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La trasformazione delle associazioni sportive dilettantistiche in società di capitali tra normativa previgente e nuova disciplina

Il tema in argomento, prima di essere specificamente e sinteticamente trattato in questa sede, impone di procedere ad un sommario inquadramento dell’istituto della c.d. trasformazione degli enti, il quale trova puntuale disciplina in seno agli artt. 2498 ss. del codice civile.

In particolare, l’art. 2498 c.c. dispone che “con la trasformazione, l’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi, e prosegue in tutti i rapporti, anche processuali, dell’ente che ha effettuato la trasformazione”.

Ne discende che il tratto distintivo della fattispecie giuridica de qua è individuabile nella continuità delle posizioni giuridiche, attive e passive, a seguito del mutamento della struttura organizzativa di un determinato ente collettivo.

La disciplina civilistica prevede, in particolare, la c.d. trasformazione eterogenea che, in definitiva, costituisce, ai nostri fini argomentativi, l’istituto giuridico di riferimento.

E’ eterogenea la trasformazione (c.d. regresssiva) di una società di capitali in consorzio, società consortile, società cooperativa, comunione di azienda, associazione non riconosciuta o fondazione (art. 2500 septies c.c.) oppure la trasformazione (c.d. progressiva) di un consorzio, di una società consortile, di una comunione di azienda, di un’associazione riconosciuta o di una fondazione in società di capitali (art. 2500 octies c.c.).

Delle due tipologie, però, interessa prendere in considerazione, ai nostri fini, la seconda, ovvero quella regolamentata dall’art. 2500 octies; e ciò, in considerazione dell’eventualità che una associazione sportiva dilettantistica (A.S.D.), operante, ad esempio, nell’ambito della Federazione Italiana Giuoco Calcio o della Federazione Italiana Pallacanestro (due tra i più rappresentativi enti federali che hanno istituito il settore professionistico), consegua il diritto di partecipare ad un campionato professionistico (per rendere l’idea, è il caso di una società calcistica militante nel campionato di Serie D che consegua la promozione in quello che attualmente viene denominato di 2^ Divisione, e non più di Serie C2).

In tale evenienza, tuttavia, si pone la questione relativa alla veste giuridica che il predetto sodalizio debba assumere.

E’ noto che, nel territorio nazionale, l’attività sportiva può essere esercitata facendo ricorso a libere forme di organizzazione, sempre in conformità, tuttavia, alle prescrizioni del codice civile.

Esistono, dunque, sodalizi sportivi costituiti in forma i società di capitali, di società cooperative, di associazioni riconosciute (che hanno ottenuto il riconoscimento dallo Stato ex D.P.R. n. 361/00 e sono, di conseguenza, in possesso di personalità giuridica) e non riconosciute (la maggior parte dei sodalizi dilettantistici).

Tuttavia, in ambito sportivo professionistico, ai sensi e per gli effetti dell’art. 10, L. n. 91/81 -c.d. legge sul professionismo sportivo, così come modificata dal D.L. n. 485/96, convertito in legge dalla L. n. 586/96, possono stipulare contratti con atleti professionisti solo società sportive costituite nella forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata.

Di qui, appunto la necessità dell’assunzione di una diversa veste giuridica da parte del sodalizio che in un determinato momento della propria storia sportiva si trovi a operare nel settore professionistico.

Vero è d’altro canto, che le società e le associazioni sportive dilettantistiche possono trasformarsi in società di capitali pur continuando a svolgere attività in ambito non professionistico (cfr. art. 90, c. 18, L. n. 289/02); in tal caso, però, la trasformazione deve essere considerata non “eterogenea” ma “causalmente omogenea”, nel senso che il mero mutamento dell’assetto organizzativo di un sodalizio che, per definizione, risulta essere senza scopo di lucro, non determina una modificazione causale se, all’esito della trasformazione, lo scopo di lucro non sia venuto meno.

