La difesa del contribuente
(Luigi Einaudi – Primo Presidente della Repubblica dal 1948 al 1955)
TRE MANOVRE ECONOMICHE E PROCESSO TRIBUTARIO
A) STATUTO DEL CONTRIBUENTE
B) VERIFICHE FISCALI
C) REDDITOMETRO
D) SPESOMETRO
E) INDAGINI BANCARIE
F) STUDI DI SETTORE
G) ACCERTAMENTI FISCALI
H) ACCERTAMENTI FISCALI - RADDOPPIO DEI TERMINI
I) ACCERTAMENTI ESECUTIVI DALL’01 OTTOBRE 2011
L) LE NUOVE ISCRIZIONI PROVVISORIE
M) LITI CON RECLAMO DALL’01 APRILE 2012
N) ABUSO DEL DIRITTO
O) FATTURE FALSE E DEDUCIBILITA’ DEI COSTI
P) RISCOSSIONE - RUOLI - RIMBORSI – PRIVILEGI
Q) RIMESSIONE IN TERMINI
R) PROBLEMI DELLA GIURISDIZIONE
S) AUTOTUTELA
T) LE COMMISSIONI TRIBUTARIE NON DEVONO ESSERE PARALIZZATE
U) RIFORMA DELLA GIUSTIZIA E RIFORMA DEL PROCESSO TRIBUTARIO
V) CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
TRE MANOVRE ECONOMICHE E PROCESSO TRIBUTARIO
Non si deve limitare sempre il diritto di difesa del contribuente
Il legislatore fiscale con le ultime manovre economico-finanziarie non solo ha ulteriormente rafforzato l’attività di accertamento degli uffici ma, cosa ancora più grave, ha limitato il diritto di difesa del contribuente,non consentendogli una piena ed efficace tutela giurisdizionale.
In particolare, il legislatore è intervenuto con le seguenti norme:
- Decreto legge n.70 del 13-05-2011, convertito, con modificazioni,dalla legge n.106 del 12 luglio 2011 ( in G.U. – serie generale n.110 del 13 maggio 2011); c.d. Decreto Sviluppo;
- Decreto legge n.98 del 06-07-2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.111 del 15 luglio 2011 (in G.U. n.164 del 16-07-2011);
- Decreto legge n.138 del 13-08-2011 (in G.U. n.188 del 13-08-2011) convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 14/09/2011 (in G.U. del 16/09/2011), c.d. manovra correttiva bis.
Con i suddetti tre provvedimenti sono state rese più incisive le attività di accertamento degli uffici fiscali senza, peraltro, riequilibrare la posizione processuale del contribuente, che continua a trovarsi in una posizione di svantaggio nei confronti del fisco perché non può totalmente esercitare il proprio diritto di difesa.
Oltretutto, questa posizione di svantaggio è stata da sempre tenuta dal contribuente, con l’aggravante che con le recenti manovre viene ulteriormente aggravata.
Con il presente scritto intendo dimostrare quanto sopra, alla luce non solo della disciplina fiscale ma anche tenendo conto della recente giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione.
In definitiva, se non si riforma radicalmente il processo tributario, mettendo sullo stesso piano processuale la parte pubblica e quella privata, senza alcuna limitazione all’esercizio del diritto di difesa, non saranno mai pienamente realizzati i precetti costituzionali degli artt. 24 e 53 della Costituzione.
A) STATUTO DEL CONTRIBUENTE
Il legislatore con la legge n.212 del 27 luglio 2000 (Statuto dei diritti del contribuente) ha cercato di stabilire dei principi che limitassero il potere di supremazia del fisco ma questo encomiabile tentativo è rimasto lettera morta perché adottato con semplice legge ordinaria, praticamente limitata dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione.
Infatti, la Corte Costituzionale ha più volte osservato che le disposizioni della suddetta legge non hanno rango costituzionale e non costituiscono, neppure come norme interposte, parametro idoneo a fondare il giudizio di legittimità costituzionale di leggi statali.
In tal senso, Corte Costituzionale.
- sentenza n.247 del 20 luglio 2011;
- sentenza n.58 del 2009;
- ordinanza n.13 del 2010;
- ordinanza n.185 del 2009;
- ordinanza n.180 del 2007;
- ordinanza n.428 del 2006;
- ordinanza n.216 del 2004.
Anche la Corte di Cassazione si è adeguata ai suddetti principi. Infatti, le norme della legge n.212/2000, emanata in attuazione degli artt.3, 23, 53 e 97 della Costituzione, qualificata espressamente come principi generali dell’ordinamento tributario, sono, in alcuni casi, idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell’Amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di principi già immanenti nell’ordinamento, criteri guida per il giudice nell’interpretazione delle norme tributarie (anche anteriori), ma, sempre secondo i giudici di legittimità, non hanno rango superiore alla legge ordinaria, di talchè non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse.
In tal senso, Corte di Cassazione – Sezione Tributaria, con le sentenze:
- n. 2221 del 31 gennaio 2011;
- n. 8254 del o6 aprile 2009.
. Di conseguenza, è necessario rendere legge costituzionale lo Statuto dei diritti del contribuente, se veramente si vogliono rispettare e rendere effettivamente operativi i principi costituzionali cui intende adeguarsi.
Oggi, purtroppo, lo Statuto del contribuente viene sistematicamente o calpestato (per esempio, con la retroattività delle leggi) o totalmente ignorato proprio a danno del contribuente, come nelle ultime manovre estive.
B) VERIFICHE FISCALI
1) La Corte di Cassazione – Sez. Tributaria – con la recente sentenza n.28053 del 15 luglio 2011 ha precisato che ‘’il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, in quanto atto amministrativo extraprocessuale costituisce prova documentale anche nei confronti di soggetti non destinatari della verifica fiscale; tuttavia, qualora emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalità previste dall’art.220 disp. att., giacchè altrimenti la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile’’.
Non basta.
Due pagine dopo, i giudici di legittimità sottolineano che : ‘’ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele, il giudice può fare legittimamente ricorso ai verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza ai fini della determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa nonché ricorrere all’accertamento induttivo dell’imponibile quando le scritture contabili imposte dalla legge sono state irregolarmente tenute’’.
Questa sentenza si incardina perfettamente nel filone giurisprudenziale che vuole sempre più commistioni fra il processo penale e quello tributario a carico del contribuente e ciò non può che facilitare sensibilmente il lavoro degli inquirenti e degli uffici fiscali.
Per la prima volta la Corte di Cassazione, senza però rinnegare l’ormai straconsolidato orientamento che valorizza tutti i documenti extracontabili, con l’importante sentenza n.10581 del 13 maggio 2011 ha precisato che i tabulati ritrovati presso il consulente del lavoro, che gestisce il servizio paghe, non legittimano l’accertamento di compensi in nero.
La Corte di Cassazione, infatti, con la suddetta sentenza precisa che: ‘’Invero, è del tutto certo che, finanche nel caso di rinvenimento di documentazione extracontabile, resta sempre impregiudicata la verifica in sede contenziosa della concreta riscontrabilità, nella cennata documentazione, dei requisiti suscettibili di configurare i presupposti per l’esercizio del potere di accertamento (vedi, tra le tante, Cass. n.1575/2007 e n.2217/2006)’’.
Questa importante apertura giurisprudenziale dei giudici di legittimità è, però, frustrata dai limiti difensivi che incontra il contribuente nel processo tributario, che è un processo prettamente documentale e non ammette la testimonianza ed il giuramento.
Inoltre, la Corte di Cassazione – Sez. Trib. -, con la sentenza n.1344 del 25 gennaio 2010, ha precisato che:
‘’L’art.52, comma quinto, del D.P.R. n.633/72, richiamato dall’art. 33 del D.P.R. n.600/73 (il quale esclude la possibilità di prendere in considerazione a favore del contribuente, in sede amministrativa e contenziosa, i documenti , libri, scritture, registri, ecc., che non siano stati acquisiti durante gli accessi perché il contribuente ha rifiutato di esibirli o perché ha dichiarato di non possederli o perchè li ha comunque sottratti al controllo) presuppone uno specifico comportamento del contribuente, che, in quanto volto a sottrarsi alla prova, fornisca validi elementi per dubitare della genuinità dei documenti la cui esistenza emerga nel corso del giudizio.
La norma, pertanto, trova applicazione soltanto in presenza di una specifica richiesta o ricerca da parte dell’Amministrazione e di un rifiuto o di un occultamento da parte del contribuente, non essendo sufficiente che quest’ultimo non abbia esibito ai verbalizzanti i documenti successivamente prodotti in sede giudiziaria (v. tra le altre Cass. N. 9127 del 2006)’’.
Anche in questo caso, però, il contribuente non dovrebbe avere limitazioni ed esclusioni nell’esercizio del proprio diritto di difesa.
Infine, con il succitato D.L. n. 70/2011:
- viene riconosciuto il regime di contabilità semplificata alle imprese di servizi con ricavi fino a 400.000 Euro (limite precedente fissato a 309.874 Euro) ed alle altre imprese con ricavi fino a 700.000 Euro (limite precedente fissato a 516.457 Euro);
- - sono apportate modifiche all’art. 12 della legge n. 212/2000 cit., riguardanti, in particolare, il periodo di permanenza dell’Amministrazione presso le sedi delle imprese in contabilità semplificata e presso quelle dei lavoratori autonomi ( per una durata massima di 15 giorni) e, in generale, vengono estesi i termini per la durata dei controlli anche per gli enti previdenziali e di assistenza.
Il problema della tutela effettiva del contribuente, però, non è risolto sia per la natura giuridica dello Statuto del contribuente (vedi lett. A) sia per la natura ordinatoria e non perentoria del termine, anche in attesa che la Corte di Cassazione si pronunci sul tema (si rinvia, indirettamente, alla sentenza n. 26689/o9 del 18 dicembre 2009 della Corte di Cassazione – Sezione Trib.).
2) Dal prossimo autunno dovranno trovare attuazione le nuove disposizioni che obbligano gli enti, preposti ad effettuare verifiche per fini istituzionali, ad una complessiva attività di programmazione e coordinamento.
Infatti, un prossimo decreto del Ministero dell’economia e delle finanze dovrà dettare le linee guida per la programmazione da parte dei vari enti, le cui verifiche in sede non devono durare più di quindici giorni.
A tal proposito, però, c’è da rilevare che:
- il Decreto Sviluppo, nel prevedere il bon ton per le verifiche, ha dimenticato EQUITALIA S.p.A., un soggetto che, specie negli ultimi tempi, è prepotentemente sotto le luci della ribalta;
- le eventuali violazioni delle disposizioni che prevedono il coordinamento, la programmazione e la non ripetizione del controllo costituiscono, per i dipendenti pubblici che hanno trasgredito le nuove disposizioni introdotte dal citato D.L. n. 70/2011, soltanto illeciti disciplinari e non determinano la nullità derivata dagli atti.
In definitiva, con le ultime manovre estive il legislatore ha chiuso il cerchio nella lotta all’evasione fiscale, determinando un accerchiamento fiscale del contribuente con i seguenti istituti:
- Comuni in lotta contro l’evasione;
- dichiarazioni dei redditi on-line;
- consigli tributari antievasione;
- stretta sulle società di comodo;
- conti correnti nel 730;
- stretta fiscale sulle cooperative;
- carcere per i maxi evasori fiscali.
C) REDDITOMETRO
Accertamento da redditometro come gli studi di settore sia per la connotazione di presunzione semplice sia per la necessità di esperire sempre il preventivo contradditorio.
Sono i corretti principi affermati dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n.13289/2011, depositata il 17 giugno 2011.
Principi che vincolano il ‘’vecchio’’ redditometro alle regole previste per il futuro, nuovo redditometro.
La succitata sentenza muta radicalmente il precedente indirizzo giurisprudenziale, secondo cui per il ‘’vecchio’’ redditometro non vi era l’obbligo del contraddittorio (vedi, per esempio, ordinanza n.7485 del 27 marzo 2010).
