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Omofobia come crimine d'odio

Cos’è l’omofobia

Il termine “omofobia” significa letteralmente “paura nei confronti di persone dello stesso sesso”. Più precisamente si usa per indicare l’intolleranza e i sentimenti negativi che alcune persone provano nei confronti degli uomini o delle donne omosessuali.

Ma come nasce l’omofobia? Essa deriva dall’idea che siamo tutti eterosessuali e che è normale e sano scegliere un partner del sesso opposto. Questa concezione che va sotto il nome di eterosessismo è basata sulla falsa credenza che in natura non esistano comportamenti omosessuali; molti animali, invece, presentano tali tipologie di comportamenti: basti ricordare, in via esemplificativa, topi, cavalli, maiali, pecore e scimpanzé.

L’omofobia, inoltre, si alimenta in vari modi. In primis è responsabile la stessa società, che è spesso diffidente nei confronti delle diversità fino al punto da considerarle pericolose. Questa mancanza di fiducia riguarda tutte le minoranze portatrici di valori nuovi o differenti poiché minacciano quelli “convenzionali”.

Il “pregiudizio anti-gay” è, altresì, rinforzato dall’ignoranza e dalla mancanza di contatto con la comunità omosessuale. Gli individui omofobici, di fatto, non conoscono la realtà in questione ed hanno un’idea basata su ciò che hanno sentito dire da altri.

Tutti noi tendiamo ad agire in maniera coerente con ciò che viene ritenuto desiderabile e giusto, in base alle convenzioni sociali dominanti. Questo meccanismo è alla base del fatto che si è soliti deridere i gay perché è consuetudine farlo. Talvolta, però, le azioni dei soggetti omofobici non si arrestano alla sola derisione del soggetto ritenuto, a torto o a ragione, omosessuale; abbiamo assistito ed assistiamo tutt’ora a vere e proprie aggressioni fisiche connotate da una tale violenza che possono provocare alla vittima lesioni permanenti o addirittura, nel peggiore dei casi, la morte.

Questi delitti rientrano a pieno titolo nella categoria dei “crimini generati dall’odio” o più semplicemente “crimini d’odio” i quali ricomprendono tutte quelle violenze perpetrate nei confronti di persone a causa della loro appartenenza ad un gruppo sociale, identificato sulla base della razza, dell’etnia, della religione, dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere o di particolari condizioni fisiche o psichiche.

Quello che viene in rilievo in suddetti crimini - fatto questo che spiega sia l’allarme sociale sia l’aggravio di pena - non riguarda le idee, in senso lato razziste, della persona che compie tali violenze, quanto piuttosto le ricadute materiali di questo odio, tanto estremo da condurre ad un’azione che fa della discriminazione la ragione stessa del crimine. A titolo di esemplificazione si può affermare che picchiare selvaggiamente un omosessuale non costituisce di per sé un crimine dell’odio, ma lo diventa nel momento in cui la ragione del pestaggio sia l’orientamento sessuale, reale o presunto, della vittima. La vittima merita di essere pestata solo e soltanto perché fa parte di una minoranza, nei confronti della quale l’aggressore nutre odio e rancore ideologico.

Da ciò si evince che l’obiettivo principale alla base di un’aggressione di tale fattispecie è focalizzato a minare o annientare l’identità, culturale - etnica o sessuale, della vittima e, insieme, del gruppo sociale di riferimento.

Forme di manifestazione “omofobiche”.

L’omofobia si manifesta in diverse maniere sia subdole che dirette. Si passa dalle affermazioni che fanno riferimento ad un sistema di credenze (es: i gay sono contro natura), ad espressioni che ricordano un’idea di indesiderabilità (es: non pensare male, io non sono gay!), a minacce, ad insulti, a prese di distanza o di separazione.

Ma l’omofobia si manifesta non solo attraverso i suddetti comportamenti verbali, bensì anche tramite azioni fisiche aggressive e violente (queer-bashing). La maggior parte degli atti di violenza anti gay sembra motivata non tanto dal bisogno di potere o di controllo sull’altro, quanto dal bisogno di affiliazione e di conformità sociale. Sembra essere una sorta di “violenza ricreativa”, prodotta dalle interazioni tra gruppi maschili nella tarda adolescenza, in cui vige una sospensione dell’ordine morale degli adulti ed una forte pressione a dimostrare l’adesione al ruolo maschile.

