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Indagini difensive e l’acquisizione di atti e documenti

la difesa è sempre figlia di un Dio minore
Fusione di colori
Ph. Ermes Galli / Fusione di colori

Sono trascorsi 21 anni dall’entrata in vigore della Legge n. 397/2000 che introdusse nel codice di procedura penale le indagini difensive. Una novità figlia della legge costituzionale n. 2 del 1999 che aveva modificato l’articolo 111 della Costituzione.

Quante aspettative deluse e quanti paletti alla piena realizzazione del principio del contraddittorio tra le parti processuali. Tra i vari ostacoli che il difensore si trova nel suo percorso di ricerca e individuazione di elementi di prova in favore del suo assistito, registriamo e analizziamo il tema dell’acquisizione di documentazione dalla pubblica amministrazione.

 

Indagini difensive e la richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione: la norma

Art. 391-quater - Richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione

1. Ai fini delle indagini difensive, il difensore può chiedere i documenti in possesso della pubblica amministrazione e di estrarne copia a sue spese.

2. L’istanza deve essere rivolta all’amministrazione che ha formato il documento o lo detiene stabilmente.

3. In caso di rifiuto da parte della pubblica amministrazione si applicano le disposizioni degli articoli 367 e 368.

 

Indagini difensive e la richiesta di documentazione: lo stato dell’arte

Il principio sarebbe che il processo penale nella fase dibattimentale deve tendere alla parità effettiva delle parti, consentendo ai contraddittori di poter esplicare in maniera piena e libera le proprie tesi. Per raggiungere tale scopo è necessario che alla difesa delle parti private sia consentito di svolgere investigazioni difensive, che non devono però costituire soltanto un contrasto per negazione delle tesi propugnate dall’accusa ma avere possibilità di esprimere una propria autonoma ricostruzione, eventualmente sviluppata anche in ambiti trascurati o addirittura negati dall’accusa.

Non v’è dubbio che la riforma introdotta nel 2000 ha dotato il difensore di ampi poteri per quanto concerne l’acquisizione di prove orali, anche indicando dettagliatamente le procedure, le forme e stabilendo una puntuale tutela penale per la loro genuinità (articoli 391-bis e 391-ter del codice di procedura penale ed articolo 371-ter del codice penale).

Non altrettanto può dirsi per un altro settore cruciale delle investigazioni penali: l’acquisizione di atti e documenti, quale provvedimento di portata generale, affatto differente dal sequestro. Per quanto concerne il pubblico ministero tale attività è regolata dagli articoli 248 e 256 del codice di procedura penale, nel quadro delle perquisizioni e sequestri.

La prima delle norme citate regola il caso della spontanea esibizione di quanto si ricerca con la perquisizione, mentre la seconda si riferisce all’obbligo, per i soggetti tenuti al segreto professionale, di esibire su ordine dell’autorità giudiziaria gli atti ed i documenti da essi detenuti.

Attualmente per il difensore è prevista invece soltanto la possibilità di richiedere alla pubblica amministrazione il rilascio di copia di documenti da essa detenuti, senza che peraltro sia previsto un termine entro cui la pubblica amministrazione debba evadere la richiesta, potendosi per tale via imbattere in comportamenti negligenti, se non addirittura ostruzionistici.

Il rimedio che attualmente il codice di rito prevede è, in certo modo, in contraddizione con i principi del giusto processo, in quanto pone il difensore dinanzi all’alternativa (talvolta drammatica) di svelare al pubblico ministero la propria strategia difensiva ovvero di rinunciare all’acquisizione del documento.

 

Indagini difensive e il criterio della “rilevanza” Cassazione penale sezione IV n. 14551/2018

Inoltre, la richiesta di documentazione è vagliata prima dal Pm ed in seguito dal Gip che si esprimono sulla “rilevanza” della richiesta.

