Inutilizzabilità delle dichiarazioni indizianti
Dichiarazioni indizianti e inutilizzabilità, la cassazione penale in tema di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa nella fase delle indagini in caso di dichiarazioni ove emergono indizi di reità a suo carico.
La Cassazione penale sezione II, con la sentenza n. 43687 del 27 ottobre 2021 ha esaminato il tema dell’inutilizzabilità prevista dall’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., che ricorre anche in caso di dichiarazioni rese nella fase delle indagini da chi, sin dall’inizio dell’esame o dopo l’emersione di indizi a suo carico nel corso di tale atto, senza che lo stesso sia stato interrotto, avrebbe dovuto essere sentito in qualità di indagato o imputato di reato connesso o di reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen.
In primo luogo, la Suprema Corte rileva il carattere preliminare della censura in grado di incidere sulla valutazione del quadro indiziario, la questione di utilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, prospettata dal ricorrente con i motivi nuovi.
Si tratta di questione che, pur non essendo stata dedotta con i motivi principali di ricorso, può essere rilevata d’ufficio in quanto concerne una potenziale causa di inutilizzabilità, alla stregua del combinato disposto degli artt. 191, comma 2 e 609, comma 2 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 32866 del 29/04/2021, Fenili, Rv. 281880 - 0; Sez. 3, n. 35705 del 29/09/2020, D., Rv. 280892 - 0; Sez. 6, n. 22808 del 17/07/2020, Salamò, Rv. 279566 - 0; con espresso riguardo all’ipotesi della violazione dell’art. 63 cod. proc. pen., Sez. 2, n. 34512 del 29/04/2009, Fornaro, Rv. 245226 - 0).
Gli Ermellini sottolineano che dall’esposizione dello sviluppo delle indagini contenuta nell’ordinanza impugnata risulta che, sin dal momento in cui per la prima volta aveva reso informazioni agli agenti di p.g., la persona offesa aveva rappresentato che da alcuni mesi cedeva sostanze stupefacenti in una determinata piazza di spaccio, ove operava anche come "vedetta", e che in tale contesto era stato accusato da due soggetti (poi identificati negli odierni ricorrenti) di essersi impossessato di alcuni quantitativi di cocaina, ragione che aveva determinato l’aggressione culminata nella rapina e nelle lesioni riportate dalla vittima.
In successione cronologica, dopo l’esecuzione di attività volte al rintraccio dei soggetti sospettati e di atti a sorpresa per acquisire elementi di prova (perquisizioni domiciliari), la vittima formalizzava la denuncia in cui riferiva dei fatti avvenuti, delle generalità dei due rapinatori, delle loro caratteristiche fisiche e dell’abbigliamento, delle modalità dell’aggressione; quindi, con successivo atto di indagine, la vittima effettuava l’individuazione fotografica dei due indagati.
L’indicazione resa dalla persona offesa circa l’attività illecita di cessione di sostanze stupefacenti costituiva evidentemente ragione sufficiente per l’attribuzione a quel soggetto della qualità di persona da sottoporre ad indagine; con le conseguenze che ne discendevano in punto di obblighi della polizia giudiziaria di interrompere il primo atto in cui tale circostanza era emersa e di procedere successivamente, per eventuali atti di indagine che richiedevano l’assunzione di informazioni da quel soggetto, assicurando le garanzie previste dall’art. 63 cod. proc. pen.
In siffatta situazione processuale, trova applicazione il principio, ribadito ancora di recente, secondo il quale l’inutilizzabilità prevista dall’art. 63, comma 2, cod. proc. pen. ricorre anche in caso di dichiarazioni rese nella fase delle indagini da chi, sin dall’inizio dell’esame o dopo l’emersione di indizi a suo carico nel corso di tale atto, senza che lo stesso sia stato interrotto, avrebbe dovuto essere sentito in qualità di indagato o imputato di reato connesso o di reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 30922 del 18/09/2020, I., Rv. 280277 - 01); in particolare, è stato chiarito che se non sorgono dubbi di sorta circa l’integrale inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da chi doveva essere sentito ab origine con le garanzie dettate dall’art. 63 cod. proc. pen., perché già raggiunto da sicuri indizi di reato (Sez. Unite, n. 33583 del 26/03/2015, Lo Presti, Rv. 264479), ove tali indizi emergono nel corso dell’assunzione delle informazioni da parte del soggetto di cui non si conosca la qualità di soggetto indagabile, le dichiarazioni auto-accusatorie non saranno utilizzabili contro chi le abbia rese, mentre le stesse dichiarazioni saranno utilizzabili contro i terzi, ma soltanto per quelle rese precedentemente “all’emersione degli indizi a carico del dichiarante che si autoaccusa - che genera l’obbligo di interruzione del verbale - e non di quelle successive”, come è dato desumere “dal tenore letterale della norma [...] con sufficiente chiarezza, attraverso una agile lettura a contrario”; pertanto, “se il verbale non viene interrotto, le dichiarazioni successive sono inutilizzabili erga omnes in applicazione non solo dell’art. 63 cod. proc. pen. ma anche dell’art. 64 comma 3 bis cod. proc. pen, che definisce lo statuto del dichiarante coinvolto nel fatto e che è operativo in ogni caso in cui emergano indizi di reità, a nulla rilevando la fonte degli indizi ed essendo indifferente anche la mancata iscrizione nel registro delle notizie di reato, evento formale ritenuto non necessario per definire la qualifica del dichiarante” (Sez. 2, n. 28942 del 24/09/2020, Ranieri, Rv. 279806 - 0).
Nel caso in esame, pertanto, le dichiarazioni assunte dalla polizia giudiziaria, in epoca successiva al momento in cui era emerso il coinvolgimento del dichiarante in attività di cessione illecita di sostanze stupefacenti, sono inutilizzabili anche nei confronti dei ricorrenti.
Il rilievo dell’inutilizzabilità di quelle dichiarazioni si riverbera anche sulla posizione processuale del coindagato, trattandosi di motivo non personale; inoltre, atteso il carattere preliminare della rilevata inutilizzabilità, incidente sul profilo della gravità indiziaria, le ulteriori censure risultano assorbite dall’accoglimento del motivo di ricorso.
Dalle statuizioni che precedono consegue l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale del riesame di Roma per nuovo giudizio.
L’accertamento della sequenza procedimentale con cui sono stati acquisiti i dati che hanno condotto all’esecuzione degli atti di indagine (attraverso i quali si è giunti all’individuazione degli odierni ricorrenti e alla ricerca di elementi a loro carico), implicando la valutazione dell’intero compendio indiziario posto a base della richiesta di applicazione della misura cautelare, deve esser operato dal Tribunale del riesame che, applicando il principio di diritto su enunciato, verificherà quali delle dichiarazioni rese dalla persona offesa siano viziate dalla causa di inutilizzabilità; valuterà, quindi, le eventuali dichiarazioni ancora utilizzabili, unitamente agli altri elementi raccolti, per verificare se tali dati siano apprezzabili in termini di gravità indiziaria.
Per una rassegna della giurisprudenza della Suprema Corte in relazione all’articolo 63 c.p.p. “Dichiarazioni indizianti”: