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La responsabilità amministrativa da reato delle imprese individuali nel Decreto Legislativo 231/2001

Non è chiaro in giurisprudenza e in dottrina se la responsabilità amministrativa da reato di cui al Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231 debba estendersi anche alle imprese individuali.

Il Decreto Legislativo 231/2001, che ha come rubrica: “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della Legge 300/2000”, costituisce l’esercizio della delega contenuta in quest’ultima Legge, che aveva disposto la ratifica sia della Convenzione Ocse sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri, sia di varie convenzioni dell’Unione europea in tema di protezione degli interessi finanziari delle Comunità Europee e di lotta alla corruzione.

La Convenzione Ocse (17 dicembre 1997) prevede che “ciascuna parte prende le misure necessarie, in conformità dei propri principi giuridici, per stabilire la responsabilità delle persone giuridiche nel caso di corruzione di un pubblico funzionario straniero”, mentre, assai più specificamente, gli articoli 3 e 4 del Secondo Protocollo sulla protezione degli interessi finanziari delle Comunità Europee (27 giugno 1997) si occupano della responsabilità e delle sanzioni delle persone giuridiche.

Queste convenzioni sono state approvate quando negli altri Stati e nelle sedi internazionali il principio della responsabilità degli enti si era oramai affermato e costituiscono la matrice delle scelte operate dal legislatore italiano con la Legge 300/2000.

In particolare, il legislatore italiano, dovendo stabilire quali dovessero essere gli enti destinatari della nuova disciplina (solo quelli con personalità giuridica o anche altri; solo quelli privati o anche quelli pubblici), ha delegato il Governo ad emanare “un Decreto Legislativo avente ad oggetto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società, associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo costituzionale”, ivi compresi gli enti pubblici, “eccettuati lo Stato e gli altri enti pubblici che esercitano pubblici poteri” (articoli 11, commi 1 e 2, della Legge 300/2000).

Conseguentemente l’articolo 1 del Decreto Legislativo 231/2001, dopo avere significativamente fissato il proprio ambito oggettivo di disciplina nella “responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato” (comma 1), ha stabilito i confini soggettivi di applicazione della normativa in esso prevista, prevedendo che essa riguarda “gli enti forniti di personalità giuridica” e “le società e associazioni anche prive di personalità giuridica” (comma 2) e che restano fuori dalla sua sfera di applicazione lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (comma 3).

I successivi articoli 5-8 del Decreto Legislativo 231/2001 dettano le regole sulla “responsabilità dell’ente” e fissano i criteri di imputazione all’ente dei reati commessi dai soggetti “di vertice” e dai dipendenti.

Dal conciso excursus normativo contenuto nel punto che precede emerge con chiarezza che il Decreto Legislativo 231/2001, superando il principio societas delinquere non potest, ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano un sistema di responsabilità di enti collettivi conseguente da reato, espressamente definita amministrativa.

Quale che sia la natura giuridica di questa responsabilità “da reato”, è certo che in tutta la normativa (convenzioni internazionali; Legge di delegazione; decreto delegato) e, segnatamente, nell’articolo 1, comma 1, del Decreto Legislativo 231/2001 essa è riferita unicamente agli “enti”, termine che evoca l’intero spettro dei soggetti di diritto meta individuali, tanto che, come si è visto, i successivi commi della disposizione da ultimo menzionata ne specificano l’ambito soggettivo di applicazione [Cassazione penale, sez. VI, sentenza 22.04.2004 n° 18941].

D’altra parte sulla riferibilità della nuova disciplina esclusivamente agli enti collettivi è oltremodo chiara la relazione governativa sul Decreto Legislativo 231/2001, nella quale si puntualizza che l’introduzione di forme di responsabilità degli enti collettivi è stata dettata da ragioni di politica criminale, che consistevano, da un lato, in esigenze di omogeneità delle risposte sanzionatorie degli Stati e, dall’altro, nella consapevolezza di “pericolose manifestazioni di reato poste in essere da soggetti a struttura organizzata e complessa”.

