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La voce in Tribunale: al di là di ogni ragionevole dubbio

Naufragio
Ph. Luca Martini / Naufragio

[L'articolo anticipa l'intervista organizzata da Filodiritto Live il 26 ottobre 2021, alle ore 12.30, in diretta sui nostri canali social Facebook e YouTube]

 

Abstract

In contrasto con la letteratura scientifica di riferimento, la recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 33115, Sez. II, del 2 luglio 2021) assume che una semplice ricognizione vocale operata dall’interprete e dagli operatori di polizia giudiziaria può portare all’identificazione certa dell’imputato. Ne discutiamo in modo divulgativo in questo intervento, soffermandoci anche sulla nozione giuridica di iudex peritus peritorum.

 

1. L’orecchio assoluto in Tribunale

Esiste un orecchio assoluto grazie al quale possiamo identificare una serie di note (anche senza aver studiato al Conservatorio) e, lo apprendiamo ora, un orecchio assoluto che ci permette di identificare la voce di un imputato fra le tante intercettate durante una indagine, al di là di ogni ragionevole dubbio. Non ce lo dice l’ultima ricerca scientifica pubblicata su Science o Nature, ma ce lo dice, implicitamente, la sentenza della Cassazione n. 33115, Sez. II, del 2 luglio 2021.

I fatti: l’imputato, fra l’altro straniero (senegalese), viene identificato attraverso il semplice ascolto di intercettazioni telefoniche dall’interprete senegalese e dagli operatori di polizia giudiziaria. Sulla base di questa basilare ricognizione vocale la Suprema Corte è certa sull’appartenenza della voce.

Nessun dubbio sulla necessità di predisporre una perizia di comparazione fonica, tanto più che la decisione può poggiarsi su altre sentenze analoghe (Cassazione: 27.10.2020, Sez. II, n. 280064; 8.1.2008, Sez. VI, n. 239725; 23.11.2004, Sez. II, n. 229909; 27.10.1995, Sez. III, n. 203906; 19.2.1992, Sez. VI, n. 191250). È l’ultimo pezzo di un puzzle dai contorni inquietanti, che minano alla base le fondamenta teoriche del Giusto Processo.

Il cammino iniziato coraggiosamente da Galileo – che ha portato la scienza a svincolarsi da pratiche incontrollate, riservate solo a pochi adepti avvolti in un alone magico e vaticinante – si ferma nei Tribunali dinanzi alla comparazione forense della voce e alla trascrizione di intercettazioni.

Qualcuno potrebbe obiettare: ma che c’azzecca la pratica scientifica con le aule dei Tribunali? Eppure, se ci affidiamo al principio del Giusto Processo, il Tribunale dovrebbe essere il luogo in cui la giustizia, date alcune ipotesi, si realizza tramite procedure controllabili e ripetibili che portano a inferenze e predizioni (sotto forma di ‘decisioni’) sulla base dell’evidenza.

L’evidenza, attraverso l’accertamento pertinente e completo dei fatti, porta alla formazione della prova attraverso la pratica conversazionale del contraddittorio. Il principio del Giusto processo, fatte le dovute distinzioni, è quindi in linea con le procedure scientifiche contemporanee (cfr. Dominioni 2005; Ferrua 2007; Fallone 2012).

Va da sé, quindi, che la ricognizione vocale operata dall’interprete e dagli operatori di polizia giudiziaria non è controllabile e ripetibile, ma rientra per natura in quello che, senza usare termini filosofici, chiameremmo ‘un atto di fede’.

Al contrario, la conoscenza scientifica della realtà si raggiunge attraverso ipotesi su fatti osservabili e oggettivamente misurabili grazie a un metodo e all’ausilio di modelli statistici. Il metodo utilizzato deve essere pubblico, condiviso, e replicabile da tutti (per confutare o confermare le osservazioni fatte, i dati ottenuti e la loro interpretazione). Solo in questo modo, almeno sino ad oggi, siamo in grado di fare inferenze e predizioni su quella parte del mondo che vogliamo osservare, a prescindere dall’osservatore e nonostante che questi, com’è ben noto in fisica quantistica, perturbi sempre il mondo osservato.

