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La sete di Kali

Nepal
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Tutti qui in Nepal conoscono la leggenda della Dea e della sua sete di sangue.                      

A me l’ha raccontata il mio amico Mahesh il giorno che ci siamo recati a Dakshinkali.

Si dice che un tempo remoto Kali sia stata impegnata con il demone Raktabija in un combattimento durante il quale, grazie alla sua destrezza nel maneggiare la spada, sia riuscita a tagliargli la testa.

Il demone, tuttavia, aveva subito generato una nuova testa e la lotta era ricominciata.

Lei lo aveva di nuovo decapitato, ma a lui ancora una volta era spuntato un capo.

La scena si era ripetuta più volte fino a che la Dea aveva capito che il prodigio avveniva quando il sangue del suo avversario toccava il terreno. All’ennesima decapitazione, pertanto, aveva intercettato con la lingua il getto di sangue ed il demone era finalmente morto. Lei era uscita vincitrice, ma aveva sviluppato una dipendenza dal sangue.

Per tale motivo i fedeli conducono al tempio degli animali, perché siano sacrificati e il loro sangue in offerta possa placare la sua sete.

Galli, capretti e a volte perfino bufali, esclusivamente maschi.

Il luogo ha il piancito lordo di sangue, ma la gente ci cammina sopra incurante.

Gli animali, prima del sacrificio, vengono spruzzati dietro il collo con un po’ di acqua: se scrollano il corpo significa che la Dea li accetta e vengono pertanto sgozzati; se restano fermi sono risparmiati, diventano sacri e passano il resto della loro vita in un tempio con un fiocco rosso al collo, rispettati da tutti.

La Dea non accetta tutte le offerte, alle volte mostra pietà e grazia la vittima.

Decido di renderle visita. La sua manifestazione terrena sta chiusa nel suo palazzo nel cuore di Kathmandu. Ad un’ora stabilita si affaccia brevemente da una finestra sulla folla accorsa, ma si dice che chi la guardasse a lungo negli occhi morirebbe.

Le procedure per la sua selezione sono elaborate. Deve essere un membro della famiglia Sakya, la stessa del Buddha, e non aver mai avuto perdite di sangue di nessun tipo. Una semplice sbucciatura ad un ginocchio la contaminerebbe e renderebbe impura e quindi sarebbe sostituita perché decaduta. Deve superare prove di coraggio quali passare un giorno al buio nel palazzo insieme ad oggetti terrificanti senza piangere. Lascerà la carica al raggiungimento della pubertà, ma nessuno la chiederà mai in sposa, perché si dice che non sopravviverebbe al contatto con lei.

La vergine Kumari è una vestale, una intermediaria fra gli uomini e la divinità che incarna (Taleju Bhawani, altro nome della Dea), non un semplice essere umano.

Quando si affaccia il suo sguardo mi appare triste.