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La legittima difesa e la legittima difesa domiciliare nell’ordinamento giuridico italiano

Tramonto
Ph. Federico Radi / Tramonto

Abstract: Il presente articolo si propone di esaminare in modo cronologico la vicenda giuridica della legittima difesa nella legislazione italiana.

La prima parte dell’articolo esamina la legittima difesa ‘generale’, individuandone i presupposti che stanno alla base sia dell’azione difensiva: proporzionalità e necessarietà, sia dell’azione offensiva: la sua antigiuridicità, l’attualità del pericolo dell’offesa.

La seconda parte, invece, entra nel vivo di una questione molto attuale: la legittima difesa esercitata nel proprio domicilio ed esamina due pronunce legislative molto importanti: la l. 13 febbraio 2006 n. 59, prima, e la l. 26 aprile 2019 n. 36, dopo, le quali hanno riformato incisivamente il codice penale.

L’articolo, inoltre, si sofferma sull’eccesso colposo della di legittima difesa, e sulla legittima difesa putativa e si chiude con una breve disamina di ulteriori novità apportate dalla riforma 36/2019 al codice penale e al codice civile.

Da un attento esame dell’ultima pronuncia legislativa in esame, è lapalissiana la constatazione che il legislatore ha voluto riconoscere una più ampia tutela e protezione del diritto di difesa del soggetto aggredito. Tuttavia, i timori di uno sbilanciamento legislativo eccessivo a favore di una assolutistica protezione dell’aggredito e una totale indifferenza nei confronti dell’aggressore che avrebbe, così,  prestato il fianco a vendette ed aggressioni da parte dei cittadini aggrediti, sono stati risolti positivamente dalle svariate pronunce giurisdizionali, soprattutto della Corte di Cassazione, di cui l’articolo è ampiamente fornito, che hanno sempre cercato di ricondurre l’azione difensiva nel perimetro dei presupposti giuridici della legittima difesa.

L’intento dell’autore è, dunque, trattare un tema attuale di interesse generale, usando un linguaggio semplice che non tradisca, però, il tecnicismo proprio di uno scritto giuridico, al fine di fare chiarezza sulla nuova normativa della legittima difesa.

 

Indice:

1. Introduzione

2. I presupposti della legittima difesa

3. Legittima difesa domiciliare

4. Modifiche al Codice Penale

 

«Nessuna legge può obbligare un uomo a rinunciare alla propria conservazione. E, supponendo che una simile legge fosse obbligatoria, un uomo continuerebbe a ragionare così: se non lo faccio io, morirò immediatamente; se lo faccio, morirò dopo; comunque, agire così è un po’ di vita guadagnata. La Natura lo costringe, di conseguenza, a compiere il fatto». 

Hobbes

 

1. Introduzione

L’ordinamento giuridico italiano prevede delle particolari situazioni, definite ‘cause di giustificazione’ o ‘scriminanti’, alla presenza delle quali un fatto che costituisce reato non viene sanzionato penalmente, in quanto autorizzato o imposto da altre norme dell’ordinamento giuridico.

Con il termine “cause di giustificazione” o “cause di esclusione dell’antigiuridicità”, si indica, dunque, l’esistenza di norme che, situate in un qualsiasi luogo dell’ordinamento giuridico, autorizzano o impongono il compimento di un fatto penalmente rilevante[1].

Le cause di giustificazione sono disciplinate nel Libro I, Titolo III, articoli 50 ss. del codice penale italiano.

Questo articolo si concentrerà nel definire i profili generali e le peculiarità di una particolare causa di giustificazione prevista dall’ordinamento giuridico italiano: la “legittima difesa”, espressa con il brocardo latino vim vi repellere licet.

La legittima difesa è considerata una forma di autotutela attribuita al cittadino per difendere i propri diritti, laddove gli stessi corrano realmente il rischio di essere offesi da terzi e lo Stato non sia in grado di assicurare un intervento immediato ed efficace; purché l’azione difensiva sia necessaria e proporzionata.[2]

Nel corso della storia sono state prodotte molte teorie dottrinali che starebbero a fondamento della legittima difesa.

La ‘teoria della delegazione’, di Manzini, per esempio, intravede nella legittima difesa una ‘delega’ che lo Stato affida al privato, per esercitare funzioni di autotutela nei casi in cui non è possibile un intervento tempestivo da parte del Potere Pubblico.[3]

Sulla stessa linea, Fiandaca-Musco considera la legittima difesa come un residuo di autotutela che lo Stato concede al cittadino ogni volta in cui l’Autorità non può intervenire tempestivamente.[4]

È molto interessante la teoria di Antolisei, secondo la quale, la scriminante della legittima difesa si basa sull’assenza del danno sociale, dunque, visto che l’azione difensiva che il soggetto pone in essere è necessaria ed indispensabile per salvare la propria persona, il fatto non provoca nessun allarme sociale[5].

Un’altra teoria, definita ‘del bilanciamento di interessi’ (o dell’interesse prevalente), vede alla base della legittima difesa due interessi in contrapposizione, quello dell’aggressore e quello dell’aggredito e, tra questi, lo Stato sceglierebbe di dare prevalenza all’interesse giuridico dell’aggredito[6].

Interessante è, infine, la teoria di Bettiol, che ravvisa nella legittima difesa una sorta di ‘esigenza naturale’, ovvero, l’stinto naturale di ogni essere umano di difendere un proprio bene dall’aggressione ingiusta e ingiustificata di un terzo[7].

 

2. I presupposti della legittima difesa

A norma dell’articolo 52 c. 1 codice penale, «non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa».

Da un’attenta analisi della disposizione in esame si evince in maniera chiara e categorica che la legittima difesa si fonda su due comportamenti contrapposti: da un lato, un’azione offensiva e dall’altro lato, un’azione difensiva del bene giuridico in pericolo.

L’azione offensiva trae origine da un comportamento umano, il quale può concretizzarsi in una condotta attiva o in una condotta omissiva[8]; una parte della dottrina ritiene, inoltre, di poter ravvisare l’azione aggressiva anche da parte di animali o cose, solamente laddove sia possibile individuare il soggetto che avrebbe dovuto esercitare un potere di controllo sugli stessi.[9] Infine, si deve sottolineare che la condotta difensiva è considerata legittima anche se l’aggressione è posta in essere da un soggetto non imputabile, in quanto la legittima difesa rileva in termini oggettivi e non soggettivi, essendo sufficiente, quindi, la mera aggressione di un bene giuridico tutelato dall’ordinamento. L’azione offensiva può riguardare sia i diritti personali sia i diritti patrimoniali.[10] Inoltre, la norma stabilisce che il diritto difeso può essere sia il proprio sia di altri, legittimando, così, l’azione difensiva posta in essere da un soggetto in soccorso di uno sconosciuto.[11]

La norma in esame richiede, inoltre, che l’azione offensiva sia ingiusta, ovvero antigiuridica – contra jus; l’aggressore, infatti, deve essere spinto da animus necandi, cioè dalla deliberata intenzione di creare un nocumento ad un altro soggetto. Da ciò ne deriva che non è invocabile la legittima difesa per difendersi da un’azione ‘aggressiva’ che, però, è legittimata o facoltizzata dall’ordinamento giuridico stesso.[12]

Un altro requisito dell’azione offensiva è la sua idoneità a creare il pericolo ‘attuale’ di un’offesa ingiusta del bene giuridico della vittima.

Anzitutto, per ‘pericolo’ si intende la forte probabilità del verificarsi di un’offesa ingiusta e non semplicemente la mera possibilità.