Tali azioni, quando vengono commesse in gruppo (es: atti di bullismo), sono relativamente sicure per chi li compie, in quanto non si rischiano ritorsioni e garantiscono popolarità agli occhi dei pari, oltre a procurare una pseudo-prova della propria virilità.

Il clima sociale e istituzionale spesso diffonde un subdolo insieme di valori che giustifica queste condotte illegali rendendole plausibili ed accettabili.

Altre violenze possono avere una funzione anticipatoria: l’aggressore pensa che gli omosessuali siano più vulnerabili e meno portati a reagire e, di conseguenza, li sceglie come bersagli di scippi e ruberie.

Attualmente la maggioranza dei crimini di odio contro gli omosessuali non sembra essere commessa da individui affiliati a qualche gruppo politico o ideologico. Nonostante questo, alcuni individui possono sentirsi incoraggiati dalla retorica di questi gruppi ed agire isolatamente.

Da un punto di vista formale, tutte queste condotte configurano reati puniti dal codice penale e corrispondono a fattispecie classiche: omicidio, ingiuria e diffamazione, lesioni personali, violazione di domicilio, estorsione e così via. L’elemento aggiuntivo che si accompagna alle suddette condotte fa sì che i reati vengano ad assumere un aspetto diverso e peculiare sotto il profilo criminologico, arrivando a qualificarsi, come detto, nella categoria dei “crimini d’odio” (hate crimes).

In questo modo, l’omicidio di una persona omosessuale o transessuale non è più un omicidio semplice; l’atto di bullismo nei confronti di una ragazza omosessuale non si riduce alle sole lesioni personali.

Ciò che ritengo doveroso sottolineare è il contesto nel quale tutti questi fenomeni avvengono e trovano terreno fertile.

Chi agisce non fa altro che tradurre in fatto un atteggiamento diffuso di omofobia quasi istituzionalizzata. L’odio espresso dalla violenza non è quindi unico e non può essere limitato al singolo caso: esso esprime un approccio più ampio e preoccupante nei confronti della realtà omosessuale. Sarebbe auspicabile, quindi, che le violenze omofobiche, fisiche o verbali, venissero considerate come delitti speciali, degni di particolare attenzione sia da parte dell’autorità sia da parte del legislatore.

Un altro aspetto riguarda la vittima di queste violenze. L’omofobia è talmente radicata nelle società odierne, che, persino, gli omosessuali aggrediti faticano a rendersi conto che la violenza nei loro confronti configura un reato punibile dal codice penale. Anche in questo caso non si può che sperare in una legiferazione che consenta ai pubblici ministeri e ai giudici di portare a compimento i processi penali di tal specie, inducendo molte più vittime a sporgere denuncia ed eliminando così la zona grigia di crimini non denunciati.

Un ultimo e non meno importante aspetto è quello riguardante gli effetti che i crimini d’odio producono sulle persone che ne sono obiettivo. Il diffondersi di questa tipologia di reati e la loro impunità alimentano un senso di paura nelle persone omosessuali, le quali finiscono per diventare psicologicamente e socialmente vulnerabili. Alcune ricerche hanno evidenziato come le vittime di delitti a stampo omofobico impiegano maggior tempo per recuperare il loro benessere psicologico, rispetto a coloro i quali hanno subito violenze non legate all’orientamento sessuale.

Questo significa che, sia sul piano individuale sia a livello collettivo, i delitti omofobici generano conseguenze sulle quali giuristi e legislatore dovrebbero intervenire con serietà, con profondità di riflessione e soprattutto con azioni normative mirate.

Situazione Europea ed extra-europea.

Dagli anni sessanta del secolo scorso, molti Stati europei ed extra-europei (in primis Francia e Stati Uniti) si sono attivati al fine di reprimere quei delitti che prendono di mira l’orientamento sessuale ed hanno introdotto l’aggravante omofobica riconoscendo altresì, esplicitamente, che l’omofobia è un problema politico e che è necessario intervenire in funzione preventiva e repressiva.

