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La nozione di organismo di diritto pubblico e il ricorso alla procedura di aggiudicazione ad evidenza pubblica

La direttiva 92/50 CEE impone il ricorso al procedimento di aggiudicazione ad evidenza pubblica in relazione a tutti i contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di servizi ed un’amministrazione aggiudicatrice. Per amministrazione aggiudicatrice, l’art 1 lett. b) della citata direttiva intende lo Stato, gli enti locali, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni costituite da detti enti od organismi di diritto pubblico.

Lo stesso art. 1 alla lett. b) della direttiva di cui sopra definisce “organismo di diritto pubblico” qualsiasi organismo:

• istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale;

• avente personalità giuridica;

• la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico.

L’art. 3 del D. Lgs. 136/2006 nel definire la nozione di organismo di diritto pubblico, riproduce la dizione del legislatore comunitario.

Risulta evidente dalla lettura delle norme di cui sopra che, qualora un determinato ente eserciti un’ attività di natura industriale e commerciale e non riceva alcun finanziamento pubblico maggioritario, quest’ultimo non sia vincolato all’indizione di alcuna gara tutte le volte in cui debba stipulare contratti con terzi soggetti.

Preliminarmente, come dichiarato costantemente dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, le tre condizioni enunciate dall’art. 1 let b) della direttiva 92/50 CEE hanno carattere cumulativo, di modo che, in assenza di una sola di tali condizioni, un organismo non può essere considerato organismo di diritto pubblico e, dunque, amministrazione aggiudicatrice ai sensi della direttiva 92/50. ( cfr. sentenze 10 novembre 1998, causa C-360/96, Bfi Holding; sent. 10 maggio 2001 cause riunite C-223/99 e C-260/99, Agorà e Excelsior; sent. 22 maggio 2003 causa C- 18/01, Korhonen e a.)

Il requisito che richiede una maggiore attenzione da parte dell’interprete è dato pertanto dalla condizione costitutiva dell’ente organismo di diritto pubblico ovvero, dalla causa che segna il contratto generativo dell’organismo di diritto pubblico: l’essere l ‘organismo di diritto pubblico costituito per soddisfare specificatamente bisogni di “interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale”.

Dalle sentenze del giudice comunitario ( Cfr. sent. 10 maggio 2001 cause riunite C-223/99 e C-260/99, Agorà e Excelsior; sent. 15 gennaio 1998 causa C-44/96, Mannesmann Anlagenbau Austria AG.) si evince che il requisito è soddisfatto innanzitutto quando l’attività è volta al soddisfacimento di un interesse di carattere generale e quindi quando tale attività ha un impatto sulla collettività. Una volta accertato il soddisfacimento dell’interesse generale, occorrerà quindi verificare se l’attività ha natura non industriale o non commerciale.

Ai sensi di una giurisprudenza costante, costituiscono in genere bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale ai sensi dell’art. 1 lett. b) delle direttive comunitarie relative al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, quei bisogni che, da un lato, sono soddisfatti in modo diverso dall’offerta di beni o servizi sul mercato e al cui soddisfacimento, d’altro lato, per motivi connessi all’interesse generale, lo Stato preferisce provvedere direttamente o con riguardo ai quali intende mantenere un’influenza determinante. L’esistenza o l’assenza di tale bisogno di interesse generale deve essere valutata tenendo conto di tutti gli elementi di diritto e di fatto pertinenti, quali le circostanze che hanno presieduto alla creazione dell’organismo interessato e le condizioni in cui quest’ultimo esercita la sua attività.

A tale proposito, occorre in particolare verificare se l’organismo in esame esercita la propria attività in regime di concorrenza, dato che l’esistenza di tale concorrenza può, come già deciso dalla giurisprudenza comunitaria, costituire un indizio a sostegno del fatto che un bisogno di interesse generale ha carattere industriale o commerciale.

Se l’organismo opera in normali condizioni di mercato, persegue lo scopo di lucro e subisce le perdite connesse all’esercizio della sua attività, è poco probabile che i bisogni che esso mira a soddisfare abbiano carattere non industriale o commerciale. In una tale ipotesi, le direttive comunitarie relative al coordinamento delle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, del resto non si applicherebbero, poiché un organismo che persegue uno scopo di lucro e che si assume i rischi connessi alla propria attività non si impegnerà di regola in un procedimento di aggiudicazione di un appalto a condizioni che non siano economicamente giustificate.

