del Pubblico Ministero presso la Gran Corte Criminale di Napoli rappresentato dal Procurator Generale Carlo Vecchioni nella causa di Francesco Miranda, Dima Ciappa, ed Anna Polinino, Napoli, Tipografia di Angelo Trani, 1818
- Benedetto Croce, Il tavolino dell'impiccato in Un paradiso abitato da diavoli, Milano, Adelphi, 2006, pp. 169 - 174
- Andrea Cafiero, Un antico misfatto napoletano. Preti, prostitute, lenoni e galantuomini nella Napoli di Ferdinando I. Una storia vera. Un errore giudiziario?, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2000
CLICCA QUI per vedere il video dell’Archivio di Stato di Napoli.