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La responsabilità da contatto nell’ambito del più generale problema relativo alla difesa tecnica delle PPAA in giudizio

Brevissimo saggio a margine della conferenza tenuta dal Consigliere di Stato Antonio Catricalà alla Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze
[L’autore dedica il lavoro al Sig. Giudice Rocco Galli, e ai Proff. AAvv. Ernesto Sticchi Damiani, Carla Barbati, Achille de Nitto e Gabriella de Giorgi]

INDICE

Introduzione pag. 3

§ Capitolo primo

La teoria della responsabilità da contatto.

1- Natura giuridica della responsabilità da contatto

2- Il contatto amministrativo

3- Differenze con l’illecito delineato dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 500/1999

§ Capitolo secondo

La responsabilità da contatto amministrativo nella giurisprudenza.

1- I diversi inquadramenti forniti dalla giurisprudenza tra natura

contrattuale, extracontrattuale e precontrattuale

2- I modelli adottati dal Consiglio di Stato

3- La rilevanza del bene della vita

4- Gli orientamenti del Giudice di primo grado in tema di natura della responsabilità e di rilevanza del bene della vita

§ Capitolo terzo

Profili processuali e risarcitori.

1- Giurisdizione

2- La necessità o meno del previo annullamento dell’atto illegittimo e la sua importanza ai fini della richiesta di risarcimento

3- Risarcimento e quantificazione del danno

Conclusioni

Introduzione.

La riforma del sistema della giustizia amministrativa avviata dalla legge 205 del 2000 si è sviluppata lungo due direttrici fondamentali.

Da un lato, l’ampliamento e il rafforzamento dei poteri istruttori e decisori del giudice amministrativo, dall’altro si è accresciuta e ampliata l’area di tutela delle posizioni giuridiche soggettive, sia con la affermazione del principio del giusto processo, contemplato dalla Costituzione italiana (art. 111) ed europea (art. 47 – 49 Carta dei diritti fondamentali), da cui derivano numerosi precetti concernenti il ruolo del giudice, i diritti delle parti, gli elementi delle pronunce giudiziali, sia con riguardo al riconoscimento delle varie tipologie della responsabilità della pubblica amministrazione[1].

La presente relazione intende affrontare una delle tematiche più spinose e dibattute del diritto amministrativo, quale è la responsabilità da contatto amministrativo qualificato o procedimentale, cercando di passare in rassegna tutte le principali posizioni sull’argomento, con particolare riferimento alle pronunce giurisprudenziali più recenti, al fine di operare una reductio ad unitatem.

La tematica relativa alla natura della responsabilità della pubblica amministrazione per attività provvedimentale, infatti, sta diventano sempre più complessa.

Molti autori, in dottrina, hanno sottolineato la necessità di valorizzare il significato del contatto che si instaura tra pubblica amministrazione e cittadino in occasione del procedimento amministrativo e la giurisprudenza non è stata indifferente a tali sollecitazioni, offrendo soluzioni svariatissime ed applicando a questo istituto “ ibrido ” a volte la disciplina della responsabilità aquiliana, altre volte lo schema della responsabilità contrattuale, altre volte ancora quello della responsabilità precontrattuale.

Con questa prospettiva, dopo la ricostruzione teorica del modello di responsabilità, passerò ad analizzare le maggiori pronunce giurisprudenziali che fino a oggi si sono richiamate al “ contatto amministrativo qualificato ”, per passare poi agli aspetti processuali e risarcitori.

La teoria della responsabilità da contatto.

1-Natura giuridica della responsabilità da contatto.

La tesi della responsabilità da contatto qualificato[2], trova il suo modello nella teoria civilistica della responsabilità per inadempimento senza obblighi di prestazione, elaborata con riferimento a fattispecie di danno di difficile inquadramento sistematico in quanto si pongono ai confini tra contratto e torto[3].

E’, infatti, agevole riscontrare nella realtà di tutti i giorni situazioni nelle quali il soggetto danneggiante, pur non essendo vincolato al danneggiato da un rapporto obbligatorio in senso stretto,è tuttavia legato allo stesso, in via di fatto, da una relazione (cd. contratto sociale qualificato) che espone quest’ultimo ad un rischio specifico e più intenso rispetto alla generalità dei consociati.