Ora, invece, i giudici di legittimità con la succitata sentenza n.13289/2011 hanno stabilito che:
‘’Il divieto (‘’non possono in ogni caso’’) posto dal quarto comma dell’articolo 6 della legge 27 luglio 2000 n.212 di richiedere ‘’al contribuente……. documenti e informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente’’ (perché, prosegue la norma, ‘’tali documenti e informazioni sono acquisiti ai sensi dell’articolo 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990 n.241, relativi ai casi di accertamento d’ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa), tenuto conto della necessità (evidenziata dalle Sezioni Unite nella citata decisione n. 26635 del 2009) di esperire il preventivo contraddittorio per adeguare ‘’l’elaborazione statistica degli standard’’ considerati dai DD.MM. del 1992 ‘’alla concreta realtà economica del (singolo) contribuente’’, di per sé solo, non esclude il potere dell’ ‘’amministrazione finanziaria’’ di chiedere, oltre che ‘’documenti e informazioni’’ non in suo possesso, anche quelle “di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente’’), soprattutto specificazioni su ‘’informazioni’’ da esso già conosciute anche per dare concretezza ed effettività a quel contraddittorio’’.
Anche per questi motivi non è più giustificabile alcuna limitazione del diritto di difesa del contribuente sia nella fase amministrativa sia nella fase processuale.
Vi è, quindi, un completo cambio di rotta da parte della Cassazione, che afferma l’obbligo anche per il passato di esperire preventivamente il contraddittorio.
Infine, occorre precisare che, per il secondo anno consecutivo (anni 2009 e 2010), pur verso la scadenza di settembre delle dichiarazioni 2011, il nuovo meccanismo induttivo del redditometro (art. 22 del D.L. n.78 del 31 maggio 2010) resta un oggetto misterioso, in quanto il contribuente non può testare il software della capacità contributiva.
Ciò, pertanto, renderà ancora più difficile la linea difensiva nel processo tributario.
Anche per questi motivi non è più giustificabile alcuna limitazione del diritto di difesa del contribuente sia nella fase amministrativa sia nella fase processuale.
Infatti, per contrastare il redditometro sono poche le vie di fuga, in quanto sono richieste prove rigorose e circostanziate per ribaltare le presunzioni.
A titolo di esempio, si citano le ultime sentenze della Corte di Cassazione che hanno ribadito i suesposti principi:
- n. 12448 dell’08 giugno 2011;
- n. 11213 del 20 maggio 2011;
- n. 9549 del 29 aprile 2011;
- n. 7408 del 31 marzo 2011;
- n. 2726 del 04 febbraio 2011.
Infine, si fa presente che l’accertamento sintetico (compreso il redditometro) spazza via tutti gli altri accertamenti.
Nella gran parte dei casi, infatti, il contribuente raggiunto da una rettifica basata sul ‘’sintetico’’ non potrà più essere sottoposto ad altro accertamento (Dario Deotto, in ‘’Il Sole 24 Ore’’ di lunedì 08 agosto 2011).
D) SPESOMETRO
Dall’01 luglio 2011 i commercianti al minuto e tutti i prestatori di servizi che certificano i corrispettivi con ricevute e scontrini fiscali dovranno monitorare le operazioni il cui prezzo, IVA inclusa, sia di ammontare uguale o superiore a 3.600 Euro, identificando il cliente e conservando con cura le relative informazioni per trasferirle nelle comunicazioni da inviare all’Agenzia delle entrate.
Con le recenti manovre di cui sopra, per i pagamenti di importo non inferiore ai 3.600 Euro (iva compresa) effettuati con strumenti tracciabili (Bancomat, carte di credito, ecc.) saranno gli operatori emittenti i mezzi elettronici di pagamento stessi ad implementare le banche dati dell’anagrafe tributaria al posto dei contribuenti titolari di partita IVA . Anche le vendite a rate non sono escluse dalla comunicazione.
L’adempimento si sposta così dai soggetti passivi IVA agli operatori finanziari che emettono le carte di credito, di debito e prepagate.
Con lo spesometro il legislatore vuole ulteriormente potenziare l’istituto giuridico del redditometro (vedi lett. ‘’C’’) ed appunto per questo si dovevano togliere tutti i limiti istruttori oggi presenti nel processo tributario per riequilibrare la posizione processuale ed amministrativa del contribuente.
E) INDAGINI BANCARIE
Con le manovre economiche estive di cui sopra sono stati semplificati gli accessi dell’Agenzia delle entrate e della Guardia di Finanza presso gli intermediari finanziari per l’acquisizione diretta di dati e notizie relativi ai contribuenti.
E’ stata ampliata la platea degli enti cui sarà possibile effettuare i controlli: non solo uffici postali e banche ma tutti gli intermediari finanziari che non hanno risposto alle richieste dell’amministrazione o hanno fornito informazioni di dubbia correttezza.
Inoltre, nelle dichiarazioni dei redditi e dell’Iva si dovranno indicare i dati degli intermediari finanziari e nei Comuni il reddito dichiarato finirà on-line.
Rispetto alla bozza iniziale, invece, non c’è stata la norma (attesa soprattutto dai professionisti) che annullava la presunzione legale di maggiori ricavi e compensi con riferimento ai prelevamenti non giustificati.
La normativa sulle indagini bancarie configura una presunzione legale iuris tantum, in favore dell’Amministrazione finanziaria, che non deve fornire ulteriori elementi a supporto della pretesa tributaria (in tal senso, Cass. Sez. Trib., sentenza n.11750 del 12 maggio 2008).
Inoltre, secondo i giudici di legittimità, la controprova che deve dare il contribuente non deve essere generica, ma analitica, con riferimento a tutte le movimentazioni, in entrata ed in uscita, contestate.
In particolare, spetta sempre al contribuente provare che i versamenti sono stati registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili, qualora il contribuente stesso intenda vincere la presunzione di ricavi dei versamenti e dei prelevamenti.
I suddetti principi sono stati più volte confermati dalla Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con le seguenti sentenze:
- n. 18016 del 09 settembre 2005;
- n.18339 del 17 agosto 2009;
- n. 6617 del 19 marzo 2009;
- n.13819 del 13 giugno 2007.
La presunzione legale in esame è divenuta molto più ‘’invadente’’ dopo le modifiche apportate all’art. 32 del D.P.R. n.600/73, ad opera della legge n. 311 del 30 dicembre 2004, per effetto della quale ‘’alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni’’.
Inoltre, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione si sta verificando un contrasto interpretativo in merito all’individuazione dei presupposti per effettuare i controlli bancari intestati esclusivamente a soggetti diversi dal contribuente indagato.
Negli ultimi tempi, sembrava prevalere l’orientamento secondo il quale il solo vincolo familiare ed il rapporto societario non erano sufficienti ad estendere il controllo ai conti dell’amministratore e dei soci e dei loro familiari, ma occorreva provare, anche in via presuntiva, la riferibilità degli stessi conti al contribuente.
L’ordinanza n. 1943 del 13 settembre 2010 della Corte di Cassazione ha, però, smentito tale orientamento, mentre la successiva sentenza n. 20197 del 24 settembre 2010 lo ha di nuovo confermato.
Appare, perciò, opportuno che la questione sia sottoposta quanto prima al vaglio delle Sezioni Unite.
La circolare n. 32/E del 2006 dell’Agenzia delle Entrate ha chiarito, inoltre, l’onere probatorio in capo al contribuente (paragrafo 4.4); cioè:
- il contribuente sottoposto a controllo potrà fornire a seconda dei diversi ambiti impositivi la dimostrazione sull’irrilevanza ai fini impositivi dei movimenti finanziari acquisiti ( il riferimento è ai versamenti);
- l’indicazione dei soggetti effettivamente beneficiari dei prelievi;
- l’annotazione dei movimenti nelle scritture contabili o in dichiarazione.
Nonostante ciò, però, la difesa del contribuente sulle indagini finanziarie è spuntata, con i limiti istruttori più volte denunciati, soprattutto se viene richiesto di documentare la giustificazione dei prelievi che, per gli importi in contanti, è pressoché impossibile a distanza di tempo.
Il problema sul fronte della difesa del contribuente nasce dal fatto che molti uffici territoriali non tengono in considerazione il percorso tracciato a livello centrale e procedono comunque alla contestazione di maggiori ricavi o compensi.
Molti prelievi bancari sono effettuati per motivi personali e familiari (con Bancomat o con l’utilizzo di carte di credito) per far fronte alle ordinarie necessità familiari.
A distanza di anni i verificatori pretendono giustificazioni di tali movimentazioni spesso impossibili da fornire con la conseguenza che il contribuente si vede rettificare i propri compensi per importi pari a quelli prelevati e spesi per motivi personali e familiari.
In genere, a nulla serve evidenziare che i redditi dichiarati sono superiori alle somme spese.
Ecco perché è necessario ed urgente riformare seriamente il processo tributario per consentire al contribuente una più efficace tutela processuale, anche tramite la testimonianza ed il giuramento.
In ogni caso, resta forte la delusione per il fatto che le prime bozze della manovra prevedevano l’abrogazione, poi cancellata dalla versione definitiva, dell’incomprensibile presunzione di maggiori compensi e ricavi a fronte di prelevamenti non giustificati.
Questa necessaria e logica modifica non sarebbe stata di poco conto non fosse altro per le difficoltà nel fornire, a distanza di anni, adeguate indicazioni in merito ai prelevamenti di somme dai conti e perché non esistono limiti circa l’importo delle operazioni, per le quali chiedere giustificazioni, oltretutto con i limiti difensivi più volte denunciati nel presente scritto.
La Corte di Cassazione, con le sentenze n. 767 e 802 del 2011, ha consolidato una serie di principi in materia di presunzioni, sia sui prelevamenti che sui versamenti, riconoscendo in generale un’elevata capacità probatoria a favore del fisco.
Il contribuente è chiamato, infatti, a dimostrare di averne tenuto conto nella determinazione del reddito oppure che le operazioni bancarie contestate risultano estranee all’attività svolta: in assenza di prova contraria, le presunzioni rilevano ai fini accertativi.
Nessuna ulteriore attività istruttoria è, invece, richiesta ai verificatori in quanto le movimentazioni bancarie integrano di per sé una presunzione legale relativa di maggiori ricavi o compensi.
E’, infatti, onere del soggetto verificato dimostrare che gli elementi su cui si fondano le movimentazioni bancarie non si riferiscono ad un’operazione imponibile, mentre l’onere a carico dell’ufficio fiscale è soddisfatto attraverso i semplici dati risultanti dagli stessi conti: in questo senso, la Corte di Cassazione, con le sentenze n. 6906/2011 e 10036/2011.
Infine, la legittimità dell’utilizzo dei dati desunti dalla verifica operata sui conti correnti bancari del contribuente non è condizionata alla previa instaurazione di un contraddittorio, la cui omissione non pregiudica, quindi, la validità nell’atto impositivo emesso.
F) STUDI DI SETTORE
1) La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con le sentenze nn. 26635, 26636, 26637 e 26638 del 18 dicembre 2009, ha finalmente messo la parola fine alla nota querelle attinente la valenza presuntiva degli studi di settore.
Il pensiero finale della Suprema Corte è efficacemente sintetizzabile nello stralcio che segue:
‘’La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente (che può, tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell’accertamento nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività esercitativa siano state disattese.
Il contribuente ha, nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente’’.
2) Al tempo stesso, però, la Corte di Cassazione ha più volte chiarito che spetta sempre al contribuente provare le condizioni di esclusione dagli studi di settore.
La normativa, infatti, fa riferimento alle ‘’ specifiche condizioni di esercizio’’ dell’attività e lascia, quindi, ampio margine nella deduzione dei fatti impeditivi (art. 3, comma 181, della legge n. 549/1995); in tal senso, si è più volte pronunciata la Corte di Cassazione, con le seguenti sentenze:
- n. 19163 del 2003;
- n. 23602 del 2008;
- n. 24912 del 2008;
- n. 27648 del 2008;
- n. 3288 del 2009.
Da ultimo, la Corte di Cassazione, Sez. Trib., con la sentenza n. 16235 del 09 luglio 2010, ha ribadito che:
‘’l’accertamento basato sui parametri prima, ed ora sugli studi di settore, costituisce un sistema di presunzioni semplici il cui fondamento non risiede nello scostamento del reddito dichiarato rispetto a questi ‘’standards’’, ma nasce se il contribuente, all’esito del necessario contraddittorio, non assolve l’onere di provare l’esistenza di condizioni di esclusione di tali ‘’standards’’ o la specifica realtà della sua attività economica nel periodo di tempo in esame.