L’aggettivo ‘attuale’, usato nella disposizione in oggetto, esclude categoricamente sia il pericolo passato, giacché in questo caso un’ipotetica azione difensiva vestirebbe i panni della ‘vendetta’, sia il pericolo futuro, giacché sarebbe doveroso, in quest’ultima situazione, rivolgersi alla forza dello Stato attraverso l’Autorità competente, anziché farsi giustizia da sé; dunque, il pericolo deve essere imminente ed incombente tale da richiedere un’immediata azione difensiva.[13]

Rientra nella fattispecie di imminenza, anche il pericolo ‘perdurante’, ovvero, quella particolare situazione in cui l’offesa è già stata compiuta ma non si è ancora esaurita, permanendo, dunque, una situazione di pericolo che legittimerebbe l’azione difensiva volta a fronteggiarlo.[14]

In relazione alla nozione di ‘pericolo’, parte della dottrina si è chiesta se può essere applicata la scriminante della legittima difesa nei confronti di un’azione compiuta in assenza di un pericolo attuale ma assolutamente necessaria per evitare un’offesa futura quasi certa. La giurisprudenza ha dimostrato che l’azione difensiva posta in essere in situazioni di mancanza di pericolo attuale si qualificherebbe come un’azione ‘preventiva’ o ‘anticipata’, negando così, l’applicabilità della scriminante della legittima difesa in situazioni simili.[15]

A conferma di quanto detto in merito al requisito dell’attualità del pericolo, si cita la seguente massima della Corte di Cassazione: «E’ configurabile l’esimente della legittima difesa solo qualora l’autore del fatto versi in una situazione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione all’offesa mediante aggressione».[16] 

Ovviamente, affinché si configuri la legittima difesa, il soggetto non deve aver autonomamente creato la situazione di pericolo; il pericolo dunque non deve essere stato volontariamente causato. Ecco perché non può essere applicata la legittima difesa in caso di ‘rissa’ tra due o più soggetti; in tale circostanza, i corrissanti sono animati dall'intento reciproco di offendersi ed accettano la situazione di pericolo nella quale volontariamente si sono posti, cosicché la loro difesa non può definirsi necessaria.

Tuttavia, riguardo alla compatibilità tra legittima difesa e reato di rissa, la Corte di cassazione nella sentenza n. 36143/2019 ha precisato che: «la causa di giustificazione della legittima difesa può essere riconosciuta quando, sussistendo tutti gli altri requisiti voluti dalla legge, vi sia stata un'azione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, ossia un'offesa che, per essere diversa e più grave di quella accettata, si presenti del tutto nuova, autonoma ed in tal senso ingiusta».[17]

Ne deriva, dunque, che anche in caso di rissa quando l’azione della della vittima risulti imprevedibile o sproporzionata, oppure, quando un corrissante ponga in essere una violenza più grave e più pericolosa di quella subìta, l’azione difensiva integrerà le condizioni per l’applicabilità della legittima difesa. 

L’imminenza del pericolo deve essere valutata dal giudice attraverso un giudizio ex ante, ossia, il giudice deve compiere un passo indietro nel tempo e verificare se al momento della commissione dell’azione difensiva sussisteva realmente la probabilità di un pericolo attuale nei confronti del diritto dell’agente. Il giudice nella verifica di tale requisito si avvarrà delle leggi scientifiche esistenti al momento del giudizio e delle massime di esperienza.[18]

L’azione difensiva, invece, deve essere contraddistinta da due requisiti: la necessità e la proporzionalità.

Con il termine ‘necessità’ si indica quella specifica situazione in cui il soggetto è costretto a porre in essere una specifica azione, in quanto rappresenti l’unica misura possibile per fronteggiare il pericolo attuale di un’offesa ingiusta; questo, in termini pratici, significa che il pericolo non può essere fronteggiato né con un’azione penalmente irrilevante, dunque con un comportamento lecito, né con un’alternativa azione penalmente rilevante però meno lesiva.

La necessità dell’azione difensiva viene meno, dunque, quando il soggetto può sottrarsi alla situazione pericolosa fuggendo, o comunque in tutti quei casi in cui sia praticabile un commodus discessus.[19]

Una teoria, ormai obsoleta, riteneva che la fuga fosse un’opzione valida soltanto quando la stessa non avesse fatto apparire il soggetto un vile nei confronti dell’aggressore o della societas, quindi era considerata non praticabile una fuga tale da apparire ‘poco onorevole’.

Tuttavia, con il passare del tempo, ha preso piede un’altra teoria sicuramente più vicina ai nostri tempi, e più lontana dal mero concetto di onore: la teoria del ‘bilanciamento degli interessi’. Secondo quest’ultima teoria il soggetto può decidere di non fuggire, soltanto laddove dalla fuga ne potrebbe derivare un danno ai propri beni personali o ai beni di terzi, maggiore del danno che subirebbe l’aggressore destinatario dell’azione difensiva.[20]

La giurisprudenza maggioritaria fonda le sue sentenze proprio sull’esistenza del requisito della necessità. Un esempio, tra gli altri, è fornito dalla sentenza DeGiovanni 1994 della Corte di Cassazione, la quale ha esplicitamente dichiarato che: «[…]  per poter ritenere legittima la reazione di fronte alla imminenza del pericolo, è indispensabile che sussista la necessità di difendersi, che si ha quando il soggetto si trova nell'alternativa tra reagire e subire, nel senso che non può sottrarsi al pericolo senza offendere l'aggressore»[21].

L’ultimo requisito è la proporzionalità tra azione difensiva e azione offensiva, il quale ha dato vita ad una copiosa attività giurisprudenziale e ad un ampio dibattito dottrinale.

Seconda una parte della dottrina, il giudizio deve essere effettuato tra i mezzi difensivi che sono nella disponibilità della vittima e quelli che lo stesso ha deciso realmente di utilizzare.[22] Tuttavia, questa tesi non trova grande accoglimento nel panorama giuridico nazionale, in quanto permetterebbe un’offesa maggiore di quella subita, giustificandosi nel senso che il soggetto aveva a sua disposizione solamente un determinato mezzo difensivo. Si rischierebbe, dunque, di considerare sempre proporzionale un’azione in realtà ‘sproporzionata’ laddove il soggetto dimostri di aver utilizzato l’unico mezzo che aveva a sua disposizione. Seguendo la teoria succitata, si arriverebbe a considerare ‘legittima’ la lesione di un bene personale (vita, integrità-fisica), per difendere semplicemente un bene patrimoniale, laddove il soggetto utilizzasse come mezzo difensivo l’unico a sua disposizione. Ovviamente, questo ragionamento sarebbe incostituzionale per violazione dell’articolo 117 della Costituzione Italiana in relazione all’articolo 2 CEDU (Convenzione europea dei diritti dell’uomo), il quale ammette che la morte è considerata lecita soltanto laddove sia «assolutamente imposta dalla necessità di difendersi da una violazione illegittima».

Più ragionevole sembra, invece, il pensiero di un’altra parte della dottrina, la quale ammette che il requisito di proporzionalità vada ricercato tra i beni giuridici in conflitto. Bisogna dunque operare una valutazione tra il bene giuridico offeso dall’aggressore e il bene giuridico offeso dall’aggredito attraverso l’azione difensiva. Pertanto, l’aggredito non può assolutamente difendersi ledendo un bene dell’aggressore considerato altamente superiore rispetto al bene giuridico difeso[23]. Tuttavia, non è richiesta l’esatta “corrispondenza” tra i beni giuridici in conflitto, essendo sufficiente che non ci sia un enorme divario di valore tra i beni giuridici; pertanto potrebbe essere legittimo sparare l’aggressore alla gamba, procurandogli una ferita minima per difendere, invece, un bene patrimoniale di enorme valore. Si capisce bene che il raffronto tra i beni in conflitto non può essere di natura statica bensì dinamica, dovendo prendere in considerazione il diverso ‘grado’ di pericolo che i beni in questione corrono.[24]

Un terzo orientamento dottrinale, infine, prevede che la comparazione debba tener conto sia dei a disposizione dell’aggredito e di quelli effettivamente utilizzati, sia dei beni giuridici in conflitto; dunque il giudice dovrebbe procedere ad un giudizio di natura essenzialmente dinamica tenendo in considerazione tutte le circostanze del caso e gli interessi giuridici in gioco.

Il giudizio di proporzionalità risulterà piuttosto semplice, quando i beni giuridici in conflitto sono omogenei (ad esempio: integrità fisica contro integrità fisica). In questo caso bisognerà solamente valutare il grado di lesività tra l’azione aggressiva e difensiva. 

Laddove i beni giuridici in conflitto siano ‘eterogenei’ (vita, libertà sessuale, patrimonio, ecc.), basterà fare affidamento su indicatori costituzionali per capire qual è il bene giuridico al quale l’ordinamento attribuisce un valore superiore e dunque una maggiore tutela.

È chiaro, dunque, che di fronte ad un’azione offensiva che minaccia un bene giuridico patrimoniale, non potrebbe essere considerata ‘legittima’ l’azione difensiva che minacci un bene personale (bene giuridico vita o integrità fisica), perché la difesa sarebbe sproporzionata rispetto all’offesa, considerando che è proprio la Costituzione a prevedere una differenza o sproporzione di valore tra il bene giuridico ‘patrimonio’ e il bene giuridico personale ‘vita’, il quale gode della più alta forma di tutela.