Ne consegue che, se l’ente, pur partecipato dallo Stato e pur ricevendo dallo Stato la maggior parte delle risorse necessarie per l’esercizio della sua attività, opera in normali condizioni di mercato o persegue scopi di lucro o subisce perdite commerciali in conseguenza dell’esercizio di impresa, non è un organismo di diritto pubblico e come tale si sottrae alla disciplina dei lavori pubblici.

L’esistenza o la mancanza di un bisogno d’interesse generale avente carattere industriale o commerciale dev’essere valutata tenendo conto dell’insieme degli elementi giuridici e fattuali pertinenti, quali le circostanze che hanno presieduto alla creazione dell’organismo considerato e le condizioni in cui quest’ultimo esercita la sua attività, ivi compresa, in particolare, la mancanza di concorrenza sul mercato, la mancanza del perseguimento di uno scopo di lucro a titolo principale, la mancanza di assunzione dei rischi collegati a tale attività, nonché il finanziamento pubblico eventuale dell’attività in questione ( cfr. sent. 22 maggio 2003 causa C- 18/01, Korhonen e a; sent. 16 ottobre 2003 causa C-283/00; sentenze 10 novembre 1998, causa C-360/96, Bfi Holding; sent. 10 maggio 2001 cause riunite C-223/99 e C-260/99, Agorà e Excelsior; sent. 15 gennaio 1998 causa C-44/96, Mannesmann Anlagenbau Austria AG).

La giurisprudenza italiana ha recepito in più di un occasione, uniformandosi, l’orientamento giurisprudenziale comunitario.

Il carattere industriale o commerciale dell’attività va riconosciuto nel fatto che i beni o i servizi prodotti dall’ente, sono posti sul libero mercato, per qualsiasi utilizzazione se ne voglia fare, in dipendenza della loro ubicazione, del loro stato di conservazione e di qualsiasi altra caratteristica che possa rendere più o meno elevato il loro valore per i singoli. E questo tipo di produzione di reddito, da parte di tali beni, lo rende non differente dalle consimili attività che qualsiasi privato, svolga sullo specifico mercato, traendone i corrispettivi che il gioco della concorrenza può stabilire nel confronto con i diversi interessi dell’altro contraente.

Il carattere non industriale o commerciale di un determinato interesse generale non può essere riconosciuto, in tal modo, ad una società che fornisce servizi non necessariamente connessi ad un’opera pubblica, erogabili in base a contrattazioni intrattenute anche con committenti non pubblici, non sostenuta da finanziamento pubblico se non nella capitalizzazione iniziale, e non connessa nella sua attività ad una programmazione politica legata alle esigenze di sviluppo sociale ed economico di una comunità territoriale ( Cfr. Consiglio di Stato sez. V. 6 ottobre 2003, n. 5902; Consiglio di Stato sez. VI , 7 giugno 2001, n. 3090; Cass. civ. sez. un. 2 marzo 1999, n. 107; Cass. civ. sez. un. 6 maggio 1995 n. 4989; Cass. civ. sez. un. 28 novembre 1996, n. 10616).

Per quanto riguarda il significato dell’espressione “ finanziata in modo maggioritario dallo Stato”, la giurisprudenza comunitaria ha stabilito che l’espressione “in modo maggioritario” deve essere interpretata in senso quantitativo e fa riferimento ad un finanziamento pubblico superiore al 50%. Quest’ultima interpretazione, secondo la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, risulta inoltre corroborata dal tenore letterale dell’art. 1 lett. b) sub 2) della direttiva del Consiglio del 14 giugno 1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni, la quale definisce l’ “impresa pubblica” in particolare, come l’impresa nella quale le autorità pubbliche detengono, direttamente o indirettamente, la maggioranza del capitale sociale sottoscritto dell’impresa medesima oppure controllano la maggioranza dei voti a cui danno diritto le quote di partecipazione emesse a tale impresa. Inoltre l’interpretazione secondo la quale l’espressione “in modo maggioritario” deve essere intesa nel senso di “più della metà” è del pari conforme a quanto previsto in uno degli altri casi contemplati dall’art. 1 lett. b), secondo comma, terzo trattino delle direttive 92/50, 93/36 e 93/37 . Infatti, ai sensi di queste disposizioni, deve altresì essere qualificato come «organismo di diritto pubblico» qualsiasi organismo il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali «più della metà» sia designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico (Cfr. Corte di Giustizia delle Comunità Europee V. sez, sent. 3 ottobre 2003 causa C-380/98).