Non è invero sufficiente che egli faccia generico riferimento ad argomentazioni prive di qualunque concreta indicazione, come l’ipotesi, ricorrente nel caso di specie, in cui il contribuente si è limitato ad addurre, quale ragione dello scostamento, la mera applicabilità del principio di tassazione per cassa, trattandosi di reddito professionale’’.
3) La Commissione per l’esame della compatibilità comunitaria di leggi e prassi fiscali italiane dell’AIDC ha presentato denuncia alla Commissione UE di illegittimità comunitaria degli accertamenti IVA fondati sugli stessi studi di settore.
L’appartenenza degli studi di settore agli ‘’accertamenti standardizzati’’ evidenzia il contrasto con il principio di soggettività dei ricavi imponibili ai fini IVA, che non possono che essere quelli effettivi.
Né può ritenersi che i risultati statistici possano essere trasformati in risultati personali ed effettivi a seguito del contraddittorio tra fisco e contribuente, caratterizzato da un fisiologico squilibrio tra funzionario, forte di una presunzione semplice, e contribuente, su cui grava l’onere della, spesso difficoltosa, prova contraria, tenuto conto dei limiti istruttori imposti dalla legge (divieto della testimonianza e del giuramento).
4) Con le recenti manovre economiche del 2011 la posizione del contribuente si è ulteriormente aggravata, perché:
- viene previsto l’inasprimento delle sanzioni nelle ipotesi di omessa presentazione del modello degli studi di settore, quando il contribuente non vi provvede anche a seguito dell’invito da parte dell’Agenzia delle entrate (vedi Circolare n. 41/E del 05 agosto 2011 dell’Agenzia delle Entrate);
- viene stabilita la possibilità di effettuare, da parte dell’Amministrazione finanziaria, l’accertamento induttivo, cioè basato su presunzioni semplici, sprovviste dei necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza, in presenza di omissione del modello degli studi di settore o di semplice irregolarità (anche formale) dei dati. L’accertamento induttivo è possibile quando il reddito accertato supera il 10% (dieci per cento) del reddito dichiarato;
- è stata eliminata la previsione in base alla quale, in caso di accertamento basato su presunzioni semplici nei confronti di un soggetto ‘’congruo’’, l’ufficio fiscale deve espressamente riportare nell’accertamento le ragioni che lo hanno portato a disattendere i risultati degli studi di settore;
- infine, bisogna rilevare che le suddette novità hanno in qualche modo a che fare sia con il termine di versamento del 05 agosto 2011 sia con quello di presentazione di UNICO 2011, tenendo presente che le nuove misure si applicano già dalla dichiarazione che sarà presentata a settembre 2011.
5) La soppressione dell’obbligo di evidenziare nelle motivazioni dell’atto le suddette ragioni sembra avere il solo scopo di rendere più difficoltosa per il contribuente la propria difesa, omettendo di portare alla sua conoscenza gli elementi probatori in possesso degli uffici fiscali ed azzerando in un sol colpo gli importanti principi esposti dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (vedi n.1).
6) Oltretutto, siamo al paradosso per cui chi dichiara redditi inferiori alla soglia della congruità ma ha correttamente compilato il relativo modello può essere accertato solo in presenza di ‘’ulteriori elementi’’ che dimostrino la gravità dell’incongruenza (per esempio, con una difformità superiore al 10%), mentre chi ha commesso un errore di compilazione (anche formale, data la complessità e macchinosità del modello) può subire un accertamento da studi di settore senza che per l’ufficio sia necessario addurre ulteriori elementi probatori circa la gravità dell’incongruenza, essendo sufficiente l’indicazione di un valore di congruità inferiore anche solo al 10%.
In definitiva, anche in questa circostanza, il legislatore ha dimostrato di voler anteporre l’interesse fiscale ad una agevole e rapida riscossione di pretese la cui legittimità è tutta da dimostrare rispetto alla doverosa tutela del contribuente, fisiologicamente parte più debole nel rapporto impositivo, e peraltro privo di efficaci strumenti istruttori per poter contrastare le illegittime pretese del fisco.
7) Infine, con la terza (ed ultima?) manovra correttiva bis (D.L. N. 138/2011 cit.), il legislatore è intervenuto nuovamente in materia di studi di settore.
La preclusione agli accertamenti di natura analitico induttiva da parte dell’Agenzia dell’entrate è ora possibile soltanto se i contribuenti interessati risultino congrui alle risultanze degli studi di settore, anche a seguito di adeguamento, nel periodo d’imposta accertato e nel periodo d’imposta precedente a quello accertato.
G) ACCERTAMENTI FISCALI
1) Con la recente sentenza n.16642 del 29 luglio 2011 la Corte di Cassazione - Sez. Trib. - ha ribadito il principio che l’accertamento analitico-induttivo è sempre legittimo quando l’esposizione dei ricavi è talmente ridotta rispetto ai costi da far ritenere antieconomica la gestione dell’impresa.
2) Con l’ordinanza n. 2593 del 03 febbraio 2011 la Corte di Cassazione - Sez. Trib. - ha precisato che:
‘’il divieto di doppia presunzione attiene esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con un’altra presunzione semplice e non può ritenersi, invece, violato nel caso in cui da un fatto noto (costituito dalla presenza di un lavoratore dipendente non regolarmente assunto) si risale ad un fatto ignorato (costituito dalla maggiore redditività del’impresa), di talchè appare legittima la ricostruzione analitico-induttiva del reddito d’impresa ex art.39, primo comma, lett. D), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, fondato sulla presenza di un dipendente non regolarmente assunto, da cui venga desunta l’esistenza di ricavi non contabilizzati in base a parametri riferiti alla qualifica ed alle mansioni del lavoratore irregolare, qualora il contribuente non assolva l’onere della prova contraria, in tal caso su di esso incombente’’.
3) L’accertamento su società a ristretta base azionaria rappresenta una forma particolare di accertamento di maggiori redditi imponibili adottata dagli uffici fiscali nel corso degli anni e spesso avvalorata dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.
La presunta distribuzione di utili derivanti da ricavi non contabilizzati o da minori costi, in tali atti, individua il superamento del formalismo giuridico tra società di capitali ristrette (non caratterizzate da un azionariato diffuso con interessi differenziati) e persone fisiche proprietarie.
La legittimità dell’accertamento in esame, in presenza di società a base familiare o, comunque, a ristretto azionariato, è stata sostenuta dalla Corte di Cassazione a partire dalla sentenza n. 11785 del 19 febbraio 1990, che ha affermato che la stessa ristretta base azionaria costituisce, da sola, prova presuntiva di distribuzione degli utili ai soci, con inversione dell’onere della prova (probatio diabolica, con i limiti istruttori più volte denunciati).
La Corte di Cassazione ha spesso confermato il suddetto principio con le sentenze:
- n. 4695 del 02 aprile 2002;
- n. 16885 del 2003;
- n. 16729 dell’08 agosto 2005;
- n. 7174 del 16 maggio 2002;
- n. 11724 del 18 maggio 2006.
La suddetta presunzione può essere superata dal contribuente tramite prova contraria e con la dimostrazione che i maggiori ricavi sono stati accantonati ovvero reinvestiti; in tal senso, Corte di Cassazione con le seguenti sentenze:
- n. 10951 del 25 luglio 2002;
- n. 7564 del 15 maggio 2003;
- n. 20851 del 26 ottobre 2005.
Infine, a completamento dei principi di cui sopra, la Corte di Cassazione ha precisato che:
- stante l’indipendenza dei procedimenti relativi alla società ed al singolo socio, non è necessario che l’accertamento dei maggiori ricavi in capo alla società sia divenuto definitivo (Cassazione, sent. n. 16885/2003);
- la presunzione di cui sopra, in carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria, deve essere confermata anche nell’ipotesi di una perdita contabile nonostante la considerazione di ricavi non contabilizzati, atteso che, per effetto della mancata loro inclusione nella contabilità sociale, comunque i ricavi conseguiti da operazioni ‘’in nero’’ non risultano né accantonati né reinvestiti e, quindi, sono stati distratti dalla società per essere distribuiti ai soci.
Il risultato ‘’pur sempre negativo’’ del bilancio, infatti, non esclude il fatto oggettivo che i ricavi non contabilizzati, non entrati nelle casse sociali, sono stati distribuiti ai soci in quanto tali (uti soci), quindi senza alcun altro titolo giuridico che la qualità rivestita (in tal senso, Cassazione, sentenza n. 18640 dell’08 luglio 2008).
In ogni caso, l’accertamento da ristretta base azionaria è illegittimo se il socio non è a conoscenza dei fatti contestati alla società, in base all’interessante sentenza n. 56 del 06 maggio 2011 della Commissione Tributaria regionale di Bari.
Infine, non bisogna mai dimenticare il fatto che non esiste una precisa definizione giuridica di società a ristretta base sociale, né a base familiare, in quanto la fattispecie va valutata caso per caso.
Ecco perché è importante che il contribuente, quanto meno in sede difensiva, chieda la sospensione del processo in attesa della definizione del processo riguardante la società (Cassazione, sentenza n. 20870/2010).
Oltretutto, la Cassazione, con la sentenza n.2214/2011, ha chiarito che nei rapporti tra processi tributari si può sempre applicare l’art. 295 c.p.c..
4) Alla luce dei principi giurisprudenziali della Corte di Cassazione, nelle particolari (e non rare) ipotesi esposte nei tre numeri precedenti, non si può continuare a limitare la sfera difensiva del contribuente, soprattutto nelle diffuse ipotesi di inversione dell’onere della prova. Uno Stato di diritto, quale si definisce il nostro, non può consentire di pregiudicare il diritto di difesa del contribuente con assurde limitazioni e, cosa ancor più grave, smantellando e paralizzando le Commissioni tributarie (come si chiarirà in seguito), con l’evidente scopo di far cassa a tutti i costi, costringendo il contribuente a patteggiare con il fisco, rinunciando a qualsiasi tutela processuale per l’impossibilità di una effettiva difesa.
Da ultimo, per confermare quanto sopra esposto, si fa presente che i finanziamenti concessi dai soci sono a rischio di contestazioni.
Infatti, in assenza di chiare indicazioni nel bilancio di esercizio, i prestiti sono sempre considerati fruttiferi di interessi e tassabili in capo al socio finanziatore, in base alla discutibile interpretazione della Corte di Cassazione - Sez. Trib. - con la sentenza n.2735 del 04 febbraio 2011.
5) Inoltre, non bisogna dimenticare che, in tema di accertamento tributario, motivato da un forte interesse pubblico, la violazione di regole formali non comporta come conseguenza necessaria l’inutilizzabilità degli elementi acquisiti, se ciò non sia stabilito da una specifica previsione normativa.
In tal senso, Corte di Cassazione, con le seguenti sentenze:
- n. 9565 del 23 aprile 2007;
- n. 13230 del 09 giugno 2009;
- n. 14058 del 16 giugno 2006;
- n. 5093 del 09 marzo 2005;
- n. 12871 del 22 ottobre 2001;
- n. 2668 del 26 marzo 1996.
E ciò rende ancora più difficile la difesa del contribuente.
Inoltre, con le ultime manovre finanziarie, il Governo scommette sulla lotta a sommerso, con controlli sempre più incisivi per combattere l’evasione fiscale, soprattutto con i seguenti istituti:
- regime dei contribuenti minimi (art. 27, commi 1-7, D.L. n. 98/2011 cit.);
- nuovi limiti al riporto delle perdite fiscali (art. 23, comma 9, D.L. n. 98/2011 cit.);
- spesometro (art. 7 D.L. n. 70/2011 cit. e art. 23 D.L. n. 98/2011 cit.);
- revoca partite iva inattive (art. 23, commi 22-23, D.L. n. 98/2011 cit.);
- tracciabilità pagamenti in contanti da € 2.500 in poi (art. 2, comma 4, D.L. n. 138/2011 cit.);
- sospensione professionisti per omessa fatturazione (art. 2, comma 5, D.L. n. 138/2011 cit.);
- studi di settore (art. 23, comma 28, D.L. n. 98/2011 cit. e art. 2, comma 34, D.L. n. 138/2011 cit.).