In pratica la linea difensiva è limitata dal criterio assai sfuggente della “rilevanza” per l’accertamento del fatto. Sul punto la Cassazione sezione IV, con sentenza n. 14551 del 29 marzo 2018 ha stabilito: “la "rilevanza" costituisce la misura dell'intervento del giudice, perché l'inesistenza di un margine di intervento equivarrebbe al puro e semplice assoggettamento dei poteri pubblici alla richiesta della parte privata che non li possieda, anche per fini pretestuosi e di semplice intralcio, che nulla hanno a che fare con l'uguaglianza delle armi. Se, come invece ritengono i ricorrenti, le possibilità esplorative della difesa non possono essere in alcun modo compresse, neppure quando abbisognino del potere impositivo pubblico per realizzarsi, allora l'unico vaglio possibile è quello sulla manifesta inconferenza della richiesta rispetto alla funzione stessa delle indagini difensive. Ma una simile limitazione è contraria ad un sistema che, proprio tenendo conto dei parametri costituzionali relativi alla difesa ed all'esercizio dell'azione penale, non assoggetta la pubblica accusa a qualunque richiesta della parte privata, ma ne mette a disposizione il potere solo quando la richiesta si dimostri rilevante per l'accertamento del fatto. La rilevanza, infatti, assurge a criterio di vera e propria utilità, non marginalità, inerenza al fatto o alle circostanze influenti sulla ricostruzione. Solo a fronte della "rilevanza" il pubblico ministero può costituire il "braccio della parte privata" la cui impotenza coercitiva non potrebbe ottenere l'acquisizione di un materiale probatorio idoneo a consentire un accertamento "diverso" ed almeno astrattamente utile a fini difensivi. Ed è sull'effettività della rilevanza che interviene il vaglio del giudice delle indagini preliminari a fronte del diniego del pubblico ministero ai sensi dell'art. 368 cod. proc. pen.. Ciò, nondimeno, implica la non condivisibilità della prospettiva esegetica delineata con il ricorso, smentita proprio dal limite costituzionale costituito dall'obbligo del corretto esercizio dell'azione penale, cui inerisce il corretto uso dei poteri di indagine, su cui il diritto alla difesa non può dirsi prevalente tout court, ma solo quando l'atto richiesto dimostri la sua rilevanza dimostrativa circa il fatto oggetto di indagini”.

 

Indagini difensive: la richiesta di documentazione ai privati

Una recente ricerca dell’Osservatorio investigazioni difensive dell’Unione Camere Penali Italiane ha rilevato che il ricorso alle indagini difensive è ancora poco diffuso e che la norma ha ancora vuoti da colmare e molteplici ingerenze da parte della magistratura sulle scelte e i tempi dell’attività investigativa difensiva.

Una palese lacuna in tema di indagini difensive è la richiesta di atti e documenti a privati come banche o compagnie telefoniche: in questi casi, diversamente da quel che riguarda le richieste inoltrate alla Pubblica Amministrazione, la norma non prevede una procedura a cui i privati devono necessariamente attenersi e, di conseguenza, ognuno segue la propria procedura con la facoltà di rifiutare la richiesta di atti avanzata dal difensore.

Di fronte a un rifiuto da parte del privato interpellato, il difensore può rivolgersi al pm che però è l’altra parte processuale e, esprimendo una valutazione sulla richiesta del difensore prima di imporre ai privati di assecondarla, finisce per interferire in qualche modo sulla strategia di indagine difensiva.

 

Indagini difensive e l’acquisizione di atti e documenti: una proposta di legge in tema

Negli archivi della Camera si può leggere una proposta di legge che intendeva riformulare completamente la norma dell’articolo 391 quater del c.p.p., creando una disposizione generale sulla acquisizione di atti e documenti (in copia) a favore del difensore delle parti private, attraverso un ordine di acquisizione emesso dal giudice per le indagini preliminari su istanza della parte, la quale ha l’onere di indicare gli atti o i documenti che intende acquisire, il soggetto pubblico o privato che li detiene e le ragioni che rendono necessaria tale acquisizione in relazione al procedimento in corso.

