L’abrogazione dell’abuso d’ufficio
L’abrogazione dell’abuso d’ufficio
“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”
Mentre pullulano, a seguito dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio, questioni di legittimità costituzionale per eventuale violazione degli artt. 11 e 117 Cost. in relazione agli obblighi di incriminazione sovranazionali, è demandato all’interprete il compito di analizzare e valutare la portata della novella e il perimetro del vuoto di tutela creato. A ben guardare, sono fondati i timori per cui lo spazio lasciato incustodito dall’abrogazione dell’abuso d’ufficio possa essere occupato da altre fattispecie, più gravi, così determinando una situazione di fatto più sfavorevole rispetto alla precedente.
Cenni introduttivi: la storia travagliata dell’abuso d’ufficio
Con la c.d. riforma Nordio (l. n. 114 del 2024, in vigore dal 25 agosto 2024) è stato ufficialmente abrogato il delitto di abuso d’ufficio: la vecchia fattispecie dell’art. 323 c.p., presente nel nostro codice penale sin dalla sua formulazione originaria del 1930, ha subìto così il colpo fatale che ne ha determinato la fine.
In realtà, già da molto tempo il legislatore aveva manifestato insofferenza per l’eccessiva indeterminatezza della norma, additata a causa principale della c.d. “paura della firma” degli amministratori pubblici, preoccupati dalle contestazioni da parte delle Procure della Repubblica del reato di abuso d’ufficio in relazione ad attività compiute nell’esercizio del proprio mandato. E, così, dopo un’iniziale riforma operata con la l. n. 86/1990, il primo drastico intervento novellatore era intervenuto con la l. n. 234/1997: in quella sede, nell’obiettivo da un lato di ovviare all’indeterminatezza della norma, che descriveva la condotta con la generica formula “abusa dell’ufficio” e, dall’altro lato, di limitare il più possibile il sindacato del giudice penale nell’attività discrezionale della pubblica amministrazione, il legislatore aveva riscritto profondamente la fattispecie. In particolare, la condotta penalmente rilevante era stata cristallizzata in quella posta in essere in “violazione di norme di legge o di regolamento”, oltre che in caso di inosservanza dell’obbligo legale di astensione. Per il perfezionamento del delitto, poi, veniva richiesta la verificazione di due eventi tra loro alternativi: un ingiusto vantaggio patrimoniale, procurato dal pubblico ufficiale a sé o ad altri, ovvero un danno ingiusto arrecato a terzi.
Anche a fronte di tale riscrittura della norma, volta a garantirne un livello maggiore di determinatezza, il fenomeno - frequente, anche se nella maggior parte delle ipotesi destinato all’archiviazione o all’assoluzione - delle iscrizioni degli amministratori locali nei registri delle persone sottoposte ad indagini per il delitto di abuso d’ufficio continuava a far discutere l’opinione pubblica. In periodo di piena emergenza Covid, durante la quale la prontezza di risposta della pubblica amministrazione alle contingenze della quotidianità era divenuta presupposto imprescindibile, il legislatore era nuovamente intervenuto sulla fattispecie di abuso d’ufficio, al fine di circoscriverne ulteriormente i margini di indeterminatezza. Così, con il D.L. n. 76/2020 (c.d. Decreto semplificazioni) la precedente condotta consistente nella violazione “di norme di legge e di regolamento” era stata sostituita dalla nuova versione relativa alla violazione “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”. Tale ultima riforma, per il vero, aveva di fatto già ridotto drasticamente la portata della norma incriminatrice, limitandone la rilevanza a situazioni davvero marginali: basti pensare, a mero titolo di esempio, che l’esclusione dal perimetro di rilevanza penale delle condotte violative di regolamenti aveva escluso dal raggio di applicazione tutta una serie di condotte potenzialmente lesive del buon andamento della p.a., poiché proprio nei regolamenti spesse volte si rinvengono regole di condotta espresse e specifiche cui l’amministratore pubblico è chiamato ad attenersi.
Ciononostante, con la legge n. 114 del 2024 il legislatore ha definitivamente abrogato l’abuso d’ufficio, con effetti importanti sul complessivo sistema dei delitti contro la P.A., di cui ora si darà conto.
Effetti dell’abrogazione: un vuoto destinato ad essere colmato per via pretoria
Nell’immediatezza della novella, la dottrina si è diffusamente spesa nell’evidenziare gli effetti dannosi di tale scelta legislativa [1], sui quali non occorre quindi più di troppo soffermarsi, essendo già stati compiutamente descritti. In via riassuntiva, si può ritenere pressoché certo che “dall’abrogazione dell’art. 323 c.p. deriva l’impunità di tutti gli abusi commessi per avvantaggiare sé stessi ovvero amici, amanti, sodali, compagni di partito o per danneggiare nemici e rivali in amore, in politica, negli affari, purché compiuti in assenza di compensi dati o promessi e di violenza o minaccia” [2].
Ciò posto, quello che è invece qui interessante comprendere è se, a livello di coerenza sistematica, lo spazio lasciato vuoto dall’abuso d’uffico potrà essere colmato attraverso la contestazione di fattispecie diverse o se, viceversa, il perimetro prima ascrivibile all’art. 323 c.p. sia oggi da ritenersi totalmente estraneo all’alveo del penalmente rilevante.