Dal panorama comparato si desume un dato fondamentale: solitamente il crimine d’odio assume la forma di una circostanza aggravante, che si aggiunge al reato ma non lo modifica nella sua essenza.

La circostanza aggravante aumenta la pena che il giudice sarà tenuto a imporre al colpevole al termine del processo. In questo modo, per i delitti ispirati da odio omofobico la pena sarà maggiore rispetto all’ipotesi in cui lo stesso delitto sia stato commesso per ragioni di altra natura.

Vi sono state molte contestazioni e prese di posizione sulla correttezza di un’aggravante che pesi sulla pena fino ad aumentarla, secondo alcune leggi, del doppio o addirittura del triplo.

Alcuni ritengono che in questo modo venga violato il principio di proporzionalità, che postula le pena commisurata al reato commesso.

Altri ritengono che l’introduzione di un’aggravante costituirebbe un’indebita intromissione dello Stato nella libertà di pensiero dei cittadini.

Ferma restando la libertà di espressione di ogni individuo, ritengo tali critiche del tutto infondate. Sulla prima obiezione, legata al principio di proporzionalità, non c’è molto da dire: è compito esclusivo del legislatore calibrare le pene in modo razionale rispetto alla gravità del bene giuridico leso.

Quanto alla disparità di trattamento, è fuori discussione che la violenza, sia essa fisica o verbale, nulla a che vedere con la libertà di pensiero o con il principio di uguaglianza. I delitti di stampo omofobico si rivolgono contro determinati individui e contro le loro differenze allo scopo di annullare il loro essere persona.

Se proprio si vuole criticare l’introduzione dell’aggravante, bisogna rivolgere l’attenzione ad altre problematiche, che andrebbero risolte al fine di una sua applicazione corretta.

Per prima cosa, l’aggravante non può essere la soluzione ideale quando il reato base resta punibile a querela della persona offesa. Il numero delle aggressioni denunciate è talmente basso che si rischia di non celebrare mai un processo. Inoltre andrebbe esclusa l’applicazione delle circostanze attenuanti, che se bilanciate con l’aggravante in questione potrebbe annullare del tutto l’incremento di pena. Infine sarebbe opportuno accompagnare l’aggravante con l’introduzione di misure educative specifiche (campagne d’istruzione nelle scuole e azioni di sensibilizzazione a livello istituzionale).

Situazione Italiana.

Per quanto riguarda la situazione italiana possiamo affermare che già da decenni sono in vigore norme in materia di discriminazione.

Si tratta, principalmente, della legge 654 del 13.10.1975 la quale ha recepito la Convenzione internazionale sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966, successivamente accompagnata dalla legge Mancino del 1993 (n.205 del 25 giugno).

Quest’ultima, in sostanza, integra la prima, introducendo misure repressive ulteriori quali l’obbligo per il colpevole di prestare attività sociali o di pubblica utilità, la punizione di coloro che portano simboli di gruppi razzisti, la sottoposizione dei colpevoli a misure di sicurezza, la possibilità di effettuare sequestri e perquisizioni, la facoltà per la polizia di procedere all’arresto in flagranza e così via.

Di particolare interesse è l’art.3 della legge Mancino, che dispone l’applicazione di un’aggravante di pena pari alla metà per i reati commessi per finalità di discriminazione e odio etnico, nazionale, razziale o religioso. In questi casi il pubblico ministero può procedere d’ufficio ed è espressamente previsto che il giudice non possa bilanciare l’aggravante così applicata con le attenuanti eventualmente operanti: in questo modo, l’efficacia della sanzione è pienamente garantita.

Nonostante i numerosi tentativi da parte di alcuni esponenti della classe politica italiana manca ad oggi, nel nostro paese, una legge che protegga le persone omosessuali e transessuali dai crimini d’odio.

L’Italia ancora una volta si ritrova fuori dall’Europa in termini di tutela dei soggetti in questione e si pone in netto contrasto con una risoluzione del Parlamento Europeo del 2006 che ha chiesto agli Stati membri dell’unione Europea di “assicurare che le persone vengano protette da discorsi omofobici e da atti di violenza omofobica”.