Ovviamente, anche in caso di conflitto tra beni giuridici eterogenei, bisogna effettuare un confronto che tenga conto del rispettivo grado di intensità dell’offesa minacciata e della reazione prodotta dall’aggredito.[25]

 

3. Legittima difesa domiciliare

Riforma ex legge n.59/2006

La legittima difesa domiciliare, che rappresenta una species del più ampio genus della legittima difesa, è stata preveduta nel nostro ordinamento penale solo in tempi recenti, attraverso la l. 13 febbraio 2006 n. 59, prima, e la l. 26 aprile 2019 n. 36, dopo.

La l. n.59/2006 ha introdotto, nell’articolo 52 codice penale, i commi 2 e 3, i quali hanno conferito alla legittima difesa nell’ambito domiciliare una portata più ampia rispetto alla legittima difesa generale.

Una parte della dottrina ha accolto con favore la previsione di una disciplina specifica e più ‘comprensiva’ nei confronti di chi si difende dalle aggressioni perpetrate nel proprio domicilio da terzi, ravvisando in quest’atteggiamento un punto di condivisione con le legislazioni penali precedenti e straniere.

Nello specifico, Cadoppi ha dimostrato, attraverso un’analisi in chiave storico-comparatistica, che le varie legislazioni penali, partendo dal diritto romano[26] fino ad arrivare alle moderne legislazioni sia di Civil Law che di Common Law, hanno quasi sempre dimostrato una maggiore tolleranza e hanno previsto pene più basse per il soggetto che ‘eccede’ i limiti della legittima difesa a motivo di sentimenti di paura o terrore legittimamente presenti nell’animo del soggetto derubato, i quali rendono impossibile una reazione ‘proporzionata’, soprattutto quando l’azione aggressiva è perpetrata nottetempo[27].

Un’altra parte della dottrina, invece, appare preoccupata dalla possibilità di affidare ai cittadini una pericolosa ed illimitata ‘licenza di uccidere’ chiunque entri nel proprio domicilio. C’è addirittura chi intravede nella norma un ‘effetto criminogeno’, ovvero, la norma paradossalmente,

affidando al padrone di casa una licenza di difesa più ampia, creerebbe bande di ladri più aggressive, violente e preparate, consapevoli del maggiore pericolo che adesso si trovano ad affrontare[28].

L’articolo 52 c. 2,3 codice penale così recita: «Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma, sussiste [sempre][29] il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a) la propria o la altrui incolumità;

b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione.

Le disposizioni di cui al secondo [e al quarto comma][30] si applicano anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale».

Intanto, dobbiamo chiarire che la disposizione in esame si applica solo nei casi previsti dall’articolo 614 c. 1,2 codice penale, ovvero nei casi in cui taluno si introduce o si intrattiene nell’abitazione altrui o in altri luoghi di privata dimora o nelle relative appartenenze con l’inganno, clandestinamente o contro la volontà del soggetto legittimamente presente; la base legale per l’applicazione della disposizione sopra menzionata, è, dunque, la violazione di domicilio[31].

È interessante notare che la Corte di Cassazione, dovendosi pronunciare sulla configurabilità di un ‘ristornate’ come luogo di privata dimora, ne ha ridefinito il concetto stesso, indicando che gli esercizi commerciali o luoghi di lavoro aperti al pubblico non possono essere considerati luoghi di ‘privata dimora’, a meno che gli stessi non siano utilizzati anche per lo svolgimento di atti della vita privata; inoltre, la permanenza del soggetto in questi luoghi deve essere stabile e non occasionale e il luogo deve essere inaccessibile ad estranei senza il consenso del titolare[32].

Il comma 3 dell’articolo 52 codice penale, tuttavia, non concede spazio ad equivoci, estendendo la possibilità di configurare la legittima difesa anche quando il fatto venga commesso nel luogo dove un soggetto esercita un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale, dunque: supermercati, negozi, studi professionali e simili.

Ritornando al comma 2 dell’articolo 52 codice penale, la norma prevede, anzitutto, che la legittima difesa sia invocabile solo dal soggetto legittimamente presente, verosimilmente, dal proprietario dell’abitazione o di altro luogo affine, e che l’arma utilizzata per difendersi sia ‘legittimamente detenuta’, ovvero che il soggetto l’abbia ottenuta nel rispetto della regolamentazione stabilita in materia dall’autorità competente, onde evitare che gli individui ricorrano al mercato clandestino alla ricerca di armi. Il soggetto che, pur in presenza degli estremi della legittima difesa, utilizzi un’arma illegittimamente detenuta, potrà invocare solo la disciplina base della legittima difesa ex articolo 52 c. 1 codice penale, qualora ne ricorrano i presupposti[33].

La norma in esame riconosce al soggetto la possibilità di utilizzare un’arma o un altro mezzo idoneo solo per difendere la propria o altrui incolumità, oppure i beni propri o altrui quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.

Nella lettera a) per ‘incolumità’ si intendono i beni giuridici della vita e dell’integrità fisica; nella lettera b) il legislatore ha concesso il diritto di difesa anche rispetto ai beni patrimoniali, purché non ci sia stata desistenza[34] da parte dell’aggressore, ovvero, lo stesso continui nella propria condotta offensiva, e ci sia il pericolo incombente di aggressione[35]. La dottrina prevalente ritiene, in quest’ultimo caso, che il pericolo di aggressione è da intendersi, non più relativo ai beni patrimoniali, ma diretto in modo non equivoco alla vita e all’integrità dell’aggredito. Non manca, tuttavia, parte della dottrina che ritiene di dover riferire il ‘pericolo di aggressione’ ai beni patrimoniali[36].

Il requisito sopra menzionato dell’attualità del pericolo di aggressione personale come condizione per porre in essere un’azione difensiva a protezione dei beni patrimoniali salva di fatto l’articolo 52 c. 2 codice penale dalla pronuncia di incostituzionalità. Infatti, rendere proporzionale juris et de jure utilizzare un’arma al fine di uccidere o ferire, per difendere i propri beni patrimoniali, sganciando, oltretutto, questa circostanza da un attento giudizio valutativo del giudice, era inconciliabile sia con la Costituzione italiana che riconosce ai beni giuridici ‘vita’ e ‘salute’ un valore nettamente superiore rispetto al bene giuridico ‘patrimonio’, sia con l’articolo 2 CEDU che ammette la liceità di uccidere un uomo solo nel caso di una ‘violenza illegale’, dunque, una violenza che si concretizza nei confronti della persona e non del patrimonio.

La portata innovativa della norma riguarda, dunque, il requisito della proporzionalità. Con la legge n.59/2006 il requisito di proporzionalità tra i beni giuridici in conflitto è presunto juris et de jure, dunque, il giudice non dovrà più valutare caso per caso la sussistenza della proporzionalità, ormai presunta dalla legge, ma dovrà solamente effettuare una valutazione sulla sussistenza del ‘pericolo attuale’ di un’offesa ingiusta e sulla ‘necessità’ della difesa, ovvero, in quest’ultimo caso il giudice dovrà valutare se era possibile sventare efficacemente la situazione di pericolo attraverso una diversa azione penalmente irrilevante, o se ciò non era possibile, dovrà valutare se la vittima ha utilizzato l’azione difensiva meno lesiva nei confronti dell’aggressore tra tutte quelle a sua disposizione. Si capisce bene che soltanto il requisito della proporzionalità è presunto per legge, mentre gli altri requisiti rimangono nella piena valutazione del giudice[37].

Presumendo il requisito della proporzionalità, parte della dottrina temeva di giungere a risultati ‘imbarazzanti’, come per esempio giustificare l’utilizzo di un’arma da fuoco laddove fosse stata sufficiente un’azione meno aggressiva, meno lesiva.

I timori si sono, in realtà, dimostrati infondati, perché la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, potendo pur sempre effettuare dei giudizi sui requisiti di attualità del pericolo e necessità dell’azione difensiva, ha cercato di interpretare costituzionalmente la norma in esame[38]

La giurisprudenza di legittimità ha dimostrato, attraverso la sentenza n. 691/2013, che è possibile utilizzare un’arma, solo laddove l’utilizzo della stessa si renda necessario per respingere il ‘pericolo attuale’ di un’aggressione diretta verso la propria incolumità fisica e, dunque, allontana l’idea di poter utilizzare ‘sbrigativamente’ l’arma nei confronti dell’individuo che, pur essendosi intrufolato illegittimamente nell’altrui abitazione e pur rappresentando un pericolo per i beni patrimoniali, non rappresenti un pericolo attuale per l’ incolumità fisica degli occupanti. Nella fattispecie, il giudice di legittimità respingeva il ricorso di un uomo, condannato per aver ferito mortalmente, attraverso l’esplosione di colpi di pistola, un individuo che si era introdotto in un fabbricato vicino la sua abitazione, perché non sarebbe stato possibile per il ladro avvicinarsi facilmente all’abitazione dell’imputato; la Corte di cassazione ha, dunque, stabilito che non esisteva nessun pericolo attuale ed incombente per il proprietario dell’abitazione, tale da legittimarlo all’utilizzo dell’arma finalizzato ad uccidere[39].

