Indagini preliminari troppo lunghe: la Corte EDU condanna l’Italia

Corte europea dei diritti dell'uomo, Sez. I, ric. n. 24340/07, 18 marzo 2021, Petrella c. Italia
indagini preliminari
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Abstract

L’eccessivo prolungamento delle indagini preliminari aveva impedito alla persona offesa di costituirsi parte civile: la Corte EDU condanna l’Italia.

Questa la decisione espressa dai Giudici di Strasburgo in occasione del ricorso avanzato da un cittadino italiano in merito ad un procedimento penale archiviato per intervenuta prescrizione del reato a causa dell’eccessivo prolungamento delle indagini preliminari.

The excessive extension of the preliminary investigations had prevented the aggrieved party from becoming a civil party: the ECHR condemns Italy.

This is the decision expressed by the Strasbourg judges on the occasion of the appeal made by an Italian citizen regarding a criminal case filed for the statute of limitations due to the excessive extension of the preliminary investigations.

 

1. I fatti

Tra il 22 ed il 25 luglio 2001, nei confronti di V.P. era stati rivolti gli addebiti di frode e corruzione, tramite articoli di stampa pubblicati su una testata giornalistica, congiuntamente alla divulgazione della propria immagine.

Il 28 luglio 2001, la persona offesa sporgeva denuncia per il reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa, in quanto tali articoli avevano leso il proprio onore e la propria reputazione, esplicitando già la volontà di costituirsi parte civile nell’instaurando procedimento penale al fine di richiedere un risarcimento per i danni subiti.

Il 10 settembre 2001, il procedimento veniva iscritto dalla Procura della Repubblica.

Il 9 novembre 2006, il Pubblico Ministero formulava richiesta di archiviazione per intervenuta prescrizione del reato ed il 17 gennaio 2007, il Giudice per le Indagini Preliminari, accogliendo la richiesta del Pubblico Ministero, emetteva decreto di archiviazione del procedimento.

 

2. Il ricorso alla corte edu

Il 1° giugno 2007, V.P. ricorreva dinanzi alla Corte EDU, lamentando l’avvenuta violazione degli articoli 6 § 1, 8, 13 e 14 della Convenzione.

Per il ricorrente, l’eccessiva durata del procedimento penale aveva comportato la sua archiviazione, essendogli stata preclusa la facoltà di avere accesso ad un tribunale.

V.P. lamentava, infine, l’inefficacia del rimedio introdotto dalla Legge “Pinto” (Legge 24 marzo 2001, n. 89), in quanto, non essendosi potuto costituire parte civile, non avrebbe potuto beneficiare di tale strumento.

 

3. La decisione

In relazione alla dedotta violazione dell’articolo 6 § 1, la Corte constatava come la fase delle indagini preliminari si fosse protratta per circa 5 anni e 6 mesi, senza il compimento di alcuna attività investigativa, nonostante la non particolare complessità della vicenda.

La Corte accoglieva, quindi, la doglianza sollevata dal ricorrente, affermando l’avvenuta violazione dell'articolo 6 § 1, a causa dell'eccessiva durata del procedimento, in contrasto con il principio del “termine ragionevole”.

Per i giudici di Strasburgo, il ricorrente si era correttamente avvalso dei rimedi interni in quanto, in sede di udienza preliminare, avrebbe potuto costituirsi parte civile al fine di richiedere, successivamente, un risarcimento per i danni subiti ma, a causa della condotta negligente della Procura, era stato privato di tale facoltà.

Sul punto, la Corte, rigettando il motivo proposto dal Governo italiano, statuiva come alcun individuo potesse essere obbligato a proporre un’azione civile a seguito dell’intervenuta prescrizione del reato per colpa delle Autorità giudiziarie.

Con riferimento alla dedotta violazione dell’articolo 13, la Corte, accogliendo la doglianza manifestata dal ricorrente, osservava come il rimedio “Pinto” non potesse essere azionato dalle persone offese non costituite parti civili nel procedimento penale. Il ricorrente non avrebbe potuto, pertanto, impiegare alcun rimedio interno volto a lamentare l’eccessiva durata del procedimento, ex articolo 6 § 1.

Circa la presunta violazione degli articoli 8 e 14, la Corte riteneva tali motivi sussunti sotto i reclami di cui agli articoli 6 e 13.

La Corte condannava, quindi, la Repubblica italiana a corrispondere al ricorrente, a titolo di equa soddisfazione, l’importo di euro 5.200,00 per il danno non patrimoniale, oltre alla somma di euro 2.000,00 per i costi e le spese.

I giudici Wojtyczek e Sabato esprimevano, tuttavia, un'opinione in parte dissenziente rispetto all’accertata violazione dell’articolo 6 § 1 per la mancata possibilità di accesso ad un tribunale, ritenendo come l’intervenuta prescrizione del reato per negligenza delle Autorità giudiziarie non fosse contrastante con il diritto del ricorrente di far valere le proprie ragioni in sede civilistica.

 

4. Conclusioni

Ad esclusione del caso in cui il Governo italiano decida di chiedere il rinvio del caso alla Grande Camera, la pronuncia diverrà definitiva, con evidenti ripercussioni nel diritto interno sia per il Legislatore sia per le Autorità Giudiziarie che dovranno, rispettivamente, attivarsi, su plurimi profili, per evitare che analoghe situazioni di “mala giustizia” possano nuovamente occorrere.