Secondo la giurisprudenza, non tutte le sovvenzioni pubbliche a favore di un ente, vanno qualificate come “finanziamento pubblico”, negli stessi termini di cui alla direttiva 92/50 CEE.

In tal senso, occorre pertanto analizzare la reale natura di ciascuna delle forme di finanziamento, allo scopo di determinare l’importanza che le stesse rivestono per l’ente beneficiario e, di conseguenza, l’influenza che esse possono avere ai fini dell’eventuale attribuzione a tale organismo della qualifica di “organismo di diritto pubblico”.

Se da un lato la forma di finanziamento di un dato organismo può essere rivelatrice di una stretta dipendenza di quest’ultimo rispetto ad un’altra amministrazione aggiudicatrice, dall’altro bisogna però constatare come tale criterio non abbia valore assoluto. Non tutti i finanziamenti erogati da un’amministrazione aggiudicatrice hanno per effetto di creare o rafforzare uno specifico legame di subordinazione o dipendenza. Soltanto le prestazioni che, mediante un aiuto finanziario versato senza specifica controprestazione, finanzino o sostengano le attività dell’ente interessato possono essere qualificate come «finanziamento pubblico».

Ne consegue che prestazioni del tipo contemplato consistenti in sovvenzioni o finanziamenti concessi al fine di promuovere attività tipiche dell’oggetto sociale dell’ente, devono essere considerate come finanziamento erogato da un’amministrazione aggiudicatrice, vale a dire “finanziamento pubblico” .

Diversa è invece la situazione nel caso delle fonti di finanziamento versate dallo Stato o da un altro organismo di diritto pubblico a titolo di corrispettivo di prestazioni contrattuali fornite dall’ente beneficiario. In tal caso, l’amministrazione aggiudicatrice ha un interesse economico all’esecuzione della prestazione, e non può dunque parlarsi tecnicamente di “finanziamento pubblico”.

Il rapporto di dipendenza che può determinarsi nei confronti dell’amministrazione aggiudicatrice controparte è di natura diversa da quella risultante da una semplice prestazione di sostegno. Infatti, una tale dipendenza va piuttosto assimilata a quella esistente nelle normali relazioni commerciali, che si sviluppano nell’ambito di contratti a carattere sinallagmatico liberamente negoziati tra le parti contraenti.

Non costituiscono pertanto “finanziamento pubblico” ai sensi delle direttive sopra citate, le somme versate da una o più amministrazioni aggiudicatici a titolo di corrispettivo per l’esecuzione di una prestazione nell’ambito di un ordinario rapporto contrattuale (Cfr. Corte di Giustizia delle Comunità Europee V. sez, sent. 3 ottobre 2003 causa C-380/98).

Per quanto riguarda la composizione della base di calcolo del finanziamento «maggioritario», si tratta, in particolare, di sapere se tutte le fonti di finanziamento dell’organismo debbano essere prese in considerazione al fine di stabilire il carattere «maggioritario» di un finanziamento pubblico, ovvero se si debba tener conto soltanto delle fonti di finanziamento delle attività rientranti nell’oggetto sociali e delle attività connesse.

Secondo la giurisprudenza comunitaria, a questo proposito, è sufficiente constatare come il fatto che l’art. 1, lett. b), secondo comma, terzo trattino, delle direttive 92/50, 93/36 e 93/37 faccia riferimento ad un finanziamento «maggioritario» erogato con fondi pubblici implichi necessariamente che un organismo può essere finanziato in parte anche in altra maniera, senza per questo perdere la propria qualità di amministrazione aggiudicatrice.

Per giungere ad una corretta valutazione della percentuale di finanziamento pubblico di un dato organismo, occorre tener conto, a giudizio della Corte Comunitaria, dell’insieme delle entrate delle quali tale organismo si avvale, ivi comprese quelle derivanti da una attività commerciale. (Cfr. Corte di Giustizia delle Comunità Europee V. sez, sent. 3 ottobre 2003 causa C-380/98).

In tema di finanziamento pubblico, l’ultima questione da affrontare, concerne quale sia il periodo da prendere in considerazione ai fini del calcolo del modo di finanziamento dell’ organismo stesso.