Cos’è l’omofobia

Il termine “omofobia” significa letteralmente “paura nei confronti di persone dello stesso sesso”. Più precisamente si usa per indicare l’intolleranza e i sentimenti negativi che alcune persone provano nei confronti degli uomini o delle donne omosessuali.

Ma come nasce l’omofobia? Essa deriva dall’idea che siamo tutti eterosessuali e che è normale e sano scegliere un partner del sesso opposto. Questa concezione che va sotto il nome di eterosessismo è basata sulla falsa credenza che in natura non esistano comportamenti omosessuali; molti animali, invece, presentano tali tipologie di comportamenti: basti ricordare, in via esemplificativa, topi, cavalli, maiali, pecore e scimpanzé.

L’omofobia, inoltre, si alimenta in vari modi. In primis è responsabile la stessa società, che è spesso diffidente nei confronti delle diversità fino al punto da considerarle pericolose. Questa mancanza di fiducia riguarda tutte le minoranze portatrici di valori nuovi o differenti poiché minacciano quelli “convenzionali”.

Il “pregiudizio anti-gay” è, altresì, rinforzato dall’ignoranza e dalla mancanza di contatto con la comunità omosessuale. Gli individui omofobici, di fatto, non conoscono la realtà in questione ed hanno un’idea basata su ciò che hanno sentito dire da altri.

Tutti noi tendiamo ad agire in maniera coerente con ciò che viene ritenuto desiderabile e giusto, in base alle convenzioni sociali dominanti. Questo meccanismo è alla base del fatto che si è soliti deridere i gay perché è consuetudine farlo. Talvolta, però, le azioni dei soggetti omofobici non si arrestano alla sola derisione del soggetto ritenuto, a torto o a ragione, omosessuale; abbiamo assistito ed assistiamo tutt’ora a vere e proprie aggressioni fisiche connotate da una tale violenza che possono provocare alla vittima lesioni permanenti o addirittura, nel peggiore dei casi, la morte.

Questi delitti rientrano a pieno titolo nella categoria dei “crimini generati dall’odio” o più semplicemente “crimini d’odio” i quali ricomprendono tutte quelle violenze perpetrate nei confronti di persone a causa della loro appartenenza ad un gruppo sociale, identificato sulla base della razza, dell’etnia, della religione, dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere o di particolari condizioni fisiche o psichiche.

Quello che viene in rilievo in suddetti crimini - fatto questo che spiega sia l’allarme sociale sia l’aggravio di pena - non riguarda le idee, in senso lato razziste, della persona che compie tali violenze, quanto piuttosto le ricadute materiali di questo odio, tanto estremo da condurre ad un’azione che fa della discriminazione la ragione stessa del crimine. A titolo di esemplificazione si può affermare che picchiare selvaggiamente un omosessuale non costituisce di per sé un crimine dell’odio, ma lo diventa nel momento in cui la ragione del pestaggio sia l’orientamento sessuale, reale o presunto, della vittima. La vittima merita di essere pestata solo e soltanto perché fa parte di una minoranza, nei confronti della quale l’aggressore nutre odio e rancore ideologico.

Da ciò si evince che l’obiettivo principale alla base di un’aggressione di tale fattispecie è focalizzato a minare o annientare l’identità, culturale - etnica o sessuale, della vittima e, insieme, del gruppo sociale di riferimento.

Forme di manifestazione “omofobiche”.

L’omofobia si manifesta in diverse maniere sia subdole che dirette. Si passa dalle affermazioni che fanno riferimento ad un sistema di credenze (es: i gay sono contro natura), ad espressioni che ricordano un’idea di indesiderabilità (es: non pensare male, io non sono gay!), a minacce, ad insulti, a prese di distanza o di separazione.

Ma l’omofobia si manifesta non solo attraverso i suddetti comportamenti verbali, bensì anche tramite azioni fisiche aggressive e violente (queer-bashing). La maggior parte degli atti di violenza anti gay sembra motivata non tanto dal bisogno di potere o di controllo sull’altro, quanto dal bisogno di affiliazione e di conformità sociale. Sembra essere una sorta di “violenza ricreativa”, prodotta dalle interazioni tra gruppi maschili nella tarda adolescenza, in cui vige una sospensione dell’ordine morale degli adulti ed una forte pressione a dimostrare l’adesione al ruolo maschile.