Il primo, più immediato termine di paragone si è posto rispetto al nuovo art. 314 bis c.p., rubricato “indebita destinazione di denaro o cose mobili” e introdotto poco prima dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio, quasi a voler testimoniare un ravvedimento del legislatore. Come riconosciuto da autorevole dottrina, infatti, “la correlazione tra le vicende dell’art. 323 e la creazione dell’art. 314 bis appare innegabile” [3]; e, peraltro, da tempo in dottrina e giurisprudenza era pacifica la convinzione che la condotta di peculato per distrazione - espunta dall’art. 314 c.p. nel 1990 e oggi prevista dall’art. 314 bis c.p. - andasse ad integrare alternativamente il delitto di peculato o, appunto, il delitto di abuso d’ufficio. Tutto ciò premesso, tuttavia, al quesito se il nuovo art. 314 bis c.p. possa davvero essere considerato come un continuum dell’abuso d’ufficio, nel senso che la sua funzione sarebbe quella di sanzionare le condotte distrattive già da prima ricondotte nel perimetro dell’abuso d’ufficio, la dottrina pare aver dato - a ragione - risposta negativa.
Sul punto, dunque, non occorre dilungarsi oltre. È invece interessante volgere lo sguardo ad un’altra fattispecie che si profila come potenzialmente sostitutiva, nei fatti, del ruolo finora rivestito dall’abuso d’ufficio. Come noto, infatti, la c.d. riforma Severino del 2012 ha modificato la struttura della c.d. corruzione impropria di cui all’art. 318 c.p., fino a quel momento rubricata “corruzione per un atto d’ufficio”; dal 2012, tale fattispecie è invece relativa alla “corruzione per l’esercizio della funzione”. Già dall’analisi dell’evoluzione della rubrica della norma è possibile comprendere la ratio dell’intervento riformatore: la novella era cioè intervenuta per ovviare al vuoto di tutela relativo al c.d. mero mercimonio della funzione pubblica che, fino a quel momento, non poteva essere ascritto all’area del penalmente rilevante. Ancorché, infatti, un filone della giurisprudenza avesse tentato di interpretare l’atto d’ufficio in maniera estensiva, ricomprendendovi anche generiche attività e funzioni, si trattava ad ogni buon conto di un’evidente analogia in malam partem, inammissibile nel sistema penale italiano. La novella del 2012, quindi, eliminando il riferimento all’atto d’ufficio, ha ampliato l’ambito di rilevanza della condotta di cui all’art. 318 c.p., includendovi qualsiasi compravendita del munus pubblico. E, tuttavia, il risultato pratico è stato quello di dar vita ad una fattispecie omnibus, totalmente indeterminata e difettosa di tassatività: atteso questo suo peculiare aspetto di “versatilità”, quindi, nulla esclude che tutta una serie di condotte, fino a questo momento filtrate dalla meno grave fattispecie di abuso d’ufficio, finiscano ora per sfociare in una contestazione di corruzione impropria. Si tratterebbe - è vero - di una forzatura e di una situazione patologica, della quale, però, non si può escludere la possibilità. E, d’altronde, la Suprema Corte ha già dato modo di mostrarsi favorevole all’accoglimento di interpretazioni estensive di talune fattispecie facendo leva su “fondate ragioni repressive”. Si pensi, per esempio, al caso del millantato credito: nel periodo antecedente al 2012, infatti, numerose pronunce di legittimità si erano spinte ad affermare che il reato di cui all’art. 346 c.p. non si limitava a punire la millanteria di un credito inesistente o amplificato verso il pubblico ufficiale, ma che invece dovevano essere ricomprese anche le ipotesi in cui la relazione tra il mediatore e il pubblico ufficiale fosse realmente esistente [4]. Di ciò, invero, non vi era traccia nella lettera della norma e quella operata dalla Suprema Corte finiva per essere a tutti gli effetti un’interpretazione analogica in malam partem, giustificata però dalla necessità di garantire la perseguibilità di condotte ritenute meritevoli di rilevanza penale.
Riflessioni conclusive.
Quello dei delitti contro la Pubblica Amministrazione è un sistema che risente fortemente delle ricadute e delle conseguenze sociali della commissione delle condotte ivi sanzionate. Peraltro, dell’esigenza di reprimere e sanzionare tali fenomeni si è ormai da tempo fatto carico l’ordinamento sovranazionale, che ha progressivamente imposto ai singoli Stati l’introduzione di nuove fattispecie per contrastare i fenomeni corruttivi in senso ampio o, comunque, il mantenimento di tali fattispecie ove già presenti.
Nell’attesa che la Corte costituzionale si pronunci sulle numerose questioni di legittimità costituzionale portate di recente alla sua attenzione, non si può non rilevare già che l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, così come operata dal legislatore del 2024, probabilmente produrrà distorsioni del sistema ed effetti patologici non sperati. L’allarme sociale e la riprovevolezza di determinate condotte, infatti, continuerà a richiedere una risposta punitiva da parte dell’Autorità pubblica: eliminato il filtro dell’abuso d’ufficio, lo strumento più utile sarà probabilmente rinvenuto in fattispecie diverse, più gravi della precedente.
[1]: Tra molti, cfr. M. GAMBARDELLA, L’abrograzione dell’abuso di ufficio e la riformulazione del traffico d’influenze nel “disegno di legge Nordio”, in Sistema Penale, 26 settembre 2023 e 11 aprile 2024; G. L. GATTA, L’annunciata riforma dell’abuso di ufficio: tra “paura della firma”, esigenze di tutela e obblighi internazionali di incriminazione, in Sistema Penale, 2023, n. 5, p. 165 e ss.
[2]: S. SEMINARA, Sui possibili significati del nuovo art. 314-bis c.p., in Sistema Penale, 19 luglio 2024.
[3]: Ibid.
[4]: Tra molte, cfr. Cass. pen., Sez. VI, 17 marzo 2010, n. 13479; Cass. pen., Sez. IV, 21 maggio 2010, n. 35060.