Dunque, la L. n. 91/81 e la L. n. 289/02, costituiscono, in un certo qual senso, le normative previgenti in tema di trasformazioni afferenti al conteso giuridico-sportivo.

Se così è, tuttavia, si deve ritenere che la nuova normativa codicistica (art. 2500 octies) abbia implicitamente abrogato quella di precedente formulazione o che l’abbia soltanto integrata?

A ben osservare, è possibile assumere, con buon grado di ragionevolezza, che le richiamate leggi speciali (L. n. 91/81 e L. n,. 289/02), avendo già disciplinato, in sostanza, una forma di trasformazione tipizzata in un contesto in seno al quale tale facoltà non era consentita in termini generali, per ciò stesso, ad oggi, proprio in ragione della vigenza dell’art. 2500 octies, non possono che risultare ancora pienamente operative.

Ne discende, pertanto, che la disciplina di carattere generale cede il passo a quella speciale in ogni occasione in cui la c.d. trasformazione in ambito sportivo sarà imposta, per così dire, dalla seconda.

Tuttavia, l’art. 2500 octies comma 1, c.c., esclude che la c.d. trasformazione eterogenea progressiva possa essere operata da un associazione non riconosciuta (trasformazione da associazione non riconosciuta a società di capitali), a differenza di quanto si verifica per le associazioni riconosciute.

Nel contempo, l’art. 2500 septies comma 1, c.c. favorisce l’ipotesi di trasformazione da società di capitali in associazione non riconosciuta.

La limitazione di cui in precedenza è stata individuata nell’intento del Legislatore di impedire che potessero trasformarsi in società di capitali enti non in grado di garantire una situazione patrimoniale consistente, senza considerare, però che, l’essenza del regime di trasformazione si rinviene nella continuità dell’esercizio dell’impresa, rispetto alla quale la forma giuridica della struttura organizzativa si rivela solo strumentale.

La disciplina della trasformazione eterogenea, di conseguenza, si ritiene applicabile, in via analogica, anche alle associazioni non riconosciute.

Il tema in argomento, prima di essere specificamente e sinteticamente trattato in questa sede, impone di procedere ad un sommario inquadramento dell’istituto della c.d. trasformazione degli enti, il quale trova puntuale disciplina in seno agli artt. 2498 ss. del codice civile.

In particolare, l’art. 2498 c.c. dispone che “con la trasformazione, l’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi, e prosegue in tutti i rapporti, anche processuali, dell’ente che ha effettuato la trasformazione”.

Ne discende che il tratto distintivo della fattispecie giuridica de qua è individuabile nella continuità delle posizioni giuridiche, attive e passive, a seguito del mutamento della struttura organizzativa di un determinato ente collettivo.

La disciplina civilistica prevede, in particolare, la c.d. trasformazione eterogenea che, in definitiva, costituisce, ai nostri fini argomentativi, l’istituto giuridico di riferimento.

E’ eterogenea la trasformazione (c.d. regresssiva) di una società di capitali in consorzio, società consortile, società cooperativa, comunione di azienda, associazione non riconosciuta o fondazione (art. 2500 septies c.c.) oppure la trasformazione (c.d. progressiva) di un consorzio, di una società consortile, di una comunione di azienda, di un’associazione riconosciuta o di una fondazione in società di capitali (art. 2500 octies c.c.).

Delle due tipologie, però, interessa prendere in considerazione, ai nostri fini, la seconda, ovvero quella regolamentata dall’art. 2500 octies; e ciò, in considerazione dell’eventualità che una associazione sportiva dilettantistica (A.S.D.), operante, ad esempio, nell’ambito della Federazione Italiana Giuoco Calcio o della Federazione Italiana Pallacanestro (due tra i più rappresentativi enti federali che hanno istituito il settore professionistico), consegua il diritto di partecipare ad un campionato professionistico (per rendere l’idea, è il caso di una società calcistica militante nel campionato di Serie D che consegua la promozione in quello che attualmente viene denominato di 2^ Divisione, e non più di Serie C2).