In situazioni del genere si ritiene che la responsabilità possa prescindere dalla sussistenza di un precedente vincolo pattizio, rivelandosi a tal fine sufficiente un “ contatto sociale ”, qualificato dall’ordinamento giuridico, da cui discendano doveri specifici di protezione di determinati beni giuridici.

L’espressione “ contatto sociale ” indica, dunque, un rapporto socialmente tipico, che ingenera nei soggetti coinvolti un obiettivo affidamento, in ragione del fatto che si tratta di un rapporto “ qualificato ” dall’ordinamento giuridico, il quale vi ricollega una serie di doveri specifici di comportamento attivo.

La figura responsabilità da “ contatto ” ha trovato particolare riconoscimento nella giurisprudenza civile con riguardo alla questione della responsabilità del medico dipendente dal servizio sanitario nei confronti del paziente.

La difficoltà di individuare, in tale fattispecie, la natura giuridica della responsabilità nasce dalla mancanza di un precedente contratto sul quale fondare tale responsabilità e sulla opportunità di considerare il medico della struttura sanitaria autore di un qualsiasi fatto illecito[4].

Tale difficoltà ha indotto la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 589/1999, a delineare, quale fonte di responsabilità, il contatto sociale, il cui connotato caratterizzante risiede nell’incolpevole affidamento che il malato pone nella professionalità del medico.

Questo nuovo modello di responsabilità, nascente da un’obbligazione senza prestazione ai confini tra danno e torto, ha coinvolto anche il rapporto giuridico insegnante-alunno.

Le SS. UU. della Cassazione, con la sentenza n. 9346/2002, hanno ritenuto che, nel caso di danno arrecato dall’alunno a sé stesso, sussiste per il precettore una responsabilità da contatto che si instaura nell’ambito di un rapporto giuridico dove l’insegnante assume, nel complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e di vigilanza.

La responsabilità da contatto è stata inoltre ipotizzata anche in altre fattispecie quali la c. d. “responsabilità da prospetto”, la “responsabilità da revisione”, nelle ipotesi di intermediazione mobiliare nonché con riferimento alle informazioni professionali non veritiere.

Posto che nel nostro ordinamento la responsabilità è, in linea generale, la sanzione per l’inosservanza di un dovere giuridico, il proprium della responsabilità contrattuale viene ravvisato nella violazione degli obblighi specifici che derivano dalla stipulazione di un contratto, il quale diventava condicio sine qua non ai fini della configurabilità della suddetta responsabilità. La responsabilità, aquiliana presuppone, invece, l’inesistenza del contratto e l’osservanza del dovere generico del neminem laedere, del dovere, cioè, di non interferire nella sfera giuridica di un soggetto al quale non si sia legati da un precedente vincolo contrattuale, sanzionando la violazione di questo dovere.

Il dicrimen tra responsabilità da inadempimento e responsabilità aquiliana si identifica pertanto nel dovere giuridico violato: incorre in responsabilità aquiliana il soggetto che viola il dovere generico di non ledere l’altrui sfera giuridica ( neminem laedere ), dovere che ciascuno è tenuto a rispettare nei confronti della generalità dei consociati; la responsabilità contrattuale deriva invece dalla violazione di un obbligo specifico, qualunque ne sia a sua volta la fonte.

L’art. 1173 C.C., che indica le possibili fonti di tale rapporto giuridico preesistente, non menziona tra le fonti dell’obbligazione una nozione così generica come quella del “ contatto sociale “.

Dottrina e giurisprudenza, ormai unanimi, osservano che tale disposizione, comunque, nello stabilire che “ le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico “, delinea un sistema caratterizzato da una atipicità delle fonti di obbligazione tra le quali può essere collocato anche il “ contatto sociale “.

Si riconosce, infatti, che le obbligazioni possano sorgere da rapporti contrattuali di fatto, nei casi in cui taluni soggetti entrino in contatto, senza che tale contatto produca ipotesi negoziali e, pur tuttavia, ad esso si ricolleghino obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso[5].