In particolare, richiamando testualmente un passo della relazione della commissione Grosso sul progetto preliminare di riforma del codice penale, la relazione al Decreto Legislativo 231 prende in considerazione l’ente collettivo “quale autonomo centro di interessi e di rapporti giuridici, punto di riferimento di precetti di varia natura, e matrice di decisioni ed attività dei soggetti che operano in nome, per conto o comunque nell’interesse dell’ente”.

Infine la responsabilità dell’ente è chiaramente aggiuntiva, e non sostitutiva, di quella di persone fisiche, che resta regolata dal diritto penale comune. Quanto poi alla tematica delle vicende modificative che possono interessare i soggetti di diritto meta - individuali (e cioè le operazioni di riorganizzazione dell’ente o delle sue risorse capaci di incidere in vario modo sulla sua identità, potendone derivare ora una più o meno radicale “trasfigurazione”, ora addirittura la “scomparsa” dell’ente stesso quale autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive, con correlata traslazione dell’universo dei suoi rapporti in capo ad uno o più differenti organismi), le apposite previsioni di cui agli articoli 28 e seguenti del Decreto Legislativo 231 puntano proprio ad evitare che tali vicende (che, generalmente, dipendono da libere iniziative degli interessati) si traducano in strumenti di elusione dei meccanismi sanzionatori di nuovo conio.

L’idea che l’imprenditore individuale non possa essere chiamato a rispondere della responsabilità amministrativa da reato ex Decreto Legislativo 231/2001 è stata superata dalla più recente giurisprudenza [Cassazione penale, sez. III, sentenza 20.04.2011 n° 15657].

Secondo la Cassazione, infatti, muovendo dalla premessa che l’attività riconducibile all’impresa (al pari di quella riconducibile alla ditta individuale propriamente detta) è attività che fa capo ad una persona fisica e non ad una persona giuridica intesa quale società di persone (o di capitali), non può negarsi che l’impresa individuale (sostanzialmente divergente, anche da un punto di vista semantico, dalla cosiddetta "ditta individuale"), ben può assimilarsi ad una persona giuridica nella quale viene a confondersi la persona dell’imprenditore quale soggetto fisico che esercita una determinata attività: il che porta alla conclusione che, da un punto di vista prettamente tecnico, per impresa deve intendersi l’attività svolta dall’imprenditore-persona fisica per la cui definizione deve farsi rinvio agli articoli 2082 e 2083 del Codice Civile.

Ancora, e più significativamente, l’interpretazione in senso formalistico dell’incipit del Decreto Legislativo 231/01 creerebbe il rischio di un vero e proprio vuoto normativo, con inevitabili ricadute sul piano costituzionale connesse ad una disparità di trattamento tra coloro che ricorrono a forme semplici di impresa e coloro che, per svolgere l’attività, ricorrono a strutture ben più complesse ed articolate.

Peraltro è indubbio che la disciplina dettata dal Decreto Legislativo 231/01 sia senz’altro applicabile alle società a responsabilità limitata c.c. "unipersonali", così come è notorio che molte imprese individuali spesso ricorrono ad una organizzazione interna complessa che prescinde dal sistematico intervento del titolare della impresa per la soluzione di determinate problematiche e che può spesso involgere la responsabilità di soggetti diversi dall’imprenditore ma che operano nell’interesse della stessa impresa individuale.

Ed allora una lettura costituzionalmente orientata della norma in esame dovrebbe indurre a conferire al disposto di cui al comma 2 dell’articolo 1 del Decreto Legislativo in parola una portata più ampia, tanto più che, non cogliendosi nel testo alcun cenno riguardante le imprese individuali, la loro mancata indicazione non equivale ad esclusione, ma, semmai, ad una implicita inclusione dell’area dei destinatari della norma. Una loro esclusione potrebbe infatti porsi in conflitto con norme costituzionali, oltre che sotto il riferito aspetto della disparità di trattamento, anche in termini di irragionevolezza del sistema [Cassazione penale, sez. III, sentenza 20.04.2011 n° 15657].