H) ACCERTAMENTI FISCALI - RADDOPPIO DEI TERMINI
1) La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 247 del 25 luglio 2011, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale del disposto dell’art. 57, comma 3, D.P.R. n. 633/72 (comma aggiunto dall’art. 37, comma 25, D.L. n. 223 del 04 luglio 2006) in base al quale:
‘’In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione’’.
La stessa disposizione è prevista per le imposte dirette (art. 43, comma 3, D.P.R. n. 600 del 1973, comma aggiunto dall’art. 37, comma 24, D.L. n, 223 del 04 luglio 2006, convertito, con modificazioni dalla legge n. 248 del 04 agosto 2006).
Secondo la Corte Costituzionale ‘’ i termini raddoppiati di accertamento non costituiscono una ‘’proroga’’ di quelli ordinari, da disporsi a discrezione dell’amministrazione finanziaria procedente, in presenza di “eventi peculiari ed eccezionali’’.
Al contrario, i termini raddoppiati sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva (allorchè, cioè, sussista l’obbligo di denuncia penale per i reati tributari previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000), senza che all’amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione.
In altre parole, i termini raddoppiati non si innestano su quelli ‘’brevi’’ di cui ai primi due commi dell’art. 57 del D.P.R. n. 633 del 1972, in base ad una scelta degli uffici tributari, ma operano autonomamente allorchè sussistano elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale per i reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000.
Sotto questo aspetto non può parlarsi di ‘’riapertura o proroga di termini scaduti’’ né di ‘’reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti’’, perché i termini ‘’brevi’’ e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi termini di accertamento’’.
Viene, infine, cassata anche la censura sull’applicazione retroattiva dei termini raddoppiati come sanzione impropria, perché la disciplina del raddoppio dei termini non ha natura sanzionatoria.
In definitiva, la Corte Costituzionale ha precisato che il raddoppio dei termini di prescrizione vale anche se la denuncia viene effettuata quando i termini ordinari (quattro anni, che salgono a cinque in caso di omessa dichiarazione) siano già scaduti.
In pratica, in casi molto frequenti (basti pensare alle ipotesi di dichiarazione infedele o fraudolenta), l’accertamento fiscale potrà essere notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo (o del decimo anno successivo, in caso di omessa dichiarazione) a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi, con l’obbligo di conservare tutta la relativa documentazione per quel periodo d’imposta.
Infine, la succitata sentenza n. 247/2011 fornisce l’ulteriore conferma della non validità del condono IVA, già decretata dalla Corte di giustizia CE e dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
2) L’ASSONIME, con la circolare n. 20 del 29-07-2011 critica giustamente la succitata sentenza della Corte Costituzionale perché il raddoppio dei termini deriva sempre e comunque dall’attività di accertamento, per cui pare proprio che ‘’il raddoppio dei termini non attenga affatto ad una presunta fattispecie di rilevanza penale distinta o distinguibile dalle altre violazioni tributarie’’.
Secondo ASSONIME, la lettura della Corte Costituzionale mostra una ratio legis piuttosto anomala in un ordinamento complessivamente orientato a principi di garanzia che trovano una chiara indicazione sia nella Costituzione stessa sia nello Statuto del contribuente (vedi precedente lett. ‘’A’’), che pur non essendo norma costituzionale riveste, in ogni caso, una riconosciuta valenza orientativa nell’interpretazione.
3) In una situazione del genere, l’unica difesa del contribuente è quella di eccepire la strumentalità della ‘’notitiae criminis’’, come chiarito in un passaggio della succitata sentenza n. 247/2011.
In concreto, nel ricorso il contribuente dovrà eccepire la decadenza dei termini ordinari per l’esecuzione dell’accertamento da parte dell’ufficio fiscale in quanto il raddoppio non si è realizzato perché la comunicazione della notizia del reato è stata fatta solo pretestuosamente ed in via strumentale proprio per usufruire dei termini più ampi.
Tale censura, però, deve essere motivata e provata opportunamente, evidenziando le circostanze di fatto o la sequenza degli eventi, dai quali, appunto, emergerebbe la strumentalità della denuncia all’autorità giudiziaria.
Anche in questo caso, però, si tratta di una probatio diabolica, tenuto conto dei denunciati limiti istruttori imposti al contribuente nel processo tributario che, specie in questo caso, pregiudicano seriamente la linea difensiva.
Oltretutto, proprio in occasione della succitata sentenza n. 247 della Corte Costituzionale, si è arrivati all’assurdo che sul quotidiano ITALIA OGGI di mercoledì 03 agosto 2011 è apparsa un’informazione pubblicitaria (info.condono2002gmail.com) con cui si invita l’Amministrazione finanziaria e la Guardia di Finanza a fare gli accertamenti per l’annualità 2002 perché: ‘’In mancanza verrebbe meno il principio cardine che LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI, OLTRE A REALIZZARSI UN MANCATO RECUPERO PER LO Stato di gettito altissimo (si pensi solo ai grandi contribuenti! )’’.
Quindi, al danno la beffa per tutti quei contribuenti che hanno fatto affidamento alle leggi dello Stato di quel momento, che consentiva correttamente il condono IVA per l’anno 2002 e non prevedeva assolutamente alcun raddoppio dei termini di decadenza dell’azione accertativa.
Da ultimo, per completare l’accerchiamento del contribuente, nella G.U. del 01 agosto 2011 è stato pubblicato il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 15-07-2011, recante la specifica dei criteri da seguire per poter erogare alle amministrazioni locali, che hanno partecipato all’accertamento fiscale e contributivo, il 33% delle maggiori somme, a titolo di imposta e sanzioni, riscosse a titolo definitivo, così come previsto dall’art. 1, comma 1, del D.L. n. 203/2005.
La suddetta disposizione, però, è stata di recente modificata per effetto dell’art. 2, comma 10, lett. b), del D.lgs. n. 23 del 14 marzo 2011, che ha aumentato la quota di partecipazione dal 33% al 50%.
Per l’anno 2011, però, ai Comuni andrà il 33% e questo renderà ancora più incisiva ed invadente l’attività di controllo e di accertamento, senza consentire ai contribuenti una piena libertà di difesa.
Infine, con il D.L. n. 138 cit., il legislatore ha previsto per i Comuni il 100% del gettito dell’attività di accertamento, ma solo se entro il 31/12/2011 mettono in campo i Consigli tributari.
I) ACCERTAMENTI ESECUTIVI DALL’01 OTTOBRE 2011
Il nuovo e più incisivo istituto giuridico dell’accertamento esecutivo è disciplinato da tre disposizioni di legge:
- l’art. 29 D.L. n. 78 del 31 maggio 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 30 luglio 2010;
- l’art. 7, comma 2, lettera N), e comma 3, D.L. n. 70/2011 cit.;
- l’art. 23, comma 30, D.L. n. 98/2011 cit.
In particolare, in base alle suddette disposizioni:
- gli avvisi di accertamento emessi di imposte dirette, IVA, IRAP ed addizionali, nonché i relativi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni, concernenti periodi d’imposta in corso al 31 dicembre 2007 e successivi, diventano esecutivi dopo 60 giorni dalla notifica;
- decorsi 30 giorni dopo la scadenza dei 60 giorni previsti per adempiere al pagamento (o per proporre ricorso) l’agente della riscossione può quindi portare avanti la riscossione forsata senza la preventiva notifica della cartella di pagamento (l’accertamento è, infatti, esecutivo);
- in ogni caso, se il contribuente presenta istanza di accertamento con adesione opera, senz’altro secondo me, la sospensione dei termini per la proposizione del ricorso (90 giorni, ai sensi e per gli effetti dell’art. 6, comma 3, D.lgs. n. 218 del 19 giugno 1997);
- è prevista la sospensione della procedura di esecuzione forzata per un periodo di 180 giorni dalla data dell’affidamento dell’avviso di accertamento all’agente della riscossione, disposizione cui è stata affiancata la riduzione dell’importo riscosso in caso di ricorso (dal 50% ad un terzo), come grazioso contentino al contribuente (!);
- in ogni caso, però, la sospensione non si applica con riferimento alle azioni cautelari e conservative, nonché ad ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore.
Per effetto della succitata riforma, quindi, si determina un’anticipazione del momento della riscossione che fa sorgere in capo al contribuente l’esigenza di concentrare in un unico atto le azioni di merito e cautelare, venendo meno in tal modo le obiezioni di quella parte della dottrina e di quasi tutta la giurisprudenza di merito che riteneva (secondo me sbagliando) che l’inibitoria fosse esperibile soltanto in presenza di un’iscrizione a ruolo già effettuata, anche a titolo provvisorio.
Va tenuto, altresì, presente che per rendere, oggi, effettiva la tutela del contribuente in sede processuale occorrerà accelerare i tempi della trattazione delle istanze di sospensione da parte dei giudici tributari, in modo tale che le udienze si svolgano prima della scadenza del termine o dei 60 giorni previsto per la riscossione spontanea o dei 180 giorni, quale termine ultimo per ottenere la sospensiva.
A fronte di maggiore incisività ed accelerazione delle procedure di riscossione a titolo provvisorio, però, non corrisponde un’altrettanto incisiva tutela processuale del contribuente perché:
- con la parziale riforma della giustizia tributaria e con i nuovi casi di incompatibilità, di cui tratteremo in seguito, di fatto si rischia la paralisi delle Commissioni tributarie, con la sensibile riduzione degli organici, senza che il contribuente riesca ad ottenere la fissazione dell’ udienza di sospensiva nei ristretti termini previsti dalla legge;
- inoltre, nonostante la chiara ed importante sentenza della Corte Costituzionale (n. 217 del 17 giugno 2010), molte Commissioni tributarie di merito continuano a negare la sospensiva in grado di appello (per esempio, C.T.R. della Lombardia - Se. Brescia – Sez. LXVI, ordinanza n. 26 del 18 ottobre 2010; C.T.R. della Puglia - Sez. Lecce - Sez. 23, ordinanza n. 80 del 28 aprile 2011).
Persino la Corte di Cassazione, Sez. Trib., con la sentenza n. 21121 del 13-10-2010 ha negato la sospensiva in grado di appello.
La sentenza della Corte Costituzionale, che afferma la sospendibilità della sentenza di secondo grado, è stata depositata il giorno 17 giugno 2010; la succitata sentenza della Corte di Cassazione è stata deliberata il 28 maggio 2010 (anche se depositata il 13 ottobre 2010). Quindi , prima che la Consulta si pronunciasse.
Con un po’ di attenzione, però, si sarebbe potuto aggiustare la motivazione, adeguandola a quella della recente sentenza della Corte Costituzionale.
Ultimamente, però, la C.T.R. della Lombardia, con l’ordinanza n. 8 del 24 maggio 2011, ha nuovamente rimesso la questione alla Corte Costituzionale, con la speranza che, questa volta, una conferma della Consulta annienti definitivamente tesi contrarie.
In ogni caso, per definire una buona volta per tutte la questione, sarebbe opportuno prevedere, de iure condendo, un’esplicita ammissibilità della sospensiva anche in grado di appello.
L) LE NUOVE ISCRIZIONI PROVVISORIE
Con le recenti manovre economiche, il legislatore fiscale ha adottato nei confronti del contribuente il bastone e la carota.
Il ‘’bastone’’ è rappresentato sostanzialmente dall’accertamento esecutivo e dalla paralisi della giustizia tributaria, con l’assurdo allargamento delle ipotesi di incompatibilità previste dall’art. 8 D.Lgs. n. 545 del 31 dicembre 1992.
La ‘’carota’’, invece, anche se non attenua il bastone di cui sopra, è rappresentata dalla riduzione ad un terzo, dal precedente cinquanta per cento, delle iscrizioni provvisorie per le imposte dirette e per l’IVA.
Infatti, l’art. 7, comma 2-quinques, D.L. n. 70 del 13 maggio 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 106 del 12 luglio 2011 (in G.U. n. 160 del 12 luglio 2011), testualmente dispone:
‘’All’articolo 15, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n.602, e successive modificazioni, le parole: ‘’la metà’’ sono sostituite dalle seguenti: ‘’un terzo’’.
