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Interesse e vantaggio nei reati ambientali

Interest and advantage in environmental crimes
Caduta Muro di Berlino
Ph. Massimo Golfieri / Caduta Muro di Berlino

Articolo pubblicato nella sezione La parola al giudice: prassi e indirizzi interpretativi del numero 1/2021 della Rivista "Sistema 231".

 

Abstract

Il presente articolo analizza l’orientamento consolidato della S.C. in tema di sussistenza dei requisiti di interesse e/o vantaggio ex Decreto Legislativo 231/01 nei reati colposi: prendendo le mosse dalla violazione contravvenzionale prevista dall’articolo 137 TUA (Decreto Legislativo 152/2006), assunta a reato presupposto dall’articolo 25-undecies Decreto Legislativo 231/01 viene esaminata la motivazione con cui la S.C. ha inteso confermare la sussistenza della responsabilità dell’ente imputato anche in presenza di una supposta “mera occasionalità” dello sforamento tabellare nello scarico di acque reflue industriali e in assenza di una norma come l’articolo 30, comma 5, Decreto Legislativo 81/2008.

In conclusione vengono svolte alcune sollecitazioni interpretative de jure condendo circa le (possibili) evoluzioni in tema di norme di indirizzo con riferimento ai reati ambientali e agroalimentari.

This article interfaces with the application of the consolidated orientation of the S.C. regarding the existence of the requirements of interest and/or advantage pursuant to Legislative Decree 231/01 in culpable offenses: starting from the violation of the infringement provided for by articolo 137 TUA (Legislative Decree 152/2006), committed as a predicate offense by articolo 25-undecies of Legislative Decree 231/01, the motivation with which the S.C. intended to confirm the existence of the accused entity’s liability even in the presence of a supposed “mere occasion” of the tabular overrun in the discharge of industrial wastewater and in the absence of a rule such as articolo 30 paragraph 5 of Legislative Decree 81/2008.

In conclusion, some interpretative solicitations de jure condendo are carried out regarding the (possible) evolutions in terms of guiding rules with reference to environmental and agri-food crimes.

 

Sommario

1. La sentenza

2. La considerazione di sistema: interesse e vantaggio vanno accertati a prescindere dalla natura dolosa o colposa del reato presupposto.

3. Occasionalità della violazione vs. politica d’impresa

4. Eventuali linee guida de jure condendo: il c.d. “Progetto Caselli” di riforma dei reati agroalimentari e il disegno di legge “Terra mia” sulla scorta dell’articolo 30 Decreto Legislativo, 81/2008.

 

Summary

1. The case decided

2. Systematic consideration: interest and advantage must be ascertained regardless of the intentional or negligent nature of the predicate offense.

3. Occasional violation vs. business policy

4. De jure condendo guidelines: the so-called “Progetto Caselli” for the reform of agri-food crimes and the “Terra mia” project on the basis of articolo 30 of Legislative Decree 81/2008.

 

 

1. La sentenza

La sentenza in commento fornisce un interessante spunto interpretativo in tema di applicazione dei requisiti c.d. di interesse/vantaggio previsti per l’ascrizione della responsabilità ex articolo 5 Decreto Legislativo 231/01, applicati in tema di reati ambientali.

Se infatti nulla quaestio si è posta in seno alle prime interpretazioni giurisprudenziali in tema di responsabilità dell’ente per commissione di fattispecie ambientali dolose, ivi valutandosi la possibilità di muovere un rimprovero anche organizzativo allo stesso, in presenza dell’evidenza di un interesse e/o di un vantaggio derivato dal reato commesso, così non è stato in tema di ipotesi meramente colpose[1].

Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla meritevolezza del rimprovero ex Decreto Legislativo 231/2001 da muoversi all’ente per la violazione di un’ipotesi colposa ha trovato con la sentenza Thyssenkrupp[2] un importante snodo interpretativo: la stessa, infatti, ne pronunciava la piena conformità al principio di colpevolezza, atteso che, in tema di violazione della normativa antinfortunistica, l’attenzione andava necessariamente posta verso la rimproverabilità non tanto dell’evento dannoso occorso (ad. es. lesione/morte del lavoratore), in sé e per sé sicuramente privo dei requisiti richiesti per l’ascrizione della responsabilità 231; diversamente, la S.C. sottolineava l’importanza di verificare se il mancato rispetto della normativa antinfortunistica avesse determinato un risparmio di spesa per l’ente e/o, ad esempio, una maggior speditezza nello svolgimento dell’attività lavorativa, al fine di accertare la sussistenza del requisito interesse/vantaggio.