Non è chiaro in giurisprudenza e in dottrina se la responsabilità amministrativa da reato di cui al Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231 debba estendersi anche alle imprese individuali.

Il Decreto Legislativo 231/2001, che ha come rubrica: “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della Legge 300/2000”, costituisce l’esercizio della delega contenuta in quest’ultima Legge, che aveva disposto la ratifica sia della Convenzione Ocse sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri, sia di varie convenzioni dell’Unione europea in tema di protezione degli interessi finanziari delle Comunità Europee e di lotta alla corruzione.

La Convenzione Ocse (17 dicembre 1997) prevede che “ciascuna parte prende le misure necessarie, in conformità dei propri principi giuridici, per stabilire la responsabilità delle persone giuridiche nel caso di corruzione di un pubblico funzionario straniero”, mentre, assai più specificamente, gli articoli 3 e 4 del Secondo Protocollo sulla protezione degli interessi finanziari delle Comunità Europee (27 giugno 1997) si occupano della responsabilità e delle sanzioni delle persone giuridiche.

Queste convenzioni sono state approvate quando negli altri Stati e nelle sedi internazionali il principio della responsabilità degli enti si era oramai affermato e costituiscono la matrice delle scelte operate dal legislatore italiano con la Legge 300/2000.

In particolare, il legislatore italiano, dovendo stabilire quali dovessero essere gli enti destinatari della nuova disciplina (solo quelli con personalità giuridica o anche altri; solo quelli privati o anche quelli pubblici), ha delegato il Governo ad emanare “un Decreto Legislativo avente ad oggetto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società, associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo costituzionale”, ivi compresi gli enti pubblici, “eccettuati lo Stato e gli altri enti pubblici che esercitano pubblici poteri” (articoli 11, commi 1 e 2, della Legge 300/2000).

Conseguentemente l’articolo 1 del Decreto Legislativo 231/2001, dopo avere significativamente fissato il proprio ambito oggettivo di disciplina nella “responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato” (comma 1), ha stabilito i confini soggettivi di applicazione della normativa in esso prevista, prevedendo che essa riguarda “gli enti forniti di personalità giuridica” e “le società e associazioni anche prive di personalità giuridica” (comma 2) e che restano fuori dalla sua sfera di applicazione lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (comma 3).

I successivi articoli 5-8 del Decreto Legislativo 231/2001 dettano le regole sulla “responsabilità dell’ente” e fissano i criteri di imputazione all’ente dei reati commessi dai soggetti “di vertice” e dai dipendenti.

Dal conciso excursus normativo contenuto nel punto che precede emerge con chiarezza che il Decreto Legislativo 231/2001, superando il principio societas delinquere non potest, ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano un sistema di responsabilità di enti collettivi conseguente da reato, espressamente definita amministrativa.

Quale che sia la natura giuridica di questa responsabilità “da reato”, è certo che in tutta la normativa (convenzioni internazionali; Legge di delegazione; decreto delegato) e, segnatamente, nell’articolo 1, comma 1, del Decreto Legislativo 231/2001 essa è riferita unicamente agli “enti”, termine che evoca l’intero spettro dei soggetti di diritto meta individuali, tanto che, come si è visto, i successivi commi della disposizione da ultimo menzionata ne specificano l’ambito soggettivo di applicazione [Cassazione penale, sez. VI, sentenza 22.04.2004 n° 18941].

D’altra parte sulla riferibilità della nuova disciplina esclusivamente agli enti collettivi è oltremodo chiara la relazione governativa sul Decreto Legislativo 231/2001, nella quale si puntualizza che l’introduzione di forme di responsabilità degli enti collettivi è stata dettata da ragioni di politica criminale, che consistevano, da un lato, in esigenze di omogeneità delle risposte sanzionatorie degli Stati e, dall’altro, nella consapevolezza di “pericolose manifestazioni di reato poste in essere da soggetti a struttura organizzata e complessa”.