Di conseguenza, la nuova formulazione dell’art. 15 cit. è la seguente:
‘’Le imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi, no
(Luigi Einaudi – Primo Presidente della Repubblica dal 1948 al 1955)
TRE MANOVRE ECONOMICHE E PROCESSO TRIBUTARIO
A) STATUTO DEL CONTRIBUENTE
B) VERIFICHE FISCALI
C) REDDITOMETRO
D) SPESOMETRO
E) INDAGINI BANCARIE
F) STUDI DI SETTORE
G) ACCERTAMENTI FISCALI
H) ACCERTAMENTI FISCALI - RADDOPPIO DEI TERMINI
I) ACCERTAMENTI ESECUTIVI DALL’01 OTTOBRE 2011
L) LE NUOVE ISCRIZIONI PROVVISORIE
M) LITI CON RECLAMO DALL’01 APRILE 2012
N) ABUSO DEL DIRITTO
O) FATTURE FALSE E DEDUCIBILITA’ DEI COSTI
P) RISCOSSIONE - RUOLI - RIMBORSI – PRIVILEGI
Q) RIMESSIONE IN TERMINI
R) PROBLEMI DELLA GIURISDIZIONE
S) AUTOTUTELA
T) LE COMMISSIONI TRIBUTARIE NON DEVONO ESSERE PARALIZZATE
U) RIFORMA DELLA GIUSTIZIA E RIFORMA DEL PROCESSO TRIBUTARIO
V) CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
TRE MANOVRE ECONOMICHE E PROCESSO TRIBUTARIO
Non si deve limitare sempre il diritto di difesa del contribuente
Il legislatore fiscale con le ultime manovre economico-finanziarie non solo ha ulteriormente rafforzato l’attività di accertamento degli uffici ma, cosa ancora più grave, ha limitato il diritto di difesa del contribuente,non consentendogli una piena ed efficace tutela giurisdizionale.
In particolare, il legislatore è intervenuto con le seguenti norme:
- Decreto legge n.70 del 13-05-2011, convertito, con modificazioni,dalla legge n.106 del 12 luglio 2011 ( in G.U. – serie generale n.110 del 13 maggio 2011); c.d. Decreto Sviluppo;
- Decreto legge n.98 del 06-07-2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.111 del 15 luglio 2011 (in G.U. n.164 del 16-07-2011);
- Decreto legge n.138 del 13-08-2011 (in G.U. n.188 del 13-08-2011) convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 14/09/2011 (in G.U. del 16/09/2011), c.d. manovra correttiva bis.
Con i suddetti tre provvedimenti sono state rese più incisive le attività di accertamento degli uffici fiscali senza, peraltro, riequilibrare la posizione processuale del contribuente, che continua a trovarsi in una posizione di svantaggio nei confronti del fisco perché non può totalmente esercitare il proprio diritto di difesa.
Oltretutto, questa posizione di svantaggio è stata da sempre tenuta dal contribuente, con l’aggravante che con le recenti manovre viene ulteriormente aggravata.
Con il presente scritto intendo dimostrare quanto sopra, alla luce non solo della disciplina fiscale ma anche tenendo conto della recente giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione.
In definitiva, se non si riforma radicalmente il processo tributario, mettendo sullo stesso piano processuale la parte pubblica e quella privata, senza alcuna limitazione all’esercizio del diritto di difesa, non saranno mai pienamente realizzati i precetti costituzionali degli artt. 24 e 53 della Costituzione.
A) STATUTO DEL CONTRIBUENTE
Il legislatore con la legge n.212 del 27 luglio 2000 (Statuto dei diritti del contribuente) ha cercato di stabilire dei principi che limitassero il potere di supremazia del fisco ma questo encomiabile tentativo è rimasto lettera morta perché adottato con semplice legge ordinaria, praticamente limitata dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione.
Infatti, la Corte Costituzionale ha più volte osservato che le disposizioni della suddetta legge non hanno rango costituzionale e non costituiscono, neppure come norme interposte, parametro idoneo a fondare il giudizio di legittimità costituzionale di leggi statali.
In tal senso, Corte Costituzionale.
- sentenza n.247 del 20 luglio 2011;
- sentenza n.58 del 2009;
- ordinanza n.13 del 2010;
- ordinanza n.185 del 2009;
- ordinanza n.180 del 2007;
- ordinanza n.428 del 2006;
- ordinanza n.216 del 2004.
Anche la Corte di Cassazione si è adeguata ai suddetti principi. Infatti, le norme della legge n.212/2000, emanata in attuazione degli artt.3, 23, 53 e 97 della Costituzione, qualificata espressamente come principi generali dell’ordinamento tributario, sono, in alcuni casi, idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell’Amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di principi già immanenti nell’ordinamento, criteri guida per il giudice nell’interpretazione delle norme tributarie (anche anteriori), ma, sempre secondo i giudici di legittimità, non hanno rango superiore alla legge ordinaria, di talchè non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse.
In tal senso, Corte di Cassazione – Sezione Tributaria, con le sentenze:
- n. 2221 del 31 gennaio 2011;
- n. 8254 del o6 aprile 2009.
. Di conseguenza, è necessario rendere legge costituzionale lo Statuto dei diritti del contribuente, se veramente si vogliono rispettare e rendere effettivamente operativi i principi costituzionali cui intende adeguarsi.
Oggi, purtroppo, lo Statuto del contribuente viene sistematicamente o calpestato (per esempio, con la retroattività delle leggi) o totalmente ignorato proprio a danno del contribuente, come nelle ultime manovre estive.
B) VERIFICHE FISCALI
1) La Corte di Cassazione – Sez. Tributaria – con la recente sentenza n.28053 del 15 luglio 2011 ha precisato che ‘’il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, in quanto atto amministrativo extraprocessuale costituisce prova documentale anche nei confronti di soggetti non destinatari della verifica fiscale; tuttavia, qualora emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalità previste dall’art.220 disp. att., giacchè altrimenti la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile’’.
Non basta.
Due pagine dopo, i giudici di legittimità sottolineano che : ‘’ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele, il giudice può fare legittimamente ricorso ai verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza ai fini della determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa nonché ricorrere all’accertamento induttivo dell’imponibile quando le scritture contabili imposte dalla legge sono state irregolarmente tenute’’.
Questa sentenza si incardina perfettamente nel filone giurisprudenziale che vuole sempre più commistioni fra il processo penale e quello tributario a carico del contribuente e ciò non può che facilitare sensibilmente il lavoro degli inquirenti e degli uffici fiscali.
Per la prima volta la Corte di Cassazione, senza però rinnegare l’ormai straconsolidato orientamento che valorizza tutti i documenti extracontabili, con l’importante sentenza n.10581 del 13 maggio 2011 ha precisato che i tabulati ritrovati presso il consulente del lavoro, che gestisce il servizio paghe, non legittimano l’accertamento di compensi in nero.
La Corte di Cassazione, infatti, con la suddetta sentenza precisa che: ‘’Invero, è del tutto certo che, finanche nel caso di rinvenimento di documentazione extracontabile, resta sempre impregiudicata la verifica in sede contenziosa della concreta riscontrabilità, nella cennata documentazione, dei requisiti suscettibili di configurare i presupposti per l’esercizio del potere di accertamento (vedi, tra le tante, Cass. n.1575/2007 e n.2217/2006)’’.
Questa importante apertura giurisprudenziale dei giudici di legittimità è, però, frustrata dai limiti difensivi che incontra il contribuente nel processo tributario, che è un processo prettamente documentale e non ammette la testimonianza ed il giuramento.
Inoltre, la Corte di Cassazione – Sez. Trib. -, con la sentenza n.1344 del 25 gennaio 2010, ha precisato che:
‘’L’art.52, comma quinto, del D.P.R. n.633/72, richiamato dall’art. 33 del D.P.R. n.600/73 (il quale esclude la possibilità di prendere in considerazione a favore del contribuente, in sede amministrativa e contenziosa, i documenti , libri, scritture, registri, ecc., che non siano stati acquisiti durante gli accessi perché il contribuente ha rifiutato di esibirli o perché ha dichiarato di non possederli o perchè li ha comunque sottratti al controllo) presuppone uno specifico comportamento del contribuente, che, in quanto volto a sottrarsi alla prova, fornisca validi elementi per dubitare della genuinità dei documenti la cui esistenza emerga nel corso del giudizio.
La norma, pertanto, trova applicazione soltanto in presenza di una specifica richiesta o ricerca da parte dell’Amministrazione e di un rifiuto o di un occultamento da parte del contribuente, non essendo sufficiente che quest’ultimo non abbia esibito ai verbalizzanti i documenti successivamente prodotti in sede giudiziaria (v. tra le altre Cass. N. 9127 del 2006)’’.
Anche in questo caso, però, il contribuente non dovrebbe avere limitazioni ed esclusioni nell’esercizio del proprio diritto di difesa.
Infine, con il succitato D.L. n. 70/2011:
- viene riconosciuto il regime di contabilità semplificata alle imprese di servizi con ricavi fino a 400.000 Euro (limite precedente fissato a 309.874 Euro) ed alle altre imprese con ricavi fino a 700.000 Euro (limite precedente fissato a 516.457 Euro);
- - sono apportate modifiche all’art. 12 della legge n. 212/2000 cit., riguardanti, in particolare, il periodo di permanenza dell’Amministrazione presso le sedi delle imprese in contabilità semplificata e presso quelle dei lavoratori autonomi ( per una durata massima di 15 giorni) e, in generale, vengono estesi i termini per la durata dei controlli anche per gli enti previdenziali e di assistenza.
Il problema della tutela effettiva del contribuente, però, non è risolto sia per la natura giuridica dello Statuto del contribuente (vedi lett. A) sia per la natura ordinatoria e non perentoria del termine, anche in attesa che la Corte di Cassazione si pronunci sul tema (si rinvia, indirettamente, alla sentenza n. 26689/o9 del 18 dicembre 2009 della Corte di Cassazione – Sezione Trib.).
2) Dal prossimo autunno dovranno trovare attuazione le nuove disposizioni che obbligano gli enti, preposti ad effettuare verifiche per fini istituzionali, ad una complessiva attività di programmazione e coordinamento.
Infatti, un prossimo decreto del Ministero dell’economia e delle finanze dovrà dettare le linee guida per la programmazione da parte dei vari enti, le cui verifiche in sede non devono durare più di quindici giorni.
A tal proposito, però, c’è da rilevare che:
- il Decreto Sviluppo, nel prevedere il bon ton per le verifiche, ha dimenticato EQUITALIA S.p.A., un soggetto che, specie negli ultimi tempi, è prepotentemente sotto le luci della ribalta;
- le eventuali violazioni delle disposizioni che prevedono il coordinamento, la programmazione e la non ripetizione del controllo costituiscono, per i dipendenti pubblici che hanno trasgredito le nuove disposizioni introdotte dal citato D.L. n. 70/2011, soltanto illeciti disciplinari e non determinano la nullità derivata dagli atti.
In definitiva, con le ultime manovre estive il legislatore ha chiuso il cerchio nella lotta all’evasione fiscale, determinando un accerchiamento fiscale del contribuente con i seguenti istituti:
- Comuni in lotta contro l’evasione;
- dichiarazioni dei redditi on-line;
- consigli tributari antievasione;
- stretta sulle società di comodo;
- conti correnti nel 730;
- stretta fiscale sulle cooperative;
- carcere per i maxi evasori fiscali.
C) REDDITOMETRO
Accertamento da redditometro come gli studi di settore sia per la connotazione di presunzione semplice sia per la necessità di esperire sempre il preventivo contradditorio.
Sono i corretti principi affermati dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n.13289/2011, depositata il 17 giugno 2011.
Principi che vincolano il ‘’vecchio’’ redditometro alle regole previste per il futuro, nuovo redditometro.
La succitata sentenza muta radicalmente il precedente indirizzo giurisprudenziale, secondo cui per il ‘’vecchio’’ redditometro non vi era l’obbligo del contraddittorio (vedi, per esempio, ordinanza n.7485 del 27 marzo 2010).