La proposta di legge prevedeva:

L’articolo 391-quater del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

“391-quater. - (Acquisizione di atti e documenti). – 1. Ai fini delle indagini difensive, il difensore, qualora intenda acquisire atti o documenti in possesso della pubblica amministrazione o dei soggetti privati indicati all’articolo 200, comma 1, richiede al giudice per le indagini preliminari l’emissione di un provvedimento di acquisizione, indicando gli atti e documenti da acquisire, il soggetto che li detiene stabilmente e le ragioni di inerenza dell’acquisizione al procedimento in corso.

Il giudice, ove ritenga identificato l’oggetto e fondata l’istanza, dispone l’acquisizione, a spese dell’interessato, di copia degli atti e dei documenti o di una parte di essi, intimando al soggetto che stabilmente li detiene di esibirli e di consegnarli in copia al difensore della parte privata entro un termine determinato in relazione alla natura ed alla entità degli atti.

2. Qualora il soggetto al quale è destinato il provvedimento di acquisizione di cui al comma 1 non adempia entro il termine assegnato, il giudice, ove ritenga ingiustificato il diniego o il ritardo, puo`, su istanza del difensore, delegare la polizia giudiziaria ad eseguire il provvedimento ed a consegnare copia degli atti e dei documenti all’interessato.

3. Il provvedimento di acquisizione e quelli eventuali conseguenti sono conservati nella cancelleria del giudice sino al momento in cui non sono inseriti nel fascicolo delle indagini difensive ovvero, in mancanza, in quello del pubblico ministero”.

 

Indagini difensive e l’acquisizione di atti e documenti: esame della proposta di legge

Il testo di legge proposto appare equilibrato nel garantire le prerogative investigative del pubblico ministero e nel contempo emancipare le indagini difensive dalla longa manus e dall’occhio della procura. Tale situazione di palese subordinazione ha sinora impedito il pieno ed effettivo sviluppo delle indagini difensive.

D’altro canto, a differenza dell’attività di raccolta delle prove orali, in questo caso si tratta di un’attività che viene svolta sotto il diretto, puntuale e preventivo controllo del giudice, escludendosi in radice il rischio di utilizzazioni strumentali o defatiganti.

Riguardo alla esecuzione del provvedimento emesso dal giudice, si ritiene opportuno il suo affidamento, in prima battuta, al difensore che ne ha fatto richiesta, sia per ragioni di riservatezza del contenuto a vantaggio della parte richiedente sia per ragioni di economicità.

Ove il soggetto pubblico o privato dovesse omettere di adempiere al provvedimento, su istanza dell’interessato, il giudice, constatata l’inosservanza, potrebbe (ove ritenga ingiustificato il diniego) incaricare la polizia giudiziaria di provvedere all’acquisizione della documentazione e di consegnarla all’interessato. Per rendere ordinata la scansione temporale di tali diversi momenti, si ritiene necessario che il giudice, nel suo provvedimento di acquisizione, indichi un termine congruo entro il quale il soggetto intimato deve consegnare copia degli atti richiesti (proporzionato alla natura, alla mole, alle eventuali difficoltà di reperimento o selezione degli atti richiesti), così` da realizzare un parametro certo ed incontrovertibile al quale legare la ulteriore richiesta di esecuzione a mezzo della polizia giudiziaria.

L’ordine di esibizione in originale deve essere conservato dal giudice per le indagini preliminari, insieme con gli atti successivi eventuali (delega alla polizia giudiziaria a seguito di ingiustificato rifiuto di consegna), fino al momento in cui non viene inserito nel fascicolo del difensore ovvero, in sua assenza, in quello trasmesso dal pubblico ministero alla conclusione delle indagini preliminari. Tale alternativa si pone in quanto il difensore, ottenuto il provvedimento del giudice, potrebbe anche decidere, melius re perpensa, di non metterlo in esecuzione ovvero di non esibire gli atti ed i documenti ottenuti, in quanto valutati non utili o necessari a sostenere la propria tesi difensiva.

In conclusione: se non ora quando?