Ora, l’articolo 52 codice penale, così come riformato dalla l. n. 59/2006 e interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, richiedeva in capo all’aggredito ‘un’indagine istantanea ed accurata’ della situazione concreta, attraverso la quale avrebbe dovuto individuare quali fossero le reali intenzioni dell’aggressore ed apprestare, sulla base di queste, la reazione difensiva più appropriata.

Se l’aggressore avesse ‘soltanto’ voluto aggredire i beni giuridici patrimoniali, l’azione difensiva non avrebbe potuto concretizzarsi in un’azione difensiva volta a ledere l’integrità fisica dell’aggressore, se invece, l’azione ingiusta fosse stata diretta ad incidere sul bene giuridico ‘vita’ della vittima, egli avrebbe potuto reagire ‘proporzionalmente’ compiendo un’azione di risposta simile.

Tutto ciò aveva creato uno stato di ansia e insicurezza in molti cittadini italiani, soprattutto in relazione agli abitanti di quelle zone maggiormente colpite da vicende del genere.

La domanda che albergava nella mente di molti era: “Come avrebbe potuto l’aggredito, vittima di un’offesa ingiusta nel proprio domicilio, magari perpetrata durante la notte, ‘indagare’ se l’aggressore fosse armato oppure no, se fosse intenzionato ad uccidere o ‘semplicemente’ a rubare, se la sua vita fosse concretamente in pericolo oppure no?

La questione che per anni aveva animato scontri politici e dottrinali avrebbe trovato soluzione con la riforma dell’istituto della legittima difesa, ad opera della l. 26 aprile 2019 n. 36.

 

Riforma ex legge n.36/2019

La legge 26 aprile 2019 n. 36 recante "Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa" è stata recepita con entusiasmo dai molti cittadini che si sentivano vulnerabili e poco tutelati dall’ordinamento giuridico, soprattutto a seguito delle varie pronunce giurisprudenziali, sopra citate, che avevano in qualche modo ‘legato le mani’ alle vittime di aggressioni perpetrati nei propri domicili.

La riforma del 2019 tende a riconoscere “sempre” la legittima difesa in tutti i suoi elementi costitutivi, quando l’aggressione avviene nella propria abitazione o in altro luogo ove venga esercitata un’attività economica, soprattutto quando l’aggressione si manifesti con metodi violenti.

La riforma in esame ha apportato interessanti modifiche all’articolo52 codice penale; innanzitutto, è stato inserito l’avverbio [sempre] al comma 2, imponendo, così, che la legittima difesa, in caso di azione difensiva manifestata in costanza di violazione domicilio ex articolo 614 c. 1-2, debba “sempre” ritenersi sussistente ex lege.

La modifica, tuttavia, più innovativa consiste nell’introduzione di un nuovo comma, il comma 4, al medesimo articolo.

L’articolo 52 c. 4 codice penale così recita: «Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l'intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone».

La disposizione in esame si pone in un rapporto di species a genus rispetto al comma 2 dell’articolo 52 codice penale; infatti, il comma 4 pur richiamando tutte quelle situazioni elencate al comma 2, ovvero quei casi in cui un soggetto utilizza un’arma o un altro strumento simile per difendere la propria/altrui incolumità o i propri beni contro l’aggressione perpetrata nel proprio domicilio, presenta un elemento di specialità che risiede nel fatto che la sua applicabilità è possibile solo laddove la violazione di domicilio avvenga con violenza o minaccia di uso di armi o altri mezzi di simile finalità. Si potrebbe, dunque, affermare in termini più sintetici che la disciplina di cui al comma 4 si applica solo nei casi di violazione di domicilio ‘aggravata’, ovvero quando la stessa avvenga con violenza o minaccia di armi o di altro mezzo di coazione fisica[40].

Per comprendere l’innovazione apportata dalla riforma del 2019 all’articolo 52 c.4, è doveroso soffermarsi sull’espressione utilizzata dal Legislatore, ovvero: «[…] agisce sempre in stato di legittima difesa […]». Ora, mentre al c. 2 dell’articolo 52 l’avverbio ‘sempre’ è accostato al termine ‘proporzione’ indicando che la presunzione ex lege abbraccia solamente il requisito di proporzionalità tra difesa e offesa e che tutti gli altri requisiti restano nell’esclusivo ambito di accertamento e valutazione del giudice, nel c. 4 dell’articolo 52 l’avverbio sempre e collegato al termine ‘legittima difesa’.

Il Legislatore, dunque, ha voluto sottolineare che la presunzione ex lege in relazione all’articolo 52 c. 4 non si riferisce solo al requisito della proporzione, ma abbraccia tutti i requisiti della legittima difesa, ovvero la proporzionalità tra i beni giuridici dell’aggredito e dell’aggressore, la necessità dell’azione difensiva e l’attualità del pericolo dell’offesa.

Il giudice pertanto, stando al tenore letterale della norma, nei casi di azione difensiva in costanza di violazione di domicilio con le modalità espresse nell’articolo 52 c 4 – violenza o minaccia di armi o altro mezzo idoneo – non deve più accertare i requisiti della legittima difesa, posto che già sono presunti dalla legge stessa, ma dovrà solamente riconoscerla in pieno.

Parte della dottrina è preoccupata da un simile risultato e ritiene che il ragionamento del Legislatore collimerebbe con i principi della Costituzione della Repubblica Italiana, la quale esprime delle regole in merito alla proporzione e alla necessità che non possono essere disconosciute in via legislativa. Per esempio, in tema di proporzione, la Costituzione fa un’enorme differenza tra i beni giuridici che riguardano la vita e l’incolumità personale, ai quali dà assoluta rilevanza, e i beni giuridici riguardanti il patrimonio, i quali sono messi in secondo piano rispetto alla vita umana. Pertanto, non si può presumere il requisito della proporzionalità laddove un soggetto, per difendersi da un’aggressione mirata esclusivamente verso i suoi beni patrimoniali, risponda con un’azione difensiva mirata ad uccidere l’aggressore, in quanto si lederebbe l’articolo 117 Cost., che impone che la potestà legislativa venga esercitata nel rispetto, tra gli altri, degli obblighi internazionali ed un obbligo in materia è contenuto nell’articolo 2 c. 2 lett. a) CEDU che recita così: «La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale […].

La norma di rango convenzionale, alla quale il potere legislativo deve adeguarsi ai sensi dell’articolo 117 cost., dunque ammette l’omicidio come ultima possibilità nei confronti di una ‘violenza illegale’ ovvero, di un attacco alla propria vita o incolumità personale. Ergo, qualsiasi norma che escludesse a priori il requisito della necessità nell’azione difensiva ‘letale’ sarebbe contraria all’articolo 117 cost. per incompatibilità con l’articolo 2 c. 2 lett. a) CEDU[41].

A fondamento del ragionamento sopra esposto, è stato fondamentale il messaggio del Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Mattarella, in occasione della promulgazione della legge di riforma. In relazione al requisito della necessità, il Capo di Stato ha affermato che “la necessità rimane il fondamento costituzionale della legittima difesa”[42]. Pertanto, nell’obbedienza di queste parole, dovrebbe continuare a sussistere concretamente il requisito della necessità dell’azione difensiva affinché si abbia una difesa legittima.

Nonostante il poco tempo passato dall’entrata in vigore della legge n.36/2019, la Corte di Cassazione ha già avuto modo di pronunciarsi nel merito, dimostrando una continuità di attitudine rispetto alle sentenze precedenti la riforma.