Ora, invece, i giudici di legittimità con la succitata sentenza n.13289/2011 hanno stabilito che:
‘’Il divieto (‘’non possono in ogni caso’’) posto dal quarto comma dell’articolo 6 della legge 27 luglio 2000 n.212 di richiedere ‘’al contribuente……. documenti e informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente’’ (perché, prosegue la norma, ‘’tali documenti e informazioni sono acquisiti ai sensi dell’articolo 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990 n.241, relativi ai casi di accertamento d’ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa), tenuto conto della necessità (evidenziata dalle Sezioni Unite nella citata decisione n. 26635 del 2009) di esperire il preventivo contraddittorio per adeguare ‘’l’elaborazione statistica degli standard’’ considerati dai DD.MM. del 1992 ‘’alla concreta realtà economica del (singolo) contribuente’’, di per sé solo, non esclude il potere dell’ ‘’amministrazione finanziaria’’ di chiedere, oltre che ‘’documenti e informazioni’’ non in suo possesso, anche quelle “di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente’’), soprattutto specificazioni su ‘’informazioni’’ da esso già conosciute anche per dare concretezza ed effettività a quel contraddittorio’’.
Anche per questi motivi non è più giustificabile alcuna limitazione del diritto di difesa del contribuente sia nella fase amministrativa sia nella fase processuale.
Vi è, quindi, un completo cambio di rotta da parte della Cassazione, che afferma l’obbligo anche per il passato di esperire preventivamente il contraddittorio.
Infine, occorre precisare che, per il secondo anno consecutivo (anni 2009 e 2010), pur verso la scadenza di settembre delle dichiarazioni 2011, il nuovo meccanismo induttivo del redditometro (art. 22 del D.L. n.78 del 31 maggio 2010) resta un oggetto misterioso, in quanto il contribuente non può testare il software della capacità contributiva.
Ciò, pertanto, renderà ancora più difficile la linea difensiva nel processo tributario.
Anche per questi motivi non è più giustificabile alcuna limitazione del diritto di difesa del contribuente sia nella fase amministrativa sia nella fase processuale.
Infatti, per contrastare il redditometro sono poche le vie di fuga, in quanto sono richieste prove rigorose e circostanziate per ribaltare le presunzioni.
A titolo di esempio, si citano le ultime sentenze della Corte di Cassazione che hanno ribadito i suesposti principi:
- n. 12448 dell’08 giugno 2011;
- n. 11213 del 20 maggio 2011;
- n. 9549 del 29 aprile 2011;
- n. 7408 del 31 marzo 2011;
- n. 2726 del 04 febbraio 2011.
Infine, si fa presente che l’accertamento sintetico (compreso il redditometro) spazza via tutti gli altri accertamenti.
Nella gran parte dei casi, infatti, il contribuente raggiunto da una rettifica basata sul ‘’sintetico’’ non potrà più essere sottoposto ad altro accertamento (Dario Deotto, in ‘’Il Sole 24 Ore’’ di lunedì 08 agosto 2011).
D) SPESOMETRO
Dall’01 luglio 2011 i commercianti al minuto e tutti i prestatori di servizi che certificano i corrispettivi con ricevute e scontrini fiscali dovranno monitorare le operazioni il cui prezzo, IVA inclusa, sia di ammontare uguale o superiore a 3.600 Euro, identificando il cliente e conservando con cura le relative informazioni per trasferirle nelle comunicazioni da inviare all’Agenzia delle entrate.
Con le recenti manovre di cui sopra, per i pagamenti di importo non inferiore ai 3.600 Euro (iva compresa) effettuati con strumenti tracciabili (Bancomat, carte di credito, ecc.) saranno gli operatori emittenti i mezzi elettronici di pagamento stessi ad implementare le banche dati dell’anagrafe tributaria al posto dei contribuenti titolari di partita IVA . Anche le vendite a rate non sono escluse dalla comunicazione.
L’adempimento si sposta così dai soggetti passivi IVA agli operatori finanziari che emettono le carte di credito, di debito e prepagate.
Con lo spesometro il legislatore vuole ulteriormente potenziare l’istituto giuridico del redditometro (vedi lett. ‘’C’’) ed appunto per questo si dovevano togliere tutti i limiti istruttori oggi presenti nel processo tributario per riequilibrare la posizione processuale ed amministrativa del contribuente.
E) INDAGINI BANCARIE
Con le manovre economiche estive di cui sopra sono stati semplificati gli accessi dell’Agenzia delle entrate e della Guardia di Finanza presso gli intermediari finanziari per l’acquisizione diretta di dati e notizie relativi ai contribuenti.
E’ stata ampliata la platea degli enti cui sarà possibile effettuare i controlli: non solo uffici postali e banche ma tutti gli intermediari finanziari che non hanno risposto alle richieste dell’amministrazione o hanno fornito informazioni di dubbia correttezza.
Inoltre, nelle dichiarazioni dei redditi e dell’Iva si dovranno indicare i dati degli intermediari finanziari e nei Comuni il reddito dichiarato finirà on-line.
Rispetto alla bozza iniziale, invece, non c’è stata la norma (attesa soprattutto dai professionisti) che annullava la presunzione legale di maggiori ricavi e compensi con riferimento ai prelevamenti non giustificati.
La normativa sulle indagini bancarie configura una presunzione legale iuris tantum, in favore dell’Amministrazione finanziaria, che non deve fornire ulteriori elementi a supporto della pretesa tributaria (in tal senso, Cass. Sez. Trib., sentenza n.11750 del 12 maggio 2008).
Inoltre, secondo i giudici di legittimità, la controprova che deve dare il contribuente non deve essere generica, ma analitica, con riferimento a tutte le movimentazioni, in entrata ed in uscita, contestate.
In particolare, spetta sempre al contribuente provare che i versamenti sono stati registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili, qualora il contribuente stesso intenda vincere la presunzione di ricavi dei versamenti e dei prelevamenti.
I suddetti principi sono stati più volte confermati dalla Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con le seguenti sentenze:
- n. 18016 del 09 settembre 2005;
- n.18339 del 17 agosto 2009;
- n. 6617 del 19 marzo 2009;
- n.13819 del 13 giugno 2007.
La presunzione legale in esame è divenuta molto più ‘’invadente’’ dopo le modifiche apportate all’art. 32 del D.P.R. n.600/73, ad opera della legge n. 311 del 30 dicembre 2004, per effetto della quale ‘’alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni’’.
Inoltre, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione si sta verificando un contrasto interpretativo in merito all’individuazione dei presupposti per effettuare i controlli bancari intestati esclusivamente a soggetti diversi dal contribuente indagato.
Negli ultimi tempi, sembrava prevalere l’orientamento secondo il quale il solo vincolo familiare ed il rapporto societario non erano sufficienti ad estendere il controllo ai conti dell’amministratore e dei soci e dei loro familiari, ma occorreva provare, anche in via presuntiva, la riferibilità degli stessi conti al contribuente.
L’ordinanza n. 1943 del 13 settembre 2010 della Corte di Cassazione ha, però, smentito tale orientamento, mentre la successiva sentenza n. 20197 del 24 settembre 2010 lo ha di nuovo confermato.
Appare, perciò, opportuno che la questione sia sottoposta quanto prima al vaglio delle Sezioni Unite.
La circolare n. 32/E del 2006 dell’Agenzia delle Entrate ha chiarito, inoltre, l’onere probatorio in capo al contribuente (paragrafo 4.4); cioè:
- il contribuente sottoposto a controllo potrà fornire a seconda dei diversi ambiti impositivi la dimostrazione sull’irrilevanza ai fini impositivi dei movimenti finanziari acquisiti ( il riferimento è ai versamenti);
- l’indicazione dei soggetti effettivamente beneficiari dei prelievi;
- l’annotazione dei movimenti nelle scritture contabili o in dichiarazione.
Nonostante ciò, però, la difesa del contribuente sulle indagini finanziarie è spuntata, con i limiti istruttori più volte denunciati, soprattutto se viene richiesto di documentare la giustificazione dei prelievi che, per gli importi in contanti, è pressoché impossibile a distanza di tempo.
Il problema sul fronte della difesa del contribuente nasce dal fatto che molti uffici territoriali non tengono in considerazione il percorso tracciato a livello centrale e procedono comunque alla contestazione di maggiori ricavi o compensi.
Molti prelievi bancari sono effettuati per motivi personali e familiari (con Bancomat o con l’utilizzo di carte di credito) per far fronte alle ordinarie necessità familiari.
A distanza di anni i verificatori pretendono giustificazioni di tali movimentazioni spesso impossibili da fornire con la conseguenza che il contribuente si vede rettificare i propri compensi per importi pari a quelli prelevati e spesi per motivi personali e familiari.
In genere, a nulla serve evidenziare che i redditi dichiarati sono superiori alle somme spese.
Ecco perché è necessario ed urgente riformare seriamente il processo tributario per consentire al contribuente una più efficace tutela processuale, anche tramite la testimonianza ed il giuramento.
In ogni caso, resta forte la delusione per il fatto che le prime bozze della manovra prevedevano l’abrogazione, poi cancellata dalla versione definitiva, dell’incomprensibile presunzione di maggiori compensi e ricavi a fronte di prelevamenti non giustificati.
Questa necessaria e logica modifica non sarebbe stata di poco conto non fosse altro per le difficoltà nel fornire, a distanza di anni, adeguate indicazioni in merito ai prelevamenti di somme dai conti e perché non esistono limiti circa l’importo delle operazioni, per le quali chiedere giustificazioni, oltretutto con i limiti difensivi più volte denunciati nel presente scritto.
La Corte di Cassazione, con le sentenze n. 767 e 802 del 2011, ha consolidato una serie di principi in materia di presunzioni, sia sui prelevamenti che sui versamenti, riconoscendo in generale un’elevata capacità probatoria a favore del fisco.
Il contribuente è chiamato, infatti, a dimostrare di averne tenuto conto nella determinazione del reddito oppure che le operazioni bancarie contestate risultano estranee all’attività svolta: in assenza di prova contraria, le presunzioni rilevano ai fini accertativi.
Nessuna ulteriore attività istruttoria è, invece, richiesta ai verificatori in quanto le movimentazioni bancarie integrano di per sé una presunzione legale relativa di maggiori ricavi o compensi.
E’, infatti, onere del soggetto verificato dimostrare che gli elementi su cui si fondano le movimentazioni bancarie non si riferiscono ad un’operazione imponibile, mentre l’onere a carico dell’ufficio fiscale è soddisfatto attraverso i semplici dati risultanti dagli stessi conti: in questo senso, la Corte di Cassazione, con le sentenze n. 6906/2011 e 10036/2011.
Infine, la legittimità dell’utilizzo dei dati desunti dalla verifica operata sui conti correnti bancari del contribuente non è condizionata alla previa instaurazione di un contraddittorio, la cui omissione non pregiudica, quindi, la validità nell’atto impositivo emesso.
F) STUDI DI SETTORE
1) La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con le sentenze nn. 26635, 26636, 26637 e 26638 del 18 dicembre 2009, ha finalmente messo la parola fine alla nota querelle attinente la valenza presuntiva degli studi di settore.
Il pensiero finale della Suprema Corte è efficacemente sintetizzabile nello stralcio che segue:
‘’La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente (che può, tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell’accertamento nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività esercitativa siano state disattese.
Il contribuente ha, nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente’’.
2) Al tempo stesso, però, la Corte di Cassazione ha più volte chiarito che spetta sempre al contribuente provare le condizioni di esclusione dagli studi di settore.
La normativa, infatti, fa riferimento alle ‘’ specifiche condizioni di esercizio’’ dell’attività e lascia, quindi, ampio margine nella deduzione dei fatti impeditivi (art. 3, comma 181, della legge n. 549/1995); in tal senso, si è più volte pronunciata la Corte di Cassazione, con le seguenti sentenze:
- n. 19163 del 2003;
- n. 23602 del 2008;
- n. 24912 del 2008;
- n. 27648 del 2008;
- n. 3288 del 2009.
Da ultimo, la Corte di Cassazione, Sez. Trib., con la sentenza n. 16235 del 09 luglio 2010, ha ribadito che:
‘’l’accertamento basato sui parametri prima, ed ora sugli studi di settore, costituisce un sistema di presunzioni semplici il cui fondamento non risiede nello scostamento del reddito dichiarato rispetto a questi ‘’standards’’, ma nasce se il contribuente, all’esito del necessario contraddittorio, non assolve l’onere di provare l’esistenza di condizioni di esclusione di tali ‘’standards’’ o la specifica realtà della sua attività economica nel periodo di tempo in esame.