A questo quadro manca un piccolo tassello che aggiungeremo fra poco.

 

2. La figura del perito fonico e il vuoto legislativo

Le sentenze della Cassazione prima citate rappresentano casi estremi e preoccupanti. A mio modesto avviso sono la punta di un iceberg che galleggi in un vuoto legislativo in merito alla figura del perito fonico e trascrittore, che in pratica non sono contemplati.

Un vuoto aggravato dall’assenza di percorsi formativi per chi si trova a operare nel settore, a partire dagli organi di polizia giudiziaria. Operazioni delicatissime – che richiedono competenze interdisciplinari nel campo della fonetica acustica e dell’ingegneria informatica – sono molto spesso condotte da figure che raramente hanno assimilato una pratica scientifica di base, costrette al fai da te, e in genere inconsapevoli che il Processo è in primo luogo uno strumento di conoscenza della realtà.

Persiste una zona grigia in cui periti (anche con Lauree Magistrali) presentano in dibattimento percentuali di colpevolezza (identificazione) o innocenza (non identificazione), non suffragate da alcuna procedura scientifica standardizzata.

E molto spesso sono le parti in causa ad esigere queste percentuali, dietro la richiesta esplicita: è lui o non è lui?

Tutto ciò mentre, a partire dall’introduzione della prova del DNA, seguendo il modello della genetica forense, la comunità scientifica di riferimento è ormai concorde che il perito fonico non può e non deve fornire percentuali di colpevolezza o innocenza: questi dati sono fuorvianti per il Giudice, il quale deve giungere a un verdetto sulla base di tutte le evidenze che emergono durante il processo.

Ed ecco il tassello mancante: al perito fonico forense deve essere richiesta solo l’evidenza delle probabilità statistiche tali che (i) non consentano di scartare l’ipotesi che la voce dell’anonimo e la voce nota dell’imputato abbiano caratteristiche compatibili; (ii) consentano di scartare l’ipotesi che la voce dell’anonimo abbia caratteristiche compatibili con la voce nota dell’imputato (cfr. Rose 2002).

Alle fondamenta di questo approccio c’è il modello teorico di Bayes (conosciuto anche come Teorema delle Probabilità delle Cause): si noti che lo abbiamo a disposizione da più di 300 anni ed è applicato in tutti i settori in cui è necessario interpretare delle probabilità (per esempio, la maggior parte dei test diagnostici in medicina si basa sul modello di Bayes). Infatti, il medico da cui io vado per una diagnosi, dopo avermi prescritto delle analisi cliniche, non vuole solo sapere se ho o non ho una determinata patologia.

Il medico vuole conoscere le probabilità che io soffra della malattia per cui ho eseguito gli esami (anche quando questi risultino negativi), e viceversa le probabilità che io non soffra di quella malattia (anche quando gli esami risultino positivi), conoscendo la frequenza con cui si presenta la malattia e la percentuale di efficacia dell’esame eseguito. Senza questi strumenti di analisi il medico non può fare una diagnosi e quindi prescrivere una cura. A quanto pare il Giudice sì.

 

3. Lo iudex peritus peritorum e la prova penale scientifica

Su tutto quello che abbiamo detto aleggia la nozione dello iudex peritus peritorum rispetto alla valutazione della prova scientifica. La sentenza qui discussa (e quelle ad essa collegate) segue chiaramente un modello arcaico fondato sull’onniscienza del giudice, per cui egli ha supremazia autoritativa e può, in coscienza, decidere ciò che è ‘evidenza’ e ciò che non lo è. In contrasto con questo modello vi è, per fortuna, l’esemplare sentenza della Corte di Cassazione (Sez. IV, 17.11.2010, n. 43786), in merito al caso Cozzini.