Una tale ipotesi riproduce lo schema proprio della responsabilità contrattuale in quanto, il soggetto non ha fatto ciò a cui era tenuto in forza di un precedente vinculum iuris.

2- Il contatto amministrativo.

Alcuni autori[6] hanno recentemente proposto l’estensione della responsabilità per violazione degli obblighi senza prestazione alla responsabilità dell’amministrazione per attività provvedimentale.

Il punto di partenza dell’analisi dottrinaria è che l’amministrazione non risponde nei confronti del privato secondo la responsabilità del passante o del chiunque (ex art. 2043 C. C.) e che, prima del danno, vi sia comunque un “ rapporto ” tra amministrazione e privato (seppure non fondato su contratto).

Tale premessa pare scontata se si considera che l’atto lesivo è adottato dalla amministrazione all’esito di un procedimento amministrativo che, dopo l’introduzione della legge n. 241 del 1990, annovera numerose occasioni di “ contatto ” tra il privato e l’amministrazione: si pensi alla comunicazione dell’avvio del procedimento (art. 7) e agli istituti di partecipazione (art. 9 e seg ).

Rimane ancora incerta l’estensione a tali relazioni tra amministrazione e privato, che precedono l’evento lesivo, della categoria del rapporto giuridico.

Infatti, mentre nell’ambito dei rapporti privatistici vi è un rapporto inter pares, non è lo stesso nei rapporti con la P. A., la quale esercita, di norma, un potere autoritativo di natura pubblicistica; pertanto, la disciplina giuridica dovrà tener conto dell’interesse pubblico sotteso all’agere amministrativo e della diversa natura dei soggetti coinvolti nel rapporto giuridico “ da contatto sociale qualificato ” che impedisce la diretta applicabilità dei principi privatistici.

Tali difficoltà interpretative e di adattamento possono, tuttavia, essere superate attraverso l’esaltazione del rapporto giuridico che si viene ad instaurare tra privato e amministrazione, partendo proprio dalla legge n. 241/90, la cui ratio è ispirata all’avvicinamento del privato alla P.A.

Infatti, se questo rapporto giuridico viene inteso non come contrapposizione di due posizioni giuridiche semplici, ma come sintesi delle possibilità e doverosità che intercorrono tra amministrazione e cittadino, è possibile affermare che vi è un interesse legittimo delle parti a questo rapporto amministrativo, e che l’interesse legittimo “è” questo rapporto amministrativo[7].

Di conseguenza, la responsabilità della amministrazione viene inquadrata non come responsabilità per lesione di una situazione soggettiva, intesa come un bene della vita, ma come responsabilità per inadempimento o violazione di obblighi, la cui fonte è proprio la legge n. 341/1990, posta a garanzia dell’affidamento sulla legittimità dell’azione amministrativa.

Ergo, l’obbligazione risarcitoria non viene ricollegata all’utilità finale cui aspira il privato, ma ne prescinde, in quanto il danno è ricondotto all’inadempimento del rapporto che si genera in relazione all’obbligo imposto dalla norma e non alla perdita dell’utilità sostanziale cui il privato aspira.

In questa prospettiva, la relazione che si instaura tra il privato e l’amministrazione nel corso del procedimento può considerarsi idonea a fondare un rapporto generatore di obblighi, il cui inadempimento da parte della amministrazione configura un autonomo titolo dell’obbligazione risarcitoria.

In buona sostanza, la responsabilità dell’amministrazione che, ad esempio, con riferimento all’obbligo di provvedere sancito dall’art. 2 della legge n. 241/1990, non provveda o provveda in ritardo, su istanza del privato, sorge per inadempimento dell’obbligo di natura formale di provvedere entro un termine, ad esso rimanendo estraneo il dovere di natura sostanziale di emanare il provvedimento richiesto.

In tale contesto il danno risarcibile deriverebbe dal perdurare della situazione di incertezza circa il rilascio o meno del provvedimento richiesto e non anche dal mancato o ritardato godimento del bene della vita o dell’utilità finale.