Non è invero sufficiente che egli faccia generico riferimento ad argomentazioni prive di qualunque concreta indicazione, come l’ipotesi, ricorrente nel caso di specie, in cui il contribuente si è limitato ad addurre, quale ragione dello scostamento, la mera applicabilità del principio di tassazione per cassa, trattandosi di reddito professionale’’.
3) La Commissione per l’esame della compatibilità comunitaria di leggi e prassi fiscali italiane dell’AIDC ha presentato denuncia alla Commissione UE di illegittimità comunitaria degli accertamenti IVA fondati sugli stessi studi di settore.
L’appartenenza degli studi di settore agli ‘’accertamenti standardizzati’’ evidenzia il contrasto con il principio di soggettività dei ricavi imponibili ai fini IVA, che non possono che essere quelli effettivi.
Né può ritenersi che i risultati statistici possano essere trasformati in risultati personali ed effettivi a seguito del contraddittorio tra fisco e contribuente, caratterizzato da un fisiologico squilibrio tra funzionario, forte di una presunzione semplice, e contribuente, su cui grava l’onere della, spesso difficoltosa, prova contraria, tenuto conto dei limiti istruttori imposti dalla legge (divieto della testimonianza e del giuramento).
4) Con le recenti manovre economiche del 2011 la posizione del contribuente si è ulteriormente aggravata, perché:
- viene previsto l’inasprimento delle sanzioni nelle ipotesi di omessa presentazione del modello degli studi di settore, quando il contribuente non vi provvede anche a seguito dell’invito da parte dell’Agenzia delle entrate (vedi Circolare n. 41/E del 05 agosto 2011 dell’Agenzia delle Entrate);
- viene stabilita la possibilità di effettuare, da parte dell’Amministrazione finanziaria, l’accertamento induttivo, cioè basato su presunzioni semplici, sprovviste dei necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza, in presenza di omissione del modello degli studi di settore o di semplice irregolarità (anche formale) dei dati. L’accertamento induttivo è possibile quando il reddito accertato supera il 10% (dieci per cento) del reddito dichiarato;
- è stata eliminata la previsione in base alla quale, in caso di accertamento basato su presunzioni semplici nei confronti di un soggetto ‘’congruo’’, l’ufficio fiscale deve espressamente riportare nell’accertamento le ragioni che lo hanno portato a disattendere i risultati degli studi di settore;
- infine, bisogna rilevare che le suddette novità hanno in qualche modo a che fare sia con il termine di versamento del 05 agosto 2011 sia con quello di presentazione di UNICO 2011, tenendo presente che le nuove misure si applicano già dalla dichiarazione che sarà presentata a settembre 2011.
5) La soppressione dell’obbligo di evidenziare nelle motivazioni dell’atto le suddette ragioni sembra avere il solo scopo di rendere più difficoltosa per il contribuente la propria difesa, omettendo di portare alla sua conoscenza gli elementi probatori in possesso degli uffici fiscali ed azzerando in un sol colpo gli importanti principi esposti dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (vedi n.1).
6) Oltretutto, siamo al paradosso per cui chi dichiara redditi inferiori alla soglia della congruità ma ha correttamente compilato il relativo modello può essere accertato solo in presenza di ‘’ulteriori elementi’’ che dimostrino la gravità dell’incongruenza (per esempio, con una difformità superiore al 10%), mentre chi ha commesso un errore di compilazione (anche formale, data la complessità e macchinosità del modello) può subire un accertamento da studi di settore senza che per l’ufficio sia necessario addurre ulteriori elementi probatori circa la gravità dell’incongruenza, essendo sufficiente l’indicazione di un valore di congruità inferiore anche solo al 10%.
In definitiva, anche in questa circostanza, il legislatore ha dimostrato di voler anteporre l’interesse fiscale ad una agevole e rapida riscossione di pretese la cui legittimità è tutta da dimostrare rispetto alla doverosa tutela del contribuente, fisiologicamente parte più debole nel rapporto impositivo, e peraltro privo di efficaci strumenti istruttori per poter contrastare le illegittime pretese del fisco.
7) Infine, con la terza (ed ultima?) manovra correttiva bis (D.L. N. 138/2011 cit.), il legislatore è intervenuto nuovamente in materia di studi di settore.
La preclusione agli accertamenti di natura analitico induttiva da parte dell’Agenzia dell’entrate è ora possibile soltanto se i contribuenti interessati risultino congrui alle risultanze degli studi di settore, anche a seguito di adeguamento, nel periodo d’imposta accertato e nel periodo d’imposta precedente a quello accertato.
G) ACCERTAMENTI FISCALI
1) Con la recente sentenza n.16642 del 29 luglio 2011 la Corte di Cassazione - Sez. Trib. - ha ribadito il principio che l’accertamento analitico-induttivo è sempre legittimo quando l’esposizione dei ricavi è talmente ridotta rispetto ai costi da far ritenere antieconomica la gestione dell’impresa.
2) Con l’ordinanza n. 2593 del 03 febbraio 2011 la Corte di Cassazione - Sez. Trib. - ha precisato che:
‘’il divieto di doppia presunzione attiene esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con un’altra presunzione semplice e non può ritenersi, invece, violato nel caso in cui da un fatto noto (costituito dalla presenza di un lavoratore dipendente non regolarmente assunto) si risale ad un fatto ignorato (costituito dalla maggiore redditività del’impresa), di talchè appare legittima la ricostruzione analitico-induttiva del reddito d’impresa ex art.39, primo comma, lett. D), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, fondato sulla presenza di un dipendente non regolarmente assunto, da cui venga desunta l’esistenza di ricavi non contabilizzati in base a parametri riferiti alla qualifica ed alle mansioni del lavoratore irregolare, qualora il contribuente non assolva l’onere della prova contraria, in tal caso su di esso incombente’’.
3) L’accertamento su società a ristretta base azionaria rappresenta una forma particolare di accertamento di maggiori redditi imponibili adottata dagli uffici fiscali nel corso degli anni e spesso avvalorata dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.
La presunta distribuzione di utili derivanti da ricavi non contabilizzati o da minori costi, in tali atti, individua il superamento del formalismo giuridico tra società di capitali ristrette (non caratterizzate da un azionariato diffuso con interessi differenziati) e persone fisiche proprietarie.
La legittimità dell’accertamento in esame, in presenza di società a base familiare o, comunque, a ristretto azionariato, è stata sostenuta dalla Corte di Cassazione a partire dalla sentenza n. 11785 del 19 febbraio 1990, che ha affermato che la stessa ristretta base azionaria costituisce, da sola, prova presuntiva di distribuzione degli utili ai soci, con inversione dell’onere della prova (probatio diabolica, con i limiti istruttori più volte denunciati).
La Corte di Cassazione ha spesso confermato il suddetto principio con le sentenze:
- n. 4695 del 02 aprile 2002;
- n. 16885 del 2003;
- n. 16729 dell’08 agosto 2005;
- n. 7174 del 16 maggio 2002;
- n. 11724 del 18 maggio 2006.
La suddetta presunzione può essere superata dal contribuente tramite prova contraria e con la dimostrazione che i maggiori ricavi sono stati accantonati ovvero reinvestiti; in tal senso, Corte di Cassazione con le seguenti sentenze:
- n. 10951 del 25 luglio 2002;
- n. 7564 del 15 maggio 2003;
- n. 20851 del 26 ottobre 2005.
Infine, a completamento dei principi di cui sopra, la Corte di Cassazione ha precisato che:
- stante l’indipendenza dei procedimenti relativi alla società ed al singolo socio, non è necessario che l’accertamento dei maggiori ricavi in capo alla società sia divenuto definitivo (Cassazione, sent. n. 16885/2003);
- la presunzione di cui sopra, in carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria, deve essere confermata anche nell’ipotesi di una perdita contabile nonostante la considerazione di ricavi non contabilizzati, atteso che, per effetto della mancata loro inclusione nella contabilità sociale, comunque i ricavi conseguiti da operazioni ‘’in nero’’ non risultano né accantonati né reinvestiti e, quindi, sono stati distratti dalla società per essere distribuiti ai soci.
Il risultato ‘’pur sempre negativo’’ del bilancio, infatti, non esclude il fatto oggettivo che i ricavi non contabilizzati, non entrati nelle casse sociali, sono stati distribuiti ai soci in quanto tali (uti soci), quindi senza alcun altro titolo giuridico che la qualità rivestita (in tal senso, Cassazione, sentenza n. 18640 dell’08 luglio 2008).
In ogni caso, l’accertamento da ristretta base azionaria è illegittimo se il socio non è a conoscenza dei fatti contestati alla società, in base all’interessante sentenza n. 56 del 06 maggio 2011 della Commissione Tributaria regionale di Bari.
Infine, non bisogna mai dimenticare il fatto che non esiste una precisa definizione giuridica di società a ristretta base sociale, né a base familiare, in quanto la fattispecie va valutata caso per caso.
Ecco perché è importante che il contribuente, quanto meno in sede difensiva, chieda la sospensione del processo in attesa della definizione del processo riguardante la società (Cassazione, sentenza n. 20870/2010).
Oltretutto, la Cassazione, con la sentenza n.2214/2011, ha chiarito che nei rapporti tra processi tributari si può sempre applicare l’art. 295 c.p.c..
4) Alla luce dei principi giurisprudenziali della Corte di Cassazione, nelle particolari (e non rare) ipotesi esposte nei tre numeri precedenti, non si può continuare a limitare la sfera difensiva del contribuente, soprattutto nelle diffuse ipotesi di inversione dell’onere della prova. Uno Stato di diritto, quale si definisce il nostro, non può consentire di pregiudicare il diritto di difesa del contribuente con assurde limitazioni e, cosa ancor più grave, smantellando e paralizzando le Commissioni tributarie (come si chiarirà in seguito), con l’evidente scopo di far cassa a tutti i costi, costringendo il contribuente a patteggiare con il fisco, rinunciando a qualsiasi tutela processuale per l’impossibilità di una effettiva difesa.
Da ultimo, per confermare quanto sopra esposto, si fa presente che i finanziamenti concessi dai soci sono a rischio di contestazioni.
Infatti, in assenza di chiare indicazioni nel bilancio di esercizio, i prestiti sono sempre considerati fruttiferi di interessi e tassabili in capo al socio finanziatore, in base alla discutibile interpretazione della Corte di Cassazione - Sez. Trib. - con la sentenza n.2735 del 04 febbraio 2011.
5) Inoltre, non bisogna dimenticare che, in tema di accertamento tributario, motivato da un forte interesse pubblico, la violazione di regole formali non comporta come conseguenza necessaria l’inutilizzabilità degli elementi acquisiti, se ciò non sia stabilito da una specifica previsione normativa.
In tal senso, Corte di Cassazione, con le seguenti sentenze:
- n. 9565 del 23 aprile 2007;
- n. 13230 del 09 giugno 2009;
- n. 14058 del 16 giugno 2006;
- n. 5093 del 09 marzo 2005;
- n. 12871 del 22 ottobre 2001;
- n. 2668 del 26 marzo 1996.
E ciò rende ancora più difficile la difesa del contribuente.
Inoltre, con le ultime manovre finanziarie, il Governo scommette sulla lotta a sommerso, con controlli sempre più incisivi per combattere l’evasione fiscale, soprattutto con i seguenti istituti:
- regime dei contribuenti minimi (art. 27, commi 1-7, D.L. n. 98/2011 cit.);
- nuovi limiti al riporto delle perdite fiscali (art. 23, comma 9, D.L. n. 98/2011 cit.);
- spesometro (art. 7 D.L. n. 70/2011 cit. e art. 23 D.L. n. 98/2011 cit.);
- revoca partite iva inattive (art. 23, commi 22-23, D.L. n. 98/2011 cit.);
- tracciabilità pagamenti in contanti da € 2.500 in poi (art. 2, comma 4, D.L. n. 138/2011 cit.);
- sospensione professionisti per omessa fatturazione (art. 2, comma 5, D.L. n. 138/2011 cit.);
- studi di settore (art. 23, comma 28, D.L. n. 98/2011 cit. e art. 2, comma 34, D.L. n. 138/2011 cit.).