Per stabilire se un ente possa essere qualificato “organismo di diritto pubblico” e conseguentemente, amministrazione aggiudicatrice, rispetto ad una determinata procedura di gara da aggiudicare, è importante tener conto dell’esatta situazione finanziaria di tale ente, nondimeno occorre anche assicurare un certo grado di prevedibilità alla procedura in questione, potendo il finanziamento di ogni ente variare da un anno all’altro.

Le direttive 92/50, 93/36 e 93/37, nulla dicono in merito al periodo da prendere in considerazione al fine di qualificare un organismo come «amministrazione aggiudicatrice». Esse tuttavia contengono talune norme riguardanti la pubblicazione di avvisi indicativi periodici, le quali possono offrire indicazioni utili per risolvere tale questione.

Infatti, l’art. 15, n. 1, della direttiva 92/50 e l’art. 9, n. 1, della direttiva 93/36 prevedono espressamente che gli avvisi indicativi debbano essere pubblicati dalle amministrazioni aggiudicatrici «non appena possibile dopo l’inizio del loro esercizio finanziario», qualora il valore complessivo degli appalti «che esse intendono aggiudicare nei 12 mesi successivi» risulti pari o superiore a 750.000 ecu. Queste disposizioni implicano dunque che un’amministrazione aggiudicatrice conservi tale status per dodici mesi a partire dall’inizio di ciascun esercizio finanziario.

L’attribuzione della qualifica di organismo di diritto pubblico a qualsiasi ente, deve pertanto essere effettuata su base annuale e l’esercizio finanziario nel corso del quale il procedimento di aggiudicazione di una determinata gara è avviato, deve essere considerato il periodo più appropriato ai fini del calcolo del modo di finanziamento di tale organismo.

Secondo la giurisprudenza, ai fini dell’attribuzione della qualifica di “amministrazione aggiudicatrice” ad un ente, il calcolo del modo di finanziamento di quest’ultimo deve essere effettuato sulla scorta delle cifre disponibili all’inizio dell’esercizio finanziario, ancorché queste abbiano natura previsionale (Cfr. Corte di Giustizia delle Comunità Europee V. sez, sent. 3 ottobre 2003 causa C-380/98).

La direttiva 92/50 CEE impone il ricorso al procedimento di aggiudicazione ad evidenza pubblica in relazione a tutti i contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di servizi ed un’amministrazione aggiudicatrice. Per amministrazione aggiudicatrice, l’art 1 lett. b) della citata direttiva intende lo Stato, gli enti locali, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni costituite da detti enti od organismi di diritto pubblico.

Lo stesso art. 1 alla lett. b) della direttiva di cui sopra definisce “organismo di diritto pubblico” qualsiasi organismo:

• istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale;

• avente personalità giuridica;

• la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico.

L’art. 3 del D. Lgs. 136/2006 nel definire la nozione di organismo di diritto pubblico, riproduce la dizione del legislatore comunitario.

Risulta evidente dalla lettura delle norme di cui sopra che, qualora un determinato ente eserciti un’ attività di natura industriale e commerciale e non riceva alcun finanziamento pubblico maggioritario, quest’ultimo non sia vincolato all’indizione di alcuna gara tutte le volte in cui debba stipulare contratti con terzi soggetti.

Preliminarmente, come dichiarato costantemente dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, le tre condizioni enunciate dall’art. 1 let b) della direttiva 92/50 CEE hanno carattere cumulativo, di modo che, in assenza di una sola di tali condizioni, un organismo non può essere considerato organismo di diritto pubblico e, dunque, amministrazione aggiudicatrice ai sensi della direttiva 92/50. ( cfr. sentenze 10 novembre 1998, causa C-360/96, Bfi Holding; sent. 10 maggio 2001 cause riunite C-223/99 e C-260/99, Agorà e Excelsior; sent. 22 maggio 2003 causa C- 18/01, Korhonen e a.)

Il requisito che richiede una maggiore attenzione da parte dell’interprete è dato pertanto dalla condizione costitutiva dell’ente organismo di diritto pubblico ovvero, dalla causa che segna il contratto generativo dell’organismo di diritto pubblico: l’essere l ‘organismo di diritto pubblico costituito per soddisfare specificatamente bisogni di “interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale”.