Detto ragionamento, consolidato nella giurisprudenza successiva alla pronuncia delle SS.UU., ha però trovato delle resistenze in altri ambiti, pur sanzionati dal Decreto Legislativo 231/01, stante, infatti, la necessità di un vaglio più rigoroso in tema di responsabilità dell’ente dipendente da fattispecie colposa.

La fattispecie contestata all’ente nella sentenza in commento è quella prevista e disciplinata dall’articolo 137, comma 5, TUA (Decreto Legislativo 152/2006) che sanziona con una previsione contravvenzionale lo scarico di acque reflue precedentemente autorizzato, ma in violazione di determinati limiti tabellari circa la sua composizione.

A differenza della più grave ipotesi di reato di cui al comma 1 in cui la normativa ambientale sanziona lo scarico di acque reflue in assenza di autorizzazione, infatti, questa diversa fattispecie prevede la sua applicazione sulla base del mero superamento dei limiti soglia stabiliti dall’allegato ministeriale.

Oltre alla difficile riconoscibilità di detta fattispecie, cui si aggiunge una struttura di reato meramente formale – caratterizzato peraltro da una previsione a tutela latamente anticipata (c.d. di mero pericolo) – va inoltre ricordata la sua natura istantanea: la sussistenza dell’elemento materiale verrà accertata nel momento in cui il campionamento indicherà l’avvenuto superamento dei limiti soglia, indipendentemente da eventuali profili di inoffensività in concreto[3].

Alla contestazione de qua, nella sentenza in commento, si aggiungeva, per l’appunto, l’illecito amministrativo di cui all’articolo 25-undecies comma 2, lett. a) n. 1 Decreto Legislativo 231/01 per non avere adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del predetto reato, modelli di organizzazione e gestione (di seguito MOG) idonei a prevenire reati della stessa specie commessi per conto e nell’interesse della società.

L’unico motivo di ricorso, proposto dalla difesa dell’ente avverso la sentenza della Corte d’appello, che confermava la sentenza di primo grado nell’irrogare all’ente la sanzione amministrativa prevista dalla fattispecie, è inerente all’erronea applicazione della legge penale con riferimento al requisito dell’interesse/vantaggio previsto dall’articolo 5 del Decreto Legislativo 231/01: «[…] nel caso di specie, relativo a reato colposo, la non volontà̀ caratterizzante lo stesso è incompatibile con i predetti interesse o vantaggio […]». Prosegue infatti contestando la ritenuta sussistenza dei requisiti «nell’avere evitato o ridotto i costi relativi agli interventi strumentali necessari ai fini della prevenzione dell’inquinamento idrico o nell’avere più semplicemente velocizzato i tempi e ritmi del ciclo produttivo».

La difesa, infatti, sollecita la S.C. ad una riforma della sentenza impugnata sottolineando la necessità di accertare «in concreto se l’omissione in termini di aggiornamento tecnologico mediante la predisposizione di strumenti finalizzati alla prevenzione dell’inquinamento rispondesse ex ante ad un interesse della società̀ o avesse consentito di conseguire un vantaggio.

Precisa inoltre come la violazione fosse stata caratterizzata da mera occasionalità, diversa da una vera e propria politica aziendale «volta alla massimizzazione del profitto con contenimento dei costi in materia di sicurezza».

Pone infine una ulteriore questione, anche questa di rilevante interesse scientifico: il difetto nel Decreto Legislativo 121/2011 (che ha integrato il Decreto Legislativo 231/2001 con l’introduzione dell’articolo 25-undecies), di una norma analoga a quella del Decreto Legislativo 81/2008, articolo 30, che indichi le linee guida cui uniformare i modelli di organizzazione aziendale per la prevenzione dei reati presupposto in materia ambientale.

Le due doglianze, in sintesi:

a) incompatibilità dell’elemento soggettivo colposo con l’interesse o il vantaggio previsto per le ipotesi ex Decreto Legislativo 231/01; necessità in ogni caso di accertare in concreto se l’omesso aggiornamento tecnologico abbia rispecchiato in concreto un interesse o un vantaggio per l’ente; comunque occasionalità dell’ipotesi di specie sicuramente diversa da politica aziendale sistematicamente rivolta al contenimento dei costi in violazione della normativa di legge;

b) difetta una norma analoga all’articolo 30 Decreto Legislativo 81/2008 che indichi i contenuti minimi dei MOG per la prevenzione in materia ambientale; non è possibile un mero parallelismo con la normativa antinfortunistica;

Nella sentenza la S.C. affronta punto per punto le doglianze espresse dalla difesa dell’ente, rigettando in toto il ricorso proposto.

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