Tali azioni, quando vengono commesse in gruppo (es: atti di bullismo), sono relativamente sicure per chi li compie, in quanto non si rischiano ritorsioni e garantiscono popolarità agli occhi dei pari, oltre a procurare una pseudo-prova della propria virilità.

Il clima sociale e istituzionale spesso diffonde un subdolo insieme di valori che giustifica queste condotte illegali rendendole plausibili ed accettabili.

Altre violenze possono avere una funzione anticipatoria: l’aggressore pensa che gli omosessuali siano più vulnerabili e meno portati a reagire e, di conseguenza, li sceglie come bersagli di scippi e ruberie.

Attualmente la maggioranza dei crimini di odio contro gli omosessuali non sembra essere commessa da individui affiliati a qualche gruppo politico o ideologico. Nonostante questo, alcuni individui possono sentirsi incoraggiati dalla retorica di questi gruppi ed agire isolatamente.

Da un punto di vista formale, tutte queste condotte configurano reati puniti dal codice penale e corrispondono a fattispecie classiche: omicidio, ingiuria e diffamazione, lesioni personali, violazione di domicilio, estorsione e così via. L’elemento aggiuntivo che si accompagna alle suddette condotte fa sì che i reati vengano ad assumere un aspetto diverso e peculiare sotto il profilo criminologico, arrivando a qualificarsi, come detto, nella categoria dei “crimini d’odio” (hate crimes).

In questo modo, l’omicidio di una persona omosessuale o transessuale non è più un omicidio semplice; l’atto di bullismo nei confronti di una ragazza omosessuale non si riduce alle sole lesioni personali.

Ciò che ritengo doveroso sottolineare è il contesto nel quale tutti questi fenomeni avvengono e trovano terreno fertile.

Chi agisce non fa altro che tradurre in fatto un atteggiamento diffuso di omofobia quasi istituzionalizzata. L’odio espresso dalla violenza non è quindi unico e non può essere limitato al singolo caso: esso esprime un approccio più ampio e preoccupante nei confronti della realtà omosessuale. Sarebbe auspicabile, quindi, che le violenze omofobiche, fisiche o verbali, venissero considerate come delitti speciali, degni di particolare attenzione sia da parte dell’autorità sia da parte del legislatore.

Un altro aspetto riguarda la vittima di queste violenze. L’omofobia è talmente radicata nelle società odierne, che, persino, gli omosessuali aggrediti faticano a rendersi conto che la violenza nei loro confronti configura un reato punibile dal codice penale. Anche in questo caso non si può che sperare in una legiferazione che consenta ai pubblici ministeri e ai giudici di portare a compimento i processi penali di tal specie, inducendo molte più vittime a sporgere denuncia ed eliminando così la zona grigia di crimini non denunciati.

Un ultimo e non meno importante aspetto è quello riguardante gli effetti che i crimini d’odio producono sulle persone che ne sono obiettivo. Il diffondersi di questa tipologia di reati e la loro impunità alimentano un senso di paura nelle persone omosessuali, le quali finiscono per diventare psicologicamente e socialmente vulnerabili. Alcune ricerche hanno evidenziato come le vittime di delitti a stampo omofobico impiegano maggior tempo per recuperare il loro benessere psicologico, rispetto a coloro i quali hanno subito violenze non legate all’orientamento sessuale.

Questo significa che, sia sul piano individuale sia a livello collettivo, i delitti omofobici generano conseguenze sulle quali giuristi e legislatore dovrebbero intervenire con serietà, con profondità di riflessione e soprattutto con azioni normative mirate.

Situazione Europea ed extra-europea.

Dagli anni sessanta del secolo scorso, molti Stati europei ed extra-europei (in primis Francia e Stati Uniti) si sono attivati al fine di reprimere quei delitti che prendono di mira l’orientamento sessuale ed hanno introdotto l’aggravante omofobica riconoscendo altresì, esplicitamente, che l’omofobia è un problema politico e che è necessario intervenire in funzione preventiva e repressiva.