Si tratta di una sentenza ricca di analisi molto approfondite di cui qui non possiamo dar conto, dove, mi pare, sia pure garbatamente, viene sferrato un duro colpo al classico concetto di iudex peritus peritorum. In questo caso, la Suprema Corte mette bene in evidenza, in linea con una visione scientifica moderna della realtà, come il giudice “non può certamente assumere un ruolo passivo di fronte allo scenario del sapere scientifico”, ma neppure pretendere di avere sufficienti “conoscenze e [...] competenze per esperire un’indagine”.

Egli deve piuttosto confrontarsi con i periti, ovvero ergersi a “garante della scientificità della conoscenza fattuale espressa dal processo” e “svolgere un penetrante [...] ruolo critico, divenendo [...] custode del metodo scientifico”. Consapevole dei propri limiti specialistici e, ad un tempo, del proprio ruolo di giustizia, il giudice di merito deve dunque porsi a metà strada tra una posizione passiva e una posizione attiva (partecipe) degli aspetti epistemologici.

Egli deve cercare il conforto del parere dei periti, ma controllare, al contempo, che esso sia fondato sulla corretta applicazione di metodiche standardizzate all’interno delle comunità scientifiche di riferimento: solo in questo modo la perizia può meritare di contribuire processo decisionale.

Da questo quadro emerge con forza che il giudice deve svolgere un controllo sul perito e che questo controllo si deve, come abbiamo detto all’inizio, attuare nella pratica conversazionale del contraddittorio, che permette di replicare la dialettica tipica dell’approccio scientifico di ispirazione falsificazionista.

In conclusione, il giudice deve sentire il bisogno di riscontrare che le perizie in discussione presentino i requisiti minimi e le condizioni basilari di scientificità, che i periti che le discutono siano criticamente consapevoli delle operazioni che hanno svolto, e, soprattutto, che le abbiano applicate in maniera coerente con le esigenze del dibattimento.

In quest’ottica, all’interno dell’Associazione Italiana di Scienze della Voce (AISV), ha preso vita l’Osservatorio di Linguistica Forense (OLF) con l’obiettivo di monitorare sistematicamente le attività peritali del settore in ambito italiano e, in parallelo, di trovare il modo per fare percorsi formativi certificati così da ridurre al minimo l’improvvisazione nel campo delle perizie foniche.

 

4. Quasi una conclusione

Molto altro ci sarebbe da dire su un altro aspetto se vogliamo ancora più spinoso: la trascrizione di intercettazioni telefoniche e ambientali. Le intercettazioni rappresentano ormai il sine qua non di un processo: una o più parole, una o più frasi frase trascritte diventano sempre più dirimenti in un processo.

Ma anche qui: quali sono le fondamenta scientifiche di una trascrizione effettuata dagli operatori di polizia giudiziaria e dai periti iscritti all’albo dei Tribunali?

Non è dato saperlo. Ingenuamente si crede che chiunque sia in grado di usare un programma di videoscrittura possa, con un po’ di pazienza, trascrivere il parlato intercettato.

Senonché poi ci si stupisce quando in Tribunale il contenuto della trascrizione è contestato, l’ascolto in aula non chiarisce i dubbi sollevati e i consulenti chiamati in soccorso non riescono a risolvere in modo definitivo il problema. Ma su questo diremo in un’altra occasione, magari a commento di un’altra sentenza.

Bibliografia

Dominioni, O. 2005. La prova penale scientifica, Milano, 2005.

Fallone, A., 2012. Il processo aperto: il principio di falsificazione oltre ogni ragionevole dubbio nel processo penale, Milano, Giuffrè,

Ferrua, P., 2007. Epistemologia scientifica ed epistemologia giudiziaria: differenze, analogie, interralazioni, Padova, CEDAM.

Rose, P. 2002. Forensic speaker identification. London: Taylor and Francis.