Dalle sentenze del giudice comunitario ( Cfr. sent. 10 maggio 2001 cause riunite C-223/99 e C-260/99, Agorà e Excelsior; sent. 15 gennaio 1998 causa C-44/96, Mannesmann Anlagenbau Austria AG.) si evince che il requisito è soddisfatto innanzitutto quando l’attività è volta al soddisfacimento di un interesse di carattere generale e quindi quando tale attività ha un impatto sulla collettività. Una volta accertato il soddisfacimento dell’interesse generale, occorrerà quindi verificare se l’attività ha natura non industriale o non commerciale.

Ai sensi di una giurisprudenza costante, costituiscono in genere bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale ai sensi dell’art. 1 lett. b) delle direttive comunitarie relative al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, quei bisogni che, da un lato, sono soddisfatti in modo diverso dall’offerta di beni o servizi sul mercato e al cui soddisfacimento, d’altro lato, per motivi connessi all’interesse generale, lo Stato preferisce provvedere direttamente o con riguardo ai quali intende mantenere un’influenza determinante. L’esistenza o l’assenza di tale bisogno di interesse generale deve essere valutata tenendo conto di tutti gli elementi di diritto e di fatto pertinenti, quali le circostanze che hanno presieduto alla creazione dell’organismo interessato e le condizioni in cui quest’ultimo esercita la sua attività.

A tale proposito, occorre in particolare verificare se l’organismo in esame esercita la propria attività in regime di concorrenza, dato che l’esistenza di tale concorrenza può, come già deciso dalla giurisprudenza comunitaria, costituire un indizio a sostegno del fatto che un bisogno di interesse generale ha carattere industriale o commerciale.

Se l’organismo opera in normali condizioni di mercato, persegue lo scopo di lucro e subisce le perdite connesse all’esercizio della sua attività, è poco probabile che i bisogni che esso mira a soddisfare abbiano carattere non industriale o commerciale. In una tale ipotesi, le direttive comunitarie relative al coordinamento delle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, del resto non si applicherebbero, poiché un organismo che persegue uno scopo di lucro e che si assume i rischi connessi alla propria attività non si impegnerà di regola in un procedimento di aggiudicazione di un appalto a condizioni che non siano economicamente giustificate.

Ne consegue che, se l’ente, pur partecipato dallo Stato e pur ricevendo dallo Stato la maggior parte delle risorse necessarie per l’esercizio della sua attività, opera in normali condizioni di mercato o persegue scopi di lucro o subisce perdite commerciali in conseguenza dell’esercizio di impresa, non è un organismo di diritto pubblico e come tale si sottrae alla disciplina dei lavori pubblici.

L’esistenza o la mancanza di un bisogno d’interesse generale avente carattere industriale o commerciale dev’essere valutata tenendo conto dell’insieme degli elementi giuridici e fattuali pertinenti, quali le circostanze che hanno presieduto alla creazione dell’organismo considerato e le condizioni in cui quest’ultimo esercita la sua attività, ivi compresa, in particolare, la mancanza di concorrenza sul mercato, la mancanza del perseguimento di uno scopo di lucro a titolo principale, la mancanza di assunzione dei rischi collegati a tale attività, nonché il finanziamento pubblico eventuale dell’attività in questione ( cfr. sent. 22 maggio 2003 causa C- 18/01, Korhonen e a; sent. 16 ottobre 2003 causa C-283/00; sentenze 10 novembre 1998, causa C-360/96, Bfi Holding; sent. 10 maggio 2001 cause riunite C-223/99 e C-260/99, Agorà e Excelsior; sent. 15 gennaio 1998 causa C-44/96, Mannesmann Anlagenbau Austria AG).

La giurisprudenza italiana ha recepito in più di un occasione, uniformandosi, l’orientamento giurisprudenziale comunitario.

Il carattere industriale o commerciale dell’attività va riconosciuto nel fatto che i beni o i servizi prodotti dall’ente, sono posti sul libero mercato, per qualsiasi utilizzazione se ne voglia fare, in dipendenza della loro ubicazione, del loro stato di conservazione e di qualsiasi altra caratteristica che possa rendere più o meno elevato il loro valore per i singoli. E questo tipo di produzione di reddito, da parte di tali beni, lo rende non differente dalle consimili attività che qualsiasi privato, svolga sullo specifico mercato, traendone i corrispettivi che il gioco della concorrenza può stabilire nel confronto con i diversi interessi dell’altro contraente.