Dal panorama comparato si desume un dato fondamentale: solitamente il crimine d’odio assume la forma di una circostanza aggravante, che si aggiunge al reato ma non lo modifica nella sua essenza.

La circostanza aggravante aumenta la pena che il giudice sarà tenuto a imporre al colpevole al termine del processo. In questo modo, per i delitti ispirati da odio omofobico la pena sarà maggiore rispetto all’ipotesi in cui lo stesso delitto sia stato commesso per ragioni di altra natura.

Vi sono state molte contestazioni e prese di posizione sulla correttezza di un’aggravante che pesi sulla pena fino ad aumentarla, secondo alcune leggi, del doppio o addirittura del triplo.

Alcuni ritengono che in questo modo venga violato il principio di proporzionalità, che postula le pena commisurata al reato commesso.

Altri ritengono che l’introduzione di un’aggravante costituirebbe un’indebita intromissione dello Stato nella libertà di pensiero dei cittadini.

Ferma restando la libertà di espressione di ogni individuo, ritengo tali critiche del tutto infondate. Sulla prima obiezione, legata al principio di proporzionalità, non c’è molto da dire: è compito esclusivo del legislatore calibrare le pene in modo razionale rispetto alla gravità del bene giuridico leso.

Quanto alla disparità di trattamento, è fuori discussione che la violenza, sia essa fisica o verbale, nulla a che vedere con la libertà di pensiero o con il principio di uguaglianza. I delitti di stampo omofobico si rivolgono contro determinati individui e contro le loro differenze allo scopo di annullare il loro essere persona.

Se proprio si vuole criticare l’introduzione dell’aggravante, bisogna rivolgere l’attenzione ad altre problematiche, che andrebbero risolte al fine di una sua applicazione corretta.

Per prima cosa, l’aggravante non può essere la soluzione ideale quando il reato base resta punibile a querela della persona offesa. Il numero delle aggressioni denunciate è talmente basso che si rischia di non celebrare mai un processo. Inoltre andrebbe esclusa l’applicazione delle circostanze attenuanti, che se bilanciate con l’aggravante in questione potrebbe annullare del tutto l’incremento di pena. Infine sarebbe opportuno accompagnare l’aggravante con l’introduzione di misure educative specifiche (campagne d’istruzione nelle scuole e azioni di sensibilizzazione a livello istituzionale).

Situazione Italiana.

Per quanto riguarda la situazione italiana possiamo affermare che già da decenni sono in vigore norme in materia di discriminazione.

Si tratta, principalmente, della legge 654 del 13.10.1975 la quale ha recepito la Convenzione internazionale sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966, successivamente accompagnata dalla legge Mancino del 1993 (n.205 del 25 giugno).

Quest’ultima, in sostanza, integra la prima, introducendo misure repressive ulteriori quali l’obbligo per il colpevole di prestare attività sociali o di pubblica utilità, la punizione di coloro che portano simboli di gruppi razzisti, la sottoposizione dei colpevoli a misure di sicurezza, la possibilità di effettuare sequestri e perquisizioni, la facoltà per la polizia di procedere all’arresto in flagranza e così via.

Di particolare interesse è l’art.3 della legge Mancino, che dispone l’applicazione di un’aggravante di pena pari alla metà per i reati commessi per finalità di discriminazione e odio etnico, nazionale, razziale o religioso. In questi casi il pubblico ministero può procedere d’ufficio ed è espressamente previsto che il giudice non possa bilanciare l’aggravante così applicata con le attenuanti eventualmente operanti: in questo modo, l’efficacia della sanzione è pienamente garantita.

Nonostante i numerosi tentativi da parte di alcuni esponenti della classe politica italiana manca ad oggi, nel nostro paese, una legge che protegga le persone omosessuali e transessuali dai crimini d’odio.

L’Italia ancora una volta si ritrova fuori dall’Europa in termini di tutela dei soggetti in questione e si pone in netto contrasto con una risoluzione del Parlamento Europeo del 2006 che ha chiesto agli Stati membri dell’unione Europea di “assicurare che le persone vengano protette da discorsi omofobici e da atti di violenza omofobica”.