In particolare, richiamando testualmente un passo della relazione della commissione Grosso sul progetto preliminare di riforma del codice penale, la relazione al Decreto Legislativo 231 prende in considerazione l’ente collettivo “quale autonomo centro di interessi e di rapporti giuridici, punto di riferimento di precetti di varia natura, e matrice di decisioni ed attività dei soggetti che operano in nome, per conto o comunque nell’interesse dell’ente”.

Infine la responsabilità dell’ente è chiaramente aggiuntiva, e non sostitutiva, di quella di persone fisiche, che resta regolata dal diritto penale comune. Quanto poi alla tematica delle vicende modificative che possono interessare i soggetti di diritto meta - individuali (e cioè le operazioni di riorganizzazione dell’ente o delle sue risorse capaci di incidere in vario modo sulla sua identità, potendone derivare ora una più o meno radicale “trasfigurazione”, ora addirittura la “scomparsa” dell’ente stesso quale autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive, con correlata traslazione dell’universo dei suoi rapporti in capo ad uno o più differenti organismi), le apposite previsioni di cui agli articoli 28 e seguenti del Decreto Legislativo 231 puntano proprio ad evitare che tali vicende (che, generalmente, dipendono da libere iniziative degli interessati) si traducano in strumenti di elusione dei meccanismi sanzionatori di nuovo conio.

L’idea che l’imprenditore individuale non possa essere chiamato a rispondere della responsabilità amministrativa da reato ex Decreto Legislativo 231/2001 è stata superata dalla più recente giurisprudenza [Cassazione penale, sez. III, sentenza 20.04.2011 n° 15657].

Secondo la Cassazione, infatti, muovendo dalla premessa che l’attività riconducibile all’impresa (al pari di quella riconducibile alla ditta individuale propriamente detta) è attività che fa capo ad una persona fisica e non ad una persona giuridica intesa quale società di persone (o di capitali), non può negarsi che l’impresa individuale (sostanzialmente divergente, anche da un punto di vista semantico, dalla cosiddetta "ditta individuale"), ben può assimilarsi ad una persona giuridica nella quale viene a confondersi la persona dell’imprenditore quale soggetto fisico che esercita una determinata attività: il che porta alla conclusione che, da un punto di vista prettamente tecnico, per impresa deve intendersi l’attività svolta dall’imprenditore-persona fisica per la cui definizione deve farsi rinvio agli articoli 2082 e 2083 del Codice Civile.

Ancora, e più significativamente, l’interpretazione in senso formalistico dell’incipit del Decreto Legislativo 231/01 creerebbe il rischio di un vero e proprio vuoto normativo, con inevitabili ricadute sul piano costituzionale connesse ad una disparità di trattamento tra coloro che ricorrono a forme semplici di impresa e coloro che, per svolgere l’attività, ricorrono a strutture ben più complesse ed articolate.

Peraltro è indubbio che la disciplina dettata dal Decreto Legislativo 231/01 sia senz’altro applicabile alle società a responsabilità limitata c.c. "unipersonali", così come è notorio che molte imprese individuali spesso ricorrono ad una organizzazione interna complessa che prescinde dal sistematico intervento del titolare della impresa per la soluzione di determinate problematiche e che può spesso involgere la responsabilità di soggetti diversi dall’imprenditore ma che operano nell’interesse della stessa impresa individuale.

Ed allora una lettura costituzionalmente orientata della norma in esame dovrebbe indurre a conferire al disposto di cui al comma 2 dell’articolo 1 del Decreto Legislativo in parola una portata più ampia, tanto più che, non cogliendosi nel testo alcun cenno riguardante le imprese individuali, la loro mancata indicazione non equivale ad esclusione, ma, semmai, ad una implicita inclusione dell’area dei destinatari della norma. Una loro esclusione potrebbe infatti porsi in conflitto con norme costituzionali, oltre che sotto il riferito aspetto della disparità di trattamento, anche in termini di irragionevolezza del sistema [Cassazione penale, sez. III, sentenza 20.04.2011 n° 15657].