Interessante è la pronuncia n. 40414/2019 con la quale la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un uomo condannato per lesioni personali aggravate, il quale aveva colpito con una mazza da baseball un estraneo che si era introdotto nella sua abitazione. L’imputato chiedeva la riconoscibilità della legittima difesa perché aveva agito in costanza di un’intrusione nella propria abitazione che gli aveva ingenerato una grande paura. La corte di Cassazione, tuttavia, ha dimostrato che la riforma di legge n.36/2019 non consente un’indiscriminata reazione nei confronti di chi si introduce nella propria abitazione, essendo sempre richiesta un’aggressione o un pericolo di aggressione alla propria incolumità fisica. La Corte di Cassazione affermava che nella nella fattispecie l’imputato aveva repentinamente aggredito l’intruso ancor prima che si potesse realizzare un pericolo di aggressione nei confronti di sé stesso; la Corte, dunque, qualificando l’azione dell’imputato come un attacco preventivo, non riconosceva la legittima difesa, che per sua natura si manifesta come risposta ad un pericolo di aggressione e non per prevenirne il pericolo stesso. Inoltre, nella fattispecie in esame non è stata ravvisabile nessuna minaccia o violenza di armi o altro mezzo affine nell’ambiente domestico altrui, e nemmeno effrazione alla porta; l’intruso aveva soltanto aperto la porta senza bussare[43]. Dall’esame sintetico della situazione di fatto, si può capire che il giudice di legittimità intende dare rilevanza ai requisiti della proporzionalità e nella necessità anche dopo l’introduzione dell’ultima riforma.

Un’altra interessante pronuncia della Corte di Cassazione, non specificamente relativa all’intrusione violenta nel proprio domicilio, ma comunque idonea a dimostrare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, è la sentenza n. 28336/2019 attraverso quale il giudice rigettava il ricorso di un uomo che era stato condannato per avere reagito violentemente ad un pugno ricevuto dalla sua ex moglie, procurandole traumi contusivi in varie parti del corpo. L’uomo si opponeva alla condanna per lesioni personali, dimostrando che aveva ricevuto il pugno quando era girato di spalle nel tentativo di portare con sé il figlio nel suo giorno di visita e che la sua reazione era avvenuta anche per proteggere il bambino.

Il ricorso è stato rigettato dalla Corte di Cassazione in quanto chiedeva una rivalutazione dei fatti, non essendo compito del giudice di legittimità rivalutare i fatti di una fattispecie, bensì soltanto effettuare valutazioni di ‘diritto’ rispetto alla decisione del giudice precedente – (corretta applicazione della legge e interpretazione della stessa).

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha dimostrato che nella fattispecie in esame non esisteva la necessità dell’azione difensiva, in quanto la moglie, pur avendo sferrato il pugno, non rappresentava un grave pericolo per l’incolumità fisica dell’imputato, il quale usando il buon senso avrebbe potuto incassare il colpo e andarsene, ponendo fine alla situazione di pericolo.

Inoltre, non era rilevabile nemmeno la proporzionalità della legittima difesa, in quanto l’uomo avrebbe potuto semplicemente bloccare la donna ed andarsene anziché reagire con una forza tale da procurarle pesanti traumi contusivi in alcune parti del corpo[44].

Possiamo notare che, nonostante le modifiche apportate dalla l. n.36/2019 all’articolo 52 codice penale, i giudici di legittimità continuano a tenere in considerazione i requisiti che stanno alla base dell’istituto stesso, ovvero, la necessità dell’azione difensiva e la proporzionalità tra i beni giuridici in questione.

 

Eccesso colposo nella legittima difesa ex articolo 55 codice penale

L’eccesso colposo nella legittima difesa è disciplinato nell’articolo 55 c 1-2 codice penale: «Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine dell'Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.

Nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 52, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all'articolo 61, primo comma, n. 5) ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto».

In relazione al comma 1, ci troviamo davanti ‘all’eccesso colposo’, ogni qualvolta il soggetto ne superi i limiti colposamente, ovvero, per negligenza, imprudenza, imperizia nel calcolare la situazione di pericolo e i mezzi per fronteggiarlo. Ora, il superamento dei limiti può avvenire per due motivi: in un primo caso il soggetto non ha valutato correttamente la situazione di fatto, si pensi, per esempio, ad un soggetto che ‘crede’ di vedere nelle mani dell’estraneo un’arma che invece non esiste e, mosso dall’errore, compie l’azione difensiva. È chiaro che in questi casi, una persona ragionevole e attenta non sarebbe caduta in errore, pertanto il soggetto negligente risponderà di delitto a titolo di colpa. Un altro modo per superare i limiti della legittima difesa è quando il soggetto non compie nessun errore di valutazione della situazione specifica, però commette l’errore in fase esecutiva e quindi pone in essere un’azione difensiva più lesiva/aggressiva rispetto a quella che sarebbe stata necessaria; si pensi ad un soggetto che utilizzi un’arma col solo scopo di intimorire il terzo, però, utilizzandola maldestramente esplode un colpo e lo uccide; anche in questo caso il soggetto risponderà di omicidio colposo[45].

Ovviamente l’errore dovrà essere sul fatto e non potrà essere di ‘diritto’, cioè il soggetto non potrà invocare a sua discolpa un errore di diritto sulla norma penale, come per esempio la mancanza di conoscenza di quali erano i presupposti della legittima difesa. L’ordinamento presume sempre la conoscenza della legge ex l’articolo 5 codice penale – ignorantia legis non excusat.

È importante che il soggetto, comunque, abbia di mira la realizzazione di quel determinato comportamento ‘ammesso dall’ordinamento’ al fine di respingere un’aggressione o la minaccia di un pericolo anche se alla fine per un errore di fatto o esecutivo ne oltrepassi i limiti.

Ne caso contrario, ci si trova in presenza di eccesso doloso, ovvero, quando il soggetto in questione ‘volontariamente’ oltrepassa i limiti stabiliti per l’esercizio della legittima difesa. Nella fattispecie il soggetto si rappresenta chiaramente la situazione nonché i mezzi difensivi e consapevolmente decide di compiere un atto che supera i limiti stabiliti; dunque, il soggetto risponderà di delitto doloso[46].

La dottrina e la giurisprudenza prevalente ritengono che l’articolo 55 codice penale relativo all’eccesso colposo, si applica anche alla legittima difesa putativa, ovvero, quando il soggetto a motivo di un’errata percezione delle circostanze oggettive, inerenti la situazione pericolosa, ritiene erroneamente di trovarsi in pericolo, mentre in realtà il pericolo non esiste, ovvero, esiste solo nella sua mente; in queste situazioni la causa di giustificazione deve essere comunque applicata. Bisogna chiarire che, affinché si realizzi la legittima difesa putativa, l’errore che sta alla base dell’azione difensiva deve derivare da elementi oggettivi, chiaramente dimostrabili in sede giudiziale; di conseguenza non è ammissibile la legittima difesa quando alla base di un’azione difensiva ci sia stata una ragione di natura meramente soggettiva, identificata nel solo timore, errore o stato d'animo dell'agente[47].

La Corte di Cassazione si è espressa in modo chiaro e preciso sul tema dicendo che: «[…] la legittima difesa putativa postula i medesimi presupposti di quella reale, con la sola differenza che nella prima la situazione di pericolo non sussiste obiettivamente ma è supposta dall’agente sulla base di un errore scusabile nell’apprezzamento dei fatti, determinato da una situazione obiettiva atta a far sorgere nel soggetto la convinzione di trovarsi in presenza del pericolo attuale di un’offesa ingiusta; sicché, in mancanza di dati di fatto concreti, l’esimente putativa non può ricondursi ad un criterio di carattere meramente soggettivo identificato dal solo timore o dal solo stato d’animo dell’agente[…]»[48].

In ultimo stato bisogna considerare l’eccesso ‘incolpevole’, il quale si realizza quando il soggetto che ha compiuto l’azione difensiva ne ha oltrepassato i limiti imposti dalla legge o dall’Autorità o dalla necessità ‘senza colpa’, ovvero quando qualsiasi soggetto agendo al suo posto, con attenzione e scrupolosità, avrebbe, comunque, compiuto la medesima azione[49].

Tuttavia, la vera innovazione della legge 26 aprile 2019, n. 36 consiste nell’introduzione del comma 2 all’articolo 55 codice penale, il quale si propone di concedere maggiore protezione ai cittadini, in caso di superamento dei limiti nell’esercizio della legittima difesa.

Nell’ultimo comma in esame si legge chiaramente che il soggetto che compie l’azione difensiva per proteggere la propria o altrui incolumità contro il terzo che si introduce illegittimamente nel proprio domicilio o in altro luogo ove venga esercitata un’attività economica, con o senza violenza o minaccia di uso di armi o mezzi affini, non è punibile se ha agito in stato di minorata difesa o in una situazione di ‘grave turbamento’ derivante dalla situazione pericolosa attuale.

Prima di analizzare le due condizioni espresse nel comma 2 articolo 55 codice penale, bisogna chiarire che la disposizione in esame potrà essere invocata solamente laddove l’eccesso colposo di legittima difesa sia avvenuto per difendere un ‘bene personale’, quindi la propria o altrui vita o incolumità fisica, essendo esclusa l’azione difensiva eccessiva relativa alla sola protezione dei beni patrimoniali[50].