In tale evenienza, tuttavia, si pone la questione relativa alla veste giuridica che il predetto sodalizio debba assumere.

E’ noto che, nel territorio nazionale, l’attività sportiva può essere esercitata facendo ricorso a libere forme di organizzazione, sempre in conformità, tuttavia, alle prescrizioni del codice civile.

Esistono, dunque, sodalizi sportivi costituiti in forma i società di capitali, di società cooperative, di associazioni riconosciute (che hanno ottenuto il riconoscimento dallo Stato ex D.P.R. n. 361/00 e sono, di conseguenza, in possesso di personalità giuridica) e non riconosciute (la maggior parte dei sodalizi dilettantistici).

Tuttavia, in ambito sportivo professionistico, ai sensi e per gli effetti dell’art. 10, L. n. 91/81 -c.d. legge sul professionismo sportivo, così come modificata dal D.L. n. 485/96, convertito in legge dalla L. n. 586/96, possono stipulare contratti con atleti professionisti solo società sportive costituite nella forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata.

Di qui, appunto la necessità dell’assunzione di una diversa veste giuridica da parte del sodalizio che in un determinato momento della propria storia sportiva si trovi a operare nel settore professionistico.

Vero è d’altro canto, che le società e le associazioni sportive dilettantistiche possono trasformarsi in società di capitali pur continuando a svolgere attività in ambito non professionistico (cfr. art. 90, c. 18, L. n. 289/02); in tal caso, però, la trasformazione deve essere considerata non “eterogenea” ma “causalmente omogenea”, nel senso che il mero mutamento dell’assetto organizzativo di un sodalizio che, per definizione, risulta essere senza scopo di lucro, non determina una modificazione causale se, all’esito della trasformazione, lo scopo di lucro non sia venuto meno.

Dunque, la L. n. 91/81 e la L. n. 289/02, costituiscono, in un certo qual senso, le normative previgenti in tema di trasformazioni afferenti al conteso giuridico-sportivo.

Se così è, tuttavia, si deve ritenere che la nuova normativa codicistica (art. 2500 octies) abbia implicitamente abrogato quella di precedente formulazione o che l’abbia soltanto integrata?

A ben osservare, è possibile assumere, con buon grado di ragionevolezza, che le richiamate leggi speciali (L. n. 91/81 e L. n,. 289/02), avendo già disciplinato, in sostanza, una forma di trasformazione tipizzata in un contesto in seno al quale tale facoltà non era consentita in termini generali, per ciò stesso, ad oggi, proprio in ragione della vigenza dell’art. 2500 octies, non possono che risultare ancora pienamente operative.

Ne discende, pertanto, che la disciplina di carattere generale cede il passo a quella speciale in ogni occasione in cui la c.d. trasformazione in ambito sportivo sarà imposta, per così dire, dalla seconda.

Tuttavia, l’art. 2500 octies comma 1, c.c., esclude che la c.d. trasformazione eterogenea progressiva possa essere operata da un associazione non riconosciuta (trasformazione da associazione non riconosciuta a società di capitali), a differenza di quanto si verifica per le associazioni riconosciute.

Nel contempo, l’art. 2500 septies comma 1, c.c. favorisce l’ipotesi di trasformazione da società di capitali in associazione non riconosciuta.

La limitazione di cui in precedenza è stata individuata nell’intento del Legislatore di impedire che potessero trasformarsi in società di capitali enti non in grado di garantire una situazione patrimoniale consistente, senza considerare, però che, l’essenza del regime di trasformazione si rinviene nella continuità dell’esercizio dell’impresa, rispetto alla quale la forma giuridica della struttura organizzativa si rivela solo strumentale.

La disciplina della trasformazione eterogenea, di conseguenza, si ritiene applicabile, in via analogica, anche alle associazioni non riconosciute.