Il carattere non industriale o commerciale di un determinato interesse generale non può essere riconosciuto, in tal modo, ad una società che fornisce servizi non necessariamente connessi ad un’opera pubblica, erogabili in base a contrattazioni intrattenute anche con committenti non pubblici, non sostenuta da finanziamento pubblico se non nella capitalizzazione iniziale, e non connessa nella sua attività ad una programmazione politica legata alle esigenze di sviluppo sociale ed economico di una comunità territoriale ( Cfr. Consiglio di Stato sez. V. 6 ottobre 2003, n. 5902; Consiglio di Stato sez. VI , 7 giugno 2001, n. 3090; Cass. civ. sez. un. 2 marzo 1999, n. 107; Cass. civ. sez. un. 6 maggio 1995 n. 4989; Cass. civ. sez. un. 28 novembre 1996, n. 10616).

Per quanto riguarda il significato dell’espressione “ finanziata in modo maggioritario dallo Stato”, la giurisprudenza comunitaria ha stabilito che l’espressione “in modo maggioritario” deve essere interpretata in senso quantitativo e fa riferimento ad un finanziamento pubblico superiore al 50%. Quest’ultima interpretazione, secondo la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, risulta inoltre corroborata dal tenore letterale dell’art. 1 lett. b) sub 2) della direttiva del Consiglio del 14 giugno 1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni, la quale definisce l’ “impresa pubblica” in particolare, come l’impresa nella quale le autorità pubbliche detengono, direttamente o indirettamente, la maggioranza del capitale sociale sottoscritto dell’impresa medesima oppure controllano la maggioranza dei voti a cui danno diritto le quote di partecipazione emesse a tale impresa. Inoltre l’interpretazione secondo la quale l’espressione “in modo maggioritario” deve essere intesa nel senso di “più della metà” è del pari conforme a quanto previsto in uno degli altri casi contemplati dall’art. 1 lett. b), secondo comma, terzo trattino delle direttive 92/50, 93/36 e 93/37 . Infatti, ai sensi di queste disposizioni, deve altresì essere qualificato come «organismo di diritto pubblico» qualsiasi organismo il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali «più della metà» sia designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico (Cfr. Corte di Giustizia delle Comunità Europee V. sez, sent. 3 ottobre 2003 causa C-380/98).

Secondo la giurisprudenza, non tutte le sovvenzioni pubbliche a favore di un ente, vanno qualificate come “finanziamento pubblico”, negli stessi termini di cui alla direttiva 92/50 CEE.

In tal senso, occorre pertanto analizzare la reale natura di ciascuna delle forme di finanziamento, allo scopo di determinare l’importanza che le stesse rivestono per l’ente beneficiario e, di conseguenza, l’influenza che esse possono avere ai fini dell’eventuale attribuzione a tale organismo della qualifica di “organismo di diritto pubblico”.

Se da un lato la forma di finanziamento di un dato organismo può essere rivelatrice di una stretta dipendenza di quest’ultimo rispetto ad un’altra amministrazione aggiudicatrice, dall’altro bisogna però constatare come tale criterio non abbia valore assoluto. Non tutti i finanziamenti erogati da un’amministrazione aggiudicatrice hanno per effetto di creare o rafforzare uno specifico legame di subordinazione o dipendenza. Soltanto le prestazioni che, mediante un aiuto finanziario versato senza specifica controprestazione, finanzino o sostengano le attività dell’ente interessato possono essere qualificate come «finanziamento pubblico».

Ne consegue che prestazioni del tipo contemplato consistenti in sovvenzioni o finanziamenti concessi al fine di promuovere attività tipiche dell’oggetto sociale dell’ente, devono essere considerate come finanziamento erogato da un’amministrazione aggiudicatrice, vale a dire “finanziamento pubblico” .

Diversa è invece la situazione nel caso delle fonti di finanziamento versate dallo Stato o da un altro organismo di diritto pubblico a titolo di corrispettivo di prestazioni contrattuali fornite dall’ente beneficiario. In tal caso, l’amministrazione aggiudicatrice ha un interesse economico all’esecuzione della prestazione, e non può dunque parlarsi tecnicamente di “finanziamento pubblico”.