In relazione al concetto di ‘minorata difesa’ ex articolo 61 c. n. 5 codice penale si legge quanto segue: «l’aver profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, [anche in riferimento all’età][51], tali da ostacolare la pubblica o privata difesa». Chiunque, trovandosi in una situazione di debolezza a motivo delle condizioni fisiche, del luogo o del tempo, agisce oltrepassando i limiti della legittima difesa non sarà punito.

La dottrina è concorde in relazione ai concetti di circostanze di tempo o di luogo, ma è divisa in relazione alle circostanze relative alla persona. Infatti, una parte ritiene di dover collegare il concetto di circostanze della persona solamente al soggetto passivo, ovvero, alla vittima, mentre, un’altra parte ritiene di dovere verificare le circostanze della persona anche in riferimento al soggetto attivo.

Inoltre, un’interpretazione restrittiva della norma in esame porta ad escludere di poter riconoscere la minorata difesa in ogni caso di aggressione perpetrata nel domicilio, dovendo il giudice valutare caso per caso se l’aggressore ha effettivamente approfittato della condizione di minorata difesa.

Un altro aspetto innovativo citato sempre nell’articolo 55, c. 2 codice penale è il concetto di ‘grave turbamento’, valutato come seconda condizione per la qualificazione della minorata difesa. Il grave turbamento deve necessariamente essere un effetto diretto della situazione pericolosa e deve essere anche la causa dell’eccessiva azione difensiva.

Nonostante non sia facilmente apprezzabile l’esistenza del grave turbamento, può risultare utile applicare alla disposizione in esame la pronuncia della Corte Costituzionale n.172/2014 che aveva reputato infondata la questione di legittimità in relazione all’articolo 612 bis codice penale sollevata per contrasto con il principio di determinatezza in relazione ai termini «grave stato di ansia e di paura». La sentenza della Corte Costituzionale, applicabile estensivamente anche all’articolo 55 c. 2 codice penale, affermava che l’ansia, la paura e io aggiungerei [il grave turbamento], «[…] trattandosi di eventi che riguardano la sfera emotiva e psicologica, debbono essere accertati attraverso un’accurata osservazione di segni e indizi comportamentali, desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell’agente, che denotino un’apprezzabile destabilizzazione  della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima[…].[52]

È evidente che l’alterazione della stabilità emotiva deve essere una conseguenza dell’aggressione e non uno stato emotivo tipico e normale della persona aggredita; ecco perché la Corte Costituzionale prevede il raffronto tra la condizione emotiva precedente e successiva della vittima al fatto aggressivo.

Inoltre, il grave turbamento non deve concretizzarsi in un vero e proprio squilibrio mentale tale da rendere il soggetto incapace di intendere e di volere; in questo caso ci troveremmo in presenza di un vizio di mente e il soggetto non sarebbe punibile per mancanza di imputabilità[53].  

Nonostante la riforma dell’articolo 55 codice penale sia molto recente, la Corte di Cassazione ha già avuto modo di pronunciarsi nel merito, soprattutto facendo chiarezza sulla nozione di grave turbamento.

Cito a proposito la sentenza n. 49883/2019 con la quale i giudici di legittimità hanno deciso che la causa di non punibilità espressa nell’articolo 55 c. 2 codice penale come riformato dalla l. 36/2019 non è configurabile quando l’azione difensiva eccessiva a titolo di colpa non sia diretta alla salvaguardia dell’incolumità propria o altrui ma solo alla difesa dei beni patrimoniali. Inoltre, la stessa sentenza ha fornito dei parametri oggettivi sui cui fondare la situazione di ‘grave turbamento’, per esempio ha stabilito che sono irrilevanti gli stati d’animo che hanno ragioni e cause già esistenti o diverse; inoltre la valutazione dovrà verificare in quale misura il pericolo in atto ha causato nella vittima un turbamento così grave da rendere inesigibile quella razionale valutazione sull’eccesso di difesa che costituisce oggetto del rimprovero mosso a titolo di colpa. Infine, il giudice di legittimità ha ammesso l’applicazione retroattiva della disposizione in esame in base al principio secondo il quale la norma penale favorevole al reo può essere applicata retroattivamente[54].

Un’altra sentenza molto importante in tema di eccesso colposo nella legittima difesa è la n.28872/2019. L’esame si riferiva ad un diverbio avvenuto tra un soggetto legittimamente presente nel proprio domicilio e un terzo che si era introdotto nel domicilio del primo e lo aveva aggredito con un morso all’ascella. Il proprietario del domicilio rispondeva sferrando al contendente un pugno. La Corte d’Appello di Firenze aveva condannato il soggetto che aveva sferrato il pugno per eccesso colposo nella legittima difesa, ritenendo che avrebbe potuto porre in essere un’azione diversa e comunque efficace per fronteggiare l’aggressione del terzo, per esempio, avrebbe potuto tappare il naso dell’aggressore, costringendolo così ad aprire la bocca e lasciare la presa. La sentenza esprimeva il concetto secondo cui: « […] ai fini della configurabilità dell'eccesso colposo nella legittima difesa, occorre preliminarmente accertare l'eventuale inadeguatezza della reazione difensiva, per eccesso nell'uso dei mezzi a disposizione dell'aggredito nel particolare contesto spaziale e temporale nel quale si svolsero i fatti e, successivamente, procedere all'ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, poiché soltanto il primo rientra nello schema dell'eccesso colposo, mentre il secondo costituisce scelta volontaria, estranea alla predetta scriminante[…]». Nella fattispecie, i giudici di legittimità hanno, invece, considerato impossibile l’alternativa azione di tappare il naso del contendente, in quanto a loro avviso, bisognava tenere in considerazione «[…] la concitazione del momento e dell'elevato grado di aggressività̀ palesata dall’aggressore, che stava realizzando una pervicace manovra offensiva in danno dell’aggredito[...]». Pertanto, la Corte di Cassazione annullava la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Firenze per un nuovo esame, precisando che il giudice di merito avrebbe dovuto considerare la possibilità di applicare l’articolo 55 codice penale, così come modificato dalla legge di riforma del 2019, visto che l’aggressione si era perpetrata nel giardino (pertinenza del domicilio) dell’aggredito, pertanto si era in presenza di legittima difesa domiciliare.[55]

Un’altra sentenza della Corte di Cassazione è la n.3997/2019. In questo caso il giudice di legittimità si pronunciava su un ricorso presentato da un soggetto, avverso la sentenza della Corte di Appello di Cagliari che aveva condannato l’imputato per il reato di omicidio, il quale, avendo scorto nella propria azienda agricola un uomo intenzionato a rubare il suo bestiame e avendo scambiato erroneamente il bastone che l’intruso aveva in mano per un fucile, si era scagliato contro di lui colpendolo con un’aggressività tale da procurargli ferite mortali. L’imputato faceva ricorso in Cassazione perché a suo parere i giudici di merito non avevano tenuto debitamente in considerazione la condizione base per l’applicabilità dell’articolo 55 codice penale, ovvero, che l’aggressore si trovasse nella propria azienda agricola in flagranza di furto di reato; inoltre la circostanza secondo la quale l’aggressore era armato di bastone, scambiato dall’imputato per un fucile, avrebbe potuto integrare il presupposto della legittima difesa. La difesa aveva, anche, dimostrato che l’azione difensiva dell’imputato era stata palesemente eccessiva per due motivi principali: primo, i pessimi rapporti tra le parti a motivo di precedenti furti che l’imputato aveva subìto verosimilmente sempre da parte dell’aggressore; secondo, la personalità narcisistica dell’imputato che lo aveva spinto all’azione eccessiva privandolo degli ordinari freni inibitori.

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha dimostrato che l’imputato ha agito con una violenza inaudita e illimitata soprattutto quando ormai l’aggressore era a terra, privo di ogni capacità aggressiva e, pertanto, quando ormai non c’era più nessuna situazione pericolosa. La Corte di Cassazione dunque, ravvisava la mancanza dei presupposti della legittima difesa, ovvero la necessità dell’azione difensiva e la proporzione tra i beni giuridici dell’aggredito e dell’aggressore. L’azione difensiva posta in essere dall’imputato, ovvero la morte del ‘ladro’ non era necessaria in quanto il soggetto avrebbe potuto benissimo desistere e rivolgersi all’Autorità Pubblica per bloccare il ladro, a maggior ragione in quanto non c’era nessun un attuale pericolo per la propria incolumità.