La dottrina più recente[8], quindi, giustifica l’operatività del modello obbligatorio anche nell’ambito dei rapporti amministrativi, facendo rinvio all’art. 1173 C. C. ( che s

[L’autore dedica il lavoro al Sig. Giudice Rocco Galli, e ai Proff. AAvv. Ernesto Sticchi Damiani, Carla Barbati, Achille de Nitto e Gabriella de Giorgi]

INDICE

Introduzione pag. 3

§ Capitolo primo

La teoria della responsabilità da contatto.

1- Natura giuridica della responsabilità da contatto

2- Il contatto amministrativo

3- Differenze con l’illecito delineato dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 500/1999

§ Capitolo secondo

La responsabilità da contatto amministrativo nella giurisprudenza.

1- I diversi inquadramenti forniti dalla giurisprudenza tra natura

contrattuale, extracontrattuale e precontrattuale

2- I modelli adottati dal Consiglio di Stato

3- La rilevanza del bene della vita

4- Gli orientamenti del Giudice di primo grado in tema di natura della responsabilità e di rilevanza del bene della vita

§ Capitolo terzo

Profili processuali e risarcitori.

1- Giurisdizione

2- La necessità o meno del previo annullamento dell’atto illegittimo e la sua importanza ai fini della richiesta di risarcimento

3- Risarcimento e quantificazione del danno

Conclusioni

Introduzione.

La riforma del sistema della giustizia amministrativa avviata dalla legge 205 del 2000 si è sviluppata lungo due direttrici fondamentali.

Da un lato, l’ampliamento e il rafforzamento dei poteri istruttori e decisori del giudice amministrativo, dall’altro si è accresciuta e ampliata l’area di tutela delle posizioni giuridiche soggettive, sia con la affermazione del principio del giusto processo, contemplato dalla Costituzione italiana (art. 111) ed europea (art. 47 – 49 Carta dei diritti fondamentali), da cui derivano numerosi precetti concernenti il ruolo del giudice, i diritti delle parti, gli elementi delle pronunce giudiziali, sia con riguardo al riconoscimento delle varie tipologie della responsabilità della pubblica amministrazione[1].

La presente relazione intende affrontare una delle tematiche più spinose e dibattute del diritto amministrativo, quale è la responsabilità da contatto amministrativo qualificato o procedimentale, cercando di passare in rassegna tutte le principali posizioni sull’argomento, con particolare riferimento alle pronunce giurisprudenziali più recenti, al fine di operare una reductio ad unitatem.

La tematica relativa alla natura della responsabilità della pubblica amministrazione per attività provvedimentale, infatti, sta diventano sempre più complessa.

Molti autori, in dottrina, hanno sottolineato la necessità di valorizzare il significato del contatto che si instaura tra pubblica amministrazione e cittadino in occasione del procedimento amministrativo e la giurisprudenza non è stata indifferente a tali sollecitazioni, offrendo soluzioni svariatissime ed applicando a questo istituto “ ibrido ” a volte la disciplina della responsabilità aquiliana, altre volte lo schema della responsabilità contrattuale, altre volte ancora quello della responsabilità precontrattuale.

Con questa prospettiva, dopo la ricostruzione teorica del modello di responsabilità, passerò ad analizzare le maggiori pronunce giurisprudenziali che fino a oggi si sono richiamate al “ contatto amministrativo qualificato ”, per passare poi agli aspetti processuali e risarcitori.

La teoria della responsabilità da contatto.

1-Natura giuridica della responsabilità da contatto.

La tesi della responsabilità da contatto qualificato[2], trova il suo modello nella teoria civilistica della responsabilità per inadempimento senza obblighi di prestazione, elaborata con riferimento a fattispecie di danno di difficile inquadramento sistematico in quanto si pongono ai confini tra contratto e torto[3].

E’, infatti, agevole riscontrare nella realtà di tutti i giorni situazioni nelle quali il soggetto danneggiante, pur non essendo vincolato al danneggiato da un rapporto obbligatorio in senso stretto,è tuttavia legato allo stesso, in via di fatto, da una relazione (cd. contratto sociale qualificato) che espone quest’ultimo ad un rischio specifico e più intenso rispetto alla generalità dei consociati.

