L’albero della giustizia e la sua linfa vitale
Le notizie relative al sistema giustizia attirano sempre la mia attenzione, né diversamente potrebbe essere. Aver dismesso la toga e aver riservata ad altri diletti mentali questa ultima fase della mia vita non ha comportato la resettazione delle precedenti fasi.
Son quindi sobbalzato allorquando pocanzi, scorrendo la legge di conversione del decreto sicurezza, mi sono imbattuto in un articolo che recita(va): “1-bis. All’articolo 7, comma 4, del decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197, le parole: «e sino al 1° gennaio 2019» sono soppresse”.
Questa arida elencazione di articoli e commi mi ha riportato istantaneamente a due anni fa, alla mia decisione di collocarmi in pensione con due anni di anticipo.
Non sono Pico della Mirandola; la mia rete neuronale si è attivata immediatamente in quanto quel decreto legge e quelli che lo avevano immediatamente preceduto erano stati la concausa della mia decisione.
Dopo molti rinvii, per effetto di quella norma al 1° gennaio 2017 sarebbe entrato in vigore il PAT, il processo amministrativo telematico recante l’abolizione del cartaceo, fatta salva la produzione “sino al 1° gennaio 2019” di una sola copia del ricorso e degli scritti difensivi.
È questo termine finale oggi ad esser stato eliminato, il che a dire che l’obbligo di deposito di almeno una copia cartacea è ora a regime.
Ne gioisco per i colleghi in servizio, fermo che una sola copia a me non sembra sufficiente alla bisogna, il Collegio è costituito da tre magistrati, così come indispensabile a me appare integrare la previsione imponendo anche la produzione cartacea della documentazione.
Ritenevo, all’epoca della mia decisione, e ritengo tuttora, che la digitalizzazione universale non giovasse, non giovi, al sistema giustizia. Non conosco l’impatto che la stessa ha avuto nel processo civile e penale e quindi mi limito a parlare di quello amministrativo, che io ben conosco.
Non intendevo e non intendo negare i grandi vantaggi che essa comporta sotto svariati profili; sarei uno stolto. Il PAT assicura efficienza ed efficacia al sistema, consente economie lavorative di non poco respiro e così via laudando.
E quindi ben venga, ben venuto al PAT, ma, a mio avviso, sempre che non elimini del tutto il cartaceo.
Mi si consenta un solo esempio.
Nella mia ultima udienza son stato relatore di otto ricorsi, che necessariamente andavano riuniti per afferire ad una stessa, complessa, vicenda contenziosa da definirsi con una unica pronuncia.
Per poter iniziare l’opera, in via preliminare dovevo avere chiara contezza degli elementi comuni alle diverse impugnative, ovvero dei provvedimenti gravati in ciascun ricorso e, quindi, delle censure proposte in ognuno di essi, che ben potevano esser diverse o diversamente formulate dai diversi procuratori delle parti ricorrenti. Di poi, solo di poi, avrei potuto proseguire con il dare uno sguardo preliminare alle repliche delle parti convenute in giudizio.
E di ritornare su questa o quella censura e/o replica, e soprattutto di averle congiuntamente sotto occhio, in una alle svariate mappe che dovevo esaminare e valutare alla luce delle doglianze/repliche delle parti, avrei avuto bisogno anche in seguito, sia nella fase di studio che in quella successiva di redazione della sentenza: come in effetti avvenne.
Consapevole di tali esigenze, trasportai tutti i faldoni in una sala riunioni del Tribunale e lì, su di un lungo tavolo, li collocai uno a fianco all’altro ed iniziai lo studio con lo sguardo che correva qua e là e con le mani sulla tastiera del portatile per annotare quel che andava annotato.
Mi son dilungato forse troppo, ma volevo render chiara la situazione, in quanto per nulla peculiare; nel processo amministrativo la connessione fra più gravami è vicenda processuale niente affatto sporadica, come non è affatto inusuale il dover studiare mappe, progetti, grafici, cartelle cliniche et similia.
Orbene, non avendo sperimentato il PAT (oggi i miei colleghi fruiscono di una dotazione informatica che prevede due schermi), non sono in grado di sostenere che senza “le carte” non sarei andato avanti: devo credere, voglio credere, che sarebbe stato possibile, ma per me non lo era.
La perdita della “memoria visiva”, ricaduta della scomparsa del cartaceo, in parte oggi evitata dalla norma sopra calendata, io credo infatti costituisca un problema - non solo per i giudici, ma anche per gli avvocati - posto che reca in sé e con sé la perdita di una visualizzazione sinottica e di una contestuale sinottica interiorizzazione e, soprattutto, di capacità di immediata focalizzazione, elaborazione e memorizzazione delle differenze, dei passaggi rilevanti, sui quali la mente immediatamente comprende di dover poi tornare.
Processi questi, mi è stato spiegato da una amica accademica che si occupa della materia, che la mente non riesce ad attivare in presenza del rapido scorrere delle immagini sullo schermo del computer, o anche dei computer nel caso in contemporanea utilizzati; troppo veloci le sequenze per consentire alla mente umana di attivarli e di focalizzare ed interiorizzare quelle rilevanti. L’immagine statica del cartaceo, la possibilità di ritornarvi immediatamente senza smanettare con il cursore alla affannosa ricerca della pagina perduta, consente invece al cervello umano di fissare ed elaborare quel che si ritiene rilevante, nonché di memorizzare le differenze.
In definitiva, si, salviamo pure gli alberi, produciamo meno carta, ma assicuriamoci di non abbattere anche l’albero della giustizia sottraendogli la carta che lo alimenta e lo fa restare rigoglioso.