Inoltre, i giudici di legittimità non hanno riscontarto nemmeno la proporzionalità tra i beni giuridici in gioco; infatti da una parte l’aggressore, rubando il bestiame, stava ledendo il bene giuridico ‘patrimonio’ dell’aggredito, mentre, dall’altra parte l’imputato uccidendo brutalmente il ladro stava ledendo il bene giuridico ‘vita’.

«[…] Ne consegue che l’assenza dei presupposti della scriminante della legittima difesa, con precipuo riguardo al bisogno di rimuovere il pericolo di un’aggressione, mediante una reazione proporzionata e adeguata, impedisce di ravvisare l’eccesso colposo, che si caratterizza per l’erronea valutazione di detto pericolo ed, in relazione ad esso, dell’adeguatezza dei mezzi usati […]»[56].

in termini sintetici, si può affermare che non si può riconoscere l’eccesso colposo della legittima difesa se mancano i presupposti fondamentali per l’applicazione della legittima difesa.

 

4. Modifiche al Codice Penale       

La legge 36/2019 ha, inoltre, introdotto varie modifiche a molteplici articoli del codice penale con finalità di inasprimento delle pene.

Il reato di ‘furto in abitazione’ ex articolo 624 bis codice penale è punito, adesso, con pena di reclusione di anni quatto, nel minimo, ad anni sette, nel massimo edittale e con la multa da 927 a 1500 euro; inoltre la riforma è intervenuta anche in tema di ‘sospensione condizionale della pena’[57] introducendo il comma 6 all’articolo 165 codice penale, il quale subordina la concessione della sospensione condizionale soltanto laddove il reo abbia già effettuato il risarcimento del danno a favore del danneggiato in forma integrale.

Se il reato è aggravato da una o più circostanze previste nel primo comma dell’articolo 625 codice penale o se ricorre una o più  circostanze indicate all’articolo 61 codice penale, la pena è della reclusione da cinque a dieci anni e della multa da euro 1.000 a euro 2.500.

Il reato di ‘violazione di domicilio’ ex articolo 614 codice penale è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è della reclusione da due a sei anni, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso con violenza sulle cose, o alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato.

Il reato di ‘rapina’ ex articolo 628 codice penale è punito con pena detentiva da cinque a dieci anni di reclusione e con la multa da euro 927 a euro 2.500.; la rapina commessa in presenza di circostanze aggravanti è punita con la reclusione da sei a venti anni e la multa da 2000 a 4000 euro.

 

Modifiche al Codice Civile

In tema di responsabilità extracontrattuale o aquiliana, l’articolo 2043 c.c. esprime un principio generale secondo il quale «qualunque fatto doloso o colposo che cagiona un danno ingiusto ad altri, obbliga chi lo commette a risarcire il danno».

Dunque, chiunque ha ecceduto colposamente o dolosamente i limiti della legittima difesa è tenuto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale. 

È interessante notare che la giurisprudenza prevalente applica per analogia l’articolo 1227 co. 1 c.c. prevedendo, in caso di eccesso colposo della legittima difesa, il risarcimento del danno in misura diminuita, tenendo conto della partecipazione del danneggiato nel fatto doloso[58].

Tuttavia, la legge n. 36/2019 ha apportato delle modifiche in relazione al tema del risarcimento dei danni.

La riforma ha introdotto due commi all’articolo 2044 codice civile stabilendo rispettivamente che: «nei casi di cui all’articolo 52 c. 2,3,4 codice penale la responsabilità di chi ha compiuto il fatto è ‘esclusa’; nel caso di cui all’articolo 55 c. 2, codice penale  al danneggiato è dovuta un’indennità la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice, «tenendo conto della gravità, delle modalità realizzative e del contributo causale della condotta posta in essere dal danneggiato».

In merito alle spese di giustizia, la riforma ha introdotto nel Testo Unico delle Spese di Giustizia il nuovo articolo 115 bis, in base al quale viene esteso il gratuito patrocino alla persona perseguita penalmente per i fatti commessi in costanza di legittima difesa in favore del quale è disposta l'archiviazione o sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento perché il fatto non costituisce reato.

Nel caso in cui, a seguito della riapertura delle indagini, della revoca o della impugnazione della sentenza di non luogo a procedere o della impugnazione della sentenza di proscioglimento, sia pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, lo Stato ha diritto di chiedere le somme anticipate nei confronti della persona condannata.

 

[1] G. MARINUCCI - E. DOLCINI – G. L. GATTA, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, Milano, 2019, pag. 285.

[2] Ivi, pag. 309.

[3] V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, I, Torino, 1981, p. 379.

[4] g. fiandaca – e. musco, Diritto penale parte generale, Bologna, 2019, pag. 299.

[5] f. antolisei, Diritto penale, parte generale, a cura di L. Conti, Milano, 1997, p. 268 ss.

[6] p.  franceschetti, Legittima difesa, in www.altalex.com

[7] bettiol g., Diritto penale, Padova, 1976, p. 318.

[8] Riguardo alla condotta omissiva nella legittima difesa vedi padovani, La condotta omissiva nel quadro della difesa legittima, in Riv. it. dir. proc. pen., 1970, p. 675 ss.

[9] c. f. grosso, Legittima difesa (dir. pen.), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, p. 27 ss.

[10] Vedi Cass. Pen., Sez. V, 12 maggio 2003, n. 20727. La sentenza a nota ha dimostrato l’applicabilità della legittima difesa anche in relazione ai diritti patrimoniali, purché sussista il requisito della proporzionalità.

[11] Tuttavia, è necessario che il terzo non abbia prestato il proprio consenso all’offesa ingiusta. Nel caso di ‘consenso dell’avente diritto’, verrebbe a mancare l’ingiustizia dell’offesa e non sarebbe applicabile la legittima difesa.

[12] Si pensi per esempio ad un soggetto nell’atto di essere arrestato dalla polizia giudiziaria nell’adempimento di un dovere imposto dall’Autorità competente; in un caso del genere non potrà essere invocata la legittima difesa da parte del soggetto che si ribelli all’arresto.

[13] In merito al requisito dell’imminenza vedi Cass. pen. Sez. I, 23 maggio 2013, n. 29481, in DeJure

[14] antolisei, op. cit., p. 269.

[15] marinucci g. – dolcini e. – gatta g. l., op. cit., p. 311, utilizza l’espressione: improcrastinabilità dell’azione difensiva. Si pensi ad un ‘capo-famiglia’ che, nonostante le varie denunce da parte della moglie, continui, costantemente, a massacrare di botte la moglie e violentare la figlia, cosicché la moglie decide di agire, uccidendolo nel sonno. Ora, l’azione della moglie non è giustificata dalla presenza di un pericolo attuale né da un’offesa in corso, tuttavia si dimostra essere necessaria per evitare un’offesa che quasi certamente avverrà in un futuro prossimo. In giurisprudenza vedi Cass. pen. sez. I, 27 gennaio 2010, n. 6591, Celeste, CED 246566.

[16] Cass. pen., sez. V, 19/07/2018, n. 33837 in neldiritto.it; vedi inoltre Cass. pen. sez. V, 10 ottobre 2013, n. 41879.

[17] Cass. pen., sez. V, 16/08/2019, n. 36143 in juriswiki.it

[18] Per massime di esperienza intendiamo regole di comportamento che esprimono ciò che avviene nella maggior parte di casi, in quanto sono ricavabili da casi simili al fatto in questione; effettivamente la ratio che sta alla base delle massime di esperienza è che in casi simili vi è un identico comportamento, non assolutamente certo ma ampiamente probabile.

[19] Il brocardo latino, che tradotto significa ‘comoda ritirata’, è usato di frequente nell'annoso dibattito riguardante la sussistenza della legittima difesa, come causa di esclusione della punibilità, quando il soggetto aggredito potrebbe salvarsi dal pericolo attuale di un'offesa ingiusta fuggendo. In giurisprudenza vedi Cass. pen. sez. V, 31 gennaio 2017, n. 9164, in DeJure; Cass. pen. sez. I, 10 dicembre 2008, n. 4890, Bazzu, CED 243369; Cass. pen. sez. I, 13 giugno 2017, n. 51262, Calì, CED 272080. Nel caso in cui la fuga creerebbe un pericolo maggiore per la vittima dell’aggressione vedi Cass. pen. sez. V, 14 maggio 2008, n. 25653, Diop, CED 240447.

[20] Sull’argomento vedi bagnati, Spunti di ricerca su fuga e legittima difesa, in Arch. pen., 1992, p. 387 ss.