H) ACCERTAMENTI FISCALI - RADDOPPIO DEI TERMINI
1) La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 247 del 25 luglio 2011, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale del disposto dell’art. 57, comma 3, D.P.R. n. 633/72 (comma aggiunto dall’art. 37, comma 25, D.L. n. 223 del 04 luglio 2006) in base al quale:
‘’In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione’’.
La stessa disposizione è prevista per le imposte dirette (art. 43, comma 3, D.P.R. n. 600 del 1973, comma aggiunto dall’art. 37, comma 24, D.L. n, 223 del 04 luglio 2006, convertito, con modificazioni dalla legge n. 248 del 04 agosto 2006).
Secondo la Corte Costituzionale ‘’ i termini raddoppiati di accertamento non costituiscono una ‘’proroga’’ di quelli ordinari, da disporsi a discrezione dell’amministrazione finanziaria procedente, in presenza di “eventi peculiari ed eccezionali’’.
Al contrario, i termini raddoppiati sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva (allorchè, cioè, sussista l’obbligo di denuncia penale per i reati tributari previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000), senza che all’amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione.
In altre parole, i termini raddoppiati non si innestano su quelli ‘’brevi’’ di cui ai primi due commi dell’art. 57 del D.P.R. n. 633 del 1972, in base ad una scelta degli uffici tributari, ma operano autonomamente allorchè sussistano elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale per i reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000.
Sotto questo aspetto non può parlarsi di ‘’riapertura o proroga di termini scaduti’’ né di ‘’reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti’’, perché i termini ‘’brevi’’ e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi termini di accertamento’’.
Viene, infine, cassata anche la censura sull’applicazione retroattiva dei termini raddoppiati come sanzione impropria, perché la disciplina del raddoppio dei termini non ha natura sanzionatoria.
In definitiva, la Corte Costituzionale ha precisato che il raddoppio dei termini di prescrizione vale anche se la denuncia viene effettuata quando i termini ordinari (quattro anni, che salgono a cinque in caso di omessa dichiarazione) siano già scaduti.
In pratica, in casi molto frequenti (basti pensare alle ipotesi di dichiarazione infedele o fraudolenta), l’accertamento fiscale potrà essere notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo (o del decimo anno successivo, in caso di omessa dichiarazione) a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi, con l’obbligo di conservare tutta la relativa documentazione per quel periodo d’imposta.
Infine, la succitata sentenza n. 247/2011 fornisce l’ulteriore conferma della non validità del condono IVA, già decretata dalla Corte di giustizia CE e dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
2) L’ASSONIME, con la circolare n. 20 del 29-07-2011 critica giustamente la succitata sentenza della Corte Costituzionale perché il raddoppio dei termini deriva sempre e comunque dall’attività di accertamento, per cui pare proprio che ‘’il raddoppio dei termini non attenga affatto ad una presunta fattispecie di rilevanza penale distinta o distinguibile dalle altre violazioni tributarie’’.
Secondo ASSONIME, la lettura della Corte Costituzionale mostra una ratio legis piuttosto anomala in un ordinamento complessivamente orientato a principi di garanzia che trovano una chiara indicazione sia nella Costituzione stessa sia nello Statuto del contribuente (vedi precedente lett. ‘’A’’), che pur non essendo norma costituzionale riveste, in ogni caso, una riconosciuta valenza orientativa nell’interpretazione.
3) In una situazione del genere, l’unica difesa del contribuente è quella di eccepire la strumentalità della ‘’notitiae criminis’’, come chiarito in un passaggio della succitata sentenza n. 247/2011.
In concreto, nel ricorso il contribuente dovrà eccepire la decadenza dei termini ordinari per l’esecuzione dell’accertamento da parte dell’ufficio fiscale in quanto il raddoppio non si è realizzato perché la comunicazione della notizia del reato è stata fatta solo pretestuosamente ed in via strumentale proprio per usufruire dei termini più ampi.
Tale censura, però, deve essere motivata e provata opportunamente, evidenziando le circostanze di fatto o la sequenza degli eventi, dai quali, appunto, emergerebbe la strumentalità della denuncia all’autorità giudiziaria.
Anche in questo caso, però, si tratta di una probatio diabolica, tenuto conto dei denunciati limiti istruttori imposti al contribuente nel processo tributario che, specie in questo caso, pregiudicano seriamente la linea difensiva.
Oltretutto, proprio in occasione della succitata sentenza n. 247 della Corte Costituzionale, si è arrivati all’assurdo che sul quotidiano ITALIA OGGI di mercoledì 03 agosto 2011 è apparsa un’informazione pubblicitaria (info.condono2002gmail.com) con cui si invita l’Amministrazione finanziaria e la Guardia di Finanza a fare gli accertamenti per l’annualità 2002 perché: ‘’In mancanza verrebbe meno il principio cardine che LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI, OLTRE A REALIZZARSI UN MANCATO RECUPERO PER LO Stato di gettito altissimo (si pensi solo ai grandi contribuenti! )’’.
Quindi, al danno la beffa per tutti quei contribuenti che hanno fatto affidamento alle leggi dello Stato di quel momento, che consentiva correttamente il condono IVA per l’anno 2002 e non prevedeva assolutamente alcun raddoppio dei termini di decadenza dell’azione accertativa.
Da ultimo, per completare l’accerchiamento del contribuente, nella G.U. del 01 agosto 2011 è stato pubblicato il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 15-07-2011, recante la specifica dei criteri da seguire per poter erogare alle amministrazioni locali, che hanno partecipato all’accertamento fiscale e contributivo, il 33% delle maggiori somme, a titolo di imposta e sanzioni, riscosse a titolo definitivo, così come previsto dall’art. 1, comma 1, del D.L. n. 203/2005.
La suddetta disposizione, però, è stata di recente modificata per effetto dell’art. 2, comma 10, lett. b), del D.lgs. n. 23 del 14 marzo 2011, che ha aumentato la quota di partecipazione dal 33% al 50%.
Per l’anno 2011, però, ai Comuni andrà il 33% e questo renderà ancora più incisiva ed invadente l’attività di controllo e di accertamento, senza consentire ai contribuenti una piena libertà di difesa.
Infine, con il D.L. n. 138 cit., il legislatore ha previsto per i Comuni il 100% del gettito dell’attività di accertamento, ma solo se entro il 31/12/2011 mettono in campo i Consigli tributari.
I) ACCERTAMENTI ESECUTIVI DALL’01 OTTOBRE 2011
Il nuovo e più incisivo istituto giuridico dell’accertamento esecutivo è disciplinato da tre disposizioni di legge:
- l’art. 29 D.L. n. 78 del 31 maggio 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 30 luglio 2010;
- l’art. 7, comma 2, lettera N), e comma 3, D.L. n. 70/2011 cit.;
- l’art. 23, comma 30, D.L. n. 98/2011 cit.
In particolare, in base alle suddette disposizioni:
- gli avvisi di accertamento emessi di imposte dirette, IVA, IRAP ed addizionali, nonché i relativi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni, concernenti periodi d’imposta in corso al 31 dicembre 2007 e successivi, diventano esecutivi dopo 60 giorni dalla notifica;
- decorsi 30 giorni dopo la scadenza dei 60 giorni previsti per adempiere al pagamento (o per proporre ricorso) l’agente della riscossione può quindi portare avanti la riscossione forsata senza la preventiva notifica della cartella di pagamento (l’accertamento è, infatti, esecutivo);
- in ogni caso, se il contribuente presenta istanza di accertamento con adesione opera, senz’altro secondo me, la sospensione dei termini per la proposizione del ricorso (90 giorni, ai sensi e per gli effetti dell’art. 6, comma 3, D.lgs. n. 218 del 19 giugno 1997);
- è prevista la sospensione della procedura di esecuzione forzata per un periodo di 180 giorni dalla data dell’affidamento dell’avviso di accertamento all’agente della riscossione, disposizione cui è stata affiancata la riduzione dell’importo riscosso in caso di ricorso (dal 50% ad un terzo), come grazioso contentino al contribuente (!);
- in ogni caso, però, la sospensione non si applica con riferimento alle azioni cautelari e conservative, nonché ad ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore.
Per effetto della succitata riforma, quindi, si determina un’anticipazione del momento della riscossione che fa sorgere in capo al contribuente l’esigenza di concentrare in un unico atto le azioni di merito e cautelare, venendo meno in tal modo le obiezioni di quella parte della dottrina e di quasi tutta la giurisprudenza di merito che riteneva (secondo me sbagliando) che l’inibitoria fosse esperibile soltanto in presenza di un’iscrizione a ruolo già effettuata, anche a titolo provvisorio.
Va tenuto, altresì, presente che per rendere, oggi, effettiva la tutela del contribuente in sede processuale occorrerà accelerare i tempi della trattazione delle istanze di sospensione da parte dei giudici tributari, in modo tale che le udienze si svolgano prima della scadenza del termine o dei 60 giorni previsto per la riscossione spontanea o dei 180 giorni, quale termine ultimo per ottenere la sospensiva.
A fronte di maggiore incisività ed accelerazione delle procedure di riscossione a titolo provvisorio, però, non corrisponde un’altrettanto incisiva tutela processuale del contribuente perché:
- con la parziale riforma della giustizia tributaria e con i nuovi casi di incompatibilità, di cui tratteremo in seguito, di fatto si rischia la paralisi delle Commissioni tributarie, con la sensibile riduzione degli organici, senza che il contribuente riesca ad ottenere la fissazione dell’ udienza di sospensiva nei ristretti termini previsti dalla legge;
- inoltre, nonostante la chiara ed importante sentenza della Corte Costituzionale (n. 217 del 17 giugno 2010), molte Commissioni tributarie di merito continuano a negare la sospensiva in grado di appello (per esempio, C.T.R. della Lombardia - Se. Brescia – Sez. LXVI, ordinanza n. 26 del 18 ottobre 2010; C.T.R. della Puglia - Sez. Lecce - Sez. 23, ordinanza n. 80 del 28 aprile 2011).
Persino la Corte di Cassazione, Sez. Trib., con la sentenza n. 21121 del 13-10-2010 ha negato la sospensiva in grado di appello.
La sentenza della Corte Costituzionale, che afferma la sospendibilità della sentenza di secondo grado, è stata depositata il giorno 17 giugno 2010; la succitata sentenza della Corte di Cassazione è stata deliberata il 28 maggio 2010 (anche se depositata il 13 ottobre 2010). Quindi , prima che la Consulta si pronunciasse.
Con un po’ di attenzione, però, si sarebbe potuto aggiustare la motivazione, adeguandola a quella della recente sentenza della Corte Costituzionale.
Ultimamente, però, la C.T.R. della Lombardia, con l’ordinanza n. 8 del 24 maggio 2011, ha nuovamente rimesso la questione alla Corte Costituzionale, con la speranza che, questa volta, una conferma della Consulta annienti definitivamente tesi contrarie.
In ogni caso, per definire una buona volta per tutte la questione, sarebbe opportuno prevedere, de iure condendo, un’esplicita ammissibilità della sospensiva anche in grado di appello.
L) LE NUOVE ISCRIZIONI PROVVISORIE
Con le recenti manovre economiche, il legislatore fiscale ha adottato nei confronti del contribuente il bastone e la carota.
Il ‘’bastone’’ è rappresentato sostanzialmente dall’accertamento esecutivo e dalla paralisi della giustizia tributaria, con l’assurdo allargamento delle ipotesi di incompatibilità previste dall’art. 8 D.Lgs. n. 545 del 31 dicembre 1992.
La ‘’carota’’, invece, anche se non attenua il bastone di cui sopra, è rappresentata dalla riduzione ad un terzo, dal precedente cinquanta per cento, delle iscrizioni provvisorie per le imposte dirette e per l’IVA.
Infatti, l’art. 7, comma 2-quinques, D.L. n. 70 del 13 maggio 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 106 del 12 luglio 2011 (in G.U. n. 160 del 12 luglio 2011), testualmente dispone:
‘’All’articolo 15, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n.602, e successive modificazioni, le parole: ‘’la metà’’ sono sostituite dalle seguenti: ‘’un terzo’’.
Di conseguenza, la nuova formulazione dell’art. 15 cit. è la seguente:
‘’Le imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi, no