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Art. 63 - Dichiarazioni indizianti

1. Se davanti all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non imputata ovvero una persona non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l’autorità procedente ne interrompe l’esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese.

2. Se la persona doveva essere sentita sin dall’inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate.

Rassegna giurisprudenziale

Dichiarazioni indizianti (art. 63)

Ai fini della operatività del disposto degli artt. 60 e 63 comma 2, l’esistenza di indizi di reità a carico del dichiarante deve sostanziarsi non in mere congetture o ipotesi sulla sua presunta partecipazione alla commissione del reato bensì in indizi non equivoci di reità, sussistenti già prima dell’escussione del soggetto e conosciuti dall’autorità procedente (SU, 15208/2010).

Le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all’art. 63, comma 2, in quanto il curatore non appartiene alle categorie indicate da detta norma e la sua attività non può considerarsi ispettiva o di vigilanza ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 220 Coord. (Sez. 5, 46422 del 25/09/2013).

Lo stesso principio si applica alle dichiarazioni rese presso un varco doganale ai doganieri lì in servizio se sono state acquisite prima del momento rilevante ai sensi dell’art. 220 Coord.  (Sez. 2, 12414/2017).

Le dichiarazioni, captate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata, con le quali un soggetto si autoaccusa della commissione di reati, hanno in sé valenza probatoria, non trovando applicazione al riguardo gli artt. 62 e 63 (Sez. 1, 27219/2018).

Le dichiarazioni sollecitate, rese dall’indagato nell’immediatezza dei fatti ed in assenza di garanzie, a differenza di quelle spontanee, non sono in alcun modo utilizzabili, neanche a favore del dichiarante (Sez. 2, 3930/2017).

L’inutilizzabilità di cui all’art. 63, comma 2, presuppone che le dichiarazioni provengano da soggetto a carico del quale già sussistevano indizi in ordine al medesimo reato o in ordine a reato connesso o collegato, restando escluse dalla sanzione dichiarazioni riguardanti reati diversi: in particolare, è necessario che siano già stati acquisiti, prima dell’escussione, indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti dall’autorità procedente, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti od intuizioni personali dell’interrogante (Sez. 6, 54640/2018).

Qualunque “dichiarazione” sia essa spontanea che sollecitata, assunta senza le garanzie previste dall’art. 64 è radicalmente inutilizzabile in quanto la regola prevista dall’art. 63 comma 2 ha una portata generale estensibile anche alle dichiarazioni raccolte d’iniziativa dalla PG (Sez. 3, 24944 /2015).

In senso contrario: le dichiarazioni spontanee anche se rese in assenza del difensore e senza l’avviso di poter esercitare il diritto al silenzio sono utilizzabili nella fase procedimentale, nella misura in cui emerga con chiarezza che l’indagato abbia scelto di renderle liberamente, senza alcuna coercizione o sollecitazione. Si tratta di dichiarazioni che hanno un perimetro di utilizzabilità circoscritto alla fase procedimentale e dunque all’incidente cautelare, ed ai riti a prova contratta, ma che non hanno alcuna efficacia probatoria in dibattimento Sez. 2, 14320/2018).

Le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato alla PG sono probatoriamente utilizzabili nel giudizio abbreviato (Pen, Sez. 5, 13917/2017).

Il riferimento all’AG, contenuto nell’art. 63, è preordinato al solo fine di ricomprendere nella nozione di genere non soltanto il giudice penale, ma anche il PM.

Mentre non può in essa essere ricondotto il giudice civile, il quale, pure ove in sede di interrogatorio formale vengano ammessi dalla parte fatti costituenti reato, non può certo fare ricorso al regime previsto dalla su menzionata disposizione processuale, essendo, semmai, tenuto, ai sensi dell’art. 331 comma 4  - come, del resto, in ogni altra ipotesi in cui risulti un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio - a redigere ed a trasmettere senza ritardo la denuncia al PM (Sez. 6, 24653/2014).