[21] Cass. pen. sez.I, 21/04/1994, DeGiovanni in Cass. Pen., 1995, p. 1834; in senso conforme vedi Cass. pen. sez. I, 28 gennaio 2003, n. 5697, Di Giulio la quale afferma che: «[…] Non è configurabile l'esimente della legittima difesa qualora l'agente abbia avuto la possibilità di allontanarsi dall'aggressore senza pregiudizio e senza disonore […].

[22] Cass. pen. sez. I, 26 novembre 2009, n. 47117, Carta, CED 245884; Cass. pen. sez. I, 5 marzo 2013, n. 13370, CED 255268.

[23] Vedi c.f. grosso, op. cit., p. 29 ss.

[24] Cass. sez. I, 10 novembre 2004, n. 45407, Podda, CED 230392

[25] Le ricerche sui presupposti della legittima difesa si sono basate sulla seguente manualistica: G. MARINUCCI - E. DOLCINI – G. L. GATTA, op. cit.; G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit.

[26] È interessante notare che il diritto penale romano distingueva tra il ladro diurno e il ladro notturno. In relazione al primo, il derubato doveva dimostrare che il ladro avesse la reale intenzione di causare un danno e poteva essere ucciso solo se opponeva resistenza con armi, mentre per il secondo, l’intenzione pericolosa era presunta, cosicché, il derubato che fosse stato vittima di un’intrusione notturna avrebbe potuto legittimamente ferire mortalmente il ladro. Ecco, dunque il brocardo latino: “si nox furtum faxit, si im occisit, iure caesus esto”. Vedi pothier r. g., Le pandette di Giustiniano, Disposte in nuovo ordine, VIII, Venezia, 1831, p. 19 ss.

[27] cadoppi a., «Si nox fortum faxit, si im occisit, iure caesus esto». Riflessioni de lege ferenda sulla legittima difesa, in Aa. Vv., Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di E. Dolcini e C.E. Paliero, Milano, 2006, p. 1377 ss.

[28] fiandaca m. - musco e., op. cit., p. 307.

[29] Termine introdotto con la riforma 26 aprile 2019 n. 36

[30] Ibidem

[31] La riforma n.36/2019 ha, peraltro, inasprito la risposta sanzionatoria presente nell’articolo 614 codice penale Ad oggi, l’ipotesi base di violazione di domicilio è punita con la reclusione da uno a quattro anni, mentre l’ipotesi aggravata, nel caso in cui la violazione avvenga con violenza sulle cose o sulle persone, o se il colpevole è armato, è punita con la reclusione da due a sei anni.

[32] Cass. Sez. Un., 23 marzo 2017, n. 31345, D’Amico, CED 270076 in Diritto penale contemporaneo, 2017, p.227 ss.

[33] marinucci g. – dolcini e. – gatta g. l., op. cit., p. 316.

[34] Il disegno di legge originario della legittima difesa prevedeva che il soggetto legittimamente presente avrebbe potuto utilizzare metodi violenti nei confronti dell’intruso, solo laddove avesse adempiuto l’onere di avvertimento o “invito a desistere” rivolto al ladro e lo stesso non avesse ottemperato. In realtà questa parte è stata accantonata durante i lavori preparatori perché è stata considerata pericolosa nei confronti del padrone di casa. Si immagini la scena in cui la vittima intimi al ladro di desistere e il ladro reagisce per primo uccidendolo o ferendolo. Vedi Ivi, p. 311.

[35] fiandaca m. – musco e., op. cit., p. 312 ss.

[36] dolcini e., La riforma della legittima difesa: leggi «sacrosante» e sacro valore della vita umana, in Dir. pen. e proc., 2006, p. 431 ss.

[37] Cass. Sez. I, 3 luglio 2014, n. 28802, in Giurisprudenzapenale.com. Nella sentenza annotata, il soggetto invocava la legittima difesa per aver ucciso con un colpo di fucile il malvivente che gli stava sottraendo l’autovettura. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso affermando che nel momento in cui il soggetto esplodeva il colpo d’arma da fuoco, il ladro era già nell’autovettura in procinto di fuggire, dunque, non c’era più un pericolo per l’incolumità personale. Tutt’al più rimaneva solamente un pericolo di aggressione al bene patrimoniale rappresentato dalla sottrazione dell’autovettura, il quale non poteva giustificare l’uccisione del ladro. La sentenza, dunque, dimostrava che pur essendo presunta il requisito della legittima difesa, restava compito del giudice valutarne i requisiti di pericolo attuale di aggressione fisica e l’inevitabilità (necessarietà) dell’azione difensiva.

[38] La giurisprudenza allegata dà valore al requisito dell’attualità del pericolo e dell’inevitabilità dell’azione, in quanto momenti di assoluta valutazione giudiziale. Vedi Cass. pen. sez. V, 2 luglio 2014, n. 35709, Desogus, CED 260316; Cass. pen. sez. I, 27 maggio 2010, n. 23221, Grande, CED 247571.

[39] Cass. pen. sez. IV, 14 novembre 2013, n. 691, Gallo Cantone, CED 257884. In senso conforme vedi Cass. pen. sez. I, 8 marzo 2007, n. 16677, Grimoli, CED 236502; Cass. pen. sez., V, 14 maggio 2008, n. 25653, Diop, CED 240447.

[40] marinucci g. – dolcini e. – gatta g. l., op. cit., p. 319.

[41] Ivi, p. 320

[42] Comunicato Presidenza della Repubblica, Legittima difesa: Mattarella ha promulgato la legge e ha inviato una lettera ai Presidenti di Senato, Camera e del Consiglio dei Ministri, in www.quirinale.it

[43] Cass. Sez. V, 2 ottobre 2019, n.40414, in neldiritto.it

[44] Cass. Sez. V, 28 giugno 2019, n. 28336.

[45] marinucci g. – dolcini e. – gatta g. l., op. cit., p. 289-291.

[46] Ibidem. In giurisprudenza, in relazione al delicato rapporto tra eccesso doloso e colposo vedi Cass. Sez. III, 27 aprile 2018, n. 30910, CED 273731; Cass. Sez. IV, 21 giugno 2012, n. 36280, CED 253566.

[47] altavilla, voce Eccesso colposo, in Noviss. Dig. It., IV, Torino, 1960, p. 339.

[48] Cass. Pen., sez. V, 22/05/2013, n. 22015. In senso conforme vedi Cass. Pen., sez. I, 18/02/1997, n. 3898.

[49] Vedi Cass. Sez. I, 28 novembre 1987, n. 7834, CED 178811.

[50] marinucci g. – dolcini e. – gatta g. l., op. cit., p. 321-322.

[51] Il concetto di ‘età’, come condizione affinché si configuri una minorata di fesa, è stato inserito dalla l. 15 luglio 2009, n. 94. Il legislatore ha, sicuramente, voluto tutelare delle categorie specifiche, tra cui gli anziani e i minorenni, che a motivo dell’età si trovano in una situazione di debolezza, ovvero, di minorata difesa. Ai fini dell’effettiva incidenza del fattore età per la configurazione della ‘minorata difesa’ vedi Cass. Pen. Sez. II, 10/10/1994, n. 10531. Ai fini delle circostanze di tempo e di luogo vedi Cass. Pen. Sez. VI, 10/04/2017, n.17937; Cass, Pen. Sez, IV, 27 novembre 2017, n. 53570.

[52] Corte Cost. 11/06/2014 n. 172 in www.cortecostituzionale.it; vedi in senso conforme Cass. Pen. Sez. V, 2 marzo 2017, n. 17795, CED 269621.

[53] marinucci g. – dolcini e. – gatta g. l., op. cit., p. 322.

[54] Cass. Pen. Sez. III, 10 dicembre 2019, n. 49883 in www.giurisprudenzapenale.com.

[55] Cass. pen. sez. IV, 2 luglio 2019, n. 28782.

[56] Cass. pen. sez. I, 30 settembre 2019, n. 39977.

[57] La sospensione della pena (anche sospensione condizionale dell’esecuzione della pena) è un istituto penalistico italiano che permette, alla presenza di determinati presupposti, la sospensione della pena, sia principale, sia accessoria, per cinque anni, se si tratta di condanna per delitto, e per due anni, se si tratta di condanna per contravvenzione; al termine del periodo di sospensione, se il soggetto ha superato positivamente la prova alla quale è sottoposto, dunque non ha commesso nuovo delitto o contravvenzione della stessa indole, si produrrà l’effetto estintivo della pena principale e accessoria. marinucci g. – dolcini e. – gatta g. l., op. cit., p. 776 ss.

[58] marinucci g. – dolcini e. – gatta g. l., op. cit., p. 291.

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