Il rapporto di dipendenza che può determinarsi nei confronti dell’amministrazione aggiudicatrice controparte è di natura diversa da quella risultante da una semplice prestazione di sostegno. Infatti, una tale dipendenza va piuttosto assimilata a quella esistente nelle normali relazioni commerciali, che si sviluppano nell’ambito di contratti a carattere sinallagmatico liberamente negoziati tra le parti contraenti.

Non costituiscono pertanto “finanziamento pubblico” ai sensi delle direttive sopra citate, le somme versate da una o più amministrazioni aggiudicatici a titolo di corrispettivo per l’esecuzione di una prestazione nell’ambito di un ordinario rapporto contrattuale (Cfr. Corte di Giustizia delle Comunità Europee V. sez, sent. 3 ottobre 2003 causa C-380/98).

Per quanto riguarda la composizione della base di calcolo del finanziamento «maggioritario», si tratta, in particolare, di sapere se tutte le fonti di finanziamento dell’organismo debbano essere prese in considerazione al fine di stabilire il carattere «maggioritario» di un finanziamento pubblico, ovvero se si debba tener conto soltanto delle fonti di finanziamento delle attività rientranti nell’oggetto sociali e delle attività connesse.

Secondo la giurisprudenza comunitaria, a questo proposito, è sufficiente constatare come il fatto che l’art. 1, lett. b), secondo comma, terzo trattino, delle direttive 92/50, 93/36 e 93/37 faccia riferimento ad un finanziamento «maggioritario» erogato con fondi pubblici implichi necessariamente che un organismo può essere finanziato in parte anche in altra maniera, senza per questo perdere la propria qualità di amministrazione aggiudicatrice.

Per giungere ad una corretta valutazione della percentuale di finanziamento pubblico di un dato organismo, occorre tener conto, a giudizio della Corte Comunitaria, dell’insieme delle entrate delle quali tale organismo si avvale, ivi comprese quelle derivanti da una attività commerciale. (Cfr. Corte di Giustizia delle Comunità Europee V. sez, sent. 3 ottobre 2003 causa C-380/98).

In tema di finanziamento pubblico, l’ultima questione da affrontare, concerne quale sia il periodo da prendere in considerazione ai fini del calcolo del modo di finanziamento dell’ organismo stesso.

Per stabilire se un ente possa essere qualificato “organismo di diritto pubblico” e conseguentemente, amministrazione aggiudicatrice, rispetto ad una determinata procedura di gara da aggiudicare, è importante tener conto dell’esatta situazione finanziaria di tale ente, nondimeno occorre anche assicurare un certo grado di prevedibilità alla procedura in questione, potendo il finanziamento di ogni ente variare da un anno all’altro.

Le direttive 92/50, 93/36 e 93/37, nulla dicono in merito al periodo da prendere in considerazione al fine di qualificare un organismo come «amministrazione aggiudicatrice». Esse tuttavia contengono talune norme riguardanti la pubblicazione di avvisi indicativi periodici, le quali possono offrire indicazioni utili per risolvere tale questione.

Infatti, l’art. 15, n. 1, della direttiva 92/50 e l’art. 9, n. 1, della direttiva 93/36 prevedono espressamente che gli avvisi indicativi debbano essere pubblicati dalle amministrazioni aggiudicatrici «non appena possibile dopo l’inizio del loro esercizio finanziario», qualora il valore complessivo degli appalti «che esse intendono aggiudicare nei 12 mesi successivi» risulti pari o superiore a 750.000 ecu. Queste disposizioni implicano dunque che un’amministrazione aggiudicatrice conservi tale status per dodici mesi a partire dall’inizio di ciascun esercizio finanziario.

L’attribuzione della qualifica di organismo di diritto pubblico a qualsiasi ente, deve pertanto essere effettuata su base annuale e l’esercizio finanziario nel corso del quale il procedimento di aggiudicazione di una determinata gara è avviato, deve essere considerato il periodo più appropriato ai fini del calcolo del modo di finanziamento di tale organismo.

Secondo la giurisprudenza, ai fini dell’attribuzione della qualifica di “amministrazione aggiudicatrice” ad un ente, il calcolo del modo di finanziamento di quest’ultimo deve essere effettuato sulla scorta delle cifre disponibili all’inizio dell’esercizio finanziario, ancorché queste abbiano natura previsionale (Cfr. Corte di Giustizia delle Comunità Europee V. sez, sent. 3 ottobre 2003 causa C-380/98).