In situazioni del genere si ritiene che la responsabilità possa prescindere dalla sussistenza di un precedente vincolo pattizio, rivelandosi a tal fine sufficiente un “ contatto sociale ”, qualificato dall’ordinamento giuridico, da cui discendano doveri specifici di protezione di determinati beni giuridici.

L’espressione “ contatto sociale ” indica, dunque, un rapporto socialmente tipico, che ingenera nei soggetti coinvolti un obiettivo affidamento, in ragione del fatto che si tratta di un rapporto “ qualificato ” dall’ordinamento giuridico, il quale vi ricollega una serie di doveri specifici di comportamento attivo.

La figura responsabilità da “ contatto ” ha trovato particolare riconoscimento nella giurisprudenza civile con riguardo alla questione della responsabilità del medico dipendente dal servizio sanitario nei confronti del paziente.

La difficoltà di individuare, in tale fattispecie, la natura giuridica della responsabilità nasce dalla mancanza di un precedente contratto sul quale fondare tale responsabilità e sulla opportunità di considerare il medico della struttura sanitaria autore di un qualsiasi fatto illecito[4].

Tale difficoltà ha indotto la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 589/1999, a delineare, quale fonte di responsabilità, il contatto sociale, il cui connotato caratterizzante risiede nell’incolpevole affidamento che il malato pone nella professionalità del medico.

Questo nuovo modello di responsabilità, nascente da un’obbligazione senza prestazione ai confini tra danno e torto, ha coinvolto anche il rapporto giuridico insegnante-alunno.

Le SS. UU. della Cassazione, con la sentenza n. 9346/2002, hanno ritenuto che, nel caso di danno arrecato dall’alunno a sé stesso, sussiste per il precettore una responsabilità da contatto che si instaura nell’ambito di un rapporto giuridico dove l’insegnante assume, nel complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e di vigilanza.

La responsabilità da contatto è stata inoltre ipotizzata anche in altre fattispecie quali la c. d. “responsabilità da prospetto”, la “responsabilità da revisione”, nelle ipotesi di intermediazione mobiliare nonché con riferimento alle informazioni professionali non veritiere.

Posto che nel nostro ordinamento la responsabilità è, in linea generale, la sanzione per l’inosservanza di un dovere giuridico, il proprium della responsabilità contrattuale viene ravvisato nella violazione degli obblighi specifici che derivano dalla stipulazione di un contratto, il quale diventava condicio sine qua non ai fini della configurabilità della suddetta responsabilità. La responsabilità, aquiliana presuppone, invece, l’inesistenza del contratto e l’osservanza del dovere generico del neminem laedere, del dovere, cioè, di non interferire nella sfera giuridica di un soggetto al quale non si sia legati da un precedente vincolo contrattuale, sanzionando la violazione di questo dovere.

Il dicrimen tra responsabilità da inadempimento e responsabilità aquiliana si identifica pertanto nel dovere giuridico violato: incorre in responsabilità aquiliana il soggetto che viola il dovere generico di non ledere l’altrui sfera giuridica ( neminem laedere ), dovere che ciascuno è tenuto a rispettare nei confronti della generalità dei consociati; la responsabilità contrattuale deriva invece dalla violazione di un obbligo specifico, qualunque ne sia a sua volta la fonte.

L’art. 1173 C.C., che indica le possibili fonti di tale rapporto giuridico preesistente, non menziona tra le fonti dell’obbligazione una nozione così generica come quella del “ contatto sociale “.

Dottrina e giurisprudenza, ormai unanimi, osservano che tale disposizione, comunque, nello stabilire che “ le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico “, delinea un sistema caratterizzato da una atipicità delle fonti di obbligazione tra le quali può essere collocato anche il “ contatto sociale “.

Si riconosce, infatti, che le obbligazioni possano sorgere da rapporti contrattuali di fatto, nei casi in cui taluni soggetti entrino in contatto, senza che tale contatto produca ipotesi negoziali e, pur tuttavia, ad esso si ricolleghino obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso[5].

Una tale ipotesi riproduce lo schema proprio della responsabilità contrattuale in quanto, il soggetto non ha fatto ciò a cui era tenuto in forza di un precedente vinculum iuris.

2- Il contatto amministrativo.

Alcuni autori[6] hanno recentemente proposto l’estensione della responsabilità per violazione degli obblighi senza prestazione alla responsabilità dell’amministrazione per attività provvedimentale.

Il punto di partenza dell’analisi dottrinaria è che l’amministrazione non risponde nei confronti del privato secondo la responsabilità del passante o del chiunque (ex art. 2043 C. C.) e che, prima del danno, vi sia comunque un “ rapporto ” tra amministrazione e privato (seppure non fondato su contratto).

Tale premessa pare scontata se si considera che l’atto lesivo è adottato dalla amministrazione all’esito di un procedimento amministrativo che, dopo l’introduzione della legge n. 241 del 1990, annovera numerose occasioni di “ contatto ” tra il privato e l’amministrazione: si pensi alla comunicazione dell’avvio del procedimento (art. 7) e agli istituti di partecipazione (art. 9 e seg ).

Rimane ancora incerta l’estensione a tali relazioni tra amministrazione e privato, che precedono l’evento lesivo, della categoria del rapporto giuridico.

Infatti, mentre nell’ambito dei rapporti privatistici vi è un rapporto inter pares, non è lo stesso nei rapporti con la P. A., la quale esercita, di norma, un potere autoritativo di natura pubblicistica; pertanto, la disciplina giuridica dovrà tener conto dell’interesse pubblico sotteso all’agere amministrativo e della diversa natura dei soggetti coinvolti nel rapporto giuridico “ da contatto sociale qualificato ” che impedisce la diretta applicabilità dei principi privatistici.

Tali difficoltà interpretative e di adattamento possono, tuttavia, essere superate attraverso l’esaltazione del rapporto giuridico che si viene ad instaurare tra privato e amministrazione, partendo proprio dalla legge n. 241/90, la cui ratio è ispirata all’avvicinamento del privato alla P.A.

Infatti, se questo rapporto giuridico viene inteso non come contrapposizione di due posizioni giuridiche semplici, ma come sintesi delle possibilità e doverosità che intercorrono tra amministrazione e cittadino, è possibile affermare che vi è un interesse legittimo delle parti a questo rapporto amministrativo, e che l’interesse legittimo “è” questo rapporto amministrativo[7].

Di conseguenza, la responsabilità della amministrazione viene inquadrata non come responsabilità per lesione di una situazione soggettiva, intesa come un bene della vita, ma come responsabilità per inadempimento o violazione di obblighi, la cui fonte è proprio la legge n. 341/1990, posta a garanzia dell’affidamento sulla legittimità dell’azione amministrativa.

Ergo, l’obbligazione risarcitoria non viene ricollegata all’utilità finale cui aspira il privato, ma ne prescinde, in quanto il danno è ricondotto all’inadempimento del rapporto che si genera in relazione all’obbligo imposto dalla norma e non alla perdita dell’utilità sostanziale cui il privato aspira.

In questa prospettiva, la relazione che si instaura tra il privato e l’amministrazione nel corso del procedimento può considerarsi idonea a fondare un rapporto generatore di obblighi, il cui inadempimento da parte della amministrazione configura un autonomo titolo dell’obbligazione risarcitoria.

In buona sostanza, la responsabilità dell’amministrazione che, ad esempio, con riferimento all’obbligo di provvedere sancito dall’art. 2 della legge n. 241/1990, non provveda o provveda in ritardo, su istanza del privato, sorge per inadempimento dell’obbligo di natura formale di provvedere entro un termine, ad esso rimanendo estraneo il dovere di natura sostanziale di emanare il provvedimento richiesto.

In tale contesto il danno risarcibile deriverebbe dal perdurare della situazione di incertezza circa il rilascio o meno del provvedimento richiesto e non anche dal mancato o ritardato godimento del bene della vita o dell’utilità finale.

La dottrina più recente[8], quindi, giustifica l’operatività del modello obbligatorio anche nell’ambito dei rapporti amministrativi, facendo rinvio all’art. 1173 C. C. ( che s