L'articolo 314 del codice penale:il peculato
Il delitto di peculato è disciplinato dall’articolo 314 del codice penale ed è inserito nel capo I (delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione) del titolo II del codice, relativo ai delitti contro la pubblica amministrazione.
Con la previsione di tale fattispecie il legislatore incrimina la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che, “avendo per ragioni del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria”.
La fattispecie di delitto in questione costituisce un reato proprio, a soggettività qualificata, in quanto postula in capo al soggetto attivo la qualifica soggettiva di “pubblico ufficiale” o “incaricato di pubblico servizio”, differenziandosi in ciò dal reato di appropriazione indebita, che costituisce un reato comune.Tale fattispecie di reato è disciplinato dall’articolo 646 del codice penale, che incrimina la condotta di “chiunque, per procurare a sé o ad un altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui, di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso”.
Le due fattispecie in questione hanno in comune l’elemento oggettivo, della condotta; la condotta perseguita dalla disposizione sul peculato infatti, al pari di quella perseguita dal reato di appropriazione indebita, si identifica con l’appropriazione del denaro o di altra cosa mobile altrui, di cui il soggetto attivo abbia il possesso.
Il delitto di appropriazione indebita, tuttavia, diverge dal reato di peculato per due elementi: l’elemento soggettivo e la qualifica richiesta in capo all’agente.
Quanto al primo, l’articolo 646 del codice penale richiede il dolo specifico, dovendo essere la condotta preordinata al fine di “procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto”; nel peculato invece l’elemento soggettivo si identifica con il dolo generico.
L’altro elemento discretivo tra le due fattispecie è costituito dalla qualifica soggettiva di “pubblico ufficiale” o di “incaricato di pubblico servizio (di cui agli articoli 357 e 358 del codice penale), presupposto essenziale affinché sia integrato il reato proprio di peculato.
La giurisprudenza prevalente ha ravvisato nel peculato la natura di un reato pluri-offensivo, in virtù della pluralità dei beni giuridici tutelati.
L’incriminazione della fattispecie in questione infatti, oltre a presidiare il bene giuridico del buon andamento e del corretto svolgimento delle funzioni pubbliche, cui è riconosciuta rilevanza costituzionale in virtù della disposizione contenuta nell’articolo 97 della Carta fondamentale, tutela anche il bene del patrimonio della Pubblica Amministrazione.
La legge 190 del 2012 è intervenuta sul peculato, seppure in modo non decisivo.
L’unica novità che si registra con riferimento al peculato infatti, si identifica con il solo innalzamento del minimo edittale della pena, portato da tre a quattro anni di reclusione (fino al massimo di dieci).
Il secondo comma dell’articolo 314 del codice penale contempla l’ipotesi del peculato d’uso e sottopone a pena anche il soggetto agente che si appropri della cosa al solo scopo di farne “uso momentaneo”.
Tale fattispecie si connota per la sua minore gravità, come peraltro può evincersi dal più tenue trattamento sanzionatorio per essa previsto, della reclusione da sei mesi a tre anni.
Il peculato d’uso è ontologicamente incompatibile con i beni consumabili, e cioè con i beni che esauriscono la loro utilità al momento dell’uso stesso.
Il delitto di peculato è disciplinato dall’articolo 314 del codice penale ed è inserito nel capo I (delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione) del titolo II del codice, relativo ai delitti contro la pubblica amministrazione.
Con la previsione di tale fattispecie il legislatore incrimina la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che, “avendo per ragioni del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria”.
La fattispecie di delitto in questione costituisce un reato proprio, a soggettività qualificata, in quanto postula in capo al soggetto attivo la qualifica soggettiva di “pubblico ufficiale” o “incaricato di pubblico servizio”, differenziandosi in ciò dal reato di appropriazione indebita, che costituisce un reato comune.Tale fattispecie di reato è disciplinato dall’articolo 646 del codice penale, che incrimina la condotta di “chiunque, per procurare a sé o ad un altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui, di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso”.
Le due fattispecie in questione hanno in comune l’elemento oggettivo, della condotta; la condotta perseguita dalla disposizione sul peculato infatti, al pari di quella perseguita dal reato di appropriazione indebita, si identifica con l’appropriazione del denaro o di altra cosa mobile altrui, di cui il soggetto attivo abbia il possesso.
Il delitto di appropriazione indebita, tuttavia, diverge dal reato di peculato per due elementi: l’elemento soggettivo e la qualifica richiesta in capo all’agente.
Quanto al primo, l’articolo 646 del codice penale richiede il dolo specifico, dovendo essere la condotta preordinata al fine di “procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto”; nel peculato invece l’elemento soggettivo si identifica con il dolo generico.
L’altro elemento discretivo tra le due fattispecie è costituito dalla qualifica soggettiva di “pubblico ufficiale” o di “incaricato di pubblico servizio (di cui agli articoli 357 e 358 del codice penale), presupposto essenziale affinché sia integrato il reato proprio di peculato.
La giurisprudenza prevalente ha ravvisato nel peculato la natura di un reato pluri-offensivo, in virtù della pluralità dei beni giuridici tutelati.
L’incriminazione della fattispecie in questione infatti, oltre a presidiare il bene giuridico del buon andamento e del corretto svolgimento delle funzioni pubbliche, cui è riconosciuta rilevanza costituzionale in virtù della disposizione contenuta nell’articolo 97 della Carta fondamentale, tutela anche il bene del patrimonio della Pubblica Amministrazione.
La legge 190 del 2012 è intervenuta sul peculato, seppure in modo non decisivo.
L’unica novità che si registra con riferimento al peculato infatti, si identifica con il solo innalzamento del minimo edittale della pena, portato da tre a quattro anni di reclusione (fino al massimo di dieci).
Il secondo comma dell’articolo 314 del codice penale contempla l’ipotesi del peculato d’uso e sottopone a pena anche il soggetto agente che si appropri della cosa al solo scopo di farne “uso momentaneo”.
Tale fattispecie si connota per la sua minore gravità, come peraltro può evincersi dal più tenue trattamento sanzionatorio per essa previsto, della reclusione da sei mesi a tre anni.
Il peculato d’uso è ontologicamente incompatibile con i beni consumabili, e cioè con i beni che esauriscono la loro utilità